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Autore: SerenaChichi    02/02/2022    3 recensioni
“Poi, come improvvisamente rianimato da una scarica elettrica, riprese a battere scellerato, oltrepassò la gola, arrivando dritto fino al cervello. Ogni rumore divenne ovattato e la temperatura esterna percepita si aggirò di colpo intorno ai cinquanta gradi centigradi. Spalancai gli occhi e, nonostante la vista appannata, riconobbi immediatamente quel lembo di stoffa blu, contornato dal famigliare tessuto arancione.
Era lui, era Goku… Così tanto vicino, da poterne sentire l’odore.“
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Gohan/Videl
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Tutto può succedere



Capitolo 1

Benvenuti a…



L’improvviso strombazzare di un clacson mi svegliò di soprassalto. Una luce intensa mi fece socchiudere gli occhi, portando una mano alla loro altezza per cercare di ripararli. Quando il paesaggio intorno a me divenne nitido e le iridi si abituarono, fui travolta dallo stupore “Oh mio Dio, non ci credo!” Abbassai subito lo sguardo, focalizzandolo sulle mani, ruotandole di centottanta gradi. Scattai in piedi e guardai incredula quel meraviglioso parco che mi circondava.

Tutto, compresa me stessa, appariva ai miei occhi come un disegno.

Ha funzionato!” Urlai euforica, iniziando a saltellare come una bambina davanti ai regali la mattina di Natale. “Lo sto sognando davvero! Davvero!”

Stavo allegramente ridendo e gioendo come una matta, quando sentii qualcosa tirare un lembo del mio pantalone. Mi voltai e, abbassando lo sguardo, trovai due piccoli occhi color miele fissi su di me. Un ragazzino sui sette/otto anni circa, o almeno così sembrava, mi scrutava interdetto. “Signora, si sente bene?” Inclinò confuso la testa da un lato.

Signora!?” “Signorina” Sorrisi falsamente, molto falsamente. “Comunque, certo tesoro, perché mi fai questa domanda?”

Beh, sta parlando da sola ed è in pigiama” Mi squadrò dall’alto verso il basso. “Senza scarpe, per giunta!”

Sbattei più volte le palpebre, constatando effettivamente che avesse ragione. “Le figure di merda pure nei sogni!” “Ah sì, lo so! E’ che amo svegliarmi a contatto con la natura, lo faccio tutti i giorni!” “Ma che vuoi?”

Il bambino corrucciò le sopracciglia, non molto convinto “Se lo dice lei!” Fece spallucce e corse diretto allo scuolabus appena giunto alla fermata, una cinquantina di metri poco più in là.

Ma tu guarda, ‘sti ragazzini d’oggi!” Scrollai la testa con disappunto. Fatto sta che quell’impiccione non aveva tutti i torti: ero in pigiama, il mio pigiama rosa con le farfalle, a piedi nudi, sotto a un albero, nel bel mezzo di un parco cittadino. Però, in teoria, non sarebbe dovuto essere un problema. Stavo sognando, per di più, ero cosciente di farlo… Bastava desiderare un vestito e un paio di scarpe, e tutto si sarebbe risolto! O no?

Provai più volte: mentalmente, a voce, mentalmente e schioccando le dita, a voce e schioccando le dita! Cantando, ballando, recitando una sorta di formula magica composta appositamente sul momento: “Un, due, tre, un vestito con le scarpe addosso a me!” Ma i miei piedi sempre scalzi rimasero. Sbuffai innervosita, stavo veramente perdendo la pazienza. Questo sogno stava diventando un incubo.

Nel frattempo, la città sembrava svegliarsi. Via, via il traffico diveniva sempre più intenso e diverse persone iniziavano ad affollare il marciapiede che delimitava il parco. Cominciai a sentirmi osservata: di tanto in tanto, percepivo il chiacchiericcio di qualcuno che sembrava avermi notato, e come dargli torto? Avevo le sembianze di una pazza scappata da un manicomio! E di certo, i lunghi capelli scuri arruffati e il trucco tolto in malo modo la sera precedente non erano d’aiuto.

Dovevo assolutamente trovare una soluzione, benché stessi vivendo un sogno, la situazione stava diventando pesante, e il tempo sembrava passare troppo lentamente, come fosse realtà.

