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Autore: Yujo    27/01/2022    0 recensioni
Fare ipotesi senza avere tutti i dati è una cosa da non fare, e Holmes lo sa. Ma quando si sveglia in una situazione del tutto inattesa e che lo spaventa, anche lui viene meno ai suoi precetti.
PS. Questa è una traduzione, non un'opera mia.
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è una traduzione, qui potete trovare l'originale: 
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Ritornare alla coscienza fu doloroso ma necessario. Holmes si lamentò mentre cercava di ricordare cosa avesse potuto fare per ritrovarsi con un mal di testa accecante e cercò di riprendere conoscenza del suo corpo. Si mosse e rimase paralizzato quando sentì qualcosa muoversi sotto il suo braccio destro.

Osando aprire gli occhi, quasi urlò di sorpresa nel trovare Watson addormentato accanto a lui -beh, più che altro sotto di lui, visto che lui era drappeggiato in maniera piuttosto comoda sopra il medico. Ed erano entrambi nudi. Holmes chiuse gli occhi strettamente, per poi aprirli di nuovo, certo che fosse tutto un frammento della sua immaginazione. Ma Watson rimaneva lì, pacifico nel sonno, le sue mani rilassate sul braccio di Holmes.

Holmes si ritirò, mettendosi a sedere, e realizzò, dal modo in cui la sua pelle rimaneva leggermente attaccata a quella di Watson, che avevano avuto delle… interazioni. Piuttosto intime. Una mano tremante passò sopra i resti appiccicaticci sulla parte bassa del suo addome e sfiorarono il suo pene, ancora leggermente viscido per qualsiasi cosa avessero usato come lubrificante. I suoi occhi si allargarono con orrore, e non poté trattenere la sua mano dal raggiungere i fianchi di Watson per sentire…

Tremò. Aveva preso Watson, aveva fatto sesso penetrativo con lui.

Barcollò fuori dal letto, prendendo i vestiti che erano a portata di mano e andò in bagno per pulirsi e cercare di ricordare cosa fosse successo.

Tremava, mentre si lavava, pulendo le tracce di ciò che aveva fatto, e cercò di tenere a freno i suoi pensieri turbinanti. Avevano bevuto, di questo era certo. Un vago ricordo di essere andato in un pub con un gruppo di ispettori riaffiorò nella sua mente; si, questo era successo. Si erano trattenuti a bere per più di un giro, ed erano tornati a casa piuttosto sbronzi. Watson erta inciampato sulla soglia di casa, Holmes aveva cercato di afferrarlo ma erano finiti entrambi sul pavimento, Watson sopra di lui.

Il resto della nottata non era nulla di più che un senso di gratificazione e liberazione. Le implicazioni erano allarmanti.

Che lui avesse apprezzato i pregi del suo coinquilino era tutto sommato vero, ma era stato piuttosto attento a non lasciare che Watson avesse il minimo segnale sulle sue malsane inclinazioni. Watson non sembrava della sua parrocchia e sarebbe stato senza dubbio disturbato dal conoscere le fantasie di Holmes. Ma a quanto pare Holmes aveva commesso un errore e aveva permesso che l’ebbrezza fungesse da scusa per avvicinarsi all’amico.

Ritornò nella sua camera-la scena del crime-e fu sollevato nel trovare Watson ancora addormentato. Un esame più ravvicinato mostrò numerosi segni di morsi che potevano provenire solo da lui, e il quadro sembrava chiarirsi nella sua mente. Watson, quindi, aveva opposto resistenza, e Holmes lo aveva morso per tenerlo compiacente.

Aveva lasciato andare le sue peggiori offese sul suo più caro, ed unico, amico. Come poteva affrontare Watson? Come avrebbe mai potuto lui perdonarlo?

Riempì nervosamente la sua pipa e si mise in salotto, cercando di capire come mantenere fattibile la convivenza a Baker Street alla luce di questo suo vergognoso atto. Non trovò nessuna soluzione. Nessuna persona ragionevole -e Watson era il massimo esponente della categoria- sarebbe mai rimasto a vivere con chi lo assale in una tale maniera. Rimanere amici con un individuo del genere era altrettanto fuori questione.

Quando sentì il suono di Watson che si muoveva per alzarsi, girò i tacchi e uscì nel freddo di una mattina di dicembre, dimenticando di prendere il cappotto e il cappello.

