Anime & Manga > Bleach
Ricorda la storia  |       
Autore: Nao Yoshikawa    27/01/2022    24 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo uno

"L'amore coniugale fa della famiglia un inespugnabile baluardo contro i quotidiani attacchi della vita.“ —  Giuseppe Tobia Sulla vita, Sull'amore
 
 
«Byakuya, io e Ichigo siamo preoccupati per te.»
Byakuya Kuchiki alzò lo sguardo dalla tazza di tè per guardare la sorella.
In effetti, quando Rukia lo aveva invitato a prendere un tè a casa sua quel pomeriggio, avrebbe dovuto immaginare che ci fosse un motivo ben preciso. Non era più giù di morale del solito, quindi cosa aveva fatto scattare quell’istinto di protezione in Rukia?
«Preoccupati per cosa?» domandò, composto come sempre.
Sua sorella batté una mano sul tavolo con energia.
«Non sembri affatto informa e sei triste. Si vede lontano un miglio che soffri la solitudine.»
Ichigo si aggirava per la cucina senza sapere che fare. Aveva pregato Rukia di evitare, perché Byakuya non avrebbe sicuramente gradito.
«Capisco, ma io non soffro la solitudine» rispose il diretto interessato. «Ho il mio lavoro e…»
«E che altro, nii-san?» chiese Rukia. «Oramai vedi pochissimo anche Renji, sai quanto ci sta male? E poi non vieni più a cena qui spesso come facevi prima.»
«Semplicemente non voglio disturbare» ammise Byakuya.
Chi non lo conosceva, non poteva fare a meno di chiedersi cosa si nascondesse dietro quello sguardo malinconico e la risposta era semplice quanto tragica: la sua adorata moglie Hisana era venuta a mancare tre anni prima a causa di una brutta malattia. Da quel momento in poi Byakuya si era chiuso in sé stesso su tutto ciò che riguardava l’amore di tipo romantico.
La sua vita se l’era immaginata insieme a Hisana sin da quando si erano messi insieme. Erano stati sposati per cinque anni e nel frattempo, per sfortuna, non erano stati benedetti dall’arrivo di un figlio.
E forse era stato meglio così. Crescere un figlio da solo non sarebbe stato facile.
«Oh, andiamo. Tu non disturbi di certo. Quello che Rukia vuole dire è che… sono passati tre anni e forse dovresti ricominciare ad uscire, a vivere. Sei ancora giovane» disse Ichigo, cercandosi di essere utile. «Non devi per forza innamorarti.»
«Ma potrebbe accadere!» s’intromise Rukia. «E noi non vogliamo che tu ti precluda la felicità.»
Byakuya capiva bene le loro intenzioni, ma la sua depressione, la sua tristezza e sconforto erano cose che non poteva controllare.
Ad un tratto sentì una piccola mano aggrapparsi alla sua gamba: suo nipote Masato, i capelli neri e un viso dolce, lo stava osservando.
«Ehi, come mai non sei a giocare di là?»
Byakuya adorava i suoi nipoti. Non avendo potuto avere figli, amava quelli di Rukia come se fossero suoi.
«Perché Kiyoko e Kaien mi hanno stufato, sono due piccioncini e mi fanno cariare i denti» sbuffò il bambino.
«Masato, non disturbare tuo zio e non dire certe cose. Puoi prendere dei biscotti se vuoi, ma non combinate disastri» raccomandò Rukia.
Soddisfatto, Masato prese un pacco di biscotti e se ne tornò in cameretta sorridente.
Ichigo tossì.
«Senti, stiamo organizzando una rimpatriata fra amici. Visto che i bambini urlanti non ti creano problemi, perché non ti unisci a noi?» propose Ichigo, il quale aveva già quell’idea in mente fin dall’inizio.
«Sarò l’unico non sposato e senza figli» disse lui guardandolo.
«No, ci saranno anche Renji e Grimmjow, per cui direi nessun problema!» Rukia si alzò, immaginando già una serata perfetta in cui Byakuya si sarebbe divertito.
Beh, circa.
Suo fratello ultimamente sembrava più triste e inconsolabile del solito. Lui non se ne rendeva conto, ma chi gli stava attorno invece sì.
Byakuya sospirò, rassegnato. Era meglio non far preoccupare ulteriormente Rukia.
 
