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Autore: BellaLuna    31/01/2022    9 recensioni
Vegeta insegue un miraggio d’oro che lenisca le ferite di un orgoglio umiliato e di una vita passata al guinzaglio di un divoratore di mondi.
Bulma insegue l’amore, quello che sboccia sotto i petali di ciliegio e di cui i bardi cantano le gesta.
Entrambi, forse, stanno solo guardando le cose dalla prospettiva sbagliata.
[Questa storia partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" ed è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Vegeta non avrebbe mai avuto il coraggio di confessarglielo, ma Bulma era il pensiero che ogni notte concedeva a se stesso prima di addormentarsi.
Si lasciava cullare dal ricordo del suono della sua risata, dallo scintillio intelligente che risplendeva nei suoi occhi ogniqualvolta riusciva a risolvere chissà quale arcano matematico. 
Ricomponeva a memoria ogni frammento di lei, finchè tutto quello che riusciva a scorgere dietro le palpebre stanche dal sonno era il contorno del suo viso.
“Bulma...” il suo nome sorgeva e moriva sulle sue labbra, e aveva il sapore dolce e proibito di un desiderio custodito gelosamente nell’anima, al riparo dagli occhi e dal giudizio del mondo.
Bulma.
In un’altra vita, forse non si sarebbe concesso di desiderarla così tanto.
Ma Vegeta non ha ormai più niente – non una corona, non un popolo, non un retaggio da salvaguardare – ciò che gli resta è solo un oro leggendario che possa finalmente restituire un senso alla sua esistenza e al suo continuo e solitario vagare intergalattico.
In mezzo a tutta quell’oscurità, Bulma era l’unico sogno.
Era la cosa più simile a una casa che il principe Vegeta, ultimo del suo nome, aveva da tanto tempo.
 

 


A Fateful Collision


*
*

 
A certain type of wind has swept me up,
A chill has found each bone
I am overcome.
There is an icy breath that escapes my lips,
And I am lost again.


*
*
 
 
 

Persino la Città dell’Ovest a dicembre si tinge di bianco.
È uno spettacolo a cui Bulma assiste al riparo dal freddo, dietro la finestra della sua stanza, lì dove il gelo non può ferirla.
Con le mani avvolte intorno a una tazza di cioccolata bollente, sospira e scuote la testa sconsolata, mentre Vegeta sfida l’inverno con volontà d’acciaio e nient’altro a parte l’orgoglio a fargli da scudo.
E Bulma non sa perché – non è un problema suo, del resto – ma l’oscurità che lo circonda non le piace, le fa tremare la carne e anche l’anima, e l’istinto le dice che se non ci proverà almeno lei a trascinarlo al riparo dalle ombre e dalla bufera, allora chi lo farà?
Forse nessuno, forse non è nemmeno questo ciò che Vegeta sta davvero cercando, lì fuori tutto solo a scontrarsi contro spettri del passato e illusioni di grandezza.
Eppure, accompagnate da un ringhio esasperato, le sue dita abbandonano la tazza per cercare il telefono e digitare quelle poche righe che servono per rimandare l’appuntamento con Yamcha.
Mi dispiace, gli dice, anche se non c’è alcun rimorso ad attanagliarle il petto, e la sua coscienza le grida che più tempo passa più bugiarda diventa, ho avuto un impegno imprevisto. Non posso venire. Ci sentiamo domani.
Qualche minuto dopo, si trova già nel suo laboratorio, schermi multimediali accesi ovunque, microscopi che aspettano solo che i suoi occhi svelino tutto ciò che per il resto del mondo non è che pura fantascienza: alieni, navicelle spaziali, camere antigravità.
Non è una guerriera, Bulma. Non ha idea di come si faccia a sopravvivere in un campo di battaglia.
Ma ciò che ha imparato, osservando i suoi amici scendere al fronte, è che alle volte ciò che conta più della forza stessa e qualcosa o qualcuno che te la ispiri, e a Vegeta non è rimasto nient’altro se non il suo nome, o il ricordo di quello che era.
 

A certain type of darkness has stolen me,
Under a quiet mask of uncertainty.
I wait for light like water from the sky,
And I am lost again.
 
