Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ahiryn    23/01/2022    5 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Frattura

XV



 
Kieran passò il pollice sulla lingua per contare meglio i soldi, ma aveva la bocca secca e impastata per l’alcool. Non riuscì a finire il conteggio e ci rinunciò; il signor Peacock non aveva smesso di riempirgli il calice ogni volta che si svuotava.
Troppi soldi.
Rifletté mentre lo stomaco gli mandava segni di protesta per tutto quello che aveva bevuto nervosamente.
Susanne era stata fin troppo generosa e questo non gli andava giù. Tutti quei soldi per Silas, come i clienti della Dama Rossa. Volevano comprarlo e lui non aveva alcun problema a vendersi.
Cercò di scacciare quei pensieri maligni e intrusivi. Lui era l’ultima persona che poteva giudicare l’operato di Silas, non c’era nulla che Kieran non avesse venduto di sé stesso, neanche i suoi ideali.
Tornava dalla serata con la maschera in mano e il foulard sciolto intorno al collo. Era stanco, aveva tentato di non dormire la notte prima e ora ne subiva le conseguenze. Non avvertiva il freddo pungente della notte sulla pelle bollente, ma era stordito dai fumi della città che lo nauseavano.
Nevicava. I tetti spigolosi delle case erano stretti fra loro, come infreddoliti. Le stradine imbiancate gorgogliavano in prossimità dei tombini e rilasciavano liquidi nerastri che imbrattavano la neve. Alcuni lampioni a gas illuminavano i ponti e le stradine, aiutati dalle luci calde che provenivano dalle case. Non gli sarebbe dispiaciuto sedersi di fronte a un caminetto con un bicchiere di liquore nella mano in quel momento.
Sgrullò la neve dai capelli rossi e guardò verso l’alto senza riuscire a scorgere il cielo, soltanto la neve che scendeva lenta.
Quel tempo nevoso gli rievocava tanti ricordi, quasi tutti legati alle feste del Solstizio. Al villaggio dov’era nato non era una celebrazione soltanto festosa, ma un vero giorno sacro nel quale venivano rivolte offerte al bosco. Nei quartieri di Railia invece si cucinavano caldarroste e vin brulé caldo, si accendevano falò per la città, si danzava e ci si scambiava dolci caramellati e doni come segno di affetto.
In Accademia si organizzava un ballo, fra l’alta società era usanza più comune per festeggiare. Nei giorni a seguire molti cadetti tornavano alle loro rispettive case per qualche giorno. Ricordava che Silas restava sempre in Accademia, senza tornare a casa. Un anno era rimasto con lui a causa di alcune ferite che non gli permettevano di muoversi eccessivamente.
Era un bel ricordo; loro due nella biblioteca, vicino al caminetto che si lamentavano dei maestri e degli allenamenti troppo estenuanti. In quel periodo era stato felice, genuinamente felice. Non sapeva niente del futuro che incombeva e viveva giorno per giorno con grandi aspettative.
Ho già iniziato a piangermi addosso.
Se avesse dovuto condividere i suoi sogni con Silas in Accademia, avrebbe avuto davvero paura, ma forse nella sua ingenuità lo avrebbe trovato liberatorio. Un modo di essere sincero senza doverlo essere davvero. Si fidava ciecamente di Silas d’altronde.
 Ora invece voleva soltanto urlare, ogni segreto rivelato avrebbe potuto distruggerlo e Silas era la persona di cui doveva più diffidare.
Prima di raggiungere la pensioncina attraversò una piccola piazza spoglia in cui convergevano diversi ponticelli di metallo; nel centro sbucava un pozzo arrugginito e ricoperto di neve sopra cui erano stati adagiati alcuni fiori invernali. Uno strato nero e sporco di neve stava pian piano scomparendo sotto la nuova nevicata, ancora immacolata.
La luce di un lampione avvolgeva debolmente le panchine usurate di ferro e una figura appollaiata lì a contemplare la sera. Kieran riconobbe subito quella postura familiare e quel modo di tenere le mani giunte quando era assorto. Si avvicinò e per poco non scivolò sul ghiaccio con il suo equilibrio instabile.
La piazza era deserta. Quelle zone della città non erano sicure la notte e stare all'aperto troppo a lungo era sempre una pessima idea. In lontananza abbaiò un cane e si udì il frastuono di vetri infranti, ma ogni suono veniva mangiato dalle fabbriche e dai loro rumori infernali. Le turbine arrugginite non smettevano di girare, mentre le scavatrici e le pompe d’acqua continuavano imperterrite anche nella notte il loro lavoro. Gli operai lavoravano dall’alba al tramonto, ma capitava spesso che fossero costretti a doppi turni. A Moslon i sindacati non erano attivi come nella capitale, erano tutti troppo ammalati per sollevare la testa.