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Holmes spese tre giorni nel suo nascondiglio più vicino, dopo essersi fermato lungo la strada a prendere del tabacco, analizzando ogni dettaglio di ciò che riusciva a ricordare di quella notte, convincendosi sempre più che il suo comportamento meritava la galera. Si avventurò fuori in un paio di occasioni, sempre travestito, e cercò di scorgere Watson - era arrabbiato? Era affranto? - ma sembrava che si fosse chiuso in casa per via del tempo, che era oggettivamente piuttosto freddo e umido.

Realizzando che c’era una buona probabilità che Watson andasse andato a cercarlo, fece un prelievo dalla banca -essendo rimasto solo con pochi spiccioli in tasca- e si spostò in un rifugio di cui Watson non era a conoscenza. Rimase qui per un po’, passando una buona dose del suo tempo nei pub, travestito, bevendo senza permettersi di ubriacarsi e coltivando alcuni contatti potenzialmente utili, in caso avesse avuto bisogno di informazioni.

Ammesso, ovviamente, che avrebbe ancora lavorato su un caso. Quella poteva essere stata la mossa che lo avrebbe messo definitivamente dalla parte sbaglia della legge.

Questo passatempo lo annoiò in fretta, anche se continuò ancora per la mancanza di sostituti adeguati. Essere impossibilitato dal frequentare i suoi soliti covi era stancante, ma riuscì a trovare un posto che teneva incontri di boxe nei fine settimana e inserì il suo nome per l’incontro successivo, tre giorni dopo.

La mattina dell’incontro cedette all’andare a Baker Street, vestito da vecchio venditore di libri. Stava passando proprio davanti alla porta quando la signora Hudson aprì e conversò con una giovane donna sugli scalini. Si avvicinò un poco per ascoltare.

“Mi dispiace, cara, ma il signor Holmes si è preso una vacanza per motivi di salute” sentì dire. Perciò, non stavano facendo girare la notizia della sua scomparsa. Lo aveva sospettato dalla mancanza di notizie a riguardo sui giornali che adocchiava per strada, ma la conferma era piuttosto utile.

La porta si chiuse, facendo dondolare la ghirlanda sopra di essa. Holmes la fissò sconvolto. Era già davvero quasi natale?

Cacciato quel pensiero dalla mente, guardò le finestre per vedere una traccia di Watson, ma non ce n’era. Rimase dall’altra parte della strada ancora un po’, e proprio mentre stava per andarsene, la porta si aprì e Watson emerse. Sembrava più magro, e il suo viso era tirato di stanchezza. ‘Perciò è questo che il mio atto ha provocato’ pensò Holmes tristemente.

Watson prese una carrozza e la diresse verso Scotland Yard. Holmes ne prese un’altra e lo seguì. L’agente all’ingresso si toccò il cappello quando vide Watson, che lo salutò brevemente prima di entrare.

Holmes attese fuori, incuriosito, per sapere quale fosse la ragione della visita. Watson uscì troppo in fretta perché potesse essere qualcosa di nuovo -un aggiornamento su un caso, dunque, anche se non ne avevano di aperti quando se ne andò. Watson aveva per caso iniziato a collaborare per conto suo con Scotland Yard?

Passando abbastanza vicino per sentire il nuovo indirizzo, sentì che era il Diogenes Club. Holmes si impensierì, comprendendo cosa stesse facendo Watson: lo stava cercando, e aveva persino chiesto l’aiuto di Mycroft. Si chiese brevemente cosa pensasse suo fratello di ciò che aveva fatto a Watson -doveva saperlo per forza, perché Watson doveva avergli detto per quale motivo stavano cercando suo fratello così faticosamente.

Avrebbe dovuto prevedere un evento del genere. Aveva dovuto prelevare una cospicua somma di denaro quando se n’era andato, e adesso i suoi conti sarebbero stati controllati, se no addirittura congelati. C’erano pochi altri metodi efficienti per trovare qualcuno come mettere sotto controllo i suoi soldi. Avrebbe auto bisogno di stringere ancora di più la cinghia. E spostarsi in un altro alloggio, uno che non fosse affittato a suo nome, visto che adesso che i suoi soldi erano controllati avrebbero rintracciato gli affitti e avrebbero individuato i suoi rifugi.

L’ultima spesa di Holmes fu la corsa in carrozza fino al suo alloggio di quel momento, perché la camminata fin lì da Scotland Yard era troppo lunga da sostenere vestito da vecchio venditore e il suo personaggio troppo vecchio.

