Capitolo II
Aveva
provato a
riposare durante le tre ore di volo che separavano Roma da Il Cairo, ma
il
cervello non voleva sentire ragioni. Formulava ipotesi su ipotesi sulla
morte
di Padre Tosi, nessuna riusciva a soddisfarlo. Chi poteva voler morto
la sua
guida spirituale? Era la persona più mite al mondo. Mai una
lite con nessuno,
sempre alla ricerca della mediazione e della pace, mai una cattiveria
su
qualcuno; perfino nell’ambito accademico, dove perfidia e
invidia erano
all’ordine del giorno. C’era qualcosa che non
tornava in tutto questo,
probabilmente visionare il corpo gli avrebbe dato qualche informazione
in più.
La voce dell’assistente di volo lo distolse dai suoi
pensieri. A breve
sarebbero iniziate le manovre di atterraggio.
Inspirò
lentamente, per cercare di calmare i suoi nervi. Pensava di essersi
lasciato
tutto alle spalle; ma, a quanto pare, il suo passato tornava a fargli
visita
nel momento più inaspettato. La morte del suo amico lo
costringeva a
reindossare i panni, che pensava di aver completamente dismesso; ma
glielo
doveva. Lo aveva salvato. Fare luce sulla sua morte era il minimo che
potesse
fare per ripagare, in minima parte, l’enorme debito di
riconoscenza che aveva
nei suoi confronti. I diversi sobbalzi del mezzo gli fecero capire di
essere finalmente
arrivato a destinazione.
Nonostante
fosse
ottobre inoltrato, la temperatura era decisamente elevata. I caldi
venti del
deserto rendevano la capitale egizia torrida, malgrado fosse autunno.
Ferrua
accese il telefono; dovette aspettare qualche secondo prima che il suo
smartphone potesse agganciarsi alla rete locale. Attivare il roaming
internazionale, poco prima di imbarcarsi, gli era costato parecchio, ma
era del
tutto sicuro che la Pontificia Accademia
potesse sostenere una spesa di quel calibro.
Provò a vedere se ci fosse
qualche linea che portasse dall’aeroporto al centro; ma, gli
orari delle corse
lo fecero desistere, sarebbe irrimediabilmente arrivato in ritardo al
suo
appuntamento. Uscì dal terminal alla ricerca di un taxi.
Scartò immediatamente
l’idea di salire su qualche tassì collettivo,
voleva godersi ancora qualche
attimo di pace e serenità, prima di immergersi del tutto in
quel caso. Alzò la
mano nella speranza che qualche tassista accogliesse la sua richiesta,
desiderio che fu subito esaudito, considerata l’enorme
quantità di auto
presenti in quel posto.
L’impatto
con il
traffico del Cairo fu a dir poco traumatico; quello romano era da
considerarsi
solo un piccolo ingorgo a confronto. Veicoli di ogni tipo: auto, bus,
moto,
pulmini, camion, che scorrevano pigramente lungo le arterie cittadine.
I
semafori, nonostante la loro presenza, venivano completamente ignorati,
alla
stregua di qualsiasi arredo urbano di cui nessuno sembrava accorgersi.
Solo gli
accigliati vigili, con il fischietto perennemente in bocca, riuscivano
ad
assicurare il corretto transito delle vetture verso svariate direzioni.
Nessuno
osava disobbedire ai loro muti ordini.
«Polizia
molto
severa, signore.»
Padre
Ferrua
distolse lo sguardo dal traffico e lo rivolse verso il tassista;
probabilmente
la sua espressione doveva essere molto eloquente, per far scaturire
quel
commento. La pelle olivastra era madida di sudore, nonostante nel taxi
fosse
accesa l’aria condizionata.
«Gestire
tutto
questo traffico non deve essere facile.»
«Normale
amministrazione, signore. Ormai qui siamo abituati. Da dove
viene?»
«Roma.»
Rispose
laconico.
