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Autore: Neamh Moonstar    19/02/2022    2 recensioni
Crowley smise di farsi domande. Affondò le dita in quei riccioli di neve, decise di lasciar perdere il resto e di crogiolarsi in quei baci appassionati fino al mattino. Sarebbe andato avanti per sempre ed oltre, stringendo a sé quella luminosa essenza inebriata che era ora sua - che avrebbe sempre voluto che fosse sua ma non lo aveva mai ammesso.
Se ne sarebbero pentiti. Oh, se ne sarebbero pentiti eccome.
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Fanfiction in tre parti ispirata al testo di: "Brividi" di Mahmood e Blanco.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Brividi - Terza Parte


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Gemiti e macerie: solo questo popolava il mondo, ormai. E dove c'è Guerra, c'è Morte. Dove c'è Morte, c'è disperazione. E dove c'è disperazione, c'è un angelo.

Per questo Crowley non si stupì di trovarlo lì tra la polvere, la fuliggine e migliaia di piccole ma forti richieste d'aiuto. Era il suo lavoro, in fondo, e lo faceva bene quando voleva. 

Inchiodò in mezzo a quella strada che era difficile chiamare tale, dal momento che era divelta come se l'avessero afferrata e rigirata, riducendola in pezzi. Scese con la solida fluidità, sbattendo la portiera e facendo sì che i pochi curiosi guardassero da tutt'altra parte. Lui e la Bentley spiccavano come un chicco di caffè in mezzo alla farina; uniche due cose ancora intatte, ordinate e splendenti in mezzo allo schifo.

    Persino Aziraphale, ora fermo poco più in là - occhi incerti posati sul nuovo arrivato - sembrava essere parte integrante delle macerie; lui che era sempre ordinato come i paragrafi di un romanzo. «Che ci fai qui?» Chiese, iniziando a torturarsi le mani. «Non dovresti essere a lavoro?»

    Crowley decise di sorvolare su almeno cinque o sei delle possibili risposte che la sua instancabile mente aveva già formulato ("Sto facendo il mio lavoro: controllo quello che combini", "Il mio lavoro lo sto già facendo da un po': hai visto in mezzo a che razza di disastro ti trovi?", e cose del genere). Arrivò dritto al punto: «Vogliamo davvero far finta che non sia successo nulla?»

    «Non lo facciamo sempre?»

Vero. Era un modo come un altro di andare d'accordo quando si ha un patto come il loro: sorvolare sulle questioni frivole e non direttamente importanti.

    «Sì, lo facciamo riguardo ai miracoli stupidi. Quello che è successo stanotte va un po' oltre, non pensi?»

Lo disse con un tono frustrato, quasi arrabbiato. Non ce l'aveva con l'angelo, ovviamente: era tutta colpa sua e se l'era già ripetuto fino alla nausea. L'intera situazione però, soprattutto il ricordo persistente di quei momenti di reciproco piacere, lo stava pressando. Voleva capire se fosse stata questione di un attimo o se ci fosse di più. Voleva sapere se ciò che sentiva fosse effettivamente qualcosa e non solo la sua nascosta, morbosa e naturale voglia di consumare quell'aura candida e dorata. 

    «Vuoi che te lo dica a parole?» Disse Aziraphale, sospirando. «Non ti odio. Hai detto che ti avrei odiato e non è successo. Siamo nel bel mezzo di una situazione difficile e ne stiamo soffrendo ognuno a modo proprio. Forse ne avevamo bisogno, non lo metto in dubbio; l'abbiamo fatto, fine della questione.»

Crowley conosceva bene quel tono stizzito, quello che era ad un crocevia tra la frustrazione, la lamentela e il tentativo di canalizzare una situazione ovviamente sbagliata verso il bene. Forse si sarebbe dovuto accontentare e mettere a nanna la questione. Ma non era Caduto per accontentarsi di risposte spicce e questioni in sospeso, no. Se doveva commettere un'eresia innamorandosi follemente dell'essere che aveva davanti - anche se forse era troppo tardi per quello - allora si sarebbe spinto oltre tutti i limiti prestabiliti. Aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di ricucire tutti gli strappi - anche microscopici - che si erano andati a creare nella loro relazione. Voleva mettere tutte le cose in chiaro.