Masato arrivò in camera e posò il pacco di biscotti sul comodino. Kaien stava facendo ridere Kiyoko, ora rossa in viso per lo sforzo.
Kiyoko era carina, aveva i capelli neri e due grandi occhi verdi, ma era così timida e fragile che si sarebbe fatta male giocando alla lotta. A Kaien, il suo gemello, invece piaceva molto. In realtà a lui piaceva chiunque con cui potesse mettersi in mostra. In quel momento stava impugnando una spada mentre si trovava sopra il letto e si fingeva un cavaliere in armatura.
«Masato, eccoti! Devi essere il mio cavallo!»
«Io non voglio fare il tuo cavallo, non mi piace questo gioco» si lamentò.
«E come fa la principessa a essere salvata, allora?» chiese pacatamente Kiyoko. Masato alzò gli occhi al cielo: a quel punto immaginò di non avere altra scelta e alla fine fu anche divertente, se non si contava il fatto che Kaien gli era quasi caduto addosso, schiacciandolo. L’importante era che il cavaliere avesse salvato la sua principessa.
«Oh, mi hai salvata!» recitò Kiyoko. «Allora adesso devi sposarmi, è così che funziona.»
«Eh? Ma io non ti posso sposare, vado ancora in terza elementare.»
«Ma è soltanto per finta!» borbottò Kiyoko. «Se poi vuoi sposarmi davvero, dobbiamo aspettare di essere grandi.»
Masato sbuffò, annoiato. Quante storie, lui di certo non si sarebbe mai sposato, non ci trovava niente di interessante. Ma Kiyoko e Kaien, oh, loro si sarebbero sposati di certo!
«Mi state facendo venire la nausea, fatemi un fischio quando vi decidete a smetterla» disse infine Masato, cercando i suoi album da colorare mentre quei due discutevano su quanto fosse o meno opportuno sposarsi nell’immediato senza dire niente a nessuno.
 
«Alla fine non è andata tanto male» disse Rukia allegramente.
Ichigo si sedette, massaggiandosi le tempie. Era stanco e non aveva avuto tempo di riposarsi come avrebbe dovuto.
«Non lo so, Rukia. Pensi che sia un bene forzarlo?»
«Mi dispiace, ma lo faccio per il suo bene. Voglio solo evitare che Byakuya si ammali, tutto qui!»
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
«Lo so, posso immaginarlo. Non preoccuparti, Byakuya si riprenderà. Prima o poi si deve andare avanti per forza» nel dire ciò si era avvicinato alla moglie, scostandole un ciuffo di capelli dal viso. Rukia lo abbracciò, poggiando il viso sul suo petto. Sapeva di essere fortunata ad avere un marito che l’amava, una casa, dei bambini. Voleva solo che suo fratello riacquistasse un po’ di felicità perduta e avrebbe fatto di tutto per aiutarlo.
Ad un tratto Ichigo sentì la tasca vibrare: era una chiamata dall’ospedale in cui lavorava. Non che non fosse abituato, ma sembrava che accadesse sempre nei momenti meno opportuni.
«Accidenti, devo andare.»
«Oh, d’accordo. Credi che questa notte tornerai a casa?» Rukia si morse il labbro, non amava dormire da sola. Ichigo le posò le labbra sulla fronte.
«Spero di sì, non si può mai dire.»
 
Il St. Luke's International era oramai la seconda casa di Ichigo. Era un chirurgo, ma come spesso ripeteva stava ancora imparando da chi era ben più esperto di lui. Fare quel lavoro non era semplicemente fare un lavoro, era una vocazione, un sacrificio. Certo era dura, bisognava avere un carattere forte e una salda resistenza allo stress.
S’infilò il camice bianco e nel corridoio illuminato dalle luci al neon incontrò Ishida.
«Hanno chiamato anche te?»
«Sono sempre stato qui, sono qui dalle cinque di questa mattina!» Ishida si sistemò gli occhiali sul naso. «C’è stato un incidente qui vicino, una cosa orribile. C’è sangue dappertutto, stava per venirmi la nausea.»
«Ishida, ti impressioni ancora, dopo tutto questo tempo?» domandò con un sorriso.
«Senti, Kurosaki! Capirai appena lo vedrai con i tuoi occhi. A proposito, devo prendere un paio di gua-AHI!»
Ishida aveva sentito un colpo alla testa e subito dopo aveva fatto un salto all’indietro.
«Vedo che siete qui a perdere tempo mentre abbiamo un’emergenza, vero? Fatemi il favore di non essere inutili in una volta tanto e andate adesso. Subito!»
Ichigo aveva sempre pensato che un medico dovesse essere rassicurante. Beh, Kurotsuchi non lo era. Abilissimo nel suo mestiere senz’altro, rassicurante mai.
«Sì, stiamo andando! Mi scusi!» Ishida si infilò i guanti e si spostò prima di riceve un altro colpo in testa. Meglio non discutere, non c’era tempo.
Ichigo e Ishida spesso lavoravano insieme. Avevano frequentato gli stessi corsi all’università e avevano iniziato il tirocinio nello stesso ospedale, oramai erano molto uniti, sia nel bene che nel male. Anche se spesso tendevano a battibeccarsi, ma dopotutto faceva parte del gioco.
 
