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Autore: Elgas    25/02/2022    3 recensioni
[Lettura da PC]
« Andrai a Shurima… », annunciò in un breve spruzzo di coraggio, « … abbiamo preso
accordo coi Khan a nord del Grande Sai. Incontrerai Atem Thoth nella sua città, Kenethet.
Risolvi il loro problema Jhin… in cambio avremo dieci reliquie, reliquie appartenenti all’antico
ordine delle Sentinelle della Luce. »
Genere: Angst, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Jhin
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 7

Solo il buio, il buio creato da lui; gli occhi chiusi, le braccia a scaldarli.
Sentiva la propria voce, non dentro la gola, ma in un punto indefinito nel buio, distante
da un corpo estraneo, da ricordi che andavano susseguendosi in quella massa di carne.
Akshan si mosse; strisciò come un verme fra pezzi di vetro, sconfitto, confuso, l’unico
briciolo di dignità racchiuso nell’attesa, nel rispetto scaturito da quelle ultime parole.
Strisciò… ecco, un lieve calore a destra, l’eco di un respiro a sfiorargli il collo…
Solo allora Jhin continuò, la voce tesa, controllata.
« Un assassino… ma questo lo sapevi già. Chi hai ucciso per primo? Ecco cosa ti preme
chiedermi… ma visto non vogliamo essere banali, eccomi a recitare questo stupido
monologo. Avevo undici anni quando uccisi mio padre. Gli tagliai la gola con le sue stesse
lame. Uhm… a ripensarci fu davvero uno spettacolo orribile. »

Le vesti della mamma erano perle sul fondo del mare. Osservarla mentre li indossava era come
trovarsi di fronte a una magia, incantesimi fatti di gesti semplici e delicati. La mamma risplendeva,
meravigliosa, bellissima, danzava, la voce a intonar melodie, canti… miraggi di una vita passata,
prima d’incontrare suo padre, trasferirsi nel monastero in veste di amante, imprigionata in una
gabbia dorata.
« Mamma... anch’io voglio danzare così! Insegnami! Insegnami! »
Li metteva di rado, la sera, lontano da ogni sguardo. Un fiore di loto, solitario e magnifico…
ormai era troppo tardi per tornare indietro, per scappare. Eppure la mamma sorrideva, sempre.
« ****… questi passi sono ancora troppo difficili. Vieni… aiutami a mettere lo smalto. »
« Uffa… va bene, va bene. Allora… viola! Ecco qui! »
« Tu… avevi scelto il nero l’ultima volta. Già… in effetti ti dona molto. »

Ogni passo andava calibrato con precisione; scivolare, farsi desiderare, vita e morte erano anche
questo, una danza sensuale e macabra. Danzare... un altro modo per annebbiare i sensi e infine
uccidere. Desiderio, sensualità… ancora non capiva cosa volessero dire; non capiva perché quegli
uomini, attirati in un luogo isolato dal mondo, avessero certe reazioni; i visi rossi, i pantaloni gonfi,
gli strani schizzi. Il copione era sempre stesso e l’ultimo atto si chiuse come sempre; il vecchio emise
un rantolo soffocato, soddisfatto, poi le lame calarono, spettri nell’ombra. Vita e morte suonarono
insieme, immerse in una brutale, irritante cacofonia.
No...non andava bene… non era il modo corretto, non era il modo corretto.
Osservò l’uomo morire, osservò suo padre, i coltelli sporchi saldi fra le mani.
« Quando potrò... concludere lo spettacolo? »
« Lo capirai da solo ****… lo capirai. »

Akshan si fece più vicino, il respiro contratto, le mani sudate, tese a reprimere l’impulso
di abbracciarlo. Irritante. Allontanarlo…. impossibile, farlo avrebbe svelato le crepe, una
maschera rotta.

Sarei io il patetico a quel punto…

« Secoli fa un tribù vastaya era devota al culto di Kindred. Tramite oscuri rituali, mutò il proprio
sangue, desiderosa di connettersi ai Due Volti della Morte. Ma questa fu la sua condanna... per
sopravvivere si mischiò agli uomini. Così noi la sentiamo ****... la morte che alberga in ognuno di
noi. Ma tu dovrai ridurla al silenzio, proprio come ha fatto la mamma. Ricorda... lui non non dovrà
mai saperlo. Mai. »
Ormai tutto era finito, non era più tempo delle danze, dei disegni, di mattine passate a cucinare;
le notti si erano ridotte ad abbracci tesi, disperati, a parole ripetute in un cieco mantra. La mamma
tremava, per quanto cercasse di trattenersi: aveva paura, eppure nei suoi abbracci respirava ancora
amore.

« Perfezionarti. Non è abbastanza, non è abbastanza. Il corpo, lo spirito. Un’arma… dovrai essere
un’arma ****, perfetta, bellissima. »

« Infilati lì dentro… »

Un buio stretto, infinito, freddo. Ormai non sentiva più nulla, solo l’eco di un corpo, il suo corpo
raggomitolato in un punto indefinito di quel buio; poteva percepirlo, teso, sottile, il bilico fra vita
e morte. Poteva sentirne pensieri, tesi nella volontà; non voglio morire, non così, non come un
insetto. Il buio prese forma, fili tessuti nella magia, nei sottili strati del mondo spirituale. Non
voglio morire, non ancora… così riemerse, mentre il canto del Kindred andava allentandosi.

