Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Jeremymarsh    05/03/2022    11 recensioni
In una società che accetta solo il bianco e il nero, Inuyasha è il grigio; è il frutto di un amore che ha deciso di andare contro le convenzioni e di mischiare i propri colori. 
Stanco di correre e nascondersi, decide che diventerà anche lui bianco, quello puro e brillante dei suoi capelli, potente come l’aura di suo padre, indistruttibile come suo fratello maggiore.  
Però, non ha ancora fatto i conti con i fantasmi del passato che improvvisamente riappaiono, ricordandogli la leggenda che aveva incrociato i destini dei suoi genitori e avrebbe presto intralciato anche ogni suo piano per diventare ciò che gli altri vogliono per lui.
[Vincitrice premio Meant To Be al contest “Il filo rosso del destino – Soulmate!AU Contest” indetto da Pampa309 sul forum Ferisce la penna]
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kaede, Kagome, Kikyo | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Argento vivo
 
 
 
You’ve seen my worst, yet you see some hope in me 
The black and white sets us free, like the queen to the rook 
Your decision is a sure thing 
Honey, a sure thing 
No wonder I feel like I’m missing a heavy load 
But no matter what daylight brings to us, we all know:  
This is life in color 
Today feels like no other.” 
 
—One Republic, Life in color 
 
 
  
 
Vivere non era mai stato facile per lui, non in una società che seguiva un set prestabilito di regole e non prevedeva l’eccezione o la strada anticonformista, quella disabitata ma non per questo meno allettante.   
 
Certi luoghi, raccontavano le leggende, erano per i reietti e tutti coloro che avevano osato allontanarsi dalla retta via, puniti e mai assolti.   
 
Balle, pensava lui tra una bestemmia e l’altra, mentre passava le sue notti in angoli bui e solitari, l’unica casa che aveva conosciuto da troppo tempo ormai. Talvolta, veniva scacciato anche da quelli; di solito erano uomini temerari che volevano dimostrare di poter sconfiggere il mostro cattivo o demoni intenzionati a eliminare la feccia che vi abitava – feccia come lui.   
 
Era un mondo dove esistevano solo due colori.   
 
Il bianco-argenteo dei suoi lunghi e lucenti capelli, gli stessi che aveva ereditato da un padre che aveva avuto a malapena la possibilità di dargli un nome prima di morire.   
 
Il nero come quello delle sue sopracciglia, delle notti senza luna che più lo spaventavano e durante le quali, eccezionalmente, la sua chioma si mimetizzava con il cielo scuro, ricordando quella d’ebano della mamma.
 
I due non andavano mai mescolati e, se accadeva, tutto era messo a tacere, nascosto come il peccato più impuro, smentito e rifiutato.   
 
In quella società che non accettava nulla di diverso, lui, Inuyasha, era il grigio.   
 
Lo aveva visto chiaramente quando, aspettando l’alba dopo un novilunio, si era specchiato nella superficie di un fiume e prima di tornare argentee, le sue ciocche erano diventate grigiastre per qualche secondo.    
 
Un colore spento come la sua vita, solitaria, priva di emozioni, perché anche quelle negative erano sparite con il passare delle stagioni. Grigio sbiadito e pallido come i suoi giorni da quando anche la mamma era morta, troppo giovane.   
 
Come lo era stato lui che, ancora innocente, aveva pensato di trovare un proprio posto nel mondo. Con i suoi occhi da bambino aveva visto il proprio colore come qualcosa di nuovo e, per questo, entusiasmante.   
 
Invece no, bianco e nero non si mescolavano mai, a meno che non si volesse un oggetto imperfetto come lui, da scacciare con sassi e frecce, gettare via e dimenticare.   
 
Quasi un secolo e mezzo dopo l’infrangersi di quelle illusioni contro il muro indistruttibile che era la società, Inuyasha aveva deciso che non era più disposto a vivere in quel modo. Sarebbe diventato bianco, quello puro e brillante dei suoi capelli, potente come l’aura di suo padre, indistruttibile come suo fratello maggiore.   
 
Aveva sentito dell’esistenza di una particolare sfera in grado di esaudire i desideri più reconditi dell’anima e rendere più forti. Tra i demoni si vociferava che era conservata attualmente in un povero villaggio situato a Est e che l’unico ostacolo da affrontare sarebbe stato una sacerdotessa particolarmente dotata.   
 