Silas era seduto sullo schienale della panchina, aveva i capelli raccolti sotto un cappello a cilindro e indossava un elegante cappotto di stoffa nera. Doveva aver rubato gli indumenti al baronetto prima di andare via. Si era tolto gran parte del trucco, ma aveva alcune sbavature intorno agli occhi.
‒ Che ci fai qui?
‒ Ti aspettavo. Non riuscivo a dormire con questi rumori infernali, volevo guardare il cielo allora, ma non si vede niente. Questa città è una vera fogna.
Kieran cascò a sedere vicino a lui con un tonfo. Era ancora padrone di sé, ma l'alcool non aiutava la sua coordinazione. Tirò fuori i soldi dalla giacca e glieli mostrò.
‒ La tua amica è stata fin troppo generosa.
Silas osservò i soldi e abbassò lo sguardo. ‒ Lo è sempre stata.
Kieran ripose i soldi con un’espressione di sufficienza. Dal suo punto di vista era facile essere generosi quando si nasceva con tutti quei soldi.
Perché sono così infastidito.
Cercò di scrollarsi via la solita irrequietezza crescente che lo prendeva allo stomaco quando qualcosa sfuggiva al suo controllo. Il coinvolgimento di Susanne lo aveva scosso più del previsto.
‒ Quell’Helkins sembrava piuttosto insistente. Come mai tanta sfacciataggine nei confronti del Campione?
Cercò di asciugare le ciglia rosse imbiancate. ‒ Non ho intenzione di parlare di Helkins, Silas ‒ replicò secco.
‒ Hai detto che c’è cattivo sangue fra di voi. È successo qualcosa, ti ha… è stato inappropriato con te? ‒ domandò cauto.
Kieran rise. ‒ Inappropriato è la parola giusta direi. La sua intera vita è inappropriata.
Si voltò e trovò gli occhi violetti di Silas che lo scrutavano con attenzione. Aveva quell’espressione concentrata di quando cercava di capire un rompicapo.
‒ Lui è più anziano di noi.
‒ Sì, di una decina d’anni penso.
Silas ticchettò la neve della panchina. ‒ Quando lo hai conosciuto? Da ragazzino? ‒ incalzò.
Kieran alzò un sopracciglio. ‒ No, Helkins non è nobile da quel che so, ma aveva una discreta fortuna. Non è delle mie zone, l’ho conosciuto sei o sette anni fa.
Lo vide elaborare l’informazione, sovrappensiero. Era nervoso. Kieran se ne accorse subito; era talmente raro vedere Silas abbandonare la solita irritante disinvoltura, che il suo nervosismo spiccava subito all’occhio. Continuava a tenere le mani giunte e a grattarsi l’orecchio a punta. Quando qualcosa lo preoccupava diventava meno umano per qualche motivo, si avvicinava troppo con il viso, osservava in modo insistente e inclinava il capo di lato, un gesto tipico delle fate quando tentavano di comprendere qualcosa.
‒ Oggi eri strano ‒ commentò, serio. ‒ Sei stato strano anche stamattina, quando ti sei chiuso in bagno.
Silas studiò le linee sul proprio palmo come se potesse nascondercisi dentro. Le seguì con il dito ed evitò lo sguardo dell’altro.
Kieran trattenne un sorriso quando lo vide compiere quel gesto. Si metteva spesso a seguire le linee della mano quando era nervoso o sovrappensiero in Accademia, non si accorgeva di apparire bizzarro e strano quando iniziava. Lo trovava spesso immerso nei propri pensieri così, incurvato su una sedia. Era il suo modo di focalizzarsi. Una volta gli aveva accennato che per le fate e per i mezzosangue era più complesso a volte mantenere l’attenzione ed elaborare sentimenti contrastanti insieme, che potevano avere problemi a concentrarsi e a rimanere attenti.
‒ Ho sognato vecchi ricordi. Miei, non tuoi, non fare quella faccia. Ricordi sgradevoli.
Kieran si allentò il colletto e sciolse il laccio. Aveva la gola irritata dai fumi, ma non riusciva a indossare la maschera in quel momento, aveva bisogno di un po’ di aria, per quanto mefitica.
‒ Il bordello te li ha suscitati?