 
“Ti ho costruito una cosa!” gli va in contro eccitata, un pomeriggio di qualche giorno dopo, quando lo becca a girovagare in cucina in cerca di cibo.
Sotto l’ombra delle folte sopracciglia scure e corrucciate, lo sguardo di Vegeta è persino bello, regale, così tagliente da affettare l’acciaio.
Bulma si morde il labbro inferiore per non sorridere trionfante di fronte al guizzo di curiosità che è riuscita a suscitargli, mentre il suo sguardo resta incatenato a quello di un principe mercenario che non si fa alcuno scrupolo a studiarla da capo a piedi, lentamente, come un’animale selvatico che non sa se può permettersi di fidarsi.
Fuori è ancora tempesta, e persino Vegeta ha le guance e il naso scottati dal gelo.
Bruciature che Bulma può quasi sentire sulla sua stessa pelle, e questo non ha minimamente senso, ma non per questo fa meno male.
“Di che parli?”
“Vuoi sapere cos’è, oppure no?”
Ha capito da tempo, Bulma, che il suo ospite non conosce altra lingua se non quella dei guerrieri: un idioma fatto di sfida, austerità e talvolta persino ironica impertinenza.
Quella sera, a decretare la sua vittoria, è il modo in cui Vegeta alza gli occhi al cielo e chiude l’anta del frigo.
Le si accosta, tanto vicino che può sentire il profumo del suo dopobarba, e poi le fa cenno di fargli strada, rimanendo in silenzio solo per darle fastidio.
E Bulma vorrebbe trovare quel suo atteggiamento così orgoglioso detestabile, e in effetti pensa che lo sia, ma non per questo il suo stupido cuore umano non smette di pompare adrenalina nelle sue vene, non per questo al suono dei suoi passi che si accostano ai suoi, non può che sognare cose che non può.
Ciò che gli mostra una volta arrivati all’interno del suo laboratorio, lascia persino Vegeta a corto di fiato, immobile ad ammirare a labbra socchiuse l’unico simbolo che ancora può testimoniare le sue origini.
Una nuova Battle Suite, targata produzione speciale Capsule Corp., lo aspetta adagiata in uno dei manichini in cui sua madre una volta disegnava vestitini di tulle per le sue figlie (tutti dettagli ch’era meglio non menzionare a un aristocratico schizzinoso come il principe dei saiyan).
Vegeta la osserva per qualche secondo a bocca aperta, ogni linea marcata del suo volto finalmente distesa, nessun broncio a storcergli le labbra.
Lo stupore nei suoi occhi non è diverso da quello che Bulma è sempre riuscita ad ammirare nello sguardo di chi, volta dopo volta, rimane imbambolato ad ammirare il suo genio in azione, eppure riuscire a sorprendere Vegeta ha su di lei un effetto inedito, la fa sentire potente come non mai, padrona di tutto l’universo.
Lo osserva avvicinarsi a passi lenti al manichino, battere un colpo con le nocche sul pettorale dell’armatura, abbastanza forte da rimbombare in tutto il laboratorio e probabilmente da ridurre in cenere le mura dell’intera casa.
Freme dalla voglia di sapere cosa pensa, e visto che Vegeta proprio non si decide a dar voce ai suoi pensieri, lo fa lei per lui.
“Riprodurre lo stesso tipo di fibra indistruttibile non è stato semplice,” gli spiega, alzando l’indice da perfetta maestrina e portando fieramente il mento su in una palese dimostrazione di compiacimento “alcuni elementi della tuta originale non esistono sul nostro pianeta, così ho cominciato a sperimentare, per vedere se riuscivo a ricavarne qualcosa di simile e voilà: abbiamo un’armatura!”
“Abbiamo?” Vegeta gioca con lei delle volte, deridendo le sue manie di protagonismo con fare sprezzante e ghigno sagace e, nonostante le sue prese in giro, a Bulma piace comunque notare quella particolare inclinatura delle sue labbra.
Non sorride spesso il principe dei saiyan, ed è un vero peccato e Bulma ha già deciso che sarà lei a porvi rimedio.
Lei gli porterà gioia e sorrisi perché può, e perché forse mai nessuno si era mai preso la briga di farlo.  
In verità, sa che non dovrebbe concedere a Vegeta di esercitare tutto quel potere su di lei (spingerla a desiderare qualcosa di impossibile, qualcosa di alieno alla sua natura).