Dopo esser rimasta per ore ed ore ad aspettare, senza praticamente far nulla, se non passare da un albero all’altro, nascondendomi di tanto in tanto da sguardi indiscreti tra i cespugli, decisi di affrontare la cosa, mettendo da parte la timidezza. Tanto, prima o poi, mi sarei svegliata, giusto? Anche perché, i raggi del sole iniziavano a perdere il loro tepore, e i gorgoglii della fame stavano diventando fin troppo rumorosi.

Sfruttato il momento con la minima affluenza, attraversai di corsa la strada. Iniziai a camminare a testa bassa, cercando il più possibile di evitare lo sguardo dei passanti, che nonostante tutto, riuscivo a percepire su di me. “Ma quando finirà questo incubo? Non ne posso più!” Il cielo iniziava a imbrunire, e la temperatura si era abbassata notevolmente. Ormai riuscivo a stento a trattenere le lacrime, camminavo con la testa puntata a terra e la vista annebbiata. Per non parlare dei piedi, il dolore della pianta poggiata direttamente sull’asfalto era terribile e ogni due o tre passi saltellavo incontrollata al contatto con qualche sassolino! “Voglio svegliarmi, è una tortura!” Con le braccia incrociate e le mani strette sulle maniche del pigiama, vidi terminare il marciapiede. Istintivamente, non potei far a meno di alzare lo sguardo. Sussultai alla vista dell’enorme cartello pubblicitario al di là dell’incrocio: “Benvenuti a Città dell’Ovest!” La mia bocca si spalancò. Non che non avessi capito di essere finita proprio in quel mondo, il campo visivo intorno a me parlava chiaro! Ma avere una conferma concreta, e per di più, leggere il nome di quella città, mi emozionò non poco. Forse, la speranza di vivere un bel sogno non era ancora andata a farsi fottere! Sta di fatto, che io continuavo a essere nella medesima situazione di ore, ore prima. Cosa potevo inventarmi? “Quasi, quasi mi metto a chiedere l’elemosina, tanto non mi conosce nessuno…” Scrollai subito la testa per l’assurdo pensiero, la disperazione ti induce spesso a valutare l’impossibile. Volsi lo sguardo prima a destra e poi a sinistra e vedendo una piccola via appartata dal traffico, decisi di imboccarla. Lì sarei stata sicuramente più tranquilla. Era una classica viuzza di quartiere costeggiata da edifici di cinque o sei piani, la maggior parte muniti di grandi balconate. Percorsi con calma una decina di metri, fin quando, arrivata all’altezza di un enorme terrazza a livello, notai uno svolazzante bucato appeso a dei fili, vicinissimo alla ringhiera che lo delimitava dalla strada. Vi erano stesi maglioni, felpe e qualche paio di jeans. Mi balenò un’idea. “E se…” Mi sincerai con gli occhi di essere sola, ma nuovamente scrollai la testa, cancellando l’impulso. Però, il sole era tramontato, l’aria era fredda e la fame era tanta. Non ne potevo più! “Seré, pazienza! Tanto poi ti svegli! Ma che ti frega?” Chiusi gli occhi, feci un profondo sospiro e annuendo, presi coraggio. Ributtando nuovamente uno sguardo attorno, mi avvicinai silenziosissima al muretto, e con la tipica grazia da ippopotamo che mi contraddistingue da sempre, alzai una gamba, facendo leva con le mani. Dopo il terzo o quarto tentativo, riuscii ad arrampicarmi sopra a un rialzo di poco più di settanta centimetri, incredibile. “Ma guarda tu che fatiche mi tocca fare, domani mattina sarò più stanca di ieri sera!” Finalmente in piedi sulla lastra di marmo, allungai una mano riuscendo ad agguantare gli indumenti più vicini, una vecchia felpa e dei terribili jeans marroni. Bene, ora avrei solamente dovuto cercare un paio di scarpe. Stavo per ripoggiare il piede a terra, quando avvertii un’improvvisa presa sulla mano ancora attaccata alla ringhiera. Trasalii e lentamente mi voltai. Una prorompente signora sugli ottanta mi fissava arrabbiatissima.

S-salve!” Con gli occhi sgranati e l’imbarazzo a livelli altissimi, fu l’unica cosa che riuscii a pronunciare. Dopo qualche istante di esitazione, la vecchia iniziò a urlare a squarcia gola “Aiuto! Al ladro! Al ladro!”