Ma cos’era poi una giovane umana nemmeno in grado di ucciderlo? L’avrebbe sconfitta senza alcun problema e, a quel punto, sarebbe diventato un demone completo. Avrebbe cancellato definitivamente il nero dalla sua vita e si sarebbe integrato nella società.   
 
Niente più compromessi né miscugli: il grigio mezzo demone avrebbe cessato di esistere per dare spazio a una versione modificata e migliore di sé.  
 
Il rifiuto e il disprezzo, gli unici sentimenti che avesse mai conosciuto, avevano forgiato Inuyasha nel corso delle stagioni e l’avevano reso una persona cinica, per nulla fiduciosa e chiusa in se stessa; nascondeva le proprie debolezze dietro una maschera arrogante e un linguaggio rude e aggressivo.   
 
Quell’arroganza, però, a volte lo rendeva incosciente e, per questo, si gettava troppo velocemente nella mischia, senza studiare davvero ciò che lo circondava, nonostante il forte istinto di sopravvivenza che lo aveva fatto arrivare alla sua età.
 
Non comprese, dunque, che conquistare la sfera dei quattro spiriti di cui tanto si parlava sarebbe stato tutt’altro che facile. Chiunque lo avrebbe capito; chiunque a parte Inuyasha, il quale aveva sottovalutato il suo nemico e, soprattutto, il destino.   
 
 
  
 
*** 
 
 
  
  
Non fu la protettrice la prima persona che incontrò quando mise piede nel villaggio, ma la sua apprendista.   
 
Kagome aveva cominciato da poco a vestire i panni da sacerdotessa e Kikyo, più grande di lei quel che bastava, si era occupata di insegnarle a dovere come utilizzare i suoi poteri spirituali. Ed era stata un’insegnante intransigente e severa. Ciò, però, aveva permesso alla giovane di imparare molto e di controllare i perimetri offrendo la protezione necessaria. Aveva già sconfitto più di un nemico e non la spaventava l’eventualità di altri incontri del genere.   
 
Di lei, si poteva dire che peccava un po’ di ingenuità rispetto alla sua mentore: Kagome non credeva che tutti i demoni fossero malvagi per definizione e pensava che leggere l’aura di una persona fosse fondamentale per capire i suoi intenti.   
 
Fu quello il motivo per cui, la mattina in cui il mezzo demone giunse da loro con un’espressione feroce sul volto, lei non si fece intimorire.  
 
Non ebbe modo di presentarsi o chiedergli chi fosse perché, immediatamente, le spalle di lui si irrigidirono e lo sguardo si assottigliò. La sua aura non era oscura né Kagome percepì intenti maligni, eppure, a prima vista dava l’impressione di un cane rabbioso pronto ad attaccare al primo soffio di vento. Quindi, qual era il segreto che nascondeva?   
 
“Spostati, ragazzina,” le intimò rude quando si accorse che lo intralciava. “Non ho tempo da perdere con i poppanti.”  
 
Le sue parole violente la colpirono come uno schiaffo, ma non si mosse di un millimetro. “È buona educazione presentarsi prima di entrare in territorio altrui e, soprattutto, di chiedere le cose gentilmente,” ribatté lei, riducendo a sua volta gli occhi a due fessure e dimostrandogli che quel poco non sarebbe bastato con lei.   
 
D’altronde, era più testarda che ingenua.   
 
Inuyasha ringhiò e finse un attacco, perché non aveva davvero voglia di sporcarsi le mani e non voleva rogne prima ancora di individuare la sfera. Ma la ragazzina non si smosse, nemmeno quando i suoi artigli brillarono sotto il sole di mezzogiorno. Ciò che, però, lo urtava maggiormente era il fatto che in tutto quel tempo non aveva mai mostrato di voler mettere mano all’arco e le frecce che portava con sé. A che gioco stava giocando? Pensava che non avrebbe fatto sul serio? 
 
Ringhiò di nuovo e, un attimo dopo, prese accuratamente la mira, pronto a sferrare una delle sue tecniche. Avrebbe tranciato la testa a quell’insolente senza darle neanche il tempo di urlare e sarebbe scappato da quel villaggio il prima possibile.   
 
Tuttavia, nello stesso momento in cui concepì quell’intento aggressivo, sentì una morsa al cuore – come una mano che lo afferrava e lo stringeva forte – e, un attimo dopo, il suo corpo muoversi contro la propria volontà.   
 