Silas lo guardò per un attimo come se volesse dire altro. ‒ Sì, in un certo senso. Spiegare che cosa si prova è un’impresa. Sei mai stato costretto a fare qualcosa del genere contro la tua volontà?
Kieran impiegò qualche secondo per elaborare la domanda. Si grattò la barba che non aveva tagliato e guardò verso l’acqua scura dove ondeggiavano piccoli strati di ghiaccio.
‒ Cosa intendi? ‒ rispose e strizzò gli occhi più volte.
‒ Ti hanno mai forzato a usare il tuo corpo come non avresti voluto?
Pian piano prese coscienza della domanda e la foschia sparì dalla sua espressione, sostituita da una mano fredda premuta sulla schiena. Il gelo della questione lo riportò coi piedi per terra e rimase in silenzio.
Perché Silas gli poneva quella domanda?
‒ Perché pensi che mi sia successa una cosa simile ‒ mormorò e scandì ogni lettera come se fosse impronunciabile.
Silas si agitò appena sul proprio sedile. ‒ Sei un soldato quindi vendi continuamente il tuo corpo al governo, come arma.
Kieran alzò gli occhi al cielo. ‒ Intendevi questo? Mi fa troppo male la testa per sorbirmi altre tue opinioni sul Ferro.
‒ Quello che volevo dire…
Sembrò esitare e si morse il labbro, indeciso. Appariva in difficoltà. ‒ Ci sono cose che, ecco, non voglio che tu ti senta… sei maledettamente orgoglioso, ma non devi pensare di doverti vergognare, no, volevo dire di doverti… ‒ iniziò a incartarsi con le parole e sospirò quando capì che Kieran aveva smesso di seguirlo.
‒ Ho pensato che qualcuno in passato ti avesse costretto a fare qualcosa quando ho visto la tua reazione alla Dama Rossa. Sembravi spaventato, annichilito.
Kieran avvertì la terra mancargli sotto i piedi. Se aveva un po’ di nausea ora era certo che avrebbe vomitato. Una patina di sudore freddo gli ricoprì la pelle e faticò molto per mantenere un atteggiamento distaccato e neutrale.
Qualsiasi lucidità svanì dalla sua testa.
Doveva dirottare subito quella conversazione a qualsiasi costo.
Lasciò uscire una risata forzata. ‒ Silas so cosa stai cercando di fare, ma potevi inventare qualche inganno migliore. Mi hai visto? Credi sul serio che qualcuno riuscirebbe a soggiogarmi così facilmente?
‒ Non è sempre una questione di forza fisica. Anzi, non lo è quasi mai. Cosa starei cercando di fare secondo te?
‒ Cercare un punto di contatto con me per manipolarmi, ma potevi trovare qualcosa di meglio che questa fantasia ridicola.
Silas sospirò e si chinò in avanti con le mani giunte.
‒ Se mi sono sbagliato è meglio così.
‒ Certo che ti sei sbagliato e la tua insinuazione è assurda.
Gli lanciò un’occhiata intensa. ‒ Perché?
‒ Perché lo è. Smettila di paragonarmi a te, smettila di credere che ci sia qualche disgrazia o ferita nascosta a farmi agire come agisco. Vuoi che ci sediamo a parlare di sentimenti e stronzate simili? A raccontarci le disgrazie della vita mentre ci facciamo le trecce? È tardi per quello, non credi? Quei tempi li abbiamo già avuti e sappiamo entrambi come sono finiti. Le tue strategie d’inganno sono sempre più scadenti, Vauk.
Una distanza. Doveva creare più distanza possibile, subito. Doveva far passare a Silas ogni voglia di ficcare il naso.
Silas si tolse il cappello con un sorriso amaro. ‒ Lo dici come se fosse qualcosa da disprezzare, non era per rievocare i vecchi tempi, non m’importa di qualsiasi stronzata tu abbia fatto mentre eri intento a rovinare la mia vita. Ci sono questioni per cui non esiste una fazione o un’inimicizia che tengano, ci sono questioni che possono avere un solo giudizio, anche se a pronunciarlo è il tuo peggior nemico.
‒ Per quanto tu abbia vissuto lo spirito dell’Accademia per finta, dovresti sapere che questi discorsi li lasciamo agli altri, non abbiamo il lusso di metterci a snocciolare i nostri sentimenti in continuazione.
Silas cercò di mantenere un tono calmo. ‒ Non nasconderti dietro la rigidità militare, perché non siamo più in Accademia e abbiamo superato gli anni in cui avevamo paura di apparire deboli.