Con una velocità mai avuta in tutta la mia vita, cominciai a correre via in preda al panico. Sfrecciavo a piedi nudi, tra le macchine in sosta, saltando da un’aiuola all’atra mentre la signora, nel frattempo, era uscita in strada continuando a urlare “Ladra! Ladra!” sventolando un battipanni con la mano, incitando i passanti ad acciuffarmi.

Voglio svegliarmi!” Supplicai me stessa durante la corsa, piangendo ormai disperata. Svoltai il viale, quando una moto della polizia frenò davanti a me, sgommando rumorosamente. “E’ lei! Arrestatela!” Grido la voce alle mie spalle. “Ah, signò! Ma vaffanculo!” Con un’agilità inaspettatamente acquisita, riuscii a scavalcare un muretto pochi metri più in là e con le ultime forze rimaste, ricominciai a fuggire disperata. Penso che in tutta la mia vita non abbia mai corso così tanto e ricordo che la mia milza iniziò a farmelo presente. Sfiancata, ebbi un sussulto quando il rombo di quella maledetta moto ruggì nuovamente alle mie spalle, sbucata, molto probabilmente, da qualche via di traverso. Ormai ero quasi giunta al collasso, le mie gambe stavano cedendo ed ero convinta che i miei piedi stessere sanguinando dalle ferite. Riuscì a fare qualche metro ancora, finché mi resi conto di aver faticato invano: era una strada senza uscita. Un immenso muro bloccava ogni via di fuga. Lentamente mi fermai, poggiando stancamente una mano sul fianco indolenzito.

Perché ho bevuto da quella boccetta? Che cazzo mi avrà detto il cervello!?”

Il rumore del motore sparì, lasciando il posto al leggero ticchettio di raffreddamento. Avvertii, rimanendo di spalle, i passi del poliziotto farsi sempre più vicini.

Mani in alto!”

Eccoci!” Deglutii nervosa, iniziando ad alzare lentamente le braccia, fin quando, una strana sensazione me le bloccò a mezz’aria. “Ma io quella voce la conosco!” Sbarrai gli occhi “Oh mio Dio!” e portai le mani al cielo con un sorriso a trentadue denti.

Voltati!”

Ovviamente, non opposi resistenza. Ormai non avevo alcun dubbio, nonostante il casco integrale, la vera identità di quel giovane poliziotto, alto poco più di un metro e cinquanta, era più che palese. “Crili!” Esclamai incredibilmente euforica, come se fosse un amico di lunga data. L’agente abbassò subito la difesa, calando la pistola e alzando la visiera di plastica che copriva gli occhi.

C-ci conosciamo?”



Un’ora dopo…

Le lancette di quel maledetto orologio fisso alla parete davanti a me scandivano i minuti in una maniera incredibilmente lenta ed estenuante e non smettevano di ricordarmi da quanto tempo, oramai, ero rinchiusa in quel dannato incubo. Sì, perché a questo punto, di ciò si trattava. Dopo aver passato l’intera giornata come una zingara in mezzo alla strada, affamata e infreddolita, mi ritrovavo quasi arrestata, in questura, seduta su uno scomodo seggiolino, in attesa di essere interrogata! Nonostante tutto, vi era una nota positiva: l’agente che ogni tanto intravedevo fare capolino, dalla porta semi socchiusa del suo ufficio, era niente popò di meno che Crili e ciò racchiudeva in sé un barlume di speranza. Tanto, l’ipotesi sogno era ormai già scartata da un bel mezzo, e lo spazio era stato lasciato per un ipotetico coma cerebrale o per un’improvvisa pazzia. Non vi erano altre spiegazioni plausibili. Dopo l’ennesimo sospiro, vidi una mano farmi cenno di entrare. “Finalmente!” Presi coraggio, e varcai la soglia.