Ma rinunciarci è difficile – mentre stare con lui è così facile, così assurdamente normale da riempire il suo cuore di nuova speranza. 
Per questo, invece di allontanarsi (ora che può, ora che non è ancora successo l’inevitabile) gli punta persino un dito addosso, sprezzante del pericolo e complice di un gioco pericoloso.
“Non pensavi che ci sarei riuscita, non è vero?” lo provoca, perché vuole sapere cosa pensa, dell’armatura, di lei.
Vuole che le parli. Vuole sentirlo parlare, e sentirsi stupida pensando a quanto le piaccia il suono sinistro della sua voce.
Vegeta le regala un altro dei suoi sorrisi beffardi, e sotto le luci del suo laboratorio e con indosso il completo sportivo che gli ha regalato, all’improvviso le sembra quasi umano.
Quasi raggiungibile.
“Tutt’altro. Mi chiedevo perché ci stessi mettendo tanto.” non è solo sarcasmo ciò che trapela dalle sue parole.
Bulma ci ha messo un po' a capire come decifrare i codici che lui le lascia fra le righe.
Non è capace di fare complimenti – figurarsi, era pur sempre cresciuto a pane e Freezer! – ma non sa nemmeno mentire: se l’armatura non gli fosse piaciuta, le avrebbe detto “fa schifo!” e poi l’avrebbe incenerita sotto il suo sguardo senza preoccuparsi delle ore di lavoro che c’erano volute per realizzarla.
Invece no, avvolto nella sua felpa con cappuccio, perfettamente a suo agio in quello che Bulma considera il suo regno, Vegeta la sta osservando con sfida, divertimento e ammirazione insieme, e le basta quello sguardo per mandarla in confusione – lei, la Queen Bee della Città dell’Ovest, il genio dei geni della Terra, ridotta al silenzio, ad arrossire a pensare di poter ridurre anni luci di distanza con la sola forza di un desiderio.
“Lo sai come sono fatta: o la perfezione o niente, per me.”
“Sempre così modesta.”
“E tu così gentile.”
“La gentilezza è un concetto terrestre. Io sono un saiyan...” le ricorda, con la fierezza di sempre, ma stavolta, mentre il sorriso gli danza sulle labbra e il suo sguardo è ancorato al suo, fermo sul suolo terrestre, le ombre del passato non sembrano raggiungerlo.
La vendetta resta lontana, l’odio non trova spazio nel suo mondo.
Bulma spera che quello spiraglio di luce sia per lei.
Bulma teme che cosa significhi desiderarlo.
“E io sono solo umana.” gli ricorda a sua volta, quasi schermendosi, quasi sentendosi sopraffatta dall’immensità di ciò che ha intravisto e che sta diventando sempre più evidente ed enorme nel suo cuore.
Ha paura.
Ha paura perché Yamcha è una certezza.
Lui c’è sempre stato. Lui è la sua storia di una vita. Lui è la strada che percorre tutti i giorni, il messaggio del buongiorno e della buonanotte, il movimento di rotazione terrestre che non si ferma anche se il cielo sembra che stia per crollare loro addosso.
Vegeta invece è l’ignoto.
È prendere una navicella e partire e ritrovarsi poi sperduti fra tutti i casini della galassia.
Bulma non sa dove quella strada potrebbe condurla e scoprirsi codarda proprio adesso è ciò che la ferisce di più.
Ricorda una bambina che come tante altre cantava One day my prince will come, e sognava un bel principe che la prendesse con sé per condurla nel suo castello incantato.
Ha ricamato sogni con fili elettrici, Bulma, e tessuto trame unendo bulloni e azionando radar che potessero captare un segnale per condurla da un drago dei desideri.
Sorride di se stessa, pensando che forse ci sarebbe voluta una vera principessa, per avere un semplice principe azzurro e un meritato lieto fine e, nonostante le sue ricchezze, in fondo lei è solo un meccanico.
Sa aggiustare le cose, sa crearle, ma non è più un’ingenua che crede nelle favole, e non ha un cuore abbastanza puro nemmeno per montare su una stupida nuvola speedy.
“E questo ti ha mai fermato?” le chiede Vegeta, quasi riesca a leggerle nel pensiero, mentre la osserva di sottecchi.
Bulma ride, scuote il capo, e la bambina che è stata svanisce, mentre il ricordo di Namecc e poi di Freezer che piomba sulla Terra, le si affaccia alla mente.
