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Autore: Neamh Moonstar    05/02/2022    2 recensioni
Crowley smise di farsi domande. Affondò le dita in quei riccioli di neve, decise di lasciar perdere il resto e di crogiolarsi in quei baci appassionati fino al mattino. Sarebbe andato avanti per sempre ed oltre, stringendo a sé quella luminosa essenza inebriata che era ora sua - che avrebbe sempre voluto che fosse sua ma non lo aveva mai ammesso.
Se ne sarebbero pentiti. Oh, se ne sarebbero pentiti eccome.
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Fanfiction in tre parti ispirata al testo di: "Brividi" di Mahmood e Blanco.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Brividi - Prima Parte


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Come avevano fatto a ritrovarsi in quella situazione? 

Ah già, si disse Crowley - ancora raggomitolato a riccio sotto le coperte. Avevano provato a riappacificarsi e le cose gli erano sfuggite di mano. 


A dirla tutta, forse non era stata colpa loro. Guerra stava lacerando il mondo, graffiandolo con le sue unghie laccate di rosso e bevendo il sangue di milioni e milioni di vite innocenti. Erano tempi bui e freddi dove l'odio insensato e la paura la facevano da padroni, dove i proiettili e le bombe lasciavano solchi irreparabili nei cuori e nelle strade. Vite intere perse troppo presto e troppo brutalmente, lasciate alla mercé del Paradiso quando andava bene e dell'Inferno nella stragrande maggioranza dei casi. Era la seconda volta che un conflitto mangiava il mondo e la seconda volta che a Crowley veniva dato il merito di qualcosa con la quale non aveva niente a che fare.

Perciò era venuto automatico cercare conforto. Non importa se sei una creatura immortale, non importa se il massimo che può succederti se ti sparano è dover chiedere un corpo nuovo; emotivamente parlando è difficile andare oltre a gli orrori quando sei costretto a conviverci. Era una situazione particolare: il demone provava uno strano senso di agrodolce mentre vagava per le strade, osservando la miseria. Da un lato c'era la sua natura, oscura e sogghignante, che ridacchiava; dall'altro c'era un senso di odio e nausea verso la smania che gli umani avevano di uccidersi a vicenda. Non potevano farne a meno, accidenti a Caino.

Perciò, per Crowley non si trattava che di stringere i denti e andare avanti. Per l'angelo, però - come per qualsiasi angelo con la testa apposto, e lui era l'unico - doveva essere stata una vera e propria tortura. Chissà a quanti falò di opere letterarie aveva assistito, quante preghiere aveva ascoltato...

Non si vedevano da tempo. L'ultimo ricordo che avevano l'uno dell'altro erano una litigata e una richiesta che era andata un po' troppo oltre. Superata la fase di ego - che era durata un bel po' - Crowley aveva iniziato a sentirsi leggermente in colpa. Il pensiero lo aveva consumato al punto da infilarsi nei suoi sogni, rovinando così la possibilità di dormirci su e lasciar perdere. 

Non lo avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura, ma aveva sognato Aziraphale più spesso di quanto volesse. Perlopiù la sua testa lo aveva portato a immaginare scenari dove lo portava via con sé, volando via dalle autorità che impedivano loro di avvicinarsi, di aiutarsi come avrebbero voluto. Era imbarazzante, davvero.

Per questo era stato un sollievo vederlo in quella chiesa mentre cercava di svolgere il suo compito con la stessa ingenuità di sempre. Per questo era stato meraviglioso vedere il suo volto illuminarsi quando gli aveva restituito il borsone pieno di libri. Era stato come accendere un lume in quella notte infinita, fatta di distruzione e morte.

E quello sguardo celeste aveva continuato a posarsi su di lui come una carezza in mezzo alla violenza in cui erano sommersi. Dovette far finta di non vederlo, nonostante avesse una strana voglia di infilarcisi dentro - e per un po' ci riuscì. Ci riuscì per buona parte del tragitto in macchina che Aziraphale aveva accettato con un leggero e distratto: «Sì, grazie», detto con un tono di miele.