La traiettoria cambiò e i suoi artigli tranciarono il vuoto.   
 
Impiegò qualche secondo prima di recuperare l’equilibrio e, dopodiché, si tastò il corpo e fissò le mani come se avesse paura che qualcuno avesse improvvisamente preso possesso di lui.   
 
“Ma che diamine,” mormorò, incredulo. Poi sembrò ricordarsi di non essere solo e rialzò il suo sguardo ardente verso Kagome che lo osservava curiosa. “Che mi hai fatto, maledetta?”   
 
Lei represse l’istinto di ridere, poi arcuò un sopracciglio. “Come, scusa? Non è mica colpa mia se, nonostante tutti i tuoi vanti e l’impressione bellicosa che ti sforzi tanto di dare, in realtà ti manca il senso dell’equilibrio,” lo prese in giro.   
 
“Come osi,” sibilò il mezzo demone, prima di gettarsi di nuovo contro di lei, salvo poi essere fermato dallo stesso fenomeno di prima.   
 
Morsa al cuore.   
 
Corpo bloccato, che non rispondeva.   
 
Perdita dell’equilibrio.   
 
Il tutto si ripeté per altre due, tre volte, e per ognuna di esse Inuyasha non volle accettare ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi, mentre Kagome rimaneva lì accanto a osservarlo, arrabbiata per quegli insulti non meritati e, infine, preoccupata che qualcosa stesse seriamente accadendo al mezzo demone.   
 
“Non è possibile, non è possibile,” ripeté Inuyasha tra sé e sé intanto che ricordi che credeva di aver rimosso tornavano a tormentarlo e affollargli la mente. Si strinse il capo tra le mani, disperato, proprio quando la giovane tentò di avvicinarlo.   
 
“Ehi, stai bene?” gli chiese, dimenticando per un secondo gli insulti e il comportamento ostile. “Ti ser-”  
 
“Sta zitta!” urlò lui, infuriato, più alla voce nella sua testa che a Kagome. Fece scattare il braccio, intento ad allontanare la ragazza, ma registrò nuovamente il dolore al petto.   
 
Si raddrizzò furente, lanciando uno sguardo omicida all’attuale fonte di tutti i suoi problemi, si portò una mano al petto e le diede le spalle, sprezzante. “Figurarsi se una ragazzina debole e inutile come lei è la mia anima gemella,” mormorò avendo cura di non essere sentito, mentre abbandonava di corsa la radura, cercando di scappare non soltanto da lei, ma anche dai fantasmi del passato che erano tornati prepotenti.   
   
Quando reputò di essere a una distanza accettabile, Inuyasha cominciò a inveire contro la società in cui viveva, attaccando l’ambiente circostante: sbatté i pugni contro il tronco di un albero, tranciò quello accanto e ne sradicò un terzo, continuando fino a quando non ne rimase nemmeno uno nel piccolo bosco in cui era giunto. La sua furia era immensa e non trovava sfogo.
 
Com’era possibile che, ancora una volta, quel maledetto destino si mettesse in mezzo? Perché gli tornava alla mente quella faccenda delle anime gemelle? Non era abbastanza che, unendo suo padre e sua madre, avesse prodotto un essere come lui, rifiutato da tutti?   
 
Aveva creduto di esserne immune perché nessuno desiderava un mezzo demone e, dunque, non esisteva qualcuno fatto su misura per lui.   
 
Il bianco va con il bianco e produce il bianco.   
 
Il nero va con il nero e produce il nero.   
 
Quelle erano le uniche verità che contavano nella loro società di merda, non stupide anime gemelle che rovinavano gente buona come sua madre e lasciavano bambini innocenti abbandonati a se stessi.   
 
Com’era possibile che, invece, ora, gli accadevano quelle cose? Perché quella ragazzina gli aveva fatto provare quelle sensazioni, quel dolore al solo pensiero di ferirla, nonostante tutto l'odio che aveva deciso di provare per gli esseri umani, nessuno escluso? Cos’aveva lei di speciale?   
 
“È la tua anima gemella,” mormorò una voce gentile nella sua testa che gli ricordò tremendamente sua madre. Lui pensava di averla dimenticata.   
 