Si liberò in fretta del travestimento e preparò il suo misero bagaglio, per poi andare alla ricerca di una nuova stanza. La trovò in una squallida pensione, giusto in tempo per prepararsi all’incontro, che si sarebbe svolto di lì a poco.

L’incontro fu mediocre visto che seguì il solito schema di tutti gli altri scontri in cui aveva combattuto. Venne messo in coppia con un avversario più grosso di lui, che si montò la testa e lo sottovalutò, e Holmes lo sconfisse in fretta. Fu quasi deluso d quanto scarsa fosse risultata la sfida. Il premio, comunque, valse lo sforzo, vista la sua situazione finanziaria e Holmes si ritirò per valutare le sue attuali difficoltà.

Se avesse continuato a combattere -e a vincere- gli scontri, avrebbe potuto trasformarlo in un lavoro. L’affitto avrebbe preso la maggior parte dei soldi ogni settimana, ma sarebbe stato sufficiente per lo stretto necessario, se fosse stato attento. Per fortuna non era abituato a tre pasti regolari al giorno: non poteva permetterselo.

Il problema successivo e più difficile fu come riempire le altre ore della giornata, visto che la mancanza di soldi era un ostacolo notevole. Rimanere chiuso dentro la piccola, squallida stanza non era un’opzione, perciò andò a camminare. Percorse tutta Londra e vanti e indietro per una settimana, ma era utile per aggiornare la sua mappa mentale della città. L’unico problema era che camminare non richiede molta concentrazione, e si annoiò presto di dedurre i dettagli del lavoro della vita domestica dei passanti quando non c’era nessuno da impressionare con le sue osservazioni.

Questo lo portò inevitabilmente a pensare a Watson e a ciò che gli aveva fatto. Non poteva evitarlo. Non importava dove andasse o cosa facesse, tutto ricordava a Holmes della sua colpa verso Watson. Lo perseguitava come un segugio.

Tornava sempre all’alloggio per cena, che era compresa nell’affitto della stanza. Il cibo era piuttosto terribile e gli faceva desiderare la cucina della signora Hudson. Ma mangiava, visto che poteva avere poco altro.

Alla sera pensava a cos’altro avrebbe potuto fare per guadagnarsi da vivere, non potendo tronare al lavoro investigativo. C’erano alcune possibilità, ma la maggior parte richiedeva allontanarsi da Londra e… non poteva immaginare di andarsene, nemmeno per un periodo di tempo. Avrebbe dovuto arrangiarsi.

Finalmente arrivò il fine settimana e il giorno dell’incontro. Saltò la cena per prepararsi (il cibo gli restava sullo stomaco per ore come un blocco di carbone, ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno) ed era pronto e carico quando arrivò il momento.

Questo incontro cominciò come quello precedente e sconfisse facilmente i primi due avversari. Il terzo era più o meno della sua taglia e altrettanto veloce, una vera sfida. Una che non era nelle condizioni di poter affrontare. L’accucciarsi e lo scansarsi per schivare i colpi instancabili dell’oppositore gli fecero girare la testa, e inciampò. A quel punto era finita, i colpi cadevano potenti e veloci, e perse conoscenza dopo un colpo particolarmente forte al viso.

Il proprietario si assicurò che riuscisse a tornare alla sua stanza, ma non importava. Perdere significava che non poteva più pagare.

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Watson insistette per accompagnare Lestrade nel seguire una traccia secondo cui Holmes era stato visto in una zona malfamata della città quattro giorni prima. Venne fuori durante un interrogatorio ad un uomo fermato per borseggio, il quale aveva volentieri raccontato di aver bisogno di soldi per via di una scommessa persa con un pugile magro che era stato messo KO sabato sera.

Ci vollero molte ore nel passare da una pensione fatiscente all’altra, il cuore di Watson doleva nel sapere che Holmes era finito in un posto così, prima che una proprietaria ammettesse “Sì, ho avuto un tipo qui che sembrava così”

“Avuto?” chiese Lestrade.

“L’ho cacciato fuori due giorni fa. Non poteva più pagare.”

Ringraziarono in fretta e ansiosamente tornarono in strada. Lestrade non era ottimista, perché se Holmes era per strada non lo avrebbero mai trovato. Watson temeva che avesse ragione, ma cercava disperatamente di pensare a cosa avrebbe fatto Holmes. Una piccola idea, ma forse sufficiente… “La lista di indirizzi che vi ha dato Mycroft. Qual è quello più vicino?”