Yamcha, nel panico, che le grida: “Torna a casa!” e lei che punta i piedi e gli risponde: “Se devo morire, poco importa che io sia qui o altrove, giusto?”
No, essere solo umana non l’ha mai fermata, ma con un certo fastidio si rende conto che è diverso quando a essere messi in discussione non sono il suo coraggio e la sua genialità, ma solo mere questioni di cuore.
Vegeta l’avrebbe mai vista aldilà della sua fragilità umana?
L’avrebbe mai vista senza pensare che era un essere così alieno a lui? Un primate continuamente spinto dal desiderio di amare troppo, soffrire troppo, volere troppo?
In realtà, forse in questo si assomigliano, in quell’ambizione smodata che non ha mai permesso loro di fermarsi anche quando il loro obbiettivo pareva folle a chiunque altro.
Ciò in cui sono diversi, è nella forza che scorre loro nelle vene.
Vegeta è un Dio della guerra, un suo capriccio potrebbe far scomparire pianeti dalla mappa dell’universo, mentre Bulma a stento sarebbe capace di tirare un pugno bene assestato.
Al contrario, però, lei sarebbe abbastanza forte da accettare di amarlo e combattere per il loro futuro.
Lui invece?
Bulma pensa di no, pensa che non sia nemmeno colpa sua, pensa che Vegeta non sappia neanche che nome inventarsi per ciò che sente per lei.
Ed è per questo che evita di sfiorarla, è per questo che quando lei si avvicina troppo lui trema e i suoi occhi bruciano.
Anche adesso, che sono soli e lei non gli sta dando motivo di temere nulla, lui fa di tutto per tenerla a distanza.
È un gioco straziante ed eccitante il loro, una danza in cui si divertono a venire in contatto senza sfiorarsi: si dicono sì, ma poi non riescono ad andare avanti perché che cosa accadrebbe se lo facessero?
Bulma pensa a una collisione fatale, chissà invece a quale disastro universale Vegeta stia pensando.
Decide che è meglio non saperlo, e così tira fuori la prima cosa che le viene in mente di dire.
“Con la mia armatura a disposizione, spero proprio che la smetterai di finire in infermeria una settimana sì e l’altra pure.” gli dice, più affettuosamente che altro e per alleggerire la tensione gli rifila un pugnetto sulla spalla.
Vegeta si tira indietro un attimo in ritardo, gli occhi sbarrati che la fissano come se avesse commesso una sorta di sacrilegio.
Non gli ha fatto male, ovviamente, eppure la sua mano va subito a posarsi lì dove poco prima lei lo ha colpito.
Poi si acciglia gravemente, come se qualcosa gli avesse appena dato fastidio, e Bulma nota persino un certo rossore attecchirgli sulle orecchie: “E’ questo il tipo di allenamento che serve per diventare super saiyan, te l’ho già detto.”
“E io ti ho già detto che la morte è una brutta cosa. Dovresti saperlo, visto che ci sei già passato una volta, no?” il suo imbarazza la intenerisce, così decide di stuzzicarlo, petulante.
In tutta risposta, Vegeta le mostra un ghigno che le ricorda molto quello della fiera selvaggia e senza scrupoli con la quale si è scontrata su Namecc.
“Se fossi in te, io mi preoccuperei più della mia sopravvivenza che di quella degli altri, Bulma. Visto che anche uno degli animali domestici presenti in questa casa potrebbe ucciderti.”
Il fatto che l’abbia chiamata per nome in modo così spontaneo, le fa del tutto dimenticare la non velata accusa contro il suo livello di forza, tanto da farla sentire, al contrario, quasi lusingata.
Perché Vegeta – da quale grande principe delle scimmie puzzolente quale è! – aveva stabilito che solo le persone meritevoli del suo rispetto potevano vantare cotanta cortesia.
Per questo motivo, la prima volta che l’aveva chiamata per nome – ormai un mese prima – per ripicca lei lo aveva preso in giro fino a sfinirlo, dicendogli che il suo accento straniero trasfigurava tutte le sillabe, e usciva fuori un suono strano che assomigliava a “Bu-ru-ma”.
