Il campo di farfalle
Non l’ho capito finché non è successo e non ho volato. Proprio come una farfalla.
La mamma quel giorno non mi mandò a scuola, diversamente da mio fratello Luca. Mi domandai perché, ma non ebbi il coraggio di chiederlo ad alta voce. Negli ultimi tempi non mi piaceva restare a casa da solo con lei; era strana e piangeva all’improvviso. Pianse anche quella mattina; per tutto il tempo. I suoi occhi erano di nuovo arrossati e gonfi; mi facevano paura. Somigliavano a quelli del mostro sul fumetto di Riccardo. Quando lo dissi a papà, lui mi chiese di avere pazienza, che presto sarebbe andata meglio. Mi spiegò che la mamma era triste per la perdita della mia sorellina. Solo una settimana prima la mamma era tornata dall’ospedale, ma Virginia non era più nella sua pancia.
“È
per questo che piange”,
pensai, ma
ancora non mi spiegavo perché spesso si arrabbiava con me gridandomi
contro. Come
non capivo perché papà mi chiedeva di continuo di non farla arrabbiare.
Ora
l’ho capito!
Eppure quel giorno, credevo di essere stato buono!
Subito dopo pranzo, la mamma mi chiese di
fare una passeggiata; la nostra casa era in campagna, tra grandi prati
e un grazioso
boschetto poco più su.
C’incamminammo e corsi subito pochi passi avanti a lei, stando attento a non allontanarmi troppo. Intanto che procedevo, iniziai a non riconoscere la strada. C’eravamo persi? Mi fermai a riflettere e mi tornò in mente che poco prima, la mamma mi aveva fatto svoltare a destra invece di continuare dritto.
«Dove stiamo andando mamma? Non conosco questa strada», chiesi avvicinandola.
«C’è un campo di fiori più avanti. Mi hanno detto che è pieno di farfalle. Pensavo ti sarebbe piaciuto vederlo.»
La notizia mi rese così felice! Avevo
sempre amato le farfalle, non vedevo l’ora di arrivare e iniziai a
saltare per
la gioia. La presi per mano
e la trascinai
per un tratto di strada. Già mi vedevo correre nell’erba e tra le
farfalle, con
il sole a riscaldarmi la pelle e il vento ad asciugarmi il sudore.
Mi staccai da lei dopo poco. In lontananza intravedevo una nuvola scomposta muoversi sopra il prato. Feci per correre, ma le raccomandazioni di papà mi tornarono subito alla mente e mi fermai voltandomi a cercarla. Lei non c’era.
Mi colse la paura. Era già successo una volta; l’inverno appena trascorso. Io, mio fratello Luca e la mamma eravamo nel bosco per raccogliere la legna. All’improvviso ci accorgemmo di essere soli. Ricordo di aver pensato che sarei morto di paura. Continuavo a chiedere a mio fratello come saremmo tornati a casa e lui, mascherando la paura, rispondeva che avremmo trovato un modo.
Allora iniziammo a camminare, Luca mi
teneva
la mano stringendola di tanto in tanto per tranquillizzarmi. Alla fine
raggiungemmo la strada principale. La signora Emilia, di ritorno dal
lavoro, ci
vide e ci diede un passaggio.
Una volta a casa, ebbi l’impressione che
la mamma fosse sorpresa di vederci, ma non riuscii a chiedermi il
perché; iniziò
a sgridarci e a incolparci di esserci allontanati. Alla fine ci
rinchiuse nello
stanzino delle scope per punirci; fu papà a liberarci, di ritorno dal
lavoro. Era
già buio quando tornammo finalmente nelle nostre stanze.
In quel momento, in quel campo di farfalle, mi sentii come quel giorno: sperduto.
«Mamma!?»
La chiamai aspettando una risposta che però non arrivò. Continuai a chiamarla ancora e ancora, alzando la voce che iniziava a tremare.
«Ho solo
otto anni», pensavo «non posso
restare qui da solo. I cinghiali mi mangeranno e se non loro, lo
faranno i
mostri appena farà buio.»
Cercai di calmarmi ripensando a cosa avevo fatto di sbagliato per far scappare la mamma. Non farla arrabbiare, essere obbediente, non allontanarmi da casa, combattere la paura… «Se solo fosse facile! Io ho paura porca zozza e la mamma non ha bisogno di un motivo per arrabbiarsi», mi sfogai ad alta voce.
«Domenico!»
Mi voltai cercandola con gli occhi,
incredulo nel sentire la sua voce. La vidi accanto a un grande albero;
mi tendeva
le mani.
«Non
è come l’altra volta, non mi ha lasciato.»
«Guarda!», disse.
Seguii con lo sguardo la direzione della sua mano che indicava qualcosa e restai senza fiato quando le vidi.
C’erano farfalle che volavano per tutto
il
prato. Iniziai a correre felice, tutta la paura e la tristezza, svanite
nel
nulla; e non era per le farfalle, era per la mamma.