Aveva il cuore in gola mentre si affrettavano al rifugio più vicino. Lestrade si fermò fuori per parlare con i poliziotti in borghese e cercare nell’edificio, ma Watson era corso dentro. Terza porta sulla destra, aveva detto Lestrade, e Watson si avvicinò con prudente urgenza.

La stanza era spartana, gli unici mobili erano un letto pericolante, un lavandino da un lato e un piccolo baule ai piedi del letto. Watson si inginocchiò subito vicino al letto, toccando il viso immobile del suo amico. Si chiese se i vestiti laceri fossero parte di un travestimento o se Holmes fosse davvero caduto così in basso.

Holmes aprì un poco le palpebre, gli occhi spenti e non proprio attenti. Un occhio era quasi chiuso dal gonfiore. “Watson?” gracchiò.

“Sì, sono qui” rispose, tendendo una mano sulla sua guancia mentre muoveva l’altra verso il collo.

“Perché?”

“Ero preoccupatissimo per te!” Dopo lunghe settimane di paura e preoccupazione, quell’uomo irritante chiedeva perché fosse venuto a cercarlo? Nonostante la sua intelligenza, poteva essere davvero cieco. Ma chiaramente non stava bene; Watson avrebbe aspettato, per le spiegazioni. “Ti chiederei dove sei stato e perché, ma credo sia meglio tornare a casa prima. Puoi alzarti?”

“Non lo so”
Riuscì almeno a mettersi seduto, e Watson lo aiutò lentamente ad alzarsi. Barcollò per i giramenti di testa ma rimase dritto fintanto che aveva un braccio sulle spalle di Watson.

Camminare si dimostrò un affare di tutt’altra portata, e dopo solo un paio di passi gli tremarono le ginocchia e crollò svenuto. Watson mantenne la presa su di lui così che non finisse a terra del tutto e, disperato nel volerlo riportare a Baker Street, si accucciò e fece passare un braccio sotto le sue ginocchia per cercare di sollevarlo. Fu troppo semplice, e a Watson si chiuse lo stomaco per ciò che significava.

Holmes non riprese pienamente conoscenza fino a quando non furono di nuovo nelle loro stanze e lui non era stato messo sul divano. Watson lo stava sistemando in una maniera più comoda e dava brevemente istruzioni alla signora Hudson, che camminava ansiosa dietro di lui. Quando se ne fu andata, Watson versò un bicchiere d’acqua e aiutò Holmes a bere a piccoli sorsi.

“La signora Hudson sta preparando del brodo, intanto ti preparo un bagno. Starai bene qui per qualche minuto?”

Holmes annuì debolmente, con la testa che girava. Non riusciva… i suoi pensieri erano tutti aggrovigliati… c’era qualcosa… qualcosa che non trovava più. Quando Watson tornò, lo aiutò a bere ancora un po’; il brodo sembrava fuoco lungo la gola e nello stomaco, ma si depositò caldo e piacevole, e placò una fame che non sapeva di avere.

Non voleva muoversi, non ne aveva le energie, ma Watson insisté che sarebbe stato meglio dopo un bagno. Probabilmente aveva ragione. Perciò, fece del suo meglio per aiutare Watson nel bagno, anche se l’amico scacciò la sua mano quando cercò di aiutarlo con i bottoni.

Essere immerso nell’acqua ricompensò bene lo sforzo. Non poté trattenere un sospiro di piacere, e Watson ridacchiò. Lo lavò attentamente, facendo attenzione ai lividi e ai segni degli scontri per determinare l’estensione delle ferite, poi diresse la sua attenzione alla testa. Prima una pettinata per eliminare il grosso dei nodi, poi sapone, una sciacquata e infine un pettine a denti stretti per controllare eventuali ospiti. In qualche modo, Holmes aveva evitato di portare a casa le pulci o i pidocchi.

Quando Holmes fu finalmente a letto, Watson lo fece bere ancora un po’, rassicurato dal fatto che probabilmente non avrebbe vomitato, a questo punto. Holmes era a malapena cosciente di ciò che accadeva intono a lui, leggermente febbricitante; perciò, Watson lo lasciò dormire e sperò che le sue invidiabili capacità di ripresa lo avrebbero rimesso in piedi presto.

