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Autore: Sasita    23/02/2022    3 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Ecco qui il secondo capitolo... un po' più lunghino di quanto volessi, ma penso che questi due abbiano bisogno di farsi davvero una bella chiacchierata. E direi che questa non è affatto esaustiva! E, beh, non è finita qui... questa long fic seguirà i nostri dumbass preferiti per un bel po'... e per questo spero di avere il vostro supporto emotivo... quindi, come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione! La canzone è accompagnata dalla canzone All I want, che ne ispira anche il titolo, e se volete ascoltarla ve la lascio in collegamento. 





Capitolo II
All I want

 

Spalancando gli occhi, con il cuore - il cuore? Era possibile che battesse anche dopo la morte? - che gli tamburellava nel petto come dopo una gara di velocità, involontariamente Dean portò la mano alla cintola per cercare la pistola, ma ovviamente non la trovò.

Quello che aveva davanti non era niente che potesse riconoscere. La voce, però, quella sì che l’aveva riconosciuta.

«Ma che diamine—», strizzò gli occhi e si raddrizzò, cercando di dare una forma a quella assurdità che gli si parava davanti. «—Cas?»

D’improvviso sentì tutto il calore confluirgli sul viso, e il cuore battere a una velocità diversa, strana, ben lontana dalla paura. Possibile che quella strana visione fosse Castiel?

«Sì», fu l’unica risposta.

Dean aprì più volte la bocca per parlare, guardando su e giù, a destra e a sinistra, quell’inquietante ammasso di ali, piume e occhi. «Ma che caz…», tossicchiò per darsi un tono, «Cosa ti è successo?»

Castiel emise una risata. O almeno, quella cosa luminosa senza senso con almeno quattro ali - o erano sei? - che diceva di essere Castiel emise una risata. Un suono che Dean non ricordava di aver sentito tanto spesso, ma di cui si rese improvvisamente conto di sentire una dolorosa mancanza. 

«Niente, Dean…», la calma nella sua voce era straziante. «Vedi, quando Jack mi ha riportato indietro dal Nulla aveva bisogno di me per ricostruire il Paradiso… voleva che mettessi la mia esperienza a servizio delle anime che si trovano qui, così ha ristabilito il mio ultimo status angelico precedente… beh, si, precedente alla caduta, a quando Metatron mi ha espropriato della mia grazia, e delle mie ali…»

Dean annuì vagamente, cercando di non sembrare ancora più scortese del solito davanti a quella rivelazione inutile, che tutto faceva tranne che rispondere alla sua domanda. Era così scioccato che non riusciva neanche a tirare su la birra per dargli un sorso, neanche per dissimulare una nonchalance che non aveva.

«Non ti seguo, Cas… voglio dire amico, dove è l’impermeabile, eh?»

Ma il Winchester non voleva chiedergli dell’impermeabile, quanto piuttosto del corpo umano a cui si era abituato, di quegli occhi azzurri accesi che l’ultima volta l’avevano guardato pieno di lacrime e di… beh, quello. Nel petto sentiva lancinante il dolore di uno spillo che si conficcava nella carne. Era quello Castiel, adesso? Una creatura spaventosa fatta di ali e luce e catene di occhi inquietanti? Aveva veramente sprecato per sempre l’ultima occasione di abbracciarlo in quel bunker, troppo esterrefatto dalla sua confessione, troppo represso dalla sua stessa maschera, troppo spaventato da tutto quello che stava succedendo, per ritrovarsi davanti un Castiel privo di consistenza fisica, privo di quei connotati così familiari a cui con il tempo aveva imparato ad affezionarsi? Si rese improvvisamente conto dell’egoismo del suo dolore: se quello era Cas, ed era destinato ad avere quell’unico aspetto per sempre, avrebbe preferito che non fosse mai uscito dal Nulla, perché almeno il ricordo avrebbe potuto confortarlo, mentre quella cosa non lo confortava affatto. 