Ovviamente, lui se l’era presa e aveva ribattuto che nemmeno lei riusciva a pronunciare bene il suo nome, che la V… diventava quasi una B... in bocca a lei, e solo dopo essersi reso conto del doppio senso aveva cercato di liquidarla con un grugnito mentre lei si sbellicava dalle risate.
Quando Yamcha le aveva chiesto come potesse scherzare così con lui e non temere la morte per ogni secondo in sua presenza, Bulma aveva scrollato le spalle dicendogli che quello che aveva con Vegeta era un semplice “scambio culturale”.
“Volevo invitare anche Junior per fare una cosa a tre. La terrestre. Il saiyan. E il namecciano. Dici che accetta?”
Ovviamente, il suo ragazzo le aveva dato della pazza, ma in realtà, quello di Bulma non era stato che un’espediente per distrarre tutti: Vegeta, Yamcha, persino se stessa, perché sentire il suo nome pronunciato da lui, anche se era l’ennesima cosa stupida e senza senso, l’aveva fatta sentire come se fosse appena stata incoronata regina della Terra.
Anche in quel momento, per non dargli a vedere di star praticamente levitando dal suolo, Bulma dà il via alla solita sciarada: “Il tuo commento non fa ridere nessuno, mio caro. E poi ti ricordo che noi due abbiamo un accordo: due nuovi droni a settimana, in cambio di lezioni di saiyago.”
Prima ancora di vedere la sua espressione, Bulma sa che Vegeta andrà su tutte le furie.
“Io non ho mai acconsentito a questo accordo! Hai fatto tutto da sola!”
È così divertente...
“Sono una donna d’affari. Proteggo i miei investimenti...”
“Beh, stavolta hai scommesso male. Non ho alcuna intenzione di insegnarti a parlare la mia lingua!”
“So già come si dice rompiscatole, visto tutte le volte che me l’hai detto.”
“E rompiscatole è tutto quello che avrai!”
“Lo sai che posso insultarti in namecciano? Popo mi ha insegnato tutto, in merito.”
“Lo sai che posso far saltare in aria la tua casa?”
Le sue vuote minacce sono come solletico per la sua pelle ormai, e Bulma si sente abbastanza matura da fargli il verso, mentre al suo fianco Vegeta sbuffa e inizia a maneggiare con la Battle Suite per smontarla dal manichino e portarsela chissà dove.
E all’improvviso lei punta i piedi come una bambina capricciosa perché non ha alcuna voglia di vederlo andare via.
“Se la morte non ti fa paura, allora cos’è che ti spinge a lottare così tanto?”
Lui la fissa di sottecchi, più scocciato che sospettoso, visto che ormai ha fatto l’abitudine ai suoi continui sbalzi d’umore.
“La vendetta.” le risponde senza guardarla.
“Non ti credo.”
Quando Vegeta mente, dalla sua maschera immobile gli sfugge sempre un guizzo al lato sinistro della mascella.
Un movimento quasi impercettibile, che Bulma è riuscita a notare solo in via del fatto che le piace studiare il suo viso.
Le piace capire prima degli altri cosa lui stia pensando, interpretare ogni gesto, ogni sguardo per poter poi comunicare con lui anche stando in silenzio dall’altra parte della stanza.
Adesso, le sue ciglia frementi e la sua mascella serrata, gli stanno dicendo che ha appena toccato un tasto scoperto. Qualcosa a cui Vegeta preferisce non pensare.
“L’oblio.” le rivela in un sussurro. “Quando io morirò, la mia stirpe e il ricordo di essa finirà con me. Tutto ciò che i Vegeta sono e che sono stati, finirà nella tomba insieme al mio nome.”
E Bulma vorrebbe dirgli che non è così, vorrebbe offrirgli una soluzione, una qualunque, e quando la sua mente brillante ne trova una, è come piantarsi una daga nel cuore.
“Potresti avere un erede.”
Vegeta si volta a guardarla senza dire nulla e quell’allusione resta a galleggiare in mezzo a loro rendendo l’atmosfera elettrica, ogni sguardo lungo come se potesse dilatare il tempo e durare un’eternità.
L’espressione rilassata di poco prima è svanita dal suo volto, e adesso regna la solita malinconia di sempre, lo stesso vuoto cosmico di sempre.
Senza dirle una parola in più, con la sua armatura ben stretta sotto al braccio, Vegeta gira i tacchi e se ne va.
E Bulma vorrebbe inseguirlo e dirgli resta, dirgli noi possiamo fare tutto, ma sa anche che ci sono dei cambiamenti che entrambi devono prima affrontare da soli.
 

