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Autore: EleonoraParker    18/02/2022    2 recensioni
Ella era Luce, sempre lo era stata.
Sin dal primo lieve sospiro di solitudine, una curiosa speranza.
Era Luce come lo era il sole, che bastava la sua voce, il suo profumo,
la sua sola presenza a richiamare, prepotente, ogni attenzione, anima e sguardo.
Ma i giovani occhi non erano in grado di sostenere tal'visione,
di assorbire tale Luce, aggressiva e vitale come la sua copia celeste, e da essa rimasero bruciati.
Genere: Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vista mia volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorò nel mio sguardo
sì che da prima il suo viso non sofferse;"
(Paradiso, canto terzo)

 
 
Ella era luce
 
Ella era Luce, sempre lo era stata.
Sin dal primo lieve sospiro di solitudine, una curiosa speranza.
Era Luce come lo era il sole, che bastava la sua voce, il suo profumo,
la sua sola presenza a richiamare, prepotente, ogni attenzione, anima e sguardo.
Ma i giovani occhi non erano in grado di sostenere tal'visione,
di assorbire tale Luce, aggressiva e vitale come la sua copia celeste, e da essa rimasero bruciati.
 
Vi si abituarono, poi, sol perché già un po' ciechi,
sol perché capaci di scorgerla anche da chiusi.
 
Ma ella era Luce più forte, più alta, sebben più subdola, del sole,
e presto ognun capì, che non c'erano modi in cui ci si potesse da ella salvare.
Così un giorno, ragazzo solo, troppo per i suoi simili e troppo poco per i suoi compagni,
nell'ombra d'un immenso soffitto cercò rifugio.
E vi ritrovò giganti di passione e magniloquenza, imponenti cumuli di secoli di dolore,
infinite carte vergate alla ricerca di una via di fuga, eternità di guerre sopravvissute alla morte che loro stesse avevano portato.
E trovò rifugio, allora, dagli occhi di un mondo infame, per anni, cercando di trovare la risposta.
Solo un modo, per non farsi dalla Sua luce consumare.
 
"...e veste la sua persona d'un diaspro
tal, che per lei, o perch'ella s'arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda:
ed ella ancide, e non vol ch'om si chiuda
né si dilunghi da' colpi mortali,
che, com'avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun'arme;
sì ch'io non so da lei, né posso, atarme."
(Così nel mio parlar)
 

 
Eppur ragazzo non trova risposta, distratto dal flusso degli anni.
Cade, forse si lascia atterrare.
La Sua luce gli offusca la vista, non può più vedere, ed in un istante è troppo tardi.
Forse lo sarebbe stato comunque, perché nessuno può scappare ai Suoi colpi mortali.
E dunque attende, si dibatte. Valuta quale sia la miglior strategia per conquistare quella via di fuga,
ancora torna a cercar risposte nella porosa frescura.
E lì giace fragranza, concitati sospiri di passione, menzogna, timorosa, sognante, agognante riverenza.
Finché egli non trova l'impossibile.
Un intero universo, il sistema solare, tutto teso al soggetto di un amore impossibile come il suo, figlio di uno spirito anelante.
Ed è allora che egli accoglie la nozione della sua sconfitta, la fa sua.
E' solo allora che il ragazzo, di un passo più vicino all'uomo, accetta di non avere più nessuna speranza.
Di essere condannato, e consacrato, alla Sua unica luce, che ora più spesso di prima riluce di pietra
 marmorea, adamantina negli occhi, e par chiusa e protetta oltre ogni tentare.
 
Ma non lo è, e lui lo sa.
La può vedere, nelle sere d'estate, dietro quella lacrima non pianta che forse un giorno la lascerà andare.
Ed egli comprende, nello stesso istante, la propria immensa fortuna.
Il suo privilegio, che profuma di aria di mare tra i capelli, di rosa canina, e brilla come schiuma innocente e rabbiosa.
Allora accetta, con un sorriso, la Sua luce, e la certezza che, un giorno, Ella sarà la sua fine.
 