Corsi ridendo come uno sciocco, saltando nel tentativo di raggiungerle, di volare con loro, ma prima volevo abbracciare la mamma, dovevo dirle che le volevo bene. Il vento mi faceva lacrimare gli occhi o forse non era il vento, ma in quel momento non importava. Feci un salto per andarle in braccio e mentre la guardavo, quel salto sembrava non finire mai. Lei, era appoggiata al tronco dell’albero e il suo sguardo…, mi spezzò il sorriso.
Mentre ancora volavo, lei si girò dall’altra parte.
Non
capivo perché non riuscivo a raggiungerla. Continuavo a restare sospeso.
Sbattei di colpo contro un muro di terra, che mi strappò un rantolo. D’istinto arrancai con le mani per aggrapparmi a qualcosa, ma per quanto provassi, non riuscivo a fermarmi, ad aggrapparmi. Quando alla fine ci riuscii, vidi che stavo stringendo un ciuffo d’erba con poche radici. Ebbi paura. Una paura folle che mi sarebbe successo qualcosa di brutto.
Alzai la testa in cerca della mia mamma perché sapevo che se l’avessi trovata, tutto sarebbe andato bene, ma quando la trovai, appena sopra di me, la trovai immobile, fissa a guardarmi mentre piangeva. «Mi dispiace», disse. «Mi dispiace.»
Fu in quel momento che i ciuffi d’erba si strapparono, lasciandomi cadere nel vuoto intanto che gridavo al cielo il mio spavento. Vidi le farfalle volare intorno alla mamma, che si abbracciava cadendo a terra.
Poi tutto finì.
Il mio volo, finì contro una pietra piatta, in fondo al dirupo di un campo di farfalle.
Non ebbi più pensieri, non sentii dolore
né tristezza. Anche la paura se ne andò. Solo il sole continuò a
brillare e
lentamente iniziai a sentirmi leggero. Con titubanza, risalii il
dirupo. Trovai
il coraggio di guardare giù e mi vidi; ero sdraiato sulla roccia con un
cerchio
rosso intorno alla testa. Somigliavo a un Santo. Alzai gli occhi e
trovai la
mamma. La guardai alzandomi sopra di lei. Si asciugava gli occhi con
una
manica, respirando a bocca aperta, ma aveva la testa rivolta da
un’altra parte;
non riusciva a guardarmi o forse non voleva.
Lentamente si alzò, facendo attenzione a non far rumore. Sembrava non volesse svegliarmi da quel sonno in cui mi aveva messo e come un fantasma iniziò a camminare lontano da lì.
Non mi regalò neanche un ultimo saluto.
«Perché mamma?», dissi sottovoce «Non ti ho fatto arrabbiare, non ho combinato guai e stamattina ho asciugato le tue lacrime. Ti ho baciato per dirti che ti volevo bene. Ti sono rimasto accanto finché non mi hai relegato a giocare in un angolo della casa perché la mia voce ti dava il mal di testa anche se parlavo sottovoce. Mi dispiace di non essere un bravo bambino per te.»
Sentii il bisogno di seguirla, di avvicinarmi a lei così mi spinsi in quella direzione, ma non riuscii a muovermi, e così rimasi a guardarla sconsolato, capendo che non l’avrei più rivista.
«È colpa
della tua malattia, adesso lo
so»,
pensai. «È per colpa sua se non possiamo stare
insieme. So che non volevi lasciarmi volare via. È la malattia che te
l’ha
fatto fare. Ti sento piangere la notte e papà passa tanto tempo fuori
casa
perché non sa più cosa fare. Sei sempre triste. Piangi per Virginia e a
volte mi
sono chiesto se non saresti stata più felice con lei; con noi non ridi
più. Luca
non dice mai niente, ma io so che lo pensa anche lui. La nonna ci ha
detto che
era bellissima, ma che gli angeli l’hanno voluta vicino a loro. Ha
detto che è
volata in cielo come una farfalla.»
Il pensiero di questo mi fece sentire
immensamente solo così allungai lo sguardo, ma non vidi più la mamma.
Realizzai che non avrei più rivisto nessuno della mia famiglia; papà, la nonna, Luca. Neanche Pipi, il nostro cane. So già che mi mancheranno tantissimo e mi mancherà anche la mamma. Ora so cos’era quella strana ombra che velava i suoi occhi da quando è tornata dall’ospedale. Era dolore.
«Non preoccuparti per noi mamma» dissi a nessuno. «Mi prenderò cura di Virginia e la mia assenza, forse, riuscirà a guarirti. Credo sia per questo che mi hai fatto volare.»
Non so come, ma potei vederla entrare e
sedersi al suo solito posto sul divano. “Presto
Luca tornerà a casa da scuola”, riflettei. Ero uno sciocco ad
arrabbiarmi con
lui ogni volta che non voleva rincorrere le farfalle insieme a me! Ora
sono
felice che non l’abbia mai fatto.
A Luca non piacciono le farfalle. A lui piace leggere, stare con papà, andare dietro alle ragazzine.
«Ti
voglio bene mamma, ma spero che nessun altro dovrà volare come una
farfalla,
per farti guarire.»