«Ah,
la capitale
del mondo. La città che riuscì a trasformare
l’Egitto in una provincia.»
«Ma
non una
provincia qualsiasi…»
«Solo
per motivi
economici, signore.»
«Siamo
quasi
arrivati!» Disse brusco, per interrompere il discorso.
«Sì,
siamo quasi
vicino alla destinazione.»
La
moschea di
Muhammad Ali si ergeva imponente sulla collina del Moukkattam. I fari
che
illuminavano la facciata la rendevano ancora più maestosa.
L’avrebbe visitata
molto volentieri, ma non aveva moltissimo tempo a disposizione.
Ferrua
prese il
telefono e impostò la meta sul navigatore. Il “bar
dei Quattro Venti” non
distava più di un paio di minuti a piedi. Gli intricati e
colorati vicoli del
suk brulicavano di persone. Cercare di non urtare qualcuno era
un’impresa quasi
impossibile, ma nessuno dei passanti faceva caso a quei fortuiti
scontri
fisici. Trovò la sua destinazione sulla destra.
L’interno del bar era
rischiarato a malapena dalla luce dei lampadari. Aguzzò la
vista e trovò la
persona che cercava seduta al tavolo in fondo alla sala; la camicia
bianca,
assieme ai folti capelli rossi, spiccavano nella
semioscurità. Si avvicinò con
circospezione, però nessuno fece caso alla sua presenza in
quel posto.
«In
persona. Lei
è Padre Giovanni Ferrua?»
«Sono
io. È un
piacere conoscerla.»
«Lo
è anche per
me. Diamoci del tu, va bene?»
«Va
benissimo.»
«È
stato un
viaggio piacevole?»
«Abbastanza,
anche se il traffico è una cosa folle.»
«Un
paio di
settimane e si abituerà!»
«Spero
di restare
meno, ad essere sincero.»
«Glielo
auguro,
ma i tempi della burocrazia egiziana sono molto prolissi.»
«Conosco
alcuni
metodi che accorciano questi tempi.»
«Sicuro
di essere
un uomo di chiesa?» Scherzò l’irlandese.
«Sono
alquanto
atipico per essere un prete. Quando sarà possibile vedere il
corpo di Padre
Tosi e quando potremo andare presso gli scavi che stava
seguendo?»
«Il
corpo sarà
possibile visionarlo domani. Per gli scavi potremo partire una volta
che avrai
finito all’obitorio. Sono all’incirca due ore di
macchina.»
«Perfetto!
Ci
vediamo direttamente sul posto?»
«No,
ti porto io.
Rischieresti di perderti o di spendere tutti i tuoi soldi con i
taxi.»
«Ti
ringrazio. Se
per te non è un problema vado in albergo. È stata
una giornata lunga. Trovarsi
da Roma al Cairo nel giro di mezza giornata è stato alquanto
provante.»
«Immagino.
A
domani, Padre.»
«A
domani! E
grazie ancora.»
L’odore
della
formaldeide e del disinfettante frustò violentemente il suo
olfatto. Odiava gli
ospedali e detestava ancor di più le camere mortuarie,
nonostante fosse molto
avvezzo alla morte. Robert lo precedeva di qualche metro; lo vedeva
muoversi
con disinvoltura tra quei squallidi corridoi, rivestiti di piastrelle
color
verde sbiadito e dalla luce fioca. I neon emettevano un fastidioso
ronzio, che
faceva aumentare a dismisura la sua irritazione. Si impose di rimanere
calmo.
Doveva sopportare tutto per Padre Tosi, per ciò che lui
aveva fatto nei suoi
confronti.
