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Autore: Cialy    05/09/2009    5 recensioni
Arriva un giorno, poi, in cui improvvisamente George si sveglia e si guarda intorno come se vedesse tutto per la prima volta.
[Fred/George/Angelina, post-settimo libro]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, George Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Scritta nel lontano 2007, sull'onda del disgusto per il settimo libro, e ambientata nei sei anni seguenti alla battaglia finale. L’anno di nascita di Fred Jr. non è stato specificato, quindi l’ho inventato.
• Il titolo, come al solito, proviene da una canzone dei Placebo, Running up that hill.
• Scritta sul prompt scambio della community Mezza Dozzina. La tabella - ormai completa - del claim la trovate qui.




A deal with God


Inaspettatamente, i giorni successivi alla battaglia finale erano stati i più facili da affrontare. Bisognava agire, muoversi, sostenere gli altri – George era stato così indaffarato, così preoccupato per sua madre, così distratto che, in qualche modo, era riuscito a superare il dolore. I giorni erano, poi, gradatamente scivolati nelle settimane che, una dopo l’altra, in fila come piccole formiche dedite a svolgere il proprio compito, avevano formato mesi.

In un battito di ciglia, si era ritrovato a trarre un profondo respiro e ad aprire la porta del negozio di scherzi, con una mano di Bill posata sulla spalla e Ron accanto che tossiva per nascondere il groppo alla gola. Rientrare nella sala piena di scaffali ancora colmi di merce – abbandonata in fretta e furia –, dove la polvere sembrava essersi definitivamente stabilita, era stato all’incirca come tornare a quella notte, alla Sala Grande gremita di feriti e rivedere Fred--

E sarebbe crollato praticamente all’istante, George, se non avesse avuto il resto della famiglia accanto. Vedere un dolore simile al proprio in quegli occhi che lo accompagnavano da sempre lo faceva, in qualche modo, sentire meno solo e più confortato. La forza di Molly, il modo in cui sapeva guardare avanti e cercava sempre di caricarsi sulle spalle tutti i problemi dei figli (di cui, ormai, Hermione e Harry facevano ufficialmente parte), la bontà di Arthur, la presenza consolante e salda di Bill, le continue foto magiche inviate da Charlie (i cui soggetti, sebbene fossero sempre draghi, lo facevano sorridere), le visite continue di Percy che, appena staccava dal Ministero, anche se solo per pochi minuti, anche se oberato di lavoro, passava a trovarlo al negozio, l’aiuto maldestro ma efficiente che Ron non gli faceva mai mancare e i successi di Ginny, che la ragazza correva al più presto a raccontargli, raggiante, riuscivano bene o male a colmare il vuoto che avvertiva nel petto.

E poi si era lanciato nel lavoro: la clientela aumentava, gli ordini da Hogwarts arrivavano a montagne e l’incontro con Angelina era stato fondamentale. George aveva permesso che tutto accadesse da sé (“Sarei contenta se mi accompagnassi a prendere una Burrobirra.” “Perché no…”), si era lasciato condurre dagli eventi senza realmente capire cosa stesse succedendo (“Sto bene con te, George.” “Anch’io sto bene con te”, “Ti va di salire?” “Perché no”, “Resta qui ‘stanotte, George.”). Infine, proprio come trasportato dalle acque di un fiume in piena, era giunto a compiere ‘il grande passo’, a fare la cosa giusta che tutti si aspettavano (“Vuoi sposarmi, Angelina?” “Credevo non me l’avresti mai chiesto!”).

E poi era nata Victoire: George amava il modo in cui stendeva in avanti le piccole mani per farsi prendere in braccio e il suo sguardo azzurro e curioso (“Forse dovremmo avere dei figli anche noi.” “Già, Angelina. Forse dovremmo.”). Intanto, il tempo continuava a scorrere, senza lasciare segni evidenti oltre alle leggere rughe d’espressione ai lati dei suoi occhi.

Il bambino nacque a marzo, il trenta. George festeggiò il proprio ventitreesimo compleanno nel reparto di ostetricia del San Mungo, circondato dalla sua famiglia e dai parenti di Angelina, che continuavano a chiedergli il nome del bebé (“Stavo pensando… Mi piacerebbe chiamarlo Fred, che ne dici?” “Se vuoi, Angelina.”) – e, ogni volta, ogni singola volta che lo pronunciava, George doveva reprimere un brivido.

E, ancora, il tempo scorreva e altri anni passavano, smarriti nei semplici doveri quotidiani, come l’insegnare al piccolo a dire ‘papà’ e ‘mamma’ e a camminare, a contenere i suoi naturali scoppi di magia e a ridere per le buffe espressioni comparse sul suo volto.



Ma arriva un giorno, poi, in cui improvvisamente George si sveglia e si guarda intorno come se vedesse tutto per la prima volta.