L’ufficio era abbastanza accogliente, non molto grande, e l’unica finestra, posta sulla parete alla destra della porta, affacciava direttamente sul cortile che costeggiava l’entrata dell’edifico. Quasi sicuramente, nelle ore diurne, era molto luminoso, vantando un’esposizione diretta alla luce del sole. Crili era visibilmente stanco e nervoso, ricoperto da pile di scartoffie, con i gomiti poggiati sull’enorme scrivania. “Polizia, buonasera.” Neanche il tempo di rivolgermi la parola, che squillò ancora una volta il telefono. Senza interrompere la conversazione, mi fece segno con la mano di accomodarmi. “Che situazione, ancora non mi capacito!” Sfruttando il suo sguardo coinvolto nel prendere appunti, mi soffermai a scrutarlo: era proprio lui, fedele all’originale, senza naso, con il tratto della saga di Majin Bu, ma rasato a zero. E la cosa più assurda, era che non fosse in carne e ossa, o meglio, lo era, ma nello stesso modo in cui sembrava esserlo nell’anime o nel manga! Ovviamente, io non ero da meno. Chissà come appariva Serena in versione disegnata?

Perfetto signora, allora può stare tranquilla. Le auguro una buona serata.” Si buttò pesantemente sullo schienale della poltrona, sbuffando distrutto. Si diede una bella grattata alla pelata sudata e afferrando i bordi della scrivania, fece leva per avvicinarsi. “Bene, veniamo a noi. Scusa l’attesa, ma è stata una giornata infernale!”

Non dirlo a me!” Scrollai la testa, sorridendo timidamente.

Come caspita ti è venuto in mente di rubare quella roba? Sei scappata da qualche istituto?”

Eccallà!*” Sapevo sarei passata per matta. “No, non è come sembra.” Abbassai la testa imbarazzata. “G-generalmente, non vado conciata in giro in questa maniera.”

E allora? Ma poi, mi hai chiamato per nome!? Perché? Come mi conosci?”

Bene, forse sembrava essere arrivato il momento. Quel momento. Magari, avrei dovuto esordire dicendo: sai, tu sei uno dei protagonisti di Dragon Ball! Ieri sera, prima di andare a dormire, ho bevuto uno strano liquido da una boccetta, ed eccomi qua! Magari! Peccato che ‘sto cavolo di sogno/incubo/trip mentale sembrava essere diventato a tutti gli effetti realtà, e la mia timidezza mi vietava di dire certe cose.

Beh, ecco… Vedi, Crili”

Crilin, mi chiamo Crilin. Con la n!”

Ah… Ok, scusa.” “Perfetto, dovrò rivedere un sacco di nomi!”

Insomma?”

Insomma, inizia a sbiascicare frasi senza senso, non capendo da che punto iniziare a raccontare la storia, tanto per non passare ancora per pazza, senza gettare acqua sul fuoco. Più proseguivo, più il suo interesse nell’ascoltarmi andava scemando. Lo vedevo, di tanto in tanto, alzare lo sguardo tra lo schermo del computer e i fascicoli aperti sulla scrivania. Mancava solo un bello sbadiglio e il quadro era perfetto! Molto probabilmente non credeva a ogni singola parola.

I-io so il tuo nome, perché ti conosco. Vi conosco.” Stringevo fortissimo la stoffa dei pantaloni, con lo sguardo puntato sul portapenne accanto al telefono.

Crilin alzò un sopracciglio. “Ci conosci? Cioè?”

Cioè… Ascolta, ricomincio da capo.” Presi coraggio e incrociai il suo sguardo. “Io vengo da un mondo, diciamo, parallelo. Ieri sera sono andata a dormire nel mio letto e stamattina mi sono svegliata in questa dimensione. Ho detto di conoscervi perché” Sospirai, portando una mano dietro al collo “voi siete famosi, fate parte di un” non so il motivo, ma dire fumetto, in quel preciso istante così dannatamente reale, mi sembrava assurdo. “una storia. Ho sperato con tutta me stessa di riuscirci, ma mai avrei pensato che sarebbe andata a finire in questo modo! Sto vivendo questo sogno come se fosse una realtà parallela.”

Terminai il monologo sperando con tutta me stessa di averlo convinto, almeno in parte, ma il suo sguardo scettico e al contempo attonito non sembrava dare una risposta positiva. Si riaccasciò sullo schienale della poltrona e incrociò le braccia.

Non ho ancora capito cosa intendi per voi.

Tutto quel discorso, per poi chiedermi solo questo? Ottimo.” Mi schiarii la voce. “Tu e tutti i tuoi amici” Iniziai a elencarli lentamente, prendendo pausa tra un nome e l’altro “Bulma…Yamcha… Muten… Goku” Ecco, qui ebbi un fremito. Ero nel suo mondo. In questo mondo lui c’era. In questo mondo era reale. “Cristo santissimo!”