Lacrime di rabbia gli pizzicarono gli occhi mentre sbatteva di nuovo i pugni contro un tronco. “No, no, maledizione, no! Ho trovato la mia soluzione, il mio modo di vivere, che diritto ha un’umana di piombare nella mia vita e rovinarmi i piani?” Ignorò il fatto che fosse stato lui a piombare in quel villaggio e che la sua esistenza, senza Kagome, faceva già pena. “Non lo accetto; non posso,” continuò intestardito. “Ho già tutte le prove che mi servono per capire che nulla va mai a finire bene quando i colori si mischiano.”  
 
Non voleva trovare qualcuno per poi perderlo tragicamente o, peggio, essere rifiutato ancora, stavolta dalla sua cosiddetta altra metà. Sarebbe andato avanti con il suo piano e poi avrebbe lasciato quel luogo che portava solo grane; sarebbe andato il più lontano possibile.   

  
  
***   
  

  
Le settimane passarono e Inuyasha non abbandonò il suo proposito; aveva anche incontrato Kikyo e si era subito reso conto dell’ostacolo non indifferente che rappresentava. Lei, però, non tentava di ferirlo davvero, lo mandava via o lo intrappolava, facendogli intendere quanta poca paura avesse di lui. La cosa faceva infuriare ancora di più Inuyasha, il quale aveva già le sue gatte da pelare mentre provava a ignorare Kagome, i suoi tentativi di ‘fare amicizia’ e l’idea che una ragazzina tanto stupida da voler essere amica di un demone fosse destinata a lui.   
 
Ma in che razza di posto era capitato? Sacerdotesse che non lo scacciavano, altre che non lo uccidevano quando tentava di rubar loro la sfera, abitanti che cominciavano a riconoscerlo e salutarlo come se fosse un semplice vicino. Inuyasha iniziava a credere di essere finito in una gabbia di matti – o di esserlo diventato a furia di ripetersi che no, Kagome non era la sua anima gemella.   
 
Trascorreva le sere tenendo il broncio e scervellandosi, mangiando di nascosto i pasti che la giovane miko gli faceva trovare ogni volta, nonostante lui cambiasse costantemente posto ‘segreto’. La mattina dopo, i piatti puliti venivano ritrovati dalla ragazza davanti alla propria capanna, ma Inuyasha, ostinato, ribadiva che non era lui a cibarsene.   
 
Durante il giorno, dopo aver provato inutilmente a fregare Kikyo – e rifiutava di dirsi che i suoi tentativi erano sempre meno convinti –, seguiva con lo sguardo e le orecchie le mosse dell’apprendista, per poi scappare ogni qualvolta lei lo notava e lo salutava entusiasta. 
 
Contenta, Kagome sorrideva di quei gesti apparentemente ostili, ma che in realtà nascondevano un mondo dietro – il suo, quello di Inuyasha che lei era sempre più curiosa di conoscere. La mattina, dunque, ritirati i piatti della sera prima, cominciava la sua routine consapevole che era stato fatto un altro passo avanti per rompere le difese di lui. 


 
 
*** 
  
  
  

Quel pomeriggio, a quasi un mese di distanza dall’arrivo di Inuyasha, Kagome stava ripetendo a Kaede, più piccola di lei, i dettagli del loro primo incontro mentre smistavano erbe mediche.  
 
“Come hai detto che ha reagito?” chiese la bambina, strabuzzando gli occhi.   
 
Kagome sorrise un po’ accondiscendente, dovendole ripetere di nuovo tutto daccapo. “Si è portato una mano al cuore, come se provasse dolore, e poi ha perso del tutto l’equilibro, sbagliando mira. Tutte le volte in cui ha provato a ferirmi. Non che mi dispiaccia, eh – quegli artigli hanno l’aria di essere affilati –, ma non credo Inuyasha avesse una reale intenzione di mutilarmi. L’ho capito subito, sai?” mormorò con aria un po’ trasognante. “È tutta scena; non è un cattivo ragazzo.”  
 
Kaede la fissò a bocca aperta, come se avesse appena scoperto il segreto che si celava dietro la magia del pozzo mangia-ossa e l’amica si ostinasse, invece, a ignorarlo. Non che non fosse abituata a certe sue stranezze, eppure…   
 
“Che c’è?” domandò Kagome quando si accorse che la bambina continuava a guardarla.   
 
“Davvero non capisci?”  
 