 
"Che più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov'altre li occhi induca,
per tema non traluca
lo mio pensier di fuor sì che si scopra,
ch'io non fa de la morte, che ogni senso
ca li denti d'Amor già mi manduca;"

 
E l'esistenza continua a scorrere, il mondo a girare, tra riflessi di cristalli, pomposa ostentazione, lucidi sentieri per vesti volteggianti, tessuti leggeri appesantiti da sporchi desideri.
L'orgoglio sopprime la gelosia, che pur spesso minaccia di straripare dagli argini della consapevolezza
d'essere di un gradino più in alto, rispetto a tutto il resto del mondo.
Ed ecco Lei è lì, e la guarda danzare, una stella brillante in controluce, ad oscurare il firmamento.
In un momento lo può percepire, quel cuore, gonfio al punto d'esplosione, di cui ha tanto sentito parlare.
Un passo oltre l'amore, adorazione.
Che se l'anima fosse il mondo, Lei sarebbe Dio.
Ma non è come un sogno, allucinazione, fuggevole illusione: dopo un battito di ciglia ancora non scompare.
Ci prova egli, allora, la paura a prendere il potere.
Si era convinto di essere bravo a celare, dopotutto, crede sia tutto ciò che realmente sa fare,
eppur nei volti intorno a sé è evidente l'ammirazione, come potrebbe dunque non esserlo la devozione?
Ma nessuno pare accorgersene, forse è lui solo ombra di una folgore.
Ed è meglio così, perché il mondo non potrebbe capire, anche se a volte lo vorrebbe urlare, sì, come bestia dilaniata nel bagliore lunare, vittima di una forza più feroce del peggior predatore.
Ma lui la può soffocare, è convinto che sia così, anche se persino la morte, rispetto ad essa, incute meno timore.
 
 
"Ahimè! Perché non latra
per me, com'io per lei nel caldo borro?
Chè tanto griderei:;
e fare'l volentier, siccome quelli,
che ne' biondi capelli,
ch'Amor per consumarmi increspa e dora,
metterei mano, e piacere'le allora."

 
 
Eppur cresce fin troppo, quel cuore prigioniero.
A straziarlo ora anche il corpo, dacché conosce il desiderio.
Tremante come seta, un pensier fugace, animato da istinto caldo e dolce come insidia,
carezza la mente soggiogata, quando Luce di luce riluce, in un passo certo, in una mise forse casuale,
ignara della sua freddezza da carnefice.
Ma egli lo blocca, esso non può prosperare: troppo sacra la luce, da toccare.
 
Ma nella notte graffia la carne, un baratro ribollente si apre sotto il corpo inerte.
E' terribile, è tutto ciò che dalla selva oscura si interra, eppure negli attimi di dolore appare quasi accogliente, migliore del bordo rovente sul quale egli, in equilibrio, si ostina a restare.
Tuttavia allora ricorda, l'uomo sul punto di perdere per sempre il ragazzo,
di quando cercava risposte tra la polvere e le ore solitarie,
ricorda le condivise risate che alleggeriscono il cuore,
uno sguardo pungente, eppure tanto debole da fare male.
Ricorda, semplicemente, la benedizione che anni prima accolse, e solo allora la sua anima smette di latrare.
E si sente come se stesse scappando, egli può scappare, ma non a lungo, di certo non per sempre.
Presto o tardi, la vita gli presenterà il conto, il debito di ogni innocente, quello che crederà di non meritare.
E cosa ne sarà di lui allora?
Vorrebbe chiederlo al vento, all'amica di un tempo che gli ha sempre saputo dare le risposte più amare.
Ma quell'amica non c'é più, egli l'ha lasciata andare.
Resta solo, dunque, nel suo dolore. O forse non lo è, e questo fa ancora più male.
Perché a volte può vederla, nei Suoi occhi, quella scintilla familiare, quel languore dilagante e micidiale.
Lo può vedere, e se non stringesse così la presa sul proprio cuore, in un istinto di pura vendetta ne potrebbe gioire.
Ma non lo fa, e dolorosamente egli si accorge di desiderarlo per sé.
 
 
Certo, a sé rivolto, ma non solo.
Soffre e si odia, ma non può evitare di nutrire il desiderio di provare anche il doppio della sofferenza che gli profana il cuore, pur di poter, da essa, Ella liberare.
Ancora ora vorrebbe salvarla, sì, afferrarla e mai lasciarla andare.
Perché l'uomo sa di non poter sopravvivere, senza la sua Luce.
 
 
"Ancor ne li occhi, ond'escon le faville
che m'infiammano il cor, ch'io porto anciso,
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face
e poi le renderei con amor pace."

 
Ma la luce terrena è rubata. Le parole scure, inseguite dal fioco bagliore della candela, paiono scomparire, inghiottite da un baratro d'oscurità sempre più nero e grande.
Sembra non esserci più risposta da cercare, niente più tregua per l'animo tormentato.
Adesso,che nel buio le parole raggiungono la sua mente, egli non ha la forza di afferrarle.
Per anni le ha cercate, e loro gli si sono perpetuamente negate, quando cercava di soffocare in neri mari d'inchiostro quella luce soffocante, senza mai riuscirci, perché Lei è la sua musa, ma lui non è mai stato poeta.
Mai tanto codardo, non saprebbe fingere che sia abbastanza, come per secoli tanti prima di lui avevano fatto.
O forse, nemmeno la più alta e lieve forma di canzone avrebbe mai potuto contenere tutta la bellezza di un tale, tragico tormento.
Ma adesso rimpiange il solo averci provato, rimpiange ogni ora trascorsa al buio, lontano dalla sua Luce, ogni istante di volontaria, ricercata privazione da essa, ora, che è tutto quello che gli rimane.
Così scaccia le parole, perché non affondino il suo cuore, nel mentre.
 
