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Autore: Neamh Moonstar    26/02/2022    1 recensioni
Gli umani sono fatti così. Alle volte ti stupiscono per i loro modi di approcciarsi gli uni agli altri: sono capaci di tessere nodi e tele di rapporti sempre più semplici e alle volte sempre più intricati. Si amano, si rispettano, si cercano, battibeccano, litigano, odiano. È la loro caratteristica principale in fondo: sono fatti di una sostanza particolare che oscilla continuamente tra il Paradiso e l'Inferno, un po' come fosse l'ago di un metronomo. Sono loro a decidere quale delle due parti far prevalere: la chiamano psicomachia, dicotomia, dualità - il principio sul quale si basa l'universo. O più semplicemente: libero arbitrio.
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One Shot ispirata ai terribili e recenti eventi di natura bellica. Non sono nominati attivamente gli stati coinvolti, ma di loro si parla (da qui il rating). Prendetela come uno sfogo/riflessione/speranza.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Prima e dopo la fine del mondo'
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Gli umani sono fatti così. Alle volte ti stupiscono per i loro modi di approcciarsi gli uni agli altri: sono capaci di tessere nodi e tele di rapporti sempre più semplici e alle volte sempre più intricati. Si amano, si rispettano, si cercano, battibeccano, litigano, odiano. È la loro caratteristica principale, in fondo: sono fatti di una sostanza particolare che oscilla continuamente tra il Paradiso e l'Inferno, un po' come fosse l'ago di un metronomo. Sono loro a decidere quale delle due parti far prevalere: la chiamano psicomachia, dicotomia, dualità - il principio sul quale si basa l'universo. O più semplicemente: libero arbitrio.

È la base, lo sanno tutti: è come dire che uno più uno fa due, che la Terra non è piatta (alcuni dissentirebbero), che il sole è una stella - ma Crowley lo sapeva meglio di chiunque altro. Lo sapeva per molti motivi: il primo è evidente - essere un demone comporta anche questo - il secondo risiedeva in tutti i complimenti da parte dei suoi superiori per le guerre e i conflitti che aveva fatto scoppiare. Peccato che non fosse stato lui, mai, nessuna delle due principali volte - perché di conflitti nel mondo ce ne sono stati a bizzeffe e lui era stato associato a ciascuno di essi.

Erano stati gli umani. Avevano fatto tutto da soli.

Se c'era una cosa che aveva imparato nel corso di seimila e passa anni al servizio del Male, era che gli esseri umani avevano un difetto di creazione - un po' come i cavalli - una pecca nel DNA: amavano odiarsi. Semplicemente non potevano stare senza attaccarsi, ferirsi, insultarsi. Alcuni di essi avevano dato la colpa di questa natura alla mela nell'Eden, ma non poteva essere quello il motivo: un frutto, per quanto intriso di conoscenza sia, non porta ad uccidere. Altri avevano dato la colpa a Caino, ma anche lì: un solo omicida non può portare da solo ad un'intera sfilza di altri omicidi. Doveva esserci qualcos'altro, qualcosa di oscuro, qualcosa che andava oltre la loro concezione. Qualcosa per il quale l'ineffabilità non bastava.


C'era un'altra cosa che Crowley sapeva. In questo caso, però, non l'aveva scoperta; l'aveva sempre saputa. Sapeva di cosa sono fatti gli angeli. 

Telecomandi, telefoni e giocattoli vanno a batterie; le creature divine vanno ad amore: la sostanza che li costituisce e dalla quale traggono beneficio allo stesso tempo. Si esaltano e gioiscono anche ai più infimi e microbici atti d'amore: dagli abbracci, ai "grazie" e "prego", all'aiutare le vecchiette ad attraversare la strada, al salvare qualcuno da un edificio in fiamme. O meglio: questo è ciò che, teoricamente parlando, avrebbero dovuto fare. Tecnicamente parlando, Crowley conosceva l'unico angelo che lo faceva davvero e lo faceva bene sempre - o quasi. Sicuramente Aziraphale era capacissimo di sopraffarsi d'innanzi a tutto ciò che di buono accadeva nel mondo, il che significava anche un'altra cosa: che tutto ciò che c'è di sbagliato nel mondo era capace di sopraffarlo a sua volta.

Non che l'angelo non fosse capace di sopportare il lato oscuro dell'umanità: lo aveva fatto per anni, destreggiandosi in quella nebbia come fosse l'unico ad avere la luce per schiarirla. Sapeva cosa aspettarsi da coloro che vegliava da sempre. Esattamente come la sua controparte, conosceva le basi. 