L’intervento era durato quattro ore e in effetti adesso Ichigo capiva Ishida e la sua nausea. A certe cose, come l’odore acre del sangue e quello penetrante del disinfettante, non ci si abituava mai. Si tolse la mascherina e si sedette, respirando a fondo. Era sempre un successo e un sollievo quando riuscivano a salvare un paziente. E un dolore quando non ci riuscivano.
Kurotsuchi non faceva altro che ripetere loro di essere professionali e distaccati, di non farsi coinvolgere emotivamente. Bisognava creare un muro, tra loro stessi e gli altri. Quella era una cosa su cui Ichigo doveva ancora lavorare. Ishida lo raggiunse poco dopo, il viso umido di sudore.
«Sono a pezzi, le giornate del genere sono quelle che mi mettono a dura prova. E Yuichi è rimasto tutto il giorno con i miei. Tatsuki doveva andare a prenderlo nel pomeriggio, ma ha avuto un contrattempo.»
«Non preoccuparti, tuo figlio capirà.»
«Forse, ma i bambini soffrono la mancanza d’attenzioni. Ma era ovvio che con la separazione le cose cambiassero»
«Oh, senti Ishida, non è che…»
Kurotsuchi uscì dalla sala operatoria e Ichigo si alzò in piedi, dritto come un soldatino. Sperava che non fosse troppo duro con loro, non avevano commesso errori durante l’intervento, né erano stati distratti.
«Un altro successo» disse Kurostuchi come se stesse parlando più con sé stesso che con loro. «Ma se vi becco un’altra volta a parlare come due ragazzine pettegole quando c’è un’emergenza, vi butto fuori a calci, intesi?»
«È colpa mia» ammise Ishida. «Il fatto è che la stanchezza mi rende distratto.»
«Allora non avresti dovuto fare questo lavoro. Vi ho preso sotto la mia ala perché eravate i più promettenti al vostro arrivo, ma non vuol dire che non possa cambiare idea.»
Ichigo fece una smorfia. In effetti sia lui che Ishida erano cresciuti e migliorati in fretta. La tensione li aiutava a dare il massimo. Anche se una pausa sarebbe stata gradita.
«Kurotsuchi, mi sembrava di averti sentito. Dovresti davvero rilassarti, come puoi fare del tuo meglio, altrimenti?»
L’unico che aveva il coraggio di rivolgersi con quel tono a lui era il primario Kyosuke Urahara. Tutto il St.Luke sapeva che tra i due non correva buon sangue e a dire il vero i loro battibecchi erano sempre molto divertenti.
«Ero rilassato fin quando non mi sei comparso davanti. Per essere un primario ne hai di tempo da perdere, ma qui c’è gente che lavora» rispose Kuotsuchi, piccato. A differenza sua, Urahara era amato, benvoluto da tutti, medici, infermiere e pazienti. Oltre ad essere un medico eccezionale.
«Senti, Kurotsuchi. Perché non ti prendi una vacanza? Sono sicuro che ti farebbe bene!» disse Urahara con un sorriso.
«Molto gentile da parte tua, perché invece non vai tu in vacanza? Magari in un posto molto lontano da qui e a tempo indeterminato?»
Ishida e Ichigo si sforzarono di non ridere, ma furono inevitabilmente scoperti.
«Voi due non avete altro da fare?» Kurostuchi non si era neanche voltato. «Fuori dai piedi!»
I due se ne andarono, soffocando le risate, e in effetti anche Urahara aveva preso a ridere.
«Sei così duro con quei ragazzi.»
«Io devo essere duro, tu invece te ne vai in giro dispendendo sorrisi e buon umore! È proprio vero che al tuo posto ci starei meglio io.»
L’aria era diventata un po’ tesa, ma al solito Urahara sapeva alleggerire il tutto con abilità.
«Via, via, Mayuri. Dovremmo andare d’accordo, i nostri figli sono amici.»
«Tanto per cominciare, non chiamarmi per nome. E seconda cosa, loro non sono amici, frequentano solo la stessa scuola. Per mia grande sfortuna» Kurotsuchi si sistemò il camice, deciso a non continuare quella conversazione. «Ora, ho del lavoro da fare, se sai di che parlo.»
Urahara rise, ma non infierì ulteriormente. Certo che il lavoro da primario in un ospedale spesso poteva essere così divertente!
 