“Cosa dovrei capire, Kaede?”   
 
“È la tua anima gemella!” gridò l’altra, alzandosi di fretta e recuperando quelli che sembravano rotoli antichi. “È scritto qua: non può ferirti né tu puoi ferire lei. Nel momento in cui anche solo una delle due parti tenterà di farlo, una morsa ferrea intrappolerà il suo cuore e una forza estranea prenderà possesso del suo corpo per impedire qualsivoglia attacco. È proprio come me l’hai descritto, Kagome-chan! È… è straordinario. Ti rendi conto? Il destino l’ha mandato direttamente da te, non hai nemmeno dovuto girovagare il mondo come è capitato a molti e-”  
 
“Frena, frena,” la bloccò Kagome che stava cominciando ad avere mal di testa. “Non ti sarai fatta influenzare dalle vecchie e strambe leggende di mio nonno, vero? L’ultima volta che qualcuno in questo villaggio ha trovato l’anima gemella i miei trisavoli ancora non erano nati.”  
 
Kaede le si avvicinò, lasciando perdere i rotoli, e le prese le mani tra le sue. “Pensaci bene,” le disse, “combacia tutto.” Lo sguardo che le rivolse era scintillante e speranzoso, come se fosse stata lei a trovare la propria metà.
 
Kagome, però, era titubante. Se davvero fosse stato così, perché Inuyasha continuava a rifiutarla? “Non lo so, Kaede… non mi sembra molto interessato in quel senso, anzi in tutti i sensi.”  
 
“Non eri tu quella a dire che stavate facendo passi da gigante?” le chiese l’amica, sorniona.   
 
“Sì, ma-”  
 
“Niente ma,” tagliò corto Kaede. “Non dirò niente a nessuno, manterrò il segreto. Ma tu prometti… prometti che proverai a scoprire di più. Magari lui lo ha capito prima di te e ha paura di un rifiuto. Fai il primo passo.”  
 
  


 
*** 

 
 
 
Kagome non assicurò nulla a Kaede, nonostante rimuginasse sulla cosa, e Inuyasha continuò a ignorarla quanto più possibile – cosa che risultava sempre più difficile, soprattutto quando gli arrivava l’odore allettante di lei o scorgeva la sua figura da lontano.  
 
Era convinto che qualsiasi maledetta magia fosse in atto lo stesse colpendo bene. 
 
Un pomeriggio, durante un attacco improvviso ad opera di un’orda di demoni, Inuyasha si ritrovò suo malgrado ad offrire il suo aiuto nel difendere il villaggio. Non volle nemmeno chiedersi perché prese più e più attacchi diretti a Kagome né perché la parò con il suo corpo, pensò soltanto a uccidere quei bastardi il più velocemente possibile, di modo che non potessero più dar fastidio – dare fastidio a lei.   
 
Però, quando la giovane, scioccata dalla violenza con cui Inuyasha l’aveva difesa e dal sangue che aveva scurito il tessuto già rosso dei suoi vestiti, tentò di soccorrerlo, Inuyasha tornò ai soliti modi bruschi.   
 
“Lasciami, patetica ragazzina, non vedi che sei solo d’intralcio?” sbottò, scappando poi via, lontano da quel dolore che gli artigliava il petto e dalle lacrime di lei.  Se fosse rimasto anche un solo secondo in più le sue difese sarebbero crollate definitivamente e non poteva permetterselo. 
 
Kagome rimase lì, immobile, con gli occhi umidi e il cuore infranto senza un apparente motivo. Perché aveva cominciato ad affezionarsi a lui ancor prima che Kaede le facesse capire la verità, perché sapeva che Inuyasha passava la sua vita a scappare, perché aveva letto nel suo cuore e non solo nella sua aura quel primo giorno.   
 
“Va’” le bisbigliò Kaede lì accanto, ignorando Kikyo che le stava intimando di seguirla. “Va’” ripeté quando vide che Kagome non reagiva, strattonandole il braccio. “Sì, arrivo,” urlò alla sorella mentre continuava a lanciare all’amica segni e sguardi penetranti.   
 
Quando Kagome si decise finalmente a corrergli dietro, il poco sole che era rimasto era già sparito oltre la collina, rivelando un cielo limpido, ma senza luna. Non era il momento ideale per vagare nella foresta, ma non voleva abbandonare il suo intento. 
 