Frena, frena! Potresti benissimo esserti informata! Bulma è famosa, qui in città e in tutto il mondo. Yamcha è un giocatore profe”

Mi alzai in piedi così d’impulso che non riuscì a terminare il discorso. “Ti prego Crilin, non sto scherzando! Sto iniziando a essere disperata!” I miei occhi tornarono ad arrossarsi e velarsi di lacrime. “Sono quasi dodici ore che vago in pigiama senza una meta! Digiuna, senza scarpe e molto probabilmente, visto l’andazzo, mi toccherà dormire per strada! Sto impazzendo, devi credermi! Te lo giuro, te lo giuro su” e lì, ebbi un lampo di genio “su Dende.”

Due occhi, improvvisamente sgranati, mi fissarono. “E-e tu c-come fai a” L’avevo lasciato senza parole “Cavolo!” Portò le mani alla testa spiazzato.

Ovviamente, nessun umano, in questo mondo, era a conoscenza del nome di battesimo del venerato Supremo. Avevo colto nel segno. Mi risedetti, attendendo silenziosamente la sua reazione.

Va bene, provo a crederti.”

Ce l’ho fatta!” Sospirai, scrollando via tutta la tensione di dosso. Lo vidi alzarsi, avvicinarsi al mio fianco e poggiare la schiena al bordo della scrivania. Grazie a Dio, anzi, grazie a Dende, cominciavo a intravedere quel barlume di speranza.

Facciamo così” incrociò le braccia al petto “prima di tutto, cerco di rimediarti qualcosa da mettere.” Posò lo sguardo sull’orologio al polso “Tra una mezz’ora finisco il turno e non posso portarti in giro in questa maniera!” Gli sorrisi, constando l’evidenza. “Poi, dammi il tempo di fare una telefonata e vedrai che troveremo una soluzione.” I miei occhi si riempirono di felicità e, dentro di me, sentii smuovere qualcosa. Il mio sesto senso iniziò a bussare e, molto probabilmente, lo captò anche lui, poiché colse prontamente la mia espressione incuriosita.

Hai detto che conosci tutti i miei amici, no? Chi credi possa contattare in grado di aiutarti, in questa città?”

A quel punto, le mie labbra si schiusero a comando e un sorriso enorme apparve sul mio volto. Risposi esternando, finalmente, tutto il ritrovato entusiasmo: “Bulma!”







Note

Ciao a tutti! Forse qualcuno ancora non mi conosce, quindi, per sicurezza, mi ripresento: sono Serena, fra qualche giorno compirò 32 anni, sono sposata e sono mamma di una bimba di due anni. La storia in cui vi siete imbattuti rappresenta per me una sorta di sfida. In realtà, mai avrei pensato di crearne una fanfiction! Ciò che ho iniziato a raccontare, è nato circa quattro anni fa, come una specie di fantasia, e credevo che tale sarebbe rimasta! Su incitamento del marito, mi sono buttata e ho iniziato a scrivere… Vi porterò in un viaggio ambientato nei miei sogni, sperando che possiate impersonarvi nel mio personaggio. Come avrete visto, il narratore, essendo io, è in prima persona, ma non sarà sempre così, tranquilli! Non racconterò solo fatti personali, ci saranno tante altre situazioni parallele, con delle coppie a voi molti famigliari! Spero tanto di non avervi annoiato! Vi ringrazio di cuore e al prossimo capitolo! Sereana <3

Angolino dell'autrice

Oh, che bello trovarvi qui! Se siete arrivati a questo punto, significa che avete terminato la lettura del primo capitolo e spero con tutto il cuore vi sia piaciuto! Che brutta “giornata” vero? Ma sembra che tutto stia avendo una svolta positiva…

Nel prossimo capitolo vi porterò con me nella Capsule Corporation e spiegherò il modo con cui sono riuscita a capitombolare in “questo” mondo… Chissà come reagirà Bulma e, soprattutto, cosa mi capiterà ancora!

Intanto vi ringrazio e vi aspetto al prossimo aggiornamento <3

*ecco qua, non rendeva l’idea ahahahahah Sono del Lazio e quell’esclamazione l’ho trovata più consona!















  
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