Quello che voglio dire è che, anche se siamo su fronti opposti o ci odiamo, esistono faccende su cui possiamo mostrarci umanità e… solidarietà, senza che questo significhi nulla.
Kieran sollevò le braccia, esasperato. ‒ Non funziona così, Silas. Non puoi stabilire tu quali sono le cose importanti per cui mostrare solidarietà ‒ e lo pronunciò con scherno. ‒ Vuoi dire che anche se ci odiamo devi compatirmi se qualcuno mi violenta? Credi che sia peggiore di provare a uccidermi? Di ammazzare qualcuno che amavo? Non ci sono vere tregue quando la persona che hai davanti vuole distruggerti. Non hai il diritto di compatirmi o di dire frasi del genere.
Scosse la testa. ‒ D’accordo, non vuoi parlarne, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento.
Perché all’improvviso si sentiva così arrabbiato? Non si era neanche accorto di avere i pugni serrati.
‒ Non c’è nulla di cui parlare e anche se ci fosse, no, non vorrei parlarne con te o con nessun altro. Non ho il costante bisogno di vomitare sugli altri i miei drammi personali.
Silas infilò la mano nel taschino e trovò una fiaschetta laccata d’oro. Pulì il beccuccio e bevve un sorso, rabbrividendo.
‒ Un regalo del baronetto, ha buon gusto in fatto di alcolici — tentò di sdrammatizzare, prima di inumidirsi le labbra e tornare serio. — Ti ho chiesto a proposito di questo soltanto perché per me è sempre stata... dura parlarne. Soprattutto di ciò che è accaduto alla Dama Rossa dopo la mia fuga. Visto che l'ultima persona ad avermi toccato prima di quel momento eri stato tu.
Kieran rimase immobile dove si trovava, il sangue sembrò defluirgli dal corpo.
Lo aveva fatto davvero. Aveva aperto quella scatola, aveva tirato fuori qualcosa che non doveva essere tirato fuori. Gli aveva detto di non insistere, gli aveva detto di stare zitto e chiudere la bocca, ma no, lui non poteva smettere di tormentarlo, non poteva smettere di manipolarlo.
Fu come se qualcuno avesse aperto una faglia dentro di lui e le emozioni che aveva intrappolato zampillarono incontrollate. Si passò le mani sul viso.
‒ Tu sei davvero senza vergogna.
Silas sbatté le palpebre e lo osservò. – Cosa?
‒ Sei… ‒ gli mancava il fiato. – Menti e manipoli con una facilità disarmante, non smetti mai, mai neanche per un secondo di continuare a tirare i fili, come se fossi ancora il tuo burattino. Ci provi con il sesso ogni singola volta, con le tue battute, con i tuoi doppi sensi. E quando fallisci diventi ancora più meschino e dici frasi del genere. Vuoi farmi parlare del mio passato, vuoi insinuartici per avere meglio il controllo, come un parassita che si nasconde dentro una ferita infetta.
Silas aveva gli occhi sgranati. – Sei impazzito?
Kieran si alzò rabbiosamente. – Sono davvero stanco. Superi il limite ogni maledetta volta. Visto che hai tirato fuori l’argomento, forse vuoi sapere cos’accadde a me dopo la tua fuga. Di come mi arrestarono, di come mi torchiarono giorno e notte per capire dove tu fossi, mi interrogarono ancora e ancora, credendo che io fossi tuo complice. Tutti quelli a conoscenza della situazione mi ritenevano un traditore, pensavano che fossi il tuo maledetto cane. Mi hanno minacciato e picchiato. Non avevo nessuno accanto, il maestro Fergus era morto, per causa mia che mi ero fidato di te. Non permettevano a nessuno di vedermi, neanche al rettore. Mi hanno torturato con la magia per farmi parlare di te, la tua famiglia era presente a ogni singolo interrogatorio. Chissà per quale motivo visto che non potevano prendersela con te, se la presero con me. Io ho subìto tutte le rappresaglie del tuo gesto, sono piombate su di me, non su di te. Hai rischiato di distruggere la mia vita, tutto quello che mi ero costruito! Mi hanno rilasciato dopo aver fugato ogni sospetto di complicità, ma sapevano che cos’eri per me. Ho dovuto implorare per non essere congedato, ho dovuto subire umiliazioni di ogni sorta e sono stato promosso all’Accademia con una macchia di disonore sulla mia carriera che mi perseguiterà per sempre. Ho dovuto faticare più di tutti per dimostrare che non ero tuo complice negli anni a seguire. Perché la gente sapeva, sapeva quello che mi avevi fatto.