Il silenzio era calato, creando un'oasi di pace. Rimase solo il rombo della Bentley e lo scricchiolio delle ruote sopra le macerie, mentre Crowley si infilava per tragitti che senza le precauzioni miracolose del caso sarebbero stati troppo pericolosi.

    «Come stai?» Gli aveva chiesto Aziraphale ad un certo punto.

    Tenendo gli occhi fissi davanti a sé, fece spallucce: «Potrebbe andare peggio.»

    «Ti vedo un po'...» l'angelo si bloccò, cercando le parole giuste. «Spento, diciamo. Come se fosse cambiato qualcosa.»

    «Che vuoi farci, è la situazione.»

In risposta gli arrivò solo un leggero: "Mh", che sapeva tanto di: "Credimi, ne so qualcosa".

Crowley avrebbe voluto rigirare la domanda, ma rimase fisso a pensare se fosse effettivamente cambiato nel corso di quel lungo periodo. La verità era che l'unica differenza era stata l'assenza dell'angelo ora accanto a lui: una voragine nella sua esistenza fatta di ordini da eseguire, idee da far convalidare e complimenti che non si meritava.


    Quando arrivarono a destinazione, diede uno sguardo alla libreria alla sua destra. «Ti si addice» commentò con un sorrisetto.

    «Dovresti vederla all'interno.»

    «È un invito?»

    Aziraphale fece una leggera e morbida risata: «Offrirti qualcosa mi pare il minimo.»

E chi era lui per rifiutare? 

Scesero entrambi dalla vettura ed entrarono in quel luogo che tanto assomigliava ad un bunker tanta era la divina protezione che lo rendeva immune a gli orrori della guerra. 

    «Certo che ne hai salvati tanti di libri» disse il rosso togliendosi gli occhiali da sole e facendo saettare lo sguardo verso gli scaffali.

    «Non sai quanti» rispose l'altro posando il borsone e andando a recuperare due bicchieri e una bottiglia di vino. «Questa guerra è un attentato alla cultura.»

    «Giá. Immaginavo ti saresti fatto in quattro per questo.»

Si accomodarono l'uno davanti all'altro attorno ad un tavolino, iniziando a sorseggiare come se nulla stesse accadendo e si fossero incontrati solo per fare due chiacchiere.

    «Ammetto che ciò che è accaduto in chiesa è stato inaspettato e alquanto ridicolo,» rispose Aziraphale sbuffando. Poi indicò un punto imprecisato del pavimento davanti a sé: «Ti fa ancora male?»

    Crowley ci mise un attimo per capire che si stava riferendo alla sua entrata-barra-camminata sui carboni ardenti. «Nah,» rispose, con una mezza smorfia, «è già passato. E poi è stato divertente: avresti dovuto vedere la tua faccia.»

Fu così che iniziarono a raccontarsi tutto ciò che era accaduto loro negli ultimi tempi: dai piani mal riusciti, alle piccole conquiste, alle volte in cui avevano dovuto operare l'uno contro l'operato dell'altro senza mai vedersi, senza più incontrarsi. Ad ogni storia un sorso, ad ogni sorso la voglia di andare avanti a parlare come se l'Inferno, il Paradiso e Guerra non esistessero; come se l'universo fosse sparito e fossero rimasti loro due soli.

Crowley si alzò più volte per enfatizzare un concetto, allargando le braccia come se volesse abbracciare l'aria. Dal nulla si erano ritrovati a passeggiare tra gli scaffali, a mettere su musica classica, a cercare di connettere concetti sul divanetto sul retro. 

Le bottiglie erano diventate tre, i pensieri si erano fatti troppi, le parole avevano iniziato a rotolare ubriache fuori dalle loro bocche per andare a volteggiare nell'aria come se girasse loro la testa.