«Io sono un serafino, Dean, non avevo mai potuto mostrarti il mio aspetto perché, beh, non saresti sopravvissuto… anche se credo che, se ci pensi, ti ricorderai di avermi già visto in questa forma, quando eri un demone», disse semplicemente. Dean ebbe la sensazione che quella cosa, quel serafino facesse spallucce. Ma era difficile dirlo sotto a quella coltre di piume bianche e luminose. «Ma ora sei in Paradiso, e… questo è quello che sono»

Un lampo di memoria si accese dietro gli occhi di Dean: stava quasi per ammazzare Sam e realizzare il guilty plesure di Chuck, ormai completamente soggiogato dal marchio e abbandonato alla malvagità del suo essere demoniaco, ma Castiel era intervenuto per sventare ancora una volta quel piano, salvandolo dall’oblio, dalla perdizione, dalla colpa. L’aveva bloccato tra le braccia e Dean aveva cercato di divincolarsi dalla stretta, lanciandogli uno sguardo rabbioso: si era dovuto voltare a riguardare l’angelo due volte, perché ciò con cui l’aveva avviluppato non erano solo quelle piccole, misere braccia umane che erano state di proprietà di Jimmy Novak, ma un possente armamentario di ali giganti e splendide, che lo avvolgevano impedendogli ogni movimento. Si ricordò che sotto l’influenza infernale ne aveva sentito la repulsione, ma la parte umana di lui, resa disinibita dagli impulsi demoniaci, l’aveva trovato straordinariamente magnifico, rilucente di potenza e splendore. Se non ricordava male, glielo aveva anche detto. Cas, di contro, non riusciva neanche a guardarlo quando era un demone. E in quel momento gli sovvenne che forse il motivo era proprio che la natura demoniaca che gli ribolliva dentro distorceva le sue fattezze, lo rendeva orribile fuori quanto era dentro, e se Castiel era davvero già tanto legato a lui, doveva essere stato terribilmente scosso da quella vista. 

Dean deglutì, annuendo debolmente. Era vero, quella breve vista sulla terra lo aveva attratto e repulso, ma era stata sicuramente stravolgente. Quello che invece provava in quel momento era solo disillusione, malessere, negazione. Nonostante si fosse sforzato di non immaginare un possibile incontro con Castiel, Dean non c’era riuscito: aveva vagliato diversi scenari nella sua testa, e li aveva scacciati tutti uno dopo l’altro per la sofferenza che gli procuravano. Ma nessuno, assolutamente nessuno, si avvicinava anche solo vagamente a quell’assurdità. Deglutì di nuovo, con la bocca secca e la gola stranamente chiusa, ma si costrinse a fingere un atteggiamento tranquillo. «Che vorrebbe dire?»

«Quello che ho detto», disse semplicemente. «Posso capire che ti intimidisca, ma—»

«No, Cas…», lo interruppe Dean scuotendo la testa, con un’urgenza e una rabbia nella voce che non riusciva a contenere o spiegare, e che stava cercando con tutto sé stesso di nascondere. «No. Non mi intimidisce, mi…», chiuse un attimo gli occhi per raccogliere le parole, nel tentativo di non suonare aggressivo e meschino come gli era capitato in troppe altre occasioni. Si schiarì la voce. «Tu sei così? Cioè, sempre?»

«Sono esattamente come devo essere…»

Dean grugnì, al limite della pazienza. «Voglio dire…», si stizzì, «…non hai un… non so, un tramite, un aspetto— un corpo “umano”?»

Il serafino davanti a lui rimase in silenzio, con la sua luce che vibrava intensamente, rendendo  a tratti impossibile sostenerne lo sguardo. «Se lo desideri, certo…»

Dean aggrottò la fronte, in un’espressione di totale incomprensione. «Non capisco, Cas… È inquietante—», si sentì in colpa non appena quella parola uscì dalle sue labbra. «Cioè, è…», tossicchiò di nuovo; era frustrante non riuscire a trovare delle parole per descrivere ciò che vedeva. Si sentiva un po’ come quell’invasato che piaceva tanto a Sam, da cui diceva di aver “imparato tanto dei regni celesti”, vai a sapere cosa intendeva dire, quell’antico poeta di cui tutti a quanto pare andavano pazzi in Italia, quel Dante Alighieri. Neanche lui aveva trovato le parole per descrivere gli angeli, pensò, e se non c’era riuscito uno che di lavoro faceva lo scrittore - o, almeno, probabilmente lo faceva, pensò Dean -, figuriamoci se avrebbe potuto trovarle lui. «…terrificante, potente… bello, credo?», tentò. «Non so, non so misurare la bellezza in termini biblici», accompagnando quell’uscita con una risatina nervosa che fallì miseramente nel tentativo di distendere la tensione. 