Si spaventò sentendo un improvviso rumore, pensando di incontrare l’ennesimo nemico e accorgendosi della faretra quasi vuota. Nella fretta, non aveva chiesto a Kaede di darle le sue frecce. Quel rumore si rivelò essere un gemito di dolore e, spostando rami e navigando i cespugli, Kagome scoprì un uomo vestito come Inuyasha, gli stessi tratti e addirittura le stesse ferite, ma con lunghi e setosi capelli neri.   
 
Trattenne il fiato nel rendersi conto di chi aveva di fronte e, ancora di più, quando notò il suo kosode aperto e i graffi arrossati e infettati. Ciò che per un mezzo demone sarebbe stato facile da guarire, stava dando non pochi problemi a un umano.   
 
Inuyasha non provò nemmeno ad allontanarla quando Kagome gli si avvicinò né a litigare; non aveva forze. Aveva calcolato male i tempi nella fretta di scappare e, soprattutto, si era dimenticato per la prima volta l’arrivo di un momento tanto cruciale per lui. Avrebbe voluto chiedersi come fosse stato possibile, ma la realtà era che rimanere in quel villaggio per così tanto tempo, non essere scacciato, gli aveva regalato una sensazione di benessere che aveva inutilmente provato ad ignorare. Nel frattempo, senza che potesse davvero opporsi, aveva calato le proprie difese.  
 
La ragazza tentò di farlo alzare e spostarlo mettendosi un suo braccio attorno alle spalle, ma anche da umano rimaneva pur sempre di costituzione molto più grossa.  Decise, dunque, di occuparsi prima delle sue ferite, utilizzando l’unguento che aveva portato con sé, e poggiandogli un panno umido sulla fronte per abbassare la febbre causata dall’infezione.   
 
Quando Inuyasha smise di gemere, ormai adeguatamente fasciato, Kagome si guardò intorno e constatò che era il momento opportuno per spostarsi. Non sarebbero potuti restare lì per sempre – la notte era pericolosa nella foresta –, ma da sola non ce l’avrebbe mai fatta.  
  
“Inuyasha,” sussurrò, scuotendolo leggermente per assicurarsi che fosse lucido, “dobbiamo andarcene al riparo, ma non ce la faccio ad alzarti; devi darmi una mano.”  
 
“Keh, quanti problemi che dai, ragazzina,” sbottò in risposta lui, recuperando in parte il suo brio e facendola sorridere.   
 
Insieme, e ignorando il formicolio che il contatto diretto procurava loro mentre lei lo aiutava a camminare, raggiunsero la capanna solitamente utilizzata per i mercanti di passaggio. Lì, Kagome costruì per un lui un giaciglio improvvisato dove farlo stendere, ma non aveva legna per accendere il fuoco né si sarebbe azzardata a lasciare quel rifugio a quell’ora. 
 
Temeva che la febbre non calasse, che qualcuno li scoprisse, che le ferite si infettassero e Inuyasha non riuscisse ad arrivare all’alba e a tornare ciò che era. Senza che se ne rendesse conto, lacrime avevano cominciato a solcarle il viso e lei le asciugò con i dorsi delle mani, arrabbiata. “Stupido,” mormorò quando credette che si fosse ormai addormentato, “dovevi fare così tanto l’orgoglioso e far sì che finissimo in questa parte abbandonata del villaggio? Cosa ti spaventa davvero? È così brutto essere te? Io ti vedo ogni giorno, Inuyasha, come non sai fare tu. Vedo un ragazzo ferito che non riesce ad afferrare la mano che gli porgono, un mezzo demone perfetto così com’è, senza una sfera inutile che cancellerebbe tutte le sue sfumature e la diversità che lo rende speciale. Vedo un bambino spaventato…” Gli sfiorò le dita lì accanto e provò a intrecciarle con le sue per capire cosa si provasse. “Non devi avere paura di me, però-” Sussultò improvvisamente quando sentì Inuyasha stringere la presa e vide le sue labbra schiudersi nonostante le palpebre calate.   
 
“Non ho paura di te, Kagome,” sussurrò, debole. “Né ti odio.”  
 
“Allora perché ti comporti in questo modo, perché mi scacci?” ribatté lei, mentre nuove lacrime di rabbia sostituivano le vecchie.   
 