    «Sai, adesso ho capito» aveva affermato Aziraphale ad un certo punto, guardando il soffitto avvolto nella penombra.

Chissà come avevano deciso di andare di sopra, laddove nemmeno l'angelo metteva piede così spesso. 

    «Cosa? Che hai capito?» Gli aveva chiesto Crowley. Se ne stava sottosopra, le gambe sullo schienale di una poltrona accanto al letto dove l'altro era seduto, schiena alla parete.

    «Cos'è cambiato in te.»

    «Ah sì? Cos'è cambiato?»

    «I tuoi occhi,» affermò l'angelo corrugando la fronte. «Sai erano più luminosi prima.»

    Crowley alzò un po' la testa, confuso - il movimento creò un leggero giramento. «Prima?» 

    «Sì. C'era come una luce: adesso è sparita.»

    Il demone tornò ad accasciarsi con uno sbuffo: «Non è colpa mia. 'Sta guerra è una merda» affermò, guardando tristemente il suo bicchiere ora mezzo vuoto. «Dicono che è stata un'idea mia. Non è stata un'idea mia.»

    «Lo so, lo so» lo rassicurò Aziraphale con un mezzo sorriso. «Non ne saresti capace.»

    «Non è quello-» rimbeccò il rosso scostando una gamba e cercando di mettersi a sedere. Quando ci riuscì - e non fu facile - aveva già scordato quello che voleva dire.

    L'angelo cambiò discorso: «Sai, dovremmo ricomporci e tu dovresti tornare a casa.» 

    «Mh. Non ho voglia di tornare là fuori: non ti ho ancora chiesto scusa.»

    Il biondo inclinò la testa, facendo rimbalzare qualche ricciolo sulla sua fronte. «Di che parli?»

    «Sai, la cosa dell'acqua santa.»

    «Mh...» Fu la prima risposta, seguita da un ceruleo sguardo perso. «No, scusa tu. Sai, ho avuto paura per te e mi sa che ho esagerato con le parole». Detto ciò, svuotò il bicchiere.

    «Tu,» iniziò il demone alzandosi e andando involontariamente a finire sul letto accanto al biondo. «Tu hai sempre troppa paura, angelo.»

    Aziraphale parve rabbuiarsi: «Dici?»

    Crowley annuì solennemente: «Alla fine- alla fine vedrai che ci anneghi nella paura. Ci anneghi e non risali come-» si fermò a pensarci, gli occhi scoperti e immobili. «Come nel mare profondo.»

   L'altro gli diede due pacche sul ginocchio: «Mi sa che hai ragione.»

    «Sai- sai come la superi? Buttandoti. Facendo qualcosa che non faresti mai.»

    «Molto saggio da dire, caro». Poggiò il bicchiere sul comodino e lo guardò con lo stesso sguardo che aveva messo su dopo che aveva riavuto i suoi libri in mano. Dentro quelle pozze celesti c'erano un'infinità di "grazie", e il demone non avrebbe saputo come gestirli se fossero venuti fuori.

    Così si limitò a stringersi nelle spalle: «So essere di ispirazione quando voglio.»

Quella frase uscì fuori più stentata di quello che avrebbe dovuto, ma fece ridere Aziraphale e tanto bastava.

    «E qual'è una cosa che tu non faresti mai?» Chiese quest'ultimo posandosi un braccio sulla fronte.

    Con un fischio, Crowley rispose: «Da dove comincio?»

    «Dall'inizio, no?»

    I loro sguardi si concatenarono, e il rosso scosse la testa: «Mi odieresti.»

    «Cielo, e cosa te lo fa pensare?»

    «Fidati.»

    Aziraphale sbatté gli occhi un paio di volte, confuso: «Non ti odierei mai, non per davvero.»

    «E invece sì, sta' a vedere.»