«Cosa ti turba?»

Dean si sentiva esausto da quella conversazione. Già non si sentiva pronto ad affrontare Castiel in quel momento, e inoltre di sicuro non era pronto a farlo in quel modo. Tutto quello che avrebbe voluto, una volta che si fosse chiarito le idee, era abbracciare il suo angelo, come ai vecchi tempi. Ma forse quei vecchi tempi non erano che un ricordo lontano. «È solo che… non credevo che sarebbe andata così»

Castiel di contro sembrava immerso in una bolla di beatitudine celeste. «Cosa?»

«Hai preso una passione per le domande…». Dean era in imbarazzo.

L’angelo esitò. «Ti ho sempre fatto molte domande, Dean»

«Sì, era…», l’uomo si rassegnò ad appoggiare la birra sul tettuccio, lanciò uno sguardo al sole che ormai si era tuffato sotto l’orizzonte, e si strofinò gli occhi con le dita, esasperato. «Era una battuta, Cas.», gesticolò. «Almeno questo non è cambiato», poi si voltò a guardare di nuovo verso il suo vecchio angelo. «Solo non lo immaginavo così il nostro incontro in Paradiso»

«E come lo immaginavi?»

Dean si stizzì una volta per tutte. «Non lo immaginavo, per l’amor di Di— beh, di Jack… Cas!— Tu… tu sei sparito, inghiottito da una poltiglia nera ed io ero convinto che non ti avrei mai più rivisto… mi hai detto—», si mise a gesticolare con le mani, incapace di proseguire il discorso. «Si, insomma, non credevo che ci saremmo più rivisti…», disse, abbassando il tono di voce. «E quando ho saputo che eri qui, non lo so, ero arrabbiato. Ho pensato che saresti tornato sulla Terra se avessi voluto rivedere me e Sam… da vivi, intendo. Ma evidentemente eri troppo impegnato a fare il world-builder o qualcosa del genere», grugnì.

«La mia presenza era necessaria qui, Dean. Jack aveva bisogno del mio aiuto…»

La mascella del Winchester si serrò, gli occhi si indurirono. Non aveva voluto farlo, aveva cercato in tutti i modi si smussare i suoi angoli duri, ma quella frase scatenò tutta la rabbia e l’egoismo che risiedeva ribollente di risentimento dentro di lui. Guardò quell’impersonale ammasso di luce con una freddezza che non credeva di riuscire più ad avere per Castiel, e che invece non mancava mai di sorprenderlo. «Anche io avevo bisogno del tuo aiuto, Cas!», sbraitò gesticolando. Poi fece un respirò, si appoggiò con le mani alla balaustra di legno che lo separava dalla china davanti a sé, e lasciò ricadere la testa tra le spalle, verso il petto, con gli occhi chiusi. «E anche Sam ne aveva bisogno… sulla Terra, dove tutto mi è sembrato vuoto e spento e senza senso… e dove ho finito per farmi ammazzare perché sono un maledetto coglione e non sono mai stato in grado di affrontare le cose, ma piuttosto non faccio che affogarle in altre emozioni…», non aveva mai parlato così apertamente. Si sentì strano, quasi stupefatto. Era liberatorio parlare, far uscire le cose che aveva dentro. Per un attimo gli passò per la mente che forse la sua incapacità di esprimersi altro non era che un altro dei giochetti di Chuck, che si era divertito a rendergli la vita un inferno in Terra, piena di frustrazioni continue. Ma poi scosse la testa: non voleva distrarsi da quella conversazione dando spazio a quello stronzo che non si meritava neanche un istante della sua eternità. Non aveva voluto affrontare Castiel, questo era vero, ma ormai che era in ballo doveva ballare. Alzò di nuovo gli occhi verso l’orizzonte, si passò la lingua sulle labbra e poi rivolse di nuovo lo sguardo sgomento sull’angelo, pronto ad accogliere la sua giustificazione, qualunque fosse. Ma era incapace di fissare le pupille su un solo punto. Sbuffò, e si passò una mano sul viso, digrignando i denti. «Per la miseria, Cas! Prendi una maledetta forma… non riesco a guardarti!»