‒Quello che… ti avevo fatto? – ripeté Silas, la voce che gli mancava.
Il volto era contratto a quelle parole, ma gli occhi esprimevano tutto il suo stupore. Non ne era neanche a conoscenza.
Questo figlio di puttana non si è mai neanche chiesto che cosa mi fosse accaduto.
Kieran si passò le mani fra i capelli. – Tu hai fatto nascere a forza dentro di me quei sentimenti, li hai innestati come una malattia e poi mi hai usato! Sapevi perfettamente come rigirarmi, mi avevi talmente in pugno che ti ho anche difeso. Ho continuato a dire al rettore che tu non eri affiliato alla Legione, che ti ricattavano, che doveva esserci una spiegazione. Mi sono sentito in colpa per la mia reazione di quella notte. Ero sicuro che saresti tornato indietro, che ti saresti preso le tue responsabilità e che avremmo affrontato insieme tutto quello, che ero stato troppo duro. Ero certo ch-che sarebbe stato come il nostro primo scontro sul ring, quando non avevi permesso che soltanto io venissi punito. Ma non lo hai mai fatto. Non sei mai tornato. Se non fosse stato per il rettore, mi avrebbero impiccato. Lui è riuscito a farmi passare per un povero idiota infatuato senza arte né parte che era stato ammaliato e usato, con questa difesa ha convinto i pochi coinvolti della mia innocenza. È stato un incubo di cui non riuscivo a vedere la fine. Ho perso il rispetto di tutti. Invece tu eri qui, a prostituirti per scappare e raggiungere i tuoi complici, non hai pensato neanche per un attimo a me. Io invece non riuscivo neanche a chiudere occhio, ogni minuto pensavo a dove fossi, se stessi bene. Ero certo che ti avessero rapito o costretto —. S'interruppe per riprendere fiato, deglutì a forza e quasi si strozzò con il veleno delle parole successive: — non è passato neanche un mese che hai attaccato una fabbrica e ucciso tuo cugino. Sei ricomparso così. Non una lettera, un biglietto lasciato in Accademia, niente. Il tuo gesto valeva più di mille parole però. Eri libero, lo eri sempre stato, anche se fino a quel momento non volevo crederci. Non ti fregava nulla dei cocci che ti eri lasciato dietro, mentre la mia cazzo di vita collassava e andava in pezzi, tu eri già andato oltre. Avevi fatto tutto solo per usarmi.
Cercò di calmarsi, non si era neanche accorto di aver alzato man mano la voce fino a gridare.
Silas lo guardava ma non sembrava riconoscerlo, tremava, forse di rabbia. – Tu credi davvero che questi pensieri non mi abbiano tormentato giorno e notte in Accademia? Che non abbia cercato di evitare a ogni costo che tu venissi coinvolto? Che non abbia agito così anche per tenerti fuori da tutto questo? Non avresti dovuto essere lì quella notte, non avresti dovuto seguirmi! Ti avevo detto di tornare indietro! ‒. Si passò una mano sul viso in un vano tentativo di riprendere il controllo. ‒ Pensi  che io abbia fatto tutto di proposito? Credi che sia stato un mio piano quello di affezionarmi a te? Spiegami perché. A che cosa mi servivi, tu? Tu che non eri nessuno, che non avevi potere e non valevi niente politicamente. Quale fottuto vantaggio traevo a “manipolarti”?
Kieran sentiva di star andando in pezzi, ma iniziò a parlargli sopra senza farlo finire. Alzò la voce per sovrastarlo. Odiava farlo, odiava parlare sopra gli altri per zittirli, ma gli ribolliva il sangue nelle vene. – Proprio perché non avevo nulla e nessuno, ero perfetto. Qualcuno che si attaccasse a te, qualcuno che avesse bisogno di te ‒ e lasciò uscire una risata spezzata, – volevi un complice, un burattino, un giocattolo rotto da lasciare indietro quando non ti fosse servito più.