Ma c'era un "ma".

Tutti hanno il proprio punto di rottura: la goccia che fa traboccare il vaso. Crowley conosceva bene i propri, che erano davvero tanti, così come li conosceva l'angelo - il quale aveva imparato come domarli, in un certo senso. Allo stesso modo, Crowley conosceva bene quelli di Aziraphale, i quali erano sempre più difficili da maneggiare dal momento che il loro proprietario era una creatura altrettanto complicata. Se c'era una cosa che l'angelo non era mai riuscito a sopportare, ad esempio, era la guerra.

Guerra stessa gli stava antipatica: spesso e volentieri aveva confessato di aver avuto i brividi tutte le volte che l'aveva incontrata. L'aveva odiata sin dai tempi delle Cadute, dove quelli ligi al dovere come lui erano stati costretti a servirla e cacciare quelli che sarebbero dovuti diventare i suoi acerrimi nemici.

Aveva superato la Prima Guerra Mondiale a stento, dopo aver passato ore in un angolo della sua stanza a versare lacrime che non avrebbe confessato se non secoli dopo - a seguito di innumerevoli bicchieri di vino, con Crowley che lo ascoltava in religioso silenzio, la testa sulle sue gambe e le ciocche rossastre divelte. 

La Seconda era stata anche peggio. Aziraphale aveva sentito l'odio ingiustificato schiacciarlo tanto da renderlo impotente, e le cose erano andate peggiorando ogni anno di più. Quel conflitto aveva bruciato libri e persone come fossero carbone in una stufa. Allora Crowley era presente, per fortuna, e aveva raccolto la sua disperazione con una delicatezza che poco gli si addiceva ma che tanto bene aveva portato nel suo animo distrutto.


E adesso la storia si stava ripetendo. Lo faceva spesso in realtà: era come il rinculo di un'arma da fuoco, un boomerang, un cane da riporto. Avevano fermato La Guerra - quella con le lettere maiuscole, quella che sarebbe dovuta essere l'ultima - solo per far passare qualche anno e vedere gli umani iniziarne un'altra.

Crowley quella mattina aveva scosso la testa ascoltando le notizie. Sotto sotto sapeva che sarebbe finita così: carri armati che rompevano i confini, bombe lanciate e lasciate cadere dove capitava, gente spaventata costretta a scappare, il leader che tirava insulti a destra e a manca per... Cosa? Dissenso? I motivi erano sempre i più stupidi.

Sentì una strana ed agrodolce scarica elettrica nell'aria: sapeva di conflitto. C'era chi parlava di Terza Guerra Mondiale, avevano mobilitato mezzo mondo e ciò non poteva che essere il segno di un disastro imminente.

In realtà era ancora presto per dirlo, si rassicurò mentre spegneva tutto e scendeva per andare alla Bentley. Gli umani, come sempre, avevano la situazione in mano: potevano continuare o fermare tutto - dipendeva solo da loro. 

**

Londra andava avanti e indietro come nulla fosse, forse ignorando il problema o forse lasciandolo a chi di dovere - o magari entrambe le cose. Crowley arrivò davanti alla libreria tagliando attraverso il traffico come fosse un coltello nel burro, entrandovi con un certo timore. Aveva sperato di non dover mai più sentire quel senso di oppressione che aleggiava tra gli scaffali peggio della polvere; una sensazione che rappresentava alla perfezione una scintilla d'amore soffocata da una pesante bolla fatta di odio, ansie e preoccupazioni proveniente dall'esterno.

    Sospirò, richiudendo la porta d'ingresso e facendosi strada tra le irregolari pile di libri sparse sul parquet. «Aziraphale?» Chiamò, addentrandosi nella stanza sul retro solo per trovarla vuota. 

Uscì con una tensione innaturale che si stava innestando dentro di lui, avvicinandosi alle scale. Poteva quasi sentirla quella scintilla: una traballante fiammella frustata dal vento. Salì cercando di non correre, di non spalancare quella porta nella paura di trovare anche quella stanzetta inoccupata. Grazie al cielo - si fa per dire - l'angelo era lì, braccia incrociate, lo sguardo ceruleo perso da qualche parte oltre il vetro della finestrella. Aveva un'espressione così fredda, marmorea e indecifrabile da far male.

    «Ehi,» chiamò debolmente Crowley, rendendosi dolorosamente conto del fatto che Aziraphale non si era nemmeno girato a guardarlo. «Hai saputo, eh?»

L'altro fece un solo, leggerissimo segno con la testa: un "sì" accennato a stento.