La luce di Castiel tentennò, si affievolì. Forse, pensò Dean dispiaciuto, l’aveva ferito come quando gli aveva dato del “bambino in impermeabile” - beh, neanche la più grave tra le varie altre volte che l’aveva ferito. 

«Pensavo che avresti apprezzato la mia vera forma…», disse. «Ero sicuro che avresti capito»

Dean scosse la testa, improvvisamente consapevole che per l’ennesima volta gli era sfuggito un dettaglio. Ma era troppo stanco per mettersi di nuovo a dare la caccia agli indizi, quella vita era finita, letteralmente. «Capito… cosa? E perché dovrei—»

«Questo è ciò che sono, Dean», lo interruppe Castiel, tranquillo eppure non privo di urgenza nella voce celestiale che giungeva come separata dal quella forma divina. «Non sono mai stato Jimmy Novak o qualunque altro tramite che abbia mai avuto nel corso della mia lunghissima esistenza… io non sono… niente di umano», disse quasi sforzandosi. «E anche se sono stato nel corpo di Jimmy quando lui ormai non c’era più, e anche se per un po’ non ho avuto poteri, e sono stato umano, almeno in parte… diciamo che sono stato “mortale”, terreno in un certo senso, è stata solo una minuscola frazione della mia esistenza e… io non ho nessuna di quelle caratteristiche innate in me. Sono stato in corpi umani maschili e femminili, e sono stato solo luce per molto, molto più tempo di quello che ho passato nel tramite che tu hai conosciuto… ed è per questo che mi sono mostrato a te in questa forma»

Il maggiore dei Winchester iniziava a capire, eppure non voleva farlo. Gli sembrava troppo offensivo anche per la stupida mente contorta e sprovveduta di Castiel. «Perché mi dici questo?» 

L’eco dell’ultima volta che gli aveva detto quelle parole gli aprì uno squarcio nel petto, costringendolo di nuovo a sposare lo sguardo.

«Perché voglio che tu capisca, Dean, che…», sembrava assurdo che quella creatura possente e aliena non trovasse le parole, eppure era così. Sembrava quasi che la sua voce tremasse di incertezza, che temesse la sua reazione. E Dean si sentiva uno schifo all’idea che quell’angelo che si era sacrificato tante volte per salvargli il culo si sentisse intimidito da lui, nonostante  tutto quello che gli aveva detto prima di farsi risucchiare dal vuoto.

L’ex cacciatore di mostri strizzò le palpebre serrate e strinse le dita sul legno dello steccato fino a farsi sbiancare le nocche, poi si rimise dritto, fissando gli occhi su un punto a caso in cui - credeva - potesse ragionevolmente immaginare che si trovassero gli occhi effettivi di Castiel.«Cosa?», lo incalzò. 

L’angelo si agitò nella sua luce. «Che io posso essere qualunque cosa tu voglia. Posso prendere la forma che ti faccia sentire più a tuo agio, più te stesso, più… felice», disse.

Dean non ci credeva: Castiel aveva veramente detto una cosa tanto stupida? Aggrottò la fronte, si guardò le mani ruvide, poi l’orizzonte il cui rosso andava sempre più a scemare nel nero del cielo trapunto di stelle. «No», rispose.

Castiel rimase in silenzio, incapace di capire, ma Dean non dava segno di voler articolare la sua reazione. «No, cosa?»