Dopo più di quindici ore filate, il suo turno era finalmente finito. Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori. Lui non riusciva mai ad arrabbiarsi, soprattutto quando ce l’aveva davanti. Arrivò a casa dei suoi, trovò tutte le luci accese, era certo che Yuichi dovesse essere ancora sveglio. Quando entrò, avvertì subito un piacevole calore, un’accoglienza che per un attimo mitigarono il suo malumore.
«Oh, Uryu, sei tornato finalmente!»
Sua madre Kanae gli andò incontro aiutandolo a sfilarsi il soprabito. A volte sembrava dimenticarsi che suo figlio fosse un uomo adulto oramai, ma la cosa non era affatto fastidiosa.
«Mi spiace. Yuichi…?» domandò. Kanae sorrise, indicando il soggiorno con lo sguardo.
«Perché non vedi da te?»
Non passò che qualche attimo prima di sentire le risate di suo figlio e, subito dopo, quelle di Tatsuki. E infatti eccoli lì: lei in ginocchio sul pavimento, lui che cercava di sfuggire al suo solletico. Ed ecco che era successo di nuovo: era sparita la rabbia, il fastidio, la stanchezza e tutto.
«È tornato papà!» esclamò Yuichi, che somigliava fin troppo a Tatsuki e fin troppo poco a lui.
«Ciao, Uryu. Scusa, alla fine ho fatto tardi, ma ce l’ho fatta» sussurrò, un po’ a disagio.
«Sì… beh, non importa. Ehi» Ishida dedicò tutte le attenzioni a suo figlio, che gli si era aggrappato addosso. «Ti sei comportato bene?»
«Benissimo, ma adesso ho fame, posso avere dei biscotti?»
«Non pensarci neanche, hai già avuto il dolce» lo rimproverò Tatsuki. Yuichi arrossì e poi fece un sorriso irresistibile. Per Ishida lo era di certo, visto quanto somigliava a sua madre. 
Kanae li invitò a trattenersi un po’ di più, ma Ishida era provato dalla lunga giornata di lavoro e l’indomani Yuichi sarebbe dovuto andare a scuola. 
«Spero che i miei genitori ti abbiano trattata bene» mormorò goffamente Ishida mentre porgeva Yuichi, addormentato, a Tatsuki.
«Come al solito, sono sempre tanto carini con me, soprattutto tua madre» lei prese in braccio suo figlio, in imbarazzo. Dopotutto perché i suoi suoceri - ex tra non molto - avrebbero dovuto essere gentili con lei che aveva deciso di far finire un matrimonio?
«Bene, allora… io me ne vado. Domani è il mio giorno libero, posso passare a prenderlo?»
«È scuola fino alle due, ma dopo è tutto tuo. Allora… allora ciao, eh.»
Ishida baciò i capelli di Yuichi e per un breve istante, a causa dell’abitudine, le sue labbra sembrarono voler incontrare quelle di Tatsuki. Lei capì e si ritrasse, arrossendo.
«Sì, ciao» disse Ishida, sistemandosi gli occhiali nervosamente. 
Era un cretino, si disse. Si comportava come un adolescente, gli sembrava di essere tornato al periodo in cui uscivano insieme. Ma cosa avrebbe dato adesso per tornare a quei tempi.
Se una separazione era orribile, lo era ancora di più quando due persone si amavano ancora.
 