Così prese Aziraphale per un polso, aspettandosi di doverlo tirare di forza. Ma non accadde.

    Lo trascinò in mezzo a ciò che rimaneva di case, strade e vite, passando oltre più corpi freddi e martoriati riversi a terra. Si rifugiò dietro ciò che rimaneva di un muro, come se quella mezza parete potesse essere uno scudo resistente tra loro e la guerra. «Se ne avessi avuto semplicemente "bisogno" lo avresti fatto controvoglia» disse, la voce ridotta ad un sussurro. «Tu fai sempre ciò che non vuoi controvoglia, oppure lo fai in modo ansioso e indeciso. Ieri invece hai combattuto contro l'istinto di scappare e smettere ciò che stavamo facendo per tutta la notte.»

Il silenzio calò e l'angelo smise di guardarlo. I suoi occhi azzurri si persero languidi su un mucchietto di macerie grigiastre, mentre le sue mani si strinsero e si riaprirono, indecise sul da farsi.

    «Non l'hai fatto per bisogno, vero?» Riprese Crowley, combattendo contro l'istinto di stringere quelle morbide braccia e tirarne fuori una risposta, un chiarimento. «Non lo hai fatto per farmi un piacere e-»

    «Sarà stato l'alcool allora, preferisci questa come risposta?» Lamentò Aziraphale, lo sguardo di nuovo fisso su di lui. Come stesse riuscendo a trattenere le lacrime, il demone non lo sapeva.

    «No! Non mi va bene! Perché so che non è del tutto vero e lo sai anche tu.»

Ci fu un altro momento in cui nessuno dei due seppe come ribaltare la situazione. In lontananza si sentivano solo i passi mesti e strisciati degli umani che scostavano travi e mattoni alla ricerca di un barlume di speranza.

Crowley si passò le mani sotto gli occhiali da sole, strofinandosi gli occhi e cercando di capire come evitare che lui e Aziraphale si allontanassero di nuovo a causa di una discussione. Avrebbe davvero preferito bersi un bel bicchiere di acqua santa, a quel punto.

    «Senti,» disse infine, fissandosi sulla figurina incerta e tremante dell'altro. «È stata colpa mia, va bene? Ti ho spinto io a farlo. Non avrei dovuto.»

Avrebbe dovuto scusarsi, ma la parola "scusa" non se la sentiva proprio di fare breccia nella sua anima scura. Inoltre, ci pensava già lo sguardo ora un po' più morbido di Aziraphale a rendere le cose difficili; non aveva proprio bisogno di problemi ulteriori.

    «Vuoi dimenticarti di ciò che è successo? Bene, nessun problema» continuò. «Faremo finta che non sia successo nulla. Sarà come se ti avessi portato a casa e fossi tornato come nulla fosse alla mia.»

L'altro prese lentamente a sorridere. Oh no, non l'avrebbe avuta vinta così facilmente.

    Crowley alzò un dito come a voler fermare il processo. «Ma solo se mi dirai perché hai, beh-»

"Fatto sesso con me" sarebbe risuonato peggio di una bomba nei timpani, così lasciò la frase in sospeso sapendo che Aziraphale avrebbe capito.

    Difatti, questi riprese ad aggrottare la fronte e a far volare le sue iridi azzurre in giro perché non si perdessero nel nero delle lenti del demone. «Cosa vuoi che ti dica? Ho fatto la cosa peggiore che si potesse pensare.»

    «No, sono stato io a fartela fare, mettitelo in testa. La vera domanda è: perché non sei stato a sentire la ragione e mi sei venuto dietro?»

    «Non posso rispondere. Sai che non posso, perché mi pressi tanto?»