Gli afferrò il colletto con la mano stretta a pugno. Aveva le pupille dilatate e il viola degli occhi che luccicava appena. ‒ Perché sarei dovuto tornare io? Dovevo tornare e farmi uccidere per qualcuno che non aveva neanche provato a capire le mie azioni, a chiedermi una spiegazione? Perché tu non sei venuto con me? Perché non mi hai cercato? Non contemplavi nemmeno l’idea! Credi che io non abbia sperato ogni anno che tu aprissi gli occhi? Che tu potessi capire le mie ragioni e unirti a me? O anche solo che tu smettessi di provare a catturarmi e uccidermi? Sono andato via, ma non ho cercato in alcun modo di rovinare la tua vita. Ti ho lasciato in pace, e sì, mi puoi recriminare la mia indifferenza, ma nient’altro. Tu invece ti sei messo alle mie calcagna, riversandomi addosso il tuo odio e il tuo disprezzo di continuo. Hai continuato ancora e ancora a sabotare la mia vita. Volevo solo essere libero! Tu però non potevi permettermelo. Ho tenuto la Legione lontana da te all’inizio, ma tu non ti fermavi, giorno e notte, mi volevi morto a ogni costo.
‒ Era l’unico modo che avevo per dimostrare la mia innocenza. Ma non fraintendere, l’ho fatto sempre con piacere ‒ rispose in un sorriso rancoroso. ‒ Se tu fossi stato davvero indifferente mi saresti stato lontano fin dall’inizio. Invece mi hai sedotto. E ora insisti, insisti con la stessa tecnica usata anni fa. Credi che io sia un completo imbecille, quando puoi star certo, che non mi fiderò mai più di nessuno come mi sono fidato di te. E questo non significa che non faccia male, ma tu sei talmente disgustoso che pur di manipolarmi mi apriresti le gambe qui e ora.
Il pugno che gli arrivò in faccia lo gettò quasi a terra, sulla neve fangosa. Silas aveva il viso che era una maschera di rabbia.
‒Sei delirante, Kieran. Mi dai la colpa di essere diventato una persona orribile, che vive chinando il capo e mentendo, quando sei sempre stato così. Non riesci ad accettare che in Accademia tu provassi sentimenti per la persona che ti ha ferito. Lo capisco, tutti vorremmo dimenticare di aver amato chi ci ha voltato le spalle. Ma tu credi talmente tanto alle tue stesse bugie che pensi sia stato tutto un mio complotto. Quella notte mi hai urlato che mi avresti ucciso, ricordi? Non hai cercato di “risolverla insieme”, eri fuori di te, mi hai guardato come se fossi un mostro. Ti chiedevo di ascoltarmi, di lasciarmi spiegare, e tu mi hai puntato contro una spada e mi hai zittito con urla e accuse. Dici che mi hai difeso dopo? Che speravi che io tornassi da te? Sei un maledetto ipocrita. Il tuo fragile orgoglio è così patetico che deve inventarsi scuse per sopravvivere.
Silas gli si avvicinò finché il viso non fu a pochi centimetri dal suo. – Perché non riesci ad accettare che eri tu quello disposto ad aprire le gambe, non mi hai implorato di scoparti quella volta che eri ubriaco, in camera, quando ti dissi di no?
Gli occhi di Kieran si colorarono di un’ira violenta e ricambiò il pugno, furibondo. – Questo perché sei un maledetto mezzosangue. Sono costretto a volere queste cose da te.
Silas scoppiò a ridere mentre si asciugava il sangue. – Credi sul serio di ferirmi così? È tenero, lo ammetto, ma anche subdolo usare le mie confessioni contro di me. Quindi volevi scoparti anche il tuo prezioso rettore mezzosangue?
Kieran lo afferrò per le spalle e lo sbatté contro il lampione. Un po’ di neve cadde a terra e la luce ebbe qualche spasmo. – Sei solo un viziato in cerca di attenzioni. Non potevi accettare la rigidità della tua famiglia e te ne sei andato come il codardo che sei, avevi problemi con mamma?
Silas gli graffiò il collo nel tentativo di afferrarlo e lo spinse via con forza. Provò a colpirlo con un calcio e Kieran lo parò, afferrandogli la gamba.
‒Non tutti eravamo così senza spina dorsale da accettare gli abusi del proprio genitore, Reed. Forse tuo padre ti ha picchiato a tal punto da renderti uno smidollato.
Kieran voleva rompergli la gamba, aveva perso qualsiasi briciolo di controllo. Silas però colmò la distanza e gli assestò una capocciata in viso. Il sangue gli riempì la bocca e sputò a terra per farlo uscire. Si separarono e rimasero in silenzio per qualche secondo, ansanti, pronti ad azzannarsi.
‒ Quando questa storia sarà finita ti trascinerò di nuovo in cella e ti guarderò venire giustiziato col sorriso sulle labbra. Avrei dovuto lasciarti morire quando potevo. Avrei dovuto lasciare che gli amici di Siegan andassero fino in fondo. Questa è l’unica solidarietà che otterrai mai da me, Falena.