« La senti meglio ora? Come fa la morte? Uno. Due. Tre. Quattro. »

Trovò la custodia aperta, le lame riflettevano i grigi riflessi del cielo. Lui era lì, seduto di spalle.
Fu un taglio netto, deciso. Un finale breve, banale. Eppure suo padre sorrideva, stava morendo per
mano sua, eppure sorrideva.
« Ecco… ora sei perfetto, ****. »
Nel silenzio la neve si tinse di rosso.

« Lo spettacolo doveva finire. Solo così. Solo così. Lui... l’aveva accettato da tempo, da
sempre. Morire… perfezionarmi. Però… mancava ancora un pezzo. Le Guerre fra Ionia
e Noxus sarebbero scoppiate anni dopo, ma le incursioni dell’Impero iniziarono molto
prima… così… quando tornai a casa… »

La morte era giunta violenta, senza grazia alcuna. Aveva resto l’aria densa, acre, putrescente;
passato pennellate di colori spenti e scuri; la cenere, il nero di case e campi dati alle fiamme;
il giardino ridotto a una distesa di foglie autunnali. Eppure nella morte, avvertì una presenza
quieta, una presenza che lo raggiunse, senza timore alcuno.
« ****! Sei davvero tu! »
Riconobbe le mani nodose della vecchia Anko ancora prima di vederle. Era dimagrita, il collo più
sottile, rugoso. La vecchia Anko… l’unica persona gentile oltre a sua madre. Sua madre…
« Sei anni! Non sai quanto siamo stati in pensiero…! Oh… guarda come sei cresciuto! Sei un
ometto ormai! »
« Ci siamo salvati nascondendoci nelle grotte. È rimasto poco qui… ma ci basta per tirare avanti.
Ma vieni! Tua madre sarà felicissima di rivederti! »
Sua madre… per un attimo li rivide, il sangue, le urla...
Sua madre… nelle parole delle vecchia Anko… un velo di gioia a nascondere la tristezza...
« Lei sta morendo... non è così? »
Non si era mosso, ne aveva ricambiato l’abbraccio, non si premurò nemmeno di scrutare
l’espressione della balia, il silenzio fu una risposta sufficiente. Lo sguardo era lì, sull’unico loto
rimasto, svettava solitario sopra l’acqua, sopra il fango, la polvere. E tutto… tutto restituì il suo
riflesso, per la prima volta dopo anni. Un demone, una maschera perfetta. Già… ormai non era
rimasto più nulla.
« Lascia si ricordi del figlio. Delle notti passate a danzare, a cucinare, disegnare. Nient’altro.
Nient’altro. Solo questo. »
Nel silenzio Anko comprese, nel silenzio la voce si rinnovò in un sollievo malinconico.
« Capisco. Nel caso dovessimo ricontrarci… come dovrò chiamarti? »
Non era rimasto più nulla. Solo un demone bellissimo, solo morte.
« Jhin… Khada Jhin. »

« Uccidere… uccidere… far crescere il seme della morte, nutrirlo con la sua melodia.
Coloro che accettano la propria fine però, li conto sulla dita di una mano. Shayda… anche
lei l’ha fatto Akshan. Anche lei. Se uccidendo tutti i Khan, la riportassi in vita… avresti di
fronte uno spirito iracondo. Nient’altro. Nient’altro. »
Così nulla rimase, solo l’eco a spegnersi nel buio, lo scricchiolio dell’anima, il Cuore di
Akshan a nutrirsi di speranza e rinascita. Le sentì vibrare in quel corpo perfetto, scorrere
in lui appena le mani sfiorarono i fianchi. Akshan era lì, la gola muta se non per respiri
intensi. Avrebbe potuto dire molte cose, ma perfino un grazie sarebbe risultato banale,
ingombrante, così pesante da romperlo, così irritante da render la scena patetica.
Ricostruire… ricostruirsi… non restava altro, non occorreva altro.
La notte era calata soffice e inattesa. Il buio avrebbe celato ogni crepa, ogni debolezza.
Akshan lo baciò, le labbra sembravano più calde, dense, persino il sapore era diverso.
Lo baciò ancora, lento, dolce, e Jhin lo desiderò, più intensamente di quanto mai avesse
fatto; lasciarsi andare, sentirlo dentro di se. Solo questo. Nient’altro. Akshan si mosse,
quasi avesse percepito quel bisogno sotto la pelle, conficcato nella carne, nelle ossa,
scorrere in ogni singola goccia di sangue. Gli abiti scivolarono via, gettati come scomodi
intrusi; nulla rimase se non il calore dei corpi, il freddo pavimento, uniti in uno stupendo
contrasto. Si muoveva lento Akshan, in una nuova e rinnovata sicurezza; ogni carezza,
respiro, spinta a sussurrare;

Non ti guardo… non ti guardo…

Così Jhin ne ebbe la certezza, fino alla fine i loro occhi sarebbe stati chiusi.
Il buio avrebbe accolto quell’ultima passione, incolore e intensa.




Angolo Autrice:

Svelare il passato di Jhin è stato… intenso. Ammetto che certi dettagli li ho presi in prestito sia dalla lore di Jhin, sia da altre fanfic, teorie su reddit.
Ricordo che anni fa lessi una Jhin x Rakan su Ao3, dove appunto Jhin rivelava origini vastaya, un dettaglio che mi piaceva riproporre anche qui; oppure quando nel flashback la madre danza, nomina lo smalto nero… smalto che Jhin indossa tutt’ora. Inoltre vi una somiglianza fra la melodia canticchiata da Jhin e Kindred nel videogioco ufficiale.
Il prossimo sarà il capitolo finale, grazie a tutti per aver apprezzato questo piccolo viaggio.
Ci vedremo a metà anni con la ripresa del Crossover <3
Elgas
   
 
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