Seduto sul divano, mentre osserva Fred giocare sul pavimento con una serie di cavalli di pezza animati e Angelina leggere lì accanto, George si rende conto di ciò che è diventata la sua vita, della normalità che l’ha permeata avvolgendola in una patina grigia.

Ripercorre, in un unico flash, tutte le aspettative che lui e Fred – il suo gemello, Merlino, il suo gemello – avevano da ragazzi, i loro sogni di gloria (“E, con l’apertura del negozio «Tiri Vispi Weasley» giunge una nuova era che ci porterà alla fama!” “Puoi scommetterci, George! Saremo conosciuti in tutto il mondo magico!”), le promesse che continuamente si facevano (“Appena questa maledetta guerra finirà, leviamo le tende per un po’ e ci organizziamo una bella vacanza in Romania.” “Puoi contarci, fratello.”).

Se Fred non fosse-- se Fred fosse ancora lì, non sarebbe certo quella, la sua vita. Probabilmente, se così fosse, a quella stessa ora sarebbero in laboratorio a inventarsi nuovi scherzi da spedire anonimamente a Neville ad Hogwarts, o a Percy ed Hermione al Ministero. Oppure, sarebbero in giro per la Londra babbana a spendere i soldi guadagnati in regali sciocchi ed inutili per i loro nipotini, che, di certo, avrebbero provocato le ire dei rispettivi genitori. O, ancora, si sarebbero recati ad un allenamento di Ginny, per mettersi ad urlare sugli spalti: “Quella è nostra sorella!” ad ogni punto segnato. E la sera, poi, probabilmente avrebbero raggiunto qualche pub e finto di interessarsi alle ragazze presenti – come se avessero mai avuto bisogno di qualcuno che non fosse l’altro.

Ecco, la vita di George, la medesima che aveva sognato da ragazzo, sarebbe andata così, se Fred non lo avesse lasciato. Niente a che vedere con quello che lo circonda in questo momento.

Adesso, l’unico Fred a far parte della sua vita è quel bambino che ha davanti – e perché ha un simile nome se non assomiglia per niente al Fred originale? La sua pelle è troppo scura, nemmeno l’ombra di una lentiggine sul suo volto, i capelli sono neri come quelli di Angelina e mossi, quasi ricci; solo gli occhi, marrone brillante, possono essere ricondotti ai Weasley e l’ombra del sorriso furbo che gli compare ogni tanto sul viso è stato riconosciuto da Molly stessa come identico a quello di George. Ma, appunto, di George. Quel bambino non ha assolutamente nulla della persona di cui porta il nome e George, ora, tre anni dopo, si chiede perché ha permesso una tale associazione, perché ha cercato, come uno sciocco, di colmare il vuoto lasciato da Fred con il proprio figlio.

Sposta lo sguardo su Angelina e sente la rabbia montare. Vorrebbe accusarla di tutto, identificare con lei ognuno dei propri errori, attribuirle la colpa del suo lasciarsi trasportare senza opporre alcuna resistenza. Perché, sebbene le voglia bene e adori quel bambino che non ha colpe, non potrà mai amarli quanto ha amato Fred nei vent’anni che hanno trascorso insieme, non ha bisogno di loro quanto ne aveva – e ne avrebbe tuttora – di lui. Quando bacia Angelina o tiene in braccio suo figlio, non riesce ad avvertire la medesima completezza di quando era con Fred.

Non è questa la vita che sognava di ottenere. E, adesso, gli sembra di realizzare che sia lui che Angelina abbiano fatto uno scambio, una sorta di patto con qualche divinità del Fato. È come se George avesse ottenuto la normalità di marito e padre in cambio della vita del proprio gemello e lei… e lei fosse facilmente stata capace di sostituire l’amore di gioventù con un uomo modello – che, guarda caso, ne conserva l’aspetto esterno.

George si sente ingannato, colleziona e riguarda nella mente tutte le volte che Angelina ha detto qualcosa simile a: “Sei cambiato, George,” e vorrebbe urlarle finalmente che non è così, che lui non è mai cambiato, che quello che lei tenta di vedere quando lo guarda è ancora Fred.
Stringe i pugni e, “Per te uno vale l’altro, vero?!” vorrebbe chiedere. Alzarsi in piedi e gridare, scrollarsi finalmente quella situazione di dosso, rivelare la rabbia e l’irritazione rimasti assopiti per anni.

Ma quando la ragazza solleva lo sguardo scuro dal libro e lo posa su di lui, chiedendogli se va tutto bene, mentre il piccolo Fred sghignazza preso dai propri giochi, George risponde solo: “Sì, tutto bene. Vuoi del tè?”.

Perché sarebbe inutile ribellarsi ora: quello scambio è stato concluso e accettato da troppo tempo. E Fred, il suo gemello, è morto da sei anni.




  
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