Il
medico legale
era un uomo minuto. I pochi capelli brizzolati, riuniti in un solitario
ciuffo
sopra la fronte, unici superstiti della calvizie che lo aveva colpito,
gli
donavano un’aria comica. Il camice, di due taglie
più grandi, lo faceva
apparire più trasandato che mai. Ferrua sospirò
costernato. Il suo sesto senso,
che raramente si sbagliava, lo mise in guardia: con molta
probabilità avrebbe
avuto a che fare con un incompetente. Vide Robert parlare con il
medico. Il suo
arabo era un po’ arrugginito, ma da quello che era riuscito a
carpire, la
conversazione tra i due non stava andando molto bene. Il piccolo uomo
stava
inventando una serie di scuse, poco plausibili, per non farli entrare
nell’obitorio, nonostante ne avessero tutto il diritto.
Comprese cosa fare; si
ritrovò a sperare che quella sottospecie di medico
conoscesse un po’ d'inglese.
«Dottor
Abdel, ci
sta facendo solo perdere tempo. Quanto vuole?»
«Giovanni,
cosa diamine stai dicendo?»
«L’ovvietà
Robert! È chiaro che vuole dei soldi e
sa anche bene che se chiamassimo la polizia non arriverebbe.
Giusto?»
«Esattamente!»
Rispose sorridendo il medico,
mettendo in mostra i suoi denti gialli.
«Quindi,
quanto vuole?»
«9.000
sterline[1].»
«A
quanto pare è un uomo esoso…affare fatto! Ecco
a lei.» Ferrua prese dal portafoglio le banconote e gliele
porse. «È stato un
piacere.»
«Oh,
il piacere è stato tutto mio.» Rispose
l’uomo, con gli occhi che gli brillavano dinanzi a quella
somma.
Robert
attese che il medico entrasse
nell’obitorio, prima di riprendere a parlare.
«Ma
sei impazzito? Corruzione? 500 euro?»
«Avresti
preferito restare a discutere con quell’omuncolo
all’infinito?»
«Avremmo
potuto
chiamare la polizia!»
«Ma
hai notato
dove siamo?»
«In
un ospedale!»
«Esatto!
E per la
cronaca ci sono telecamere ovunque, eppure non si è
minimamente preoccupato di
chiederci una tangente e di intascare i soldi. La polizia sa
sicuramente. E sai
cosa? Non gli interessa!»
«Cazzo!
500
euro!»
«Sono
soldi miei,
quindi non è un problema. Padre Tosi ne vale molti di
più. Ora, se permetti,
vorrei entrare.»
Il
dottor Abdel
aveva già estratto la salma dalla cella frigorifera. Ferrua
notò che il corpo
del suo padre spirituale era ancora imbrattato di sangue. Il suo
presagio si
era rivelato giusto: quella sottospecie di medico non si era neanche
degnato di
effettuare un’autopsia e neanche di ripulire il corpo.
Iniziò ad esaminare il
cadavere. Nel bel mezzo del petto, all’altezza del cuore, vi
era uno squarcio;
con suo orrore si accorse che l’organo mancava. Si fece forza
e guardò meglio.
Da come erano state recise le arterie e le vene, poté
desumere che il muscolo
cardiaco del suo mentore gli era stato letteralmente strappato dal
petto;
inoltre, il poco sangue intorno alla ferita, gli fece intuire che il
cuore era
stato tolto poco dopo la morte. Cercò di trattenere
l’ondata di sdegno che lo
stava per investire. Doveva mantenersi lucido. Continuò ad
analizzare il corpo.
Sul collo notò degli strani fori a livello della giugulare.
Erano chiaramente i
segni di un morso. Attorno alla ferita vi era del sangue rappreso. Il
suo
essere razionale lo portava ad escludere una teoria impossibile,
altrimenti
avrebbe ipotizzato che quella fosse l’opera di un vampiro.
Continuò la sua
ricerca, ma non trovò nulla di interessante. Una volta
finito, guardò per
un’ultima volta il corpo di Padre Tosi. Mentre usciva,
giurò a sé stesso che
avrebbe fatto di tutto per prendere quel pazzo omicida, che aveva osato
ridurre
il suo amico in quello stato.