Silas allargò gli occhi e qualcosa di contorto e meschino gioì in Kieran per un attimo, perché era riuscito a fare breccia, era riuscito davvero a ferirlo. Gli venne da sorridere, ma l’espressione di Silas raffreddò quella felicità distorta in un attimo. Rimase in piedi con la faccia intorpidita per i colpi.
‒ La verità è che io non potrei mai essere come te – mormorò Silas. – Mi hai reso il nemico della tua storia, ma non potrei mai essere crudele come te. Neanche se ci mettessi tutto me stesso. Ed è per questo che non vincerò mai contro di te.
Silas raccolse il cappello e si asciugò il sangue dal naso. Si voltò e fece per andarsene.
‒ Tu non te ne vai.
Lo afferrò per la manica e quasi la strappò. Silas non stava facendo resistenza e guardò la mano stretta intorno al cappotto.
‒ Va bene, allora incatenami, trascinami alla pensioncina da bravo guerriero di Ferro, picchiami fino a farmi perdere i sensi. Sono stanco di tutto questo. Sfoga tutto l’odio che hai per me, rompimi i denti e le ossa, sbrigati, non mi opporrò.
Kieran non si mosse, si limitò a riprendere fiato e a guardarlo con rabbia. All’improvviso era turbato dal suo riflesso negli occhi dell’altro. Lasciò la presa come se si fosse scottato e abbassò il braccio.
‒ Come pensavo.
Silas riprese a camminare e sparì fra i vicoli, lasciando Kieran solo accanto alla panchina.
 
*
 
La Libellula era intenta a distillare nelle cantine un piacevole liquore da alcune bacche fatate, quando al piano di sopra udì sbattere una porta e volare una sedia contro il muro.
Gli alambicchi di vetro tintinnarono e dal soffitto scivolò un po’ di polvere. Partì uno sparo prima che potesse anche solo poggiare i suoi strumenti.
Si diresse al piano superiore con una certa irritazione e trovò Silas intento a urlare contro Coz che aveva fatto partire un colpo. Un tavolo e qualche sedia erano stati rovesciati, l’unico cliente che si era addormentato nel pub si svegliò di soprassalto e scappò dall’ingresso.
‒ Brutto idiota che non sei altro, mi hai quasi preso con quel proiettile.
‒ Sei entrato qui dentro urlando e lanciando sedie, che cazzo avrei dovuto fare.
Zeph soppesò se intromettersi nel litigio, poi decise di lasciarli sfogare un po’ e sedersi su uno dei suoi sgabelli. Liberò le ali rinchiuse dietro la schiena e queste si adagiarono di lato con grazia. Passò l’unghia appuntita sul legno del bancone e ticchettò con fare annoiato.
Silas aveva un bel livido in viso e il colletto della camicia macchiato di sangue. Ma più di qualche segno in faccia, a colpirlo furono gli occhi: fiammeggiavano, febbricitanti, di rabbia, delusione, agitazione, era difficile dirlo. Non sembrava del tutto in sé.
‒ Possiamo calmarci tutti quanti? ‒ commentò con flemmatica calma.
Prese un po’ di spirito di Banshee e lo versò nel bicchiere che porse a Silas. Aveva bisogno di qualcosa di forte.
‒ Ne deduco che il ballo non sia andato come credevi ‒ commentò con un ghigno. ‒ Chi ti ha colpito?
Silas buttò giù il bicchiere e scosse la testa. ‒ Non è importante.
Zeph allungò le dita e toccò la fronte di Silas, dove un bel bernoccolo si stava gonfiando. A volte Vaukhram con le sue espressioni esasperate o rabbiose gli ricordava il volto di suo figlio, quando era ancora vivo.
‒ Coz portami una delle bistecche che abbiamo nel ghiaccio.
Arrivò un grugnito in risposta, ma ubbidì e scese la scala di legno che portava a quell’acquitrino che chiamavano cantina.
‒ Sei ferito? ‒ domandò, senza particolare emozione nella voce.
Silas si scrollò di dosso il suo tocco. ‒ No.
Prese la bistecca fredda che Coz gli porgeva. ‒ Questo ti aiuterà.
‒ Potresti guarirmi con la tua magia, Zeph, invece che spiaccicarmi della disgustosa carne in faccia.
Toccò il piccolo corno che aveva al collo, lo strinse fra i polpastrelli con fare protettivo. ‒ Non ne ho intenzione.