    «Anche io, proprio stamattina,» rispose il demone avvicinandosi e mettendosi davanti a lui, braccia lungo i fianchi. «Speravo non accadesse». Nessuno ci sperava, o quasi. Era stata una spiacevole sorpresa.

Aziraphale non si mosse. Continuò a contemplare il vuoto come se potesse trovarvi risposta, o perlomeno una soluzione: il trucchetto magico pronto a far svoltare la situazione.

    «Magari possiamo fare qualcosa,» propose Crowley. «Potresti convincerli a fermarsi. Puoi almeno provarci». Non era solo un suggerimento: era una richiesta, una preghiera, una speranza. 

Ma l'altro non rispose. Strinse appena le maniche della sua camicia e i suoi occhi si fecero leggermente più lucidi.

Il silenzio piombò, insopportabile. Sembrava che il traffico e la gente al di fuori fossero spariti, lasciando spazio a tutto il male che pungeva e sfrigolava incurante dei chilometri e chilometri di distanza che lo separavano da quella povera ed amorevole creatura.

L'amore è grande e forte, ma al contempo fragile. Basta poco per distruggerlo; è come un vaso di porcellana su uno scaffale: se lo spingi si frantuma. E quello dentro Aziraphale si era già fratturato in più punti, ed ora quelle crepe si stavano riaprendo come vecchi tagli.

E facevano male. Crowley poteva sentirlo: la sua aurea oscura le assaporava con gusto certe cose. Fortuna che era diventato bravo a piegarla a suo volere, plasmandola in qualcosa di stuzzicante, fastidioso ma non così cattivo come sarebbe dovuto essere.

    Poggiò una mano sulla spalla di Aziraphale: «Ci inventeremo qualcosa» disse. 

    E l'angelo scosse finalmente la testa, l'espressione invariata: «Non dipende da noi, e lo sai» mormorò.

    Non dipendeva da nessuno se non dai diretti artefici, e Crowley certo che lo sapeva. Lo sapeva meglio di chiunque altro. «Possiamo comunque intervenire,» ripeté. «Sai, cercare di direzionarli verso la retta via e tutte quelle robe.»

    Altro scrollo di testa: «Non ha mai funzionato, non subito». Il luccichio negli occhi di Aziraphale si trasformò in una prima, trasparente e pesante lacrima: «E io ho bisogno che funzioni subito stavolta. Voglio che lo scontro si fermi prima di peggiorare.»

Crowley si ritrovò quello sguardo disperato addosso e non poté che sentire qualcosa rompersi dentro di sé. Non sarebbero riusciti a sopportare un'altra guerra: nessuno ci sarebbe riuscito. Il mondo era stato lacerato da tanti di quegli eventi negli ultimi tempi: alcuni di essi avevano portato ad un risveglio delle coscienze ed altri avevano solo contributo a scavare ancora di più nell'odio umano. Erano tempi difficili, più del solito.

L'unica cosa che poté fare fu annuire empaticamente e tirare l'angelo a sé, circondando quell'unica fiammella d'amore e proteggendola dall'umanità con l'unico riparo delle sue braccia. Sentì quella figurina iniziare lentamente a sciogliersi addosso a lui man mano che prendeva a piangere, mangiata dallo sconforto e dai singhiozzi.

Dopo lo sfogo si sarebbe sentito meglio, si disse, lacrimando a sua volta e lasciando che il suo stesso, silenzioso pianto andasse a schiantarsi sui pallidi riccioli di Aziraphale. Avrebbero trovato il modo di intervenire anche solo per cambiare un po' le carte in tavola: lo avevano sempre fatto, in fondo. L'inizio era sempre la parte peggiore.


Se c'era una cosa che Crowley aveva imparato in seimila e passa anni al servizio del Male, era che questo - per quanto geniali potessero essere i suoi piani - perdeva sempre. Perché l'amore è fragile ma allo stesso tempo resistente: basta una scintilla, un gesto, una parola, un pensiero e cambia tutto. Lui lo sapeva meglio di chiunque altro perché vicino all'amore ci viveva: aveva accanto qualcuno fatto esso stesso di quella sostanza assurda che a lui era stata vietata, come fosse una droga. Chi meglio di lui poteva provare sulla propria pelle quanto caldo potesse essere il Bene e quanto forti fossero i suoi effetti?

E gli umani quello stesso Bene ce l'avevano dentro: lo tenevano nascosto da qualche parte, schiacciato dalle ombre che tendevano a far prevalere. Dovevano solo tirarlo fuori.

Lo avevano già fatto in passato.

Potevano farlo ancora.


   
 
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