“Ho paura di un rifiuto. Di te che mi rifiuti,” rivelò a voce ancora più bassa, voltando il viso verso di lei e appoggiandolo sulle sue gambe.   
 
Kagome rimase senza fiato, incapace di formulare una risposta sensata. Come aveva fatto a non pensarci prima? Perché aveva pensato solo a se stessa? Non era la stessa cosa che le aveva detto Kaede? Abbassò lo sguardo su di lui, ora addormentato, osservando le differenze della sua nuova forma, tracciando il contorno delle orecchie umane e carezzandogli i capelli neri come la notte senza luna.   
 
L’alba sarebbe arrivata presto – il prima possibile, sperava lei –, ma non avrebbe dimenticato la sua confessione né quella sensazione così calda che l’aveva inondata, la convinzione di essere finalmente al posto giusto nel momento giusto o, meglio, con la persona giusta.   


 
 
***   



 
Durante le sue notti di debolezza Inuyasha non dormiva mai; restare allerta era fondamentale per non essere attaccato e scoperto. Tuttavia, quando quella mattina si svegliò, i suoi sensi erano già tornati quelli di sempre, così come l’aspetto esteriore.  
 
Percepì immediatamente il profumo particolare, un misto di fiori di ciliegio e rugiada, che aveva imparato ad associare a Kagome e a ciò che gli ricordava un porto sicuro, e fu sorpreso di trovarsi con il capo sul suo grembo. Lei, invece, aveva la testa ciondoloni ed era chiaro che doveva essersi addormentata senza rendersene conto. Il resto che lo circondava, poi, parlava chiaro: aveva abbassato di nuovo la guardia, soprattutto se nemmeno il ritorno al suo essere mezzo demone lo aveva destato.  
 
Anche adesso non poteva smentire il senso di sicurezza e accoglienza che provava nelle vicinanze di Kagome, ma una parte più grande di lui – quella più ferita, dura e messa alla prova – lo riconosceva come un altro errore. Non poteva continuare a farsi fregare dalle sue emozioni umane o ne sarebbe rimasto scottato irrimediabilmente. Cosa ne sarebbe stato di lui, a quel punto?  
 
Senza pensarci due volte, si alzò di scatto, non prestando neanche attenzione a Kagome, facendo finta di non curarsene. Il suo obiettivo non era ancora cambiato: doveva andare via da lì, quel giorno stesso! Quel posto lo stava rimbecillendo e catturando pian piano nella sua tela come un ragno con la sua vittima.  
 
Ignorò le sue richieste di spiegazioni, le parole urlate quando lui era ormai fuori dalla capanna e l’odore di lacrime, più intenso della sera scorsa, e continuò a correre. Avrebbe tentato di prendere la sfera un’ultima volta e, se non ci fosse riuscito, avrebbe mandato al diavolo anche quella. 
 
Corse come un matto e impiegò non poco tempo a rallentare il cuore che batteva furioso mentre tentava di localizzare Kikyo, sicuramente già in piedi. La trovò nella radura del Goshinboku, ma non si accorse, in quella frenesia, che Kagome aveva già cominciato a inseguirlo.  
 
 

*** 

 
 
Vedere il modo in cui era scappato le aveva fatto male come mai nessuno; era un dolore non solo emotivo, ma anche fisico. Eppure, nonostante la scena le avesse tolto il fiato, non esitò prima di andargli dietro; alla tristezza era subentrata la rabbia e aveva deciso che non avrebbe sopportato ancora il suo atteggiamento. Se Inuyasha voleva comportarsi da codardo avrebbe dovuto dirglielo di persona, non usare tattiche così vili.  
 
Quando raggiunse il Dio Albero, lui stava inscenando con Kikyo la solita farsa, durante la quale faceva finta di voler ancora la sfera e la sacerdotessa si prestava al gioco malvolentieri, non celando l’inesistente timore che lo scontro le suscitava. Kagome, in realtà, non capiva nemmeno come mai la donna più grande avesse retto fino a quel momento e perché non avesse ancora scacciato il mezzo demone; era stata troppo occupata ad avvicinarsi a lui per curarsene.  
 
Senza indugio e con quel poco di fiato che le rimaneva, si frappose tra i due, dando le spalle a Kikyo e inchiodando lo sguardo a quello di Inuyasha. Raddrizzò le spalle, spostò dei ciuffi umidicci dal volto e gonfiò le guance arrossate dalla corsa mentre assumeva un’espressione di sfida.  
 