«Non voglio che tu prenda nessuna altra forma, se è quello che stai suggerendo», gli disse con  un’espressione avvilita eppure triste. Dopotutto, se Castiel era arrivato a dirgli una cosa del genere era solo colpa sua e del suo comportamento tossico da idiota frustrato. Espirò con vigore. «Non voglio che tu cambi per mettermi più… a mio agio— ma che diavolo di proposta è?»

Castiel sembrava titubante, quasi timido. Se Dean non l’avesse conosciuto bene, avrebbe creduto che fosse imbarazzato, ma in realtà sapeva bene che non riusciva veramente a capire perché reagisse così a quella che sicuramente gli sembrava una proposta estremamente logica e razionale. «Io… pensavo solo che forse, con un aspetto diverso— io so che tu— che non ti…», le parole morirono senza trovare la strada per trasformarsi in un discorso di senso compiuto, e si rassegnò. «Ho sbagliato, ho creduto che in Paradiso le cose potessero essere diverse nonostante il passato… sai, che potesse essere come con—»

«Come con Anna», lo interruppe l’altro, serrando ancora di più la mandibola.

«Beh… sì», ammise Castiel.

Il viso di Dean si arrossò appena, ma la barba sottile e le ombre create dal tramonto lo nascosero. Inspirò ed espirò più volte, in cerca di una via d’uscita da quella conversazione surreale. Castiel era sempre il solito angelo incapace di comprendere le più banali emozioni umane, anche se credeva di farlo. Per lui bastava trovare una soluzione logica adesso che poteva farlo, bastava schioccare le dita e tutto nella sua testa sarebbe stato facile, banale, semplice. Magari pensava addirittura di fargli un favore, ad affrontare così la questione, di punto in bianco, come se niente fosse. Come se Dean non dovesse già metabolizzare molte altre cose; come il fatto di essere morto ad appena quarant’anni impalato da uno stupido chiodo per colpa di una stupida vampira che quell’idiota di Sam non aveva voluto far fuori quindici anni prima, per esempio. O come il fatto che aveva passato un’intera vita a ritrarsi anche con sé stesso come un vero donnaiolo senza scrupoli e senza sentimenti, senza dubbi, ma che erano anni che in realtà sopprimeva dietro a pacche sulle spalle, abbracci “fraterni” e altre cazzate una verità che non aveva avuto il coraggio di rivelare neanche a sé stesso. Ma no, Castiel cercava sempre di risolvere le cose da solo, poco importava se così facendo creava ancora più confusione. E, sì, da una parte un mea culpa Dean se lo sarebbe anche dovuto fare dato che a sua discolpa Castiel provava quei sentimenti da anni, aspettando in silenzio, mentre lui si crogiolava nel suo bellissimo armadio pieno di pizzi e minigonne che non gli davano altro che un brivido, ma nessuna emozione. Dean sospirò. Non era colpa di Castiel, si disse, anche se avrebbe potuto usare un po’ più di tatto. Era solo colpa sua, e della sua stupida inutile vita di bugie… o forse era colpa di Chuck, chi lo sa. «Tu non sei Anna, Cas», si ritrovò a dire. «E non mi importa… non voglio che tu lo sia. Vorrei che, per favore, ti mostrassi per come ti conosco, ok? È tutto quello che voglio che tu sia, niente di diverso…»

«Ma…»

«Basta, Castiel!», gridò articolando il suo nome per intero. «Basta. Questa discussione è andata anche fin troppo avanti», disse stizzito. «Non mi importa che aspetto hai… non cambia niente! Niente! E voglio solo poter… sì, insomma, poterti abbracciare di nuovo come tutte le altre dannate volte in cui sei morto e poi sei riapparso dal nulla su una stupida strada o accanto a una maledetta cabina telefonica. Non ti voglio…» fece una smorfia seccata e aprì le virgolette con le dita delle mani, «…“versione femminile”, se è quello che intendevi propormi e— Maledizione, è la cosa più stupida che potessi dirmi, eppure ne hai dette di stronzate in questi anni!»