Una lacrima scese stavolta. Rotolò giù da quelle guance candide e morbide come una valanga, andando a confondersi tra tutte quelle che la guerra aveva fatto riversare sul terreno martoriato, innaffiandolo così di dolore.

    «Non posso dirti quello che vorresti sentirti dire,» continuò Aziraphale, «hai mai pensato a quello che mi potrebbero fare se la cosa trapelasse?»

    «Se ci ho pensato?» Rimbeccò Crowley, stufo marcio di quel discorso che pareva ripetersi come un eco nelle loro esistenze. «È proprio perché ci ho pensato che abbiamo fatto un patto.»

    L'angelo scosse la testa: «In ogni caso, siamo andati troppo oltre, abbiamo decisamente esagerato. Sai che ho ragione, così come sai che sono impossibilitato dal Paradiso e non posso fare quello che vorrei. Pensavo ci fossi arrivato ormai...»

    Quelle ultime parole colpirono Crowley peggio di un proiettile. «Vivi in una prigione, angelo. Una prigione nella quale continui a tornare» ringhiò, non volendo. Perché non ce l'aveva con Aziraphale, ovviamente, ce l'aveva con la struttura stessa dell'universo. E quella non la puoi cambiare.

    «L'alternativa qual è, Crowley? Venire giù da te?»

Faceva male perché era vero. Ovviamente non c'erano molti posti dove andare quando facevi parte dell'alto dei Cieli, così come delle profondità della Terra. E la seconda possibilità appena proposta dall'angelo fece raggelare - metaforicamente, per quanto fosse un rettile - il sangue a Crowley. Anche solo immaginare che potesse Cadere per colpa sua gli provocava la nausea: non poteva permetterlo. Per quanto forte Aziraphale fosse nel suo credo e nelle sue convizioni, aveva ragione: finire all'Inferno era una conseguenza tangibile, palpabile e così reale da far paura.

    «Hai ragione» sibilò debolmente.

Che stupido era stato. Dimenticare direttamente tutto era una prospettiva così allettante adesso...

    «Mi dispiace tanto» sussurrò l'altro, passandosi le mani sotto gli occhi. «Vorrei tanto poterti stare vicino, davvero, ma così rischio solo di mandare tutto all'aria.»

    Crowley annuì: «E di cose all'aria ne finiscono fin troppe di questi tempi.»

Aziraphale sorrise, solo per un attimo però, perché ridere delle disgrazie non è bello.

    «E poi,» riprese il demone, «anche io vorrei poterti dire quello che provo senza, sai, fare quello che ho fatto. Sono i limiti e i difetti delle creature infernali, temo.»

    L'altro fece spallucce, sorridendo di nuovo - stavolta senza smettere, perché l'affetto è una cosa bella. «Hai molti meno difetti di qualsiasi altro tuo simile.»

    Crowley guardò altrove con una smorfia: «Piantala. Tu d'altra parte sei dannatamente difettoso.»

    «A giudicare dagli eventi recenti, temo tu abbia ragione.»

    «E la cosa ti dispiace?»

    «Più di quello che vorrei.»

Per un attimo tra di loro si creò una bolla di pace e sorrisi. Se solo fosse stato possibile smettere di vivere in quel finto odio, in quel veleno che facevano finta di sputarsi addosso, tutto sarebbe stato meglio. Se solo avessero potuto togliere le maschere che portavano davanti ai loro superiori ed essere solo ciò che erano quando rimanevano loro due soli. Crowley avrebbe potuto urlare al cielo quelle due semplici parole e farle piovere addosso ad Aziraphale perché le sentisse tutte. Che pensiero stupido, che utopia.

Lui non era capace di dire: "Ti amo". Non era fatto per quello, si ripeté per la milionesima volta.


     La bolla si ruppe. «Anche io.»


    Il rosso rialzò lo sguardo che, chissà quando e chissà come, aveva spedito altrove, verso il vuoto. «Come?»

    Aziraphale si mise nervosamente a giocherellare con le maniche della giacca. «So cosa vorresti sentirti dire e so cosa vorresti dire a tua volta, che poi è la stessa cosa. Perciò ti rispondo direttamente: anche io.»