Non avrebbe saputo dire quale strano meccanismo mentale l'avesse portato a fare quella cosa. Più tardi avrebbe dato la colpa all'alcool, alla situazione difficile, alla sua impulsiva spontaneità, sapendo che in realtà erano stati tutti i sentimenti sotterrati nel suo inconscio. Erano venuti fuori tutti di colpo, approfittando di quel momento di debolezza.

La sua mano libera aveva afferrato il bavero della camicia dell'angelo e la sua testa era scattata in avanti come solo quella di un serpente saprebbe fare. Le loro labbra si erano unite come due pezzi di puzzle fatti apposta per incastrarsi e il tocco gli aveva fatto salire uno strano brivido lungo la spina dorsale, come fosse stato colpito da un fulmine.

La parte ancora lucida di lui si aspettò di combattere contro un rifiuto che non venne mai, anzi: il bacio venne ricambiato con una dolcezza morbida, delicata, carica di affetto. Al primo ne seguirono altri: si unirono, si separarono, si riunirono per poi staccarsi e riprendersi ancora, ancora e ancora. Ogni tocco portava ad un evoluzione e presto si ritrovarono l'uno sopra l'altro, il bicchiere di Crowley dimenticato chissà dove, proprio come la realtà.


Come avevano fatto a ritrovarsi in quella situazione? Come avevano fatto le loro mani a scontrarsi indaffarate, prese nello sfilare giacche, sbottonare camicie, strappare cinture con foga? 

Come avevano fatto i loro corpi ad avvinghiarsi? Come avevano fatto le loro menti offuscate ad annegare nell'ebbrezza di quel gesto e di quei baci che si spostarono dalle labbra ai volti, dai volti al collo?

Non c'era risposta, non c'era soggetto: sembrava una fusione. C'erano solo loro e la prigione di lenzuola che presto si costruirono addosso, forse per nascondersi dal resto del mondo o forse per qualche strano ed arcano motivo.


Crowley smise di farsi domande. Affondò le dita in quei riccioli di neve, decise di lasciar perdere il resto e di crogiolarsi in quei baci appassionati fino al mattino. Sarebbe andato avanti per sempre ed oltre, stringendo a sé quella luminosa essenza inebriata che era ora sua - avrebbe sempre voluto che fosse sua ma non lo aveva mai ammesso.

Se ne sarebbero pentiti. Oh se ne sarebbero pentiti eccome.

Non era quello il modo di allontanare la paura, no. Avrebbe fatto di tutto per amare l'angelo, ma quello era troppo e lo sapeva. Lo sapeva benissimo, ma ormai non poteva fermarsi.

Amava troppo stringere quelle guance. Amava troppo circondare quei fianchi. Amava troppo tutto ciò.


E allora come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione? Solo, nudo, raggomitolato sotto le coperte, i brividi sia di freddo che superstiti dell'eccitazione, e la luce di un nebbioso mattino addosso?

Ah già, si disse, girando appena la testa verso il lato di letto vuoto accanto a lui.

Ad un certo punto Aziraphale se n'era andato.

Lo capì ripescando i ricordi confusi che ancora galleggiavano pigri sul mal di testa da sbornia, e arrivò alla conclusione che era tutta colpa sua.

Perché esprimere amore non era proprio nella sua natura. Lui sapeva solo reagire a tutto con esagerazione e violenza.


Avrebbe fatto di tutto per amare l'angelo, ma non poteva. Gli avrebbe rubato anche le stelle, una ad una, nel gesto più dolce e romantico di sempre. Ma quelle cose non riuscivano mai a sforare la sua anima scura e bruciata.

Si buttò un cuscino sulla faccia. Aziraphale non lo avrebbe mai perdonato: lo aveva praticamente tentato, alla fine. La tentazione nella sua forma più pura.

Il biondo glielo avrebbe detto molti anni dopo: "Vai troppo veloce". Ma Crowley lo capì da solo nel silenzio del momento.

Perché?

Perché sbagliava sempre?

    



   
 
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