Per questo non può sostenere, l'uomo, l'idea di perdere quel suo unico faro.
Non resterebbe nient'altro che buio, allora, all'animo perduto.
 
Per questo, dinanzi agli occhi fiammeggianti di dolore nascosto dietro lingue d'orgoglio, l'uomo perde la ragione, e con essa la sua battaglia.
Non ha senso astenersi all'inferno, se l'alternativa non può più essere il paradiso.
Egli è stanco della sua ingiusta purgazione.
 
 
 
Così si lancia, come belva disperata, verso l'ultimo spiraglio di luce concessogli, vittima del primo umano istinto.
Si lancia, e per un attimo sembra persino giusto liberarsi, ululando alla luna della sua sofferenza.
Non vuole morderla, egli, solo raggiungerla, ed entrare nella sua luce.
Ma dura solo un momento, poi l'astro diviene solo roccia,la belva solo carnefice, e tutto crolla nell'agognato borro.
E fa male, dannatamente male, e non c'é più salvezza.
L'ultimo appiglio si dissolve, mentre lanterne di false convinzioni si spengono, e la notte si richiude sulle loro anime disperate.
 
 
"...e par che da la sua labbia si mova
uno spirito soave e pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira."
(Tanto gentile e tanto onesta pare)

 
E si sveglia l'uomo su un mondo diverso, vuoto, in cui persino le parole hanno perso il loro significato.
Sarebbero state meglio quelle, si dice. Sarebbe stato meglio mentirsi.
Era migliore la purgazione eterna, dell'inferno in cui si è lasciato cadere.
 
Ma mentre il mondo dice che è troppo tardi, la vita dimostra che non è così.
Dimostra che c'é qualcosa, oltre l'odio, oltre il silenzio e l'oscurità.
E non è il paradiso, ormai perduto per sempre, non è la salvezza, ma qualcosa di dolce, come lo struggimento dei poeti, e triste, come la morte, nella consapevolezza di essere, in qualche modo, già al margine della fine, forse persino un passo oltre
E' un soffio di vento in grado di riaccendere il fuoco della vita.
Si ingrossa, diventa un incendio, incredibile come un miracolo.
E' questo, dunque, ciò a cui lo spirito anela.
Ciò che, per migliaia di anni, è stato inseguito nei sogni incisi.
L'uomo non aveva mai pensato che potesse essere così reale.
Così vivo, fatto di carne e di sangue, ed allo stesso tempo così effimero, appena un soffio di universo.
Ma ecco, egli è entrato nella Luce, ed ora non ha più bisogno di riparo o via di fuga.
 
 
Ora corre, al fianco della vita, noncurante del sussurro che lo avverte dell'imminente fine di ogni cosa.
Verso dove, non lo sa, non è più importante la destinazione.
Corre cieco, e non perché oscurato, ma perché ormai abbagliato dalla Luce che lo ha raggiunto.
 
Ed è solo un lampo, un istante di infinito, ciò che frena la sua corsa.
Il corpo cade, questo è il prezzo da pagare.
E sembra impossibile, impossibile pagarlo ora, ora che egli ha finalmente abbracciato la Luce.
Sa che mai nessuna ultraterrena, per quanto potente ed immensa, la potrà mai uguagliare.
E' difficile lasciare lo spirito libero di fuggire dalle presa dei Suoi occhi,
troppo pieni ora, di amore e di lacrime, e di tutte le risposte che per anni egli ha inutilmente cercato tra le carte.
E' difficile, ma più che di partenza questo addio dà di arrivo.
La destinazione perfetta, eccola, la pace tanto agognata.
Ed è anche egoistica salvezza, sì, lo spegnersi prima di Lei, perché egli non potrebbe mai sostenere lo spegnersi di quella Luce.
Dunque sospira l'anima, ad infliggere dolore, ma sospira di sollievo, rifuggendone uno uguale.
Ed in un'ultima scintilla di fragorosa fiamma sorride, scivolando libero,
nella luce che Ella era.
 
//Grazie per aver letto! Tutte le opere citate sono ovviamente di Dante Alighieri, ove non c'é il titolo si tratta della stessa opera della precedente citazione. 
 
   
 
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