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Holmes si sorprese a svegliarsi nel suo letto, la luce di pieno giorno che filtrava dalla finestra. Poi cominciò a pensare e a chiedersi perché fosse sorpreso di svegliarsi nel suo letto a casa sua, e ci volle solo un momento prima che tutto gli crollasse addosso. Giusto.

La comparsa di Watson sulla soglia della porta lo sorprese ancora di più, e osservò sospettosamente il suo avvicinarsi. “Buongiorno, Holmes” disse allegramente. “Anche se per noi altri è pomeriggio. Come ti senti?”

Holmes lo guardò, poi borbottò “Non hai un bell’aspetto”

Watson ridacchiò. “È un po’ che non vedi uno specchio, direi. Ma hai ragione. Sono stato preoccupato per te. Sei sparito per diverse settimane senza una traccia su dove fossi e se fossi al sicuro.”
Guardò Holmes agitarsi e arrossire, e chiese delicatamente “Mi dirai il perché di tutto questo?”

Holmes dovette distogliere lo sguardo dai suoi occhi sinceri, pizzicò incessantemente le lenzuola. “Mi… vergognavo”

“Di cosa?” chiese Watson sinceramente confuso. Pensò di poter azzardare un’ipotesi, ma non osò parlare per paura di avere ragione.

“Mi sono imposto su di te” mormorò Holmes. “Pensavo che non avresti più voluto vivere con me né tanto meno vedermi, così me sono andato”

“Holmes” disse Watson quasi disperatamente, passandosi una mano tra i capelli e decidendo quale fosse il modo migliore di continuare quella conversazione. “Cosa ricordi esattamente di quella notte?”

Holmes gli raccontò quel poco che ricordava e cosa aveva dedotto circa la situazione quando si svegliò la mattina seguente. Watson tenne la sua espressione accuratamente neutrale, anche se era sconvolto dalle conclusioni che Holmes aveva tratto e che sembrava corrispondere perfettamente alle prove. Ma almeno il suo azzardo circa la vergogna di Holmes era completamente errato, il che gli dava un po’ di speranza.

Quando Holmes finì il suo racconto, Watson disse “Ho una sola parola per te: Norbury.”

Holmes si accigliò.

“Holmes, devo scusarmi. Non avevo realizzato che fossi così ubriaco. Pensavo che-”

“Credo che tu stia di nuovo iniziando la storia dalla fine” disse Holmes in modo un po’ scontroso.

Watson sospirò e ricominciò da capo. “Quando sono caduto sopra di te, ti ho baciato. Volevo farlo da un po’, e mi è sembrata l’occasione perfetta -se ti fossi lamentato, avrei potuto dare la colpa all’alcol. Non ti sei lamentato. Siamo andati in camera tua, e sì, tu eri sopra… perché volevo che fosse così. Se avessi capito talmente ubriaco che non te lo saresti ricordato, non avrei permesso che le cose andassero così avanti, e non ci sarebbe stato nessun fraintendimento.”

Guardò Holmes sbiancare e afferrò la sua mano in modo rassicurante. Holmes la strinse con entrambe le sue mentre processava ciò che Watson aveva detto. Perciò non aveva…? Watson aveva voluto…? Sembrava quasi troppo da sopportare dopo la disperazione e le privazioni delle settimane precedenti. “Sono stato uno sciocco” disse tristemente.

“Forse, ma sei il mio sciocco.” Watson si sedette sul bordo del letto e lo baciò delicatamente. Appoggiò la fronte sulla sua e disse “Promettimi soltanto che no scapperai più via così.”

“Non così, no” acconsentì Holmes. “ma se c’è un caso, non posso garantire nulla.”

“Quello lo sapevo già” rispose con un sorriso afflitto. Si sedette e fece per alzarsi, ma Holmes afferrò il suo polso per tenerlo. “Va tutto bene, torno subito. Ho solo bisogno di chiedere alla signora Hudson di portare altro brodo per te e del tè per me.”

Holmes annuì e lasciò il polso riluttante. Quando la signora Hudson venne e andò via, Watson si sedette accanto a Holmes sul letto e lasciò che si accoccolasse su di lui, passando le dita tra i capelli scuri. Parlarono con calma fino a quando Holmes non ebbe di nuovo sonno; Watson rimase lì con lui, i loro corpi a contatto, e sperò che questo inizio difficile non presagisse il corso di tutta la loro relazione.

   
 
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