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati. Ulquiorra stava mettendo a letto Kiyoko, mentre lei controllava con attenzione l’app sul cellulare che teneva conto del suo ciclo mestruale. L’ovulazione era vicina, non doveva dimenticarsene. In realtà oramai era difficile dimenticarsene, quelli erano i suoi soliti tentativi mensili di rimanere incinta, tentativi che puntualmente fallivano. 
Da un anno a quella parte oramai era così, ma Orihime non si arrendeva. Anche se in cuor suo, ogni ciclo mestruale l’avvertiva con una sconfitta.
«Kiyoko dorme» disse Ulquiorra, che con lei condivideva le medesime paure e stress, anche se in modo diverso. Probabilmente non avrebbe mai potuto capire Orihime fino in fondo.
Lei gli si avvicinò, accarezzandogli il petto.
 «Questo vuol dire che abbiamo tempo per stare un po’ da soli» sussurrò sulle sue labbra. Ulquiorra la baciò, anche se con la mente era da tutt’altra parte.
«Hime, non dobbiamo per forza.»
«E da quando il sesso è un obbligo?»
«Non intendo questo. È solo che io ti vedo. Voglio dire… vedo la tua delusione ogni mese. Io…» Ulquiorra scosse la testa. «Scusa, questa potevo evitarla.»
Era una situazione stressante per tutti e due. Non avevano avuto problemi a concepire Kiyoko, che non era stata una gravidanza cercata ma accolta con grande gioia. Avrebbero voluto allargare ancora la famiglia, ma chissà perché quel tanto desiderato figlio non arrivava. C’erano state visite infinite per essere certi che nessuno dei due avesse problemi di salute.
Tutto perfetto e ciò rendeva la situazione ancora più difficile.
«Mi dispiace» sospirò Orihime, sedendosi sul divano. «Vorrei viverla con più leggerezza, ma temo sia impossibile. È solo che io non capisco. Perché è così difficile, adesso?»
A Ulquiorra sarebbe piaciuto avere una risposta, ma non ce l’aveva. Nessuno poteva sapere perché certe cose accadevano. Anzi, perché non accadevano. Strinse la sua mano.
«Non lo so. Mi spiace, io non posso capirti fino in fondo.»
«Tu puoi capirmi meglio di chiunque altro» Orihime poggiò il viso sul suo petto. Amava la sua famiglia, amava la sua dolce e perfetta Kiyoko. Eppure c’era quel qualcosa che rimaneva sempre lì, così distante. Sapeva però che Ulquiorra era con lei.
Nella gioia e nel dolore.
«Ne sono felice» bisbigliò. «Però su sesso potrei aver cambiato idea.»
«Ah…» sorrise lei. «Ma tu pensa…»
Si baciarono di nuovo, fino a quando Kiyoko non si mise a piagnucolare e a chiamare “mamma”.
«Come non detto» Ulquiorra socchiuse gli occhi. «Ha avuto un incubo e vuole te.»
Orihime rise e si alzò per andare dalla bambina che reclamava le sue attenzioni. 
Lei era forte, certo, pensò Ulquiorra mentre la osservava. Ma temeva che prima o poi potesse spezzarsi e temeva che quel momento non fosse poi così lontano.
 
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi. Forse sua sorella non aveva torto a preoccuparsi e forse era vero che in qualche modo sembrava volersi precludere la felicità. Renji gli aveva scritto alcuni messaggi. Era il suo migliore amico, capiva il suo dolore e non era invadente. E ciò lo faceva sentire in colpa, lo aveva allontanato molto, anche se non di proposito.
 
Da: Renji
Ore: 20,37
Ehi, amico, spero tu stia bene. Oggi giornata faticosa in officina, ma non mi lamento. Rukia mi ha detto che sei andata a trovarla. Bene, non puoi essere tutto lavoro e dovere, è più facile cadere in depressione così. Comunque domani verrai? Io non avevo intenzione di farlo, visto che non sono sposato né tanto meno ho figli, ma visto che tu ci sei, allora…
 
Byakuya
Ore, 21,54
Ciao, Renji. Sì, ci sarà domani, mia sorella ha insistito e non vorrei farla preoccupare più di quanto non sia. Mi farebbe molto piacere avere la tua compagnia.
 
Da Renji:
Ore, 21, 57
Oh, bene, ci vediamo domani. Allora sono ancora il tuo migliore amico? ;)
 
Byakuya sospirò. Non aveva torto la gente che si chiedevano come potessero essere così amici due persone diverse come loro. A volte se lo chiedeva anche lui.
 
Byakuya
Buonanotte, Renji.
 
Un po’ duro, forse, ma Renji avrebbe capito.
 
 
Nota dell’autrice
Non voglio fare note chilometriche, quindi cercherò di essere breve.
Si tratta di una storia corale? Purtroppo (per la mia salute mentale) sì.
Sono presenti sia OC che personaggi canon? Sì, infatti mi sono presa i primi tre capitoli per presentare tutti i personaggi e per accennare le tematiche che poi andrò ad approfondire.
Personaggi OOC? Per sicurezza è una nota che metto sempre, alcuni personaggi avranno un modo di fare più ridimensionato visto che si tratta di un AU, ma la sostanza non cambia.
Perché Urahara e Kurotsuchi sono dottori e non scienziati? Perché per un eventuale AU me li sono sempre immaginata come Kelso e Cox di Scrubs e non mi sono più tolta l’idea dalla testa.
Ogni quanto aggiornerò? Non lo so, ma in genere aggiorno abbastanza in fretta.
Che altro? Niente, ho rimuginato per mesi se pubblicare o no questa storia, e ora che l’ho fatto me ne scappo.
 
-Nao

 
   
 
Leggi le 24 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: Nao Yoshikawa