Dean non lo vide neanche, sentì solo un rumore di ali che sbattono, e poi nel tempo di un battito di ciglia quella creatura fatta di piume, luce e occhi era svanita, lasciando al suo posto una figura familiare dai capelli corvini avvolta da un consunto impermeabile beige. E ci provò con tutte le forze, davvero, con una volontà smodata, ma non riuscì a frenare l’emozione che gli montava nel petto. Sentiva gli occhi lucidi come l’ultima volta che l’aveva visto, in quel terribile parallelo che gli aveva fatto ricordare il giorno in cui gli era apparso la prima volta. 

«Cas…», espirò, finalmente leggero; la rabbia, il dolore e la frustrazione che si dissipavano alla velocità di un battito di cuore.

«…Dean», gli rispose lui con un sorriso beato. Il sorriso che Dean ricordava, quello che… beh, il suo sorriso.

Dimenticando tutto il resto il Winchester gli si avvicinò in pochissime lunghe falcate, e gli si infranse addosso in un abbraccio bisognoso, impaziente. Gli strinse le spalle con le braccia, aggrappandosi alla stoffa dell’impermeabile come se avesse paura che svanisse da un momento all’altro. Nella sua mente le idee correvano, le sensazioni si accavallavano l’una sull’altra incapaci di prendere un nome, di concretizzarsi. Sentiva il cuore rimbalzargli nel petto all’impazzata, così forte che se non fosse già stato morto avrebbe temuto un infarto. Fu proprio in quel momento che la radio angelica pensò bene di far partire All I want di Kodaline. Non certo una scelta in tema con i gusti di Dean, ma sicuramente il testo era azzeccato, per quanto forse non avrebbe saputo usare ancora tutte quelle parole.

 

All I want is nothing more
To hear you knocking at my door
'Cause if I could see your face once more
I could die as a happy man I'm sure

 

 

Non voleva nient’altro in quel momento. Non voleva staccarsi, non voleva allontanarsi, non voleva neanche guardare in faccia Castiel: qualunque movimento avesse fatto avrebbe rotto quel momento così perfetto, avrebbe aperto la via a discorsi che sapeva di non essere pronto ad affrontare, l’avrebbe costretto ad elaborare, ma soprattutto gli avrebbe tolto il calore familiare, terapeutico, che solo quell’abbraccio era in grado di dargli in quel momento. Prima di morire sapeva che un giorno, vicino o lontano che fosse, avrebbe rivisto tutti i suoi cari, e che anche Sam, prima o dopo, sarebbe stato al suo fianco. Dopotutto, sapere dell’esistenza dell’aldilà concedeva un certo grado di tranquillità per quanto riguardava l’idea della morte. Ma se le anime umane potevano andare solo all’inferno o in paradiso, e con Jack al comando era sicuro che si sarebbe assicurato un biglietto di sola andata per i piani alti qualunque cosa fosse capitata, Dean sapeva che angeli e demoni non avevano la stessa sorte. Ed era vero che prima Chuck, poi Jack, avevano riportato Castiel in vita talmente tante volte da averne ormai perso il conto, ma quando l’aveva visto svanire era sicuro che sarebbe stata la fine, per sempre. Aveva creduto che il Nulla non l’avrebbe mai lasciato andare. 

 

When you said your last goodbye
I died a little bit inside
I lay in tears in bed all night
Alone without you by my side

 

Dean aveva cercato di non mostrarlo a nessuno, nemmeno a Sam. Ma quel distacco così improvviso, così inaspettato, l’aveva lasciato spezzato. E nel buio della sua camera, nel conforto dell’alcol, nel silenzio delle mura che lo circondavano si era lasciato andare alle lacrime, lasciando che la sua testa urlasse fino a spezzarsi le corde vocali. E si era chiesto perché, perché se Castiel ci teneva tanto a lui, non aveva trovato un altro modo per salvare entrambi, o per tornare. Che razza di modo di fare era… aprirgli il cuore, spezzare il suo in mille pezzi, dichiararsi… per poi scomparire nel Nulla?