In the sea of lovers without ships,
And lovers without sight...
You're the only way out of this...
Sea of lovers losing time,
And lovers losing hope,
Will you let me follow you?
 
 

Qualche giorno dopo, quando durante un appuntamento Yamcha la rimprovera di essere fredda e scostante, Bulma si sente quasi sollevata. E un po' anche una vera ipocrita.
Prende la palla al balzo, si ripete ora o mai più, e gli dice che c’hanno provato, ma che stare insieme fino alla fine dei loro giorni a quanto pare non era scritto nel loro destino.
Yamcha le dice no, le dice che sta sbagliando, che sono nati per stare insieme, e Bulma pensa a quale spettro della ragazza sedicenne che non è più, lui si stia ancora aggrappando.
Forse si sono amati davvero un tempo, quando tutto era più facile, quando non c’erano alieni e imperatori del male e androidi alle porte della fine del mondo.
Yamcha desidera una vita normale, fatta di gite a bordo di auto sportive e partite di baseball la domenica pomeriggio, mentre, al contrario, Bulma vuole di più: ha assaporato l’universo una volta, ne ha solo intravisto i misteri – e come poteva tirarsi indietro adesso?
 (Ma del resto, Yamcha ragiona come un perfetto terrestre, Bulma no. E non sa perché, e non sa di preciso cosa sia scattato in lei dopo Namecc, Freezer e Vegeta, ma sa che non può più essere la ragazza di una volta. Che non lo è già più, e se un legame non è che una catena, allora di certo non è amore.)
“Dimmi la verità!” le urla contro, afferrandola per un braccio in mezzo al giardino della C.C.
“Che ti prende?! Che cos-“
“Non ti amo più.” dirglielo forse fa più male a lei che a lui, perché è come distruggere anni di sogni d’amore sotto ciliegi in fiore. È come essere convinta di aver trovato il drago, e invece ritrovarsi con una sola sfera in mano e altre sei da trovare.
Gli occhi le bruciano di una sconfitta amara e cocente, perché tutti sanno quanto all’orgogliosa, petulante, spavalda Bulma Brief non piaccia scommettere e perdere.
“È solo... finita…” bisbiglia, trattenendo a stento inutili lacrime.
E ovviamente Vegeta sceglie proprio quel momento per farsi una passeggiata notturna in giardino.
“Che succede?” deve aver mal interpretato il gesto di Yamcha, la sua mano che le stringe il braccio e lei con occhi rossi e spiritati, altrimenti la sua natura d’alieno asociale non lo avrebbe mai spinto a intromettersi.
Per questo, quando il suo ex si volta con fare incazzato verso di lui, Bulma scivola via dalla sua presa e decide di frapporsi fra loro prima che si scateni un inutile dramma.
“Non è nien-”
“Sarai contento adesso, eh?!”
Le sue parole si perdono, inghiottite dall’improvviso sbotto di Yamcha che la spinge indietro e ora fissa il saiyan come se potesse anche solo osare sperare di tirargli un pugno in faccia e sopravvivere.
Vegeta rimane immobile, e Bulma nota i suoi occhi diventare buchi neri senza fondo, la sua espressione farsi insondabile come l’acqua cheta di un fonte velenosa.
Il silenzio del saiyan però non fa che alimentare la furia del terrestre, tanto che quando lei gli urla: “Yamcha, non...”, lui decide comunque di suicidarsi.
 “Ti stai solo illudendo, bello! Lei non potrebbe mai provare niente per uno come te! Al massimo, puoi continuare a farle pena!”
Non ha il tempo nemmeno di avere paura: nell’arco di un secondo tutto ciò che i suoi sensi terrestri riescono a captare è un improvviso spostamento d’aria che catapulta il suo ex ragazzo dritto contro la corteccia dell’albero più vicino, a dieci metri da lei.  Il tronco si spezza e Yamcha atterra con un TONF! che Bulma può sentire rimbombarle fin dentro le ossa.
Prima di correre verso di lui, lancia a Vegeta uno sguardo che spera possa essere abbastanza eloquente: era proprio necessario? Che cosa avevamo detto sul non picchiare chi è meno forte di noi?
Ma il saiyan evita di guardarla e addirittura spicca via il volo.
Bulma si porta una mano sulla fronte e sospira, prima di dirigersi verso Yamcha.
Tra loro tre, non sa chi quella sera abbia dato più segni di maturità.
Forse Vegeta, visto che Yamcha respira ancora.  
“Stai bene?” gli chiede.
“Sì...” le risponde, mentre prova a rimettersi in piedi come un unico ammasso dolorante.
“Sei un idiota.” sbuffa, sia contro il di lui che contro il saiyan.
“Forse sono un idiota, ma non sono cieco.”
“Ah sì?”
“Vegeta ti guarda come se volesse mangiarti.”
“Che ci provi. Scoprirà che ha trovato pane per i suoi denti.”
“Bulma...”
“Torna a casa, Yamcha.” È tutto ciò che può dirgli, mentre cerca di mettere a posto ogni emozione che sente: tristezza, delusione, indignazione. “Non voglio più stare insieme a te, ma questo non significa che io voglia seppellire il tuo cadavere nel mio giardino.”
 