    Crowley sbarrò la bocca e gli occhi allo stesso tempo, incredulo. «Davvero?»

    L'altro annuì: «Non esattamente come stanotte, ma sì.»

    «No, no, quello lo so. Solo: la cosa è reciproca?» Quella domanda si era letteralmente precipitata sulla sua lingua biforcuta.

Aziraphale annuì di nuovo, le guance ora più colorite.

Crowley dal canto suo sentì un vulcano esplodergli in petto. Il suo angelo lo amava. Non poteva dimostrarlo, né dirlo ad alta voce, ma lo amava.

    «Ora che lo sai,» riprese il biondo, l'ansia e l'imbarazzo palpabili sul suo volto, «cancelliamo questa nottata e andiamo avanti, va bene?»

    Il demone annuì lentamente e distrattamente. Quelle due parole sospese nell'aria danzavano attorno a lui e si ripetevano più forte di una sbornia, più forte della passione. «Certo, come vuoi» balbettò, inebriato da quella non esattamente conferma e dalla voglia di rubare ad Aziraphale l'intero firmamento, come già aveva immaginato di voler fare.

Era così su di giri che non si accorse della mano dell'angelo attorno alla sua, non subito. La strinse forte, improvvisamente impaurito perché non voleva; non voleva allontanarsi da quel muretto e tornare a fissare Guerra mentre uccideva, a fare ciò che l'Inferno gli chiedeva di fare, a vivere per chissà quanto ancora lontano dall'essere che amava e che lo amava a sua volta.

Improvvisamente, ora che la realtà era tornata nei suoi pensieri, aveva bisogno di sentire quelle parole. Voleva che esistessero e non fossero tacite, perché ciò che non viene detto si perde nelle pieghe del tempo. Non voleva più urlare "ti amo", voleva bensì che gli venisse urlato, buttato addosso come una zavorra. Voleva annegarci dentro, voleva stringere di nuovo quei fianchi morbidi e farli suoi, perché solo così aveva la certezza che quell'amore potesse esistere.

Il mondo divenne una serie di macchie confuse annegate nelle sue lacrime. Che stupido era: all'apparenza un demone tra tanti, magari con qualche idea migliore in più, dentro innamorato pazzo del nemico. Innamorato di colui che avrebbe dovuto uccidere.

Era così immerso nella sua tristezza che il bacio che venne lo colse di sorpresa. Lo assaporò tutto, premendo su quelle labbra soffici come se fossero la chiave per mettere fine a tutto il male che circondava la sua esistenza. Mise la mano libera sulla guancia di Aziraphale, sperando di non dovessi staccare mai. Sentì il nodo che si era formato nel suo stomaco sciogliersi, il buio dissiparsi e le sue paure evaporare.

Era un tocco così dolce, puro, genuino, sobrio, voluto. Non come quello che- quello che?

Ce n'erano stati altri? Probabilmente no. Probabilmente non ce ne sarebbero stati mai più. O forse sì. Magari sì.


    Si staccarono e Aziraphale si ricompose con un sorriso. «Senti, non facciamo passare troppo tempo stavolta. Ti va di vederci non appena tutto questo disastro sarà finito?»

    Crowley annuì. «Vedi di farlo finire presto, allora.»


Si lasciarono così: lentamente e un po' controvoglia. Il demone risalì in macchina e andò via con il sapore dolce di quel gesto ancora sfrigolante sulle sue labbra e i brividi che correvano eccitati per le membra, mandandolo in brodo di giuggiole.

Oh, quel "ti amo" non detto avrebbe continuato a far male per tanto tempo ancora; lo avrebbe portato a piangere e a rifugiarsi in tanti dei mali che il mondo gli metteva a disposizione. Ma ora come ora non importava.

Non vedeva l'ora che la guerra finisse. Non vedeva l'ora di rivedere l'amore della sua esistenza. 


   
 
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