 

But if you loved me
Why did you leave me

 

Ferito nel profondo, ancora incapace di liberarsi di quel dolore, gli parve del tutto naturale prolungare quell’abbraccio tanto più di quanto non avrebbe fatto sulla Terra. Dopotutto non c’era niente da rincorrere, da cacciare, da uccidere. Non c’erano pericoli, non c’era tempo che si potesse perdere. Ma Castiel si allontanò, ponendo fine a quell’unico momento di pura serenità. Fece un passo indietro con quel sorriso maledettamente serafico, e Dean non riuscì a trovare qualcosa di intelligente o arguto da dire. Si sentiva solo in colpa.

«Che ti succede?», gli chiese l’angelo. «Il topo ti ha mangiato la lingua?»

Bastò quella battuta a stemperare l’intensità del momento. «Si dice “il gatto”, Cas… non il topo»

«Ah, giusto»

Dean gli lanciò un’occhiata serena, di traverso, e si appoggiò di nuovo alla macchina. Castiel lo imitò, portandosi le mani in grembo come era solito fare quando non sapeva dove altro metterle. Dean percepiva che indossare di nuovo quel tramite lo faceva sentire strano, vulnerabile forse. Dopotutto stando alle sue parole era il tramite con cui aveva provato per la prima volta la pura felicità, ma anche quello con cui aveva patito le più grandi sofferenze, interiori ed esteriori, e di questo il Winchester si imputava molte responsabilità.

«Dean, io…» , iniziò l’angelo. 

«Cas…», disse l’altro contemporaneamente. 

Castiel gli fece segnò di continuare, ma Dean scosse la testa.

«Volevo dirti che mi dispiace se quello che ti ho detto quando… sì, insomma, non volevo turbarti…»

Dean rimase in silenzio, con gli occhi fissi nel cielo. La fossetta appariva e scompariva dalla sua mandibola scolpita, il sottile nido di lentiggini chiarissime che gli si apriva sugli zigomi era lievemente illuminato dagli ultimi bagliori del tramonto. «Non l’hai fatto, io—»

«Non serve che tu dica nulla, Dean, davvero. Pensavo ciò che ho detto, ogni parola, e so benissimo che non puoi ricambiarmi; come ho detto, so che quello che desidero di più non posso averlo e dopotutto era moltissimo tempo che lo pensavo. Per cui se lo desideri possiamo fingere che non sia successo, possiamo… dimenticare, e tornare ad essere quello che eravamo prima», si affrettò a dire, con un’urgenza quasi dolorosa, eppure estremamente calma e calcolata.

Dean mugugnò un ironico assenso. «È questo che vuoi? Fingere per l’eternità?»

Castiel sembrava confuso. «Io? No, io voglio che tu sia—»

«Non ti ho chiesto cosa vuoi che io sia, faccia, abbia, respiri o beva…», roteò gli occhi, «…ma cosa vuoi tu»

L’angelo rimase interdetto, in silenzio. Sul suo viso scese un’espressione imperscrutabile. «Non c’è niente che io voglia, che non riguardi te», disse con una semplicità e una sincerità disarmanti.