Wherever you go...
 

Dopo quel giorno, il principe dei saiyan decide che evitarla è una grandissima idea.
Un vero peccato, perché Bulma invece ha tutta l’intenzione di mettere definitivamente in chiaro le cose.
Sono alla vigilia di un nuovo anno, presto degli androidi assassini verranno a ucciderli tutti e Bulma non ha più alcuna intenzione di perdere tempo.
Per questo, dopo aver passato più di una settimana a riflettere sul suo futuro e a fare importanti ricerche di natura accademica, sfrutta la prima occasione utile per mettere fine alla loro stupida guerra fredda.
Dalla finestra della sua stanza, intravede Vegeta dirigersi in giardino durante il crepuscolo: un piccolo e unico momento di relax che si concede sempre dopo gli allenamenti e prima di mettersi a cena.
Così, mettendo da parte ogni incertezza, si precipita di sotto.
Quando arriva, Vegeta ha gli occhi rivolti verso la sfera celeste, lì dove le prime stelle della sera hanno iniziato a brillare.
È una cosa che fa spesso, come se stesse cercando di ritrovare coordinate e strade perdute che una volta ha percorso e stracciato con il sangue.
“Hey, bel fusto!”
Anche se l’ha ovviamente sentita arrivare, non si volta a guardarla, e ciò che tradisce il suo nervosismo è solo il tendersi dei muscoli delle sue braccia e i pugni chiusi lungo i fianchi.
“Che vuoi?”
Sarebbe tutto incredibilmente più semplice, se solo fosse un filino più gentile.
Bulma si passa una mano a strofinarsi la fronte e pensa alle parole giuste da usare per non peggiorare le cose.
“Mi spiace per ciò che ha detto, Yamcha. Era arrabbiato con me e se l’è presa con te.”
“Non mi importa niente di ciò che dice o fa quel terrestre.”
“Bene, perché aveva torto comunque...”
Sono quelle le parole magiche che lo spingono finalmente a guardarla e Bulma abbozza un sorriso a labbra strette, e in imbarazzo aggiunge: “Non è vero che mi fai pena. Insomma, guardati, hai una faccia troppo antipatica per farmi pena!”
Lui le mette il muso e Bulma vorrebbe ridere e abbracciarlo e levargli quell’espressione a modo suo.  
“Davvero, non lo penso...” prova a rassicurarlo, ma Vegeta incrocia le braccia al petto e la fissa con aria di sfida.
“E allora cosa pensi?”
“Tu cosa pensi?”
Non ha il coraggio per dirglielo, lo sa, come sa che forse l’unico problema è che non conosce le parole giuste per comunicarglielo.
Del resto, nemmeno i terrestri sanno che cosa sia davvero l’amore.
Hanno provato a raccontarlo in tanti modi diversi, e forse la verità è che non esiste una definizione universale che possa mettere tutti d’accordo.
E Vegeta che è figlio della solitudine e dell’odio, come potrebbe riuscirci?
“Lascia perdere...” fa per liquidarla così, fa per darle le spalle e andarsene.
Stavolta, non glielo permette.
Stavolta sarà abbastanza coraggiosa per entrambi.
“La casa che stai cercando non è più lì... lo sai...” gli dice, accennando al manto stellato sopra di loro.
Esisteva un pianeta, una volta, che era la dimora di tutti i saiyan. Esisteva un’eredità, una religione, un credo che ora è solo polvere intergalattica.
Vegeta è ancora perso lì in mezzo. Naufraga fra le rovine di ciò che sarebbe potuto essere e invece non è.
Oblio.
Lei vuole solo mostrargli una strada diversa, vuole solo allontanarlo dal nulla a cui pensa di appartenere.
“Io... io posso dartene una... se vuoi...” prova a dire, mentre il suo cuore esplode in ogni parte di lei e Vegeta rimane immobile a fissarla, finché non abbassa lo sguardo e scuote il capo rilasciando una risata sprezzante senza allegria.
“Non sai quello che dici, Bulma. Io distruggo tutto quello che tocco. Non illuderti: alla fine, finirei per distruggere persino te.”
In pratica, le sta dicendo che sono una causa persa in partenza.
Che scommettere su di loro è stupido, quanto credere che basti un piccolo sogno d’amore a scacciar via tutti i demoni del passato.
Ma da qualche parte bisogna pur cominciare, giusto?
Gli afferra la mano prima che lui possa andarsene, e Vegeta osserva le loro dita intrecciarsi con l’espressione di sempre: un misto di terrore e incapacità di nascondere ancora il suo desiderio.
“Allora è un bene che io sia così brava ad aggiustare le cose che rompi. Del resto, è solo uno dei miei molti talenti...”
Spera che il suo sorriso e la sua speranza lo contagino, che quei semi possano attecchire nel suo animo alieno e germogliare fino a che, della cenere spaziale del suo pianeta, non resti che solo un lontano ricordo.
“Tu sei tutta matta.” le risponde, ma non fugge via, e il suo sguardo tradisce la sua incertezza.
Lei è il suo salto nel vuoto.
È una terra che può decidere se conquistare e radere al suolo, oppure lasciare che lo accolga.
“La parola che stavi cercando è straordinaria.
“No, era proprio matta da legare.”
“Scommetto che in saiyago matta da legare è un complimento.”
“Allora oltre che matta sei anche ingenua.”
“Forse.” sospira divertita, avvicinandosi ancora di un passo, la sua fronte che in pratica gli accarezza le labbra.
“Bulma...”
“Adesso basta parlare.”
Quando lo bacia, nessuno dei loro mondi finisce per implodere. Il suo viso è morbido fra le sue mani, la sua bocca l’accoglie senza esitazione, la insegue, la accarezza, le chiede sempre di più.
Le sue mani adesso la stringono forte con ardore crescente, si posano sui suoi fianchi come se fosse sempre stato loro diritto farlo.
E Bulma gli allaccia le braccia intorno al collo e sorride mentre continua a baciarlo, e quando sente anche le sue labbra arricciarsi sulle sue, ecco che il boato esplode, potente e silenzioso dentro di lei come un colpo sparato a tutta potenza nello spazio.
Un moderno Big Bang che crea un nuovo universo, un luogo caldo e luminoso che è solo per loro.
Un nuovo destino. Una nuova casa.
Che in fondo era da sempre ciò che entrambi stavano cercando.
 