Gli occhi di Silas si sollevarono sul pendaglio e assunsero tinte malinconiche, ma non disse nulla. Chissà, forse sapeva che un tempo quel piccolo corno era appartenuto a un bambino mezzosangue. Ormai non restava che quello fra le sue dita.
‒ Le tue emozioni però sono fuori controllo, se tu potessi usare la magia ne vedremmo delle belle ‒ e sorrise. ‒ Cavana ha sempre ammirato il tuo modo emotivo di lasciar uscire la magia.
Silas lo incenerì con lo sguardo. ‒ Non tutti sono apatici come te.
‒ Non sono apatico, sono soltanto distaccato.
‒ Lotti comunque per una causa.
L’idealismo di Silas a volte era tenero. ‒ Certo, ma non come te o come Drake o come Cavana. A me interessa soltanto far più danni possibile, che sia con la Legione o per conto mio mi è indifferente. Per questo non m’importa di consegnarti a Cavana. Le passerà, le quisquiglie fra di noi sono inutili.
Silas si sedette e s’inumidì le labbra. ‒ Non so se vivere come fai tu sia un tormento o una benedizione.
‒ Nessuno dei due.
All’inizio era stato entrambe le cose, ma ormai le sue emozioni si erano affievolite. Per lui era una questione di prospettiva, il modo in cui si osserva un quadro e si mette a fuoco sul panorama sfocato e distante. Nulla aveva più una reale importanza, sentiva gioie flebili quando impiegava il suo tempo per distrarsi, mentre alcune emozioni più forti lo invadevano quando uccideva qualcuno del Ferro. Ma era tutto ovattato e passeggero.
Silas lo guardò con quella sua bizzarra pietà e abbassò lo sguardo. Vaukhram era stato troppo con gli umani a suo avviso e a volte questo emergeva nelle sue espressioni non richieste. Gli umani erano bravi a essere atroci e compassionevoli contemporaneamente, non si sentivano neanche troppo ipocriti in questo. Una fata, per quanto volubile, non avrebbe mai potuto serbare in sé due emozioni così forti insieme. Non avrebbe mai potuto vivere di tanta incoerenza.
Silas estrasse dalla tasca del pantalone una piccola fiala di cristallo. La teneva fra l’indice e il medio senza neanche guardarla.
‒ Ecco a te, come promesso, il ricordo del Campione che la Crisalide ha conservato.
Zeph allungò una mano, ma Silas ritrasse la propria.
‒ Nessuno sa che cosa racchiuda, potrebbe anche esserci Kieran che fa le trecce ai cavalli per quanto ne sappiamo. Devi promettermi che a prescindere io verrò tutelato.
Zeph non dava importanza alla parola data come concetto, ma da un punto di vista pragmatico trovava più semplice dire qualcosa e farlo, piuttosto che mentire.
‒ Questo dipende da Cavana. Posso prometterti che a prescindere dai suoi ordini non troverai in me un nemico.
Sembrava riluttante. ‒ Suppongo di dovermi accontentare.
Gli porse la fiala senza aggiungere altro. Rovesciò la testa indietro e socchiuse gli occhi.
‒ Lasciami dormire qui stanotte.
Zeph non gli stava prestando attenzione. ‒ Fa ciò che vuoi.
Silas si sporse oltre il bancone. ‒ Ho bisogno di bere. Il tuo cane da guardia si unisce a noi?
Ricevette un altro grugnito in risposta e gli sorrise. ‒ Lo prendo come un sì. Visto Coz? Stiamo diventando amici ‒ lo canzonò.
Afferrò un altro liquore e lo versò in tre bicchierini.
‒ Versa e sta zitto ‒ mugugnò l’altro.
Silas ridacchiò e ingollò il liquore in un sorso.
È turbato.
Rifletté la Libellula. Probabilmente c’entrava il Campione, Silas era sempre stato vulnerabile a quell’umano.
Ripensò agli ordini di Cavana: voleva Kieran Reed vivo. Voleva scavare nella sua testa, cercava qualcosa, un’informazione e forse era contenuta proprio lì, in quella fiala.
 Zeph la osservò con una punta d’interesse; il ricordo prezioso di un guerriero di Ferro. Chissà che cosa nascondeva, se fosse stato un tesoro avrebbe voluto rubarglielo, se si fosse trattato di una persona cara, gliela avrebbe strappata, se fosse stato un segreto avrebbe voluto diffonderlo, se avesse contenuto un rimpianto gliene avrebbe creati altri.
Sorrise.
Torturare i guerrieri di Ferro riusciva ancora a dargli qualche emozione in fondo.
 
 
 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ahiryn