Il Winchester si sentì riempire di un calore intenso, di un benessere macchiato da quella vischiosa sensazione di colpevolezza: avrebbe voluto liberarsi di ogni blocco, di ogni imposizione che si era sempre dato in vita, e a cui probabilmente non si era mai reso conto di aver fatto ricorso, ma non ci riusciva. Non ancora almeno. E dentro di sé sentiva pungente la paura di non riuscirci affatto, nonostante tutto. La paura di non potersi sentire sé stesso neanche in Paradiso, di non meritarsi o di non riuscire a prendersi davvero quella libertà che a quanto pareva gli si stava sventolando davanti, ma che era così disabituato a riconoscere da non riuscire neanche a contemplarla. Ma non voleva farsi sopraffare dalla paura. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, ma si sarebbe impadronito della sua vita - o almeno, della sua nuova vita, per così dire. Castiel gli aveva detto che da quando l’aveva tirato fuori dall’inferno, Dean l’aveva cambiato. Eppure, a parti inverse, era Dean a pensare esattamente la stessa cosa. Dal primo momento in cui l’aveva toccato Castiel aveva sconvolto la sua vita: aveva salvato la sua anima, l’aveva riportata sulla Terra, e poi l’aveva vista spezzarsi tante altre volte ed ogni volta gli aveva dimostrato solo volontà, affetto, perdono. Ne avevano fatti di errori durante la strada, e Dean sicuramente più di chiunque altro. Si era nascosto dietro la sua virilità, così esasperata, e si era fatto scudo di ogni stilla di dolore che aveva accumulato dentro di sé fin dall’infanzia, per schermarsi dalle emozioni che lo spaventavano. Ma per quanto ci avesse provato, Castiel aveva fatto breccia dentro di lui, e l’aveva cambiato. Ne aveva avuto la dimostrazione quando Chuck l’aveva chiamato “il killer perfetto e spietato”, e lui aveva risposto senza esitazione che non era affatto quello, o almeno non solo. E se era arrivato a vedere sé stesso come qualcosa di diverso rispetto a un assassino a sangue freddo, era solo merito di Castiel, che era riuscito a liberare la sua versione migliore. 

 

'Cause you brought out the best of me
A part of me I'd never seen
You took my soul wiped it clean
Our love was made for movie screens

 

«Io non voglio fingere», sussurrò dopo un po’. «Onestamente non so neanche cosa fossimo prima»

«Amici?»

«Forse, per un po’… una volta ti ho detto che eri come un fratello», recuperò la bottiglia dal tettuccio dietro la sua testa, e tracannò il resto della birra in un solo sorso. «Beh, se così fosse immagino che quei fanatici che hanno scritto il Musical sui libri di Chuck avrebbero un altro incesto da esplorare con il loro “sottotesto”…», sogghignò soddisfatto della sua battuta.

Castiel lo guardò confuso, aggrottando la fronte. 

L’altro gli lanciò uno sguardo alla “Dean-il-nerd-comico-Winchester”, speranzoso che cogliesse il riferimento, ma finì per stamparsi sul viso la classica espressione delusa di quando credeva di aver detto qualcosa di assolutamente geniale senza scatenare l’effetto sperato. «Lascia perdere», disse schioccando le labbra. «Voglio dire…», proseguì, tornando a guardare l’orizzonte ormai immerso nell’oscurità, «…che credo che tu non sia più un amico o un fratello per me da parecchio tempo»

Non era sicuro che Castiel avesse mai veramente respirato, o se ne avesse in qualche modo bisogno considerato che era un angelo, ma Dean poteva assolutamente scommettere che in quel momento l’angelo stava trattenendo il fiato. 

«Non posso dirti quello che desideri sentire, però», proseguì. L’aria uscì di nuovo dai polmoni del serafino, quasi impercettibile, e Dean sentì spezzare qualcosa dentro di sé al pensiero che stava lo ferendo per l’ennesima volta. «Non perché non provi qualcosa…», disse, tanto maldestro quanto non era mai stato. «Ma perché non sono pronto ad affrontare la sua natura…»

Castiel annuì, indulgente. «Non è importante», lo rassicurò.

 

All I want is
All I need is
To find somebody
I'll find somebody
Like you, ooh

 

La musica scemò e poi finì, confondendosi in qualcos’altro, lasciando per qualche istante lo spazio sonoro riempito solo dal vento e dai loro respiri.

Dean sospirò. «Lo è, invece. Ma non ci ho mai…», parlare gli faceva male, fisicamente e psicologicamente. «…o meglio, ci ho pensato, a volte, in alcuni momenti, ma anche se… ho pensato… sai ho anche confessato a un prete che—» rise senza gioia, poi si ammutolì. Spostò i piedi più volte e si passò le dita tra i capelli, grattandosi la nuca nervosamente. «il punto è che ho bisogno di tempo, Cas», proruppe tutto d’un fiato.

L’angelo sorrise. «Quello direi che non ci manca…»

«No, infatti», sorrise nel buio.









TO BE CONTINUED

 

   
 
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