Bring me home

*
*


FINE
 
 
 



N/A: Ciao a tutti!
Mi imbarazza tantissimo pubblicare questa one-shot perché Bulma e Vegeta per me sono immensi e io ho sempre paura di non rendere loro giustizia e propinare a voi lettori appassionati roba banale.
Ma, visto che questo mese mi ero prefissata di scrivere una Song-fic per la mia Challenge e visto che avevo questa storia mezza scritta da miliardi di anni, ho al fine deciso di postare e spero che la mia fan-fiction vi abbia regalato dei momenti di lettura piacevoli.
 Detto ciò, passo a spiegarvi giusto qualche cosina: in primis, la canzone da me scelta è Sea of lovers di Christina Perri; secondo, saiyago non so se sia ufficialmente il termine giusto con cui viene chiamata la lingua madre dei saiyan, ma l’ho visto usare in molte fanfiction scritte in inglese, mi piaceva, e l’ho voluto inserire anche qui; terzo, il titolo “A fateful collision” l’ho rubato a un sorta di evento videoludico su un videogioco a tema Dragon Ball (di cui non ricordo il nome) che, appunto, dovrebbe parlare proprio di Bulma e Vegeta: Fateful, dunque, in questo caso sta sia per “mortale” che per “destinato” mentre Collision per “collisione” ma anche “incontro”, credo che infatti la traduzione più corretta in italiano sarebbe più che “Collisione fatale”, “Incontro fatale”. Voi che ne dite?
Finito, spero davvero che la storia vi sia piaciuta e, se vi va, mi piacerebbe molto poter conoscere la vostra opinione in merito.
Alla prossima,
BellaLuna
  
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