Inuyasha spalancò gli occhi e si immobilizzò, dimenticando il proposito che aveva fatto solo qualche minuto prima e qualunque cosa esistesse al di fuori di loro due. Sentiva rabbia provenire dalla ragazza – troppa per un’anima pura come Kagome – e, soprattutto, dolore e umiliazione; incapace di sostenere quello sguardo anche solo un secondo di più, voltò di scatto il viso, abbassando il suo.
 
Kikyo arcuò un sopracciglio, mostrando poca sorpresa a quell’interruzione, ma non appena ebbe constatato che Inuyasha non avrebbe fatto male alla sua apprendista li lasciò soli, preferendo non interrogarsi troppo sulla questione.  
 
Nel frattempo, per nulla scoraggiata dal gesto del mezzo demone, Kagome mantenne la sua posa e si avvicinò sempre di più, fino a quando i loro volti non si trovarono a pochi centimetri di distanza. Non sapeva se dentro di sé ribollisse più la rabbia o il dolore, forse un miscuglio di entrambi; qualunque cosa fosse, sentiva sarebbe scoppiata a breve.  
 
“Di cosa hai davvero paura, Inuyasha? Del rifiuto o della felicità stessa?” Le parole le rimbombarono nella testa – così come nella radura –, ma le aveva solo sussurrate, colpendo con il suo fiato caldo la pelle di lui che ancora si ostinava a non guardarla. Avrebbe tanto voluto chiamarlo codardo, ma le mancava il coraggio.  
 
Quella domanda a bruciapelo, però, bastò a prendere in contropiede Inuyasha che fece un passo indietro, per un attimo senza equilibrio.  
 
“Dici di non voler esser rifiutato, ma non ci pensi due volte prima di farlo a qualcun altro, prima di respingere la felicità che tanto insegui,” continuò imperterrita la giovane, facendo un passo avanti per riportarsi vicinissima a lui.  
 
A quel punto, Inuyasha strinse i denti e i pugni, la frangia gli copriva gli occhi dorati e un’aura non più turbolenta lo circondava. “Zitta!” sibilò in risposta. “Non capisci nulla!” Davanti a sé rivedeva, fresche come nel passato, le lacrime di sua madre che ancora collegava all’infelicità. Come avrebbe potuto condannare qualcun altro a quel destino se anche non avesse ricevuto un rifiuto? Scosse violentemente la testa e continuò ad evitare lo sguardo di lei.  
 
“Cosa non capisco?” la parola con la c ora sulla punta della lingua. “Che hai paura di ciò che potrebbe accadere nonostante la mia confessione di ieri? La tua a me? Di dirmi la verità o di rivelarmi cosa sono io per te?” 
 
Sconvolto da quest’ultima parte, Inuyasha si girò bruscamente, guardandola a bocca aperta. “T-tu… t-tu lo sai?” Kagome annuì, mentre il pianto le bagnava le guance. “Non dovevi,” mormorò lui, “non dovevi saperlo. Io porto solo guai, io sono solo grigio in una società che non accetta miscugli o vie di mezzo; io non ne valgo la pena. Come puoi avermi detto quelle parole nonostante sapessi che…” E mentre parlava sentiva quel che rimaneva della sua resistenza sbriciolarsi e diventare polvere, lasciarlo indifeso e senza scampo, inondato da sentimenti che aveva sempre scacciato da quando la mamma era morta.  
 
Kagome gli afferrò le braccia, aggrappandosi al tessuto della sua veste con le dita sottili, e lo guardò implorante. “È difficile capire che sarei disposta a sopportare ogni cosa pur di sapere cosa si prova a stare insieme? Se io sono la tua anima gemella… allora è normale, vero? Nessuno ti capirà o accetterà come faccio io, nessuno ti amerà quanto me.” Percepì il corpo di lui tremare sotto le sue mani e vi si aggrappò più forte, poggiando il capo sul suo petto per percepirne il battito ancora impazzito. Poco dopo, pur se debolmente, Inuyasha l’accolse tra le braccia.  
 
“Mi a-accetteresti anche se la mia vita è un colore così spento e controcorrente? Sbagliato?” sussurrò flebile al punto che lei quasi non lo sentì.
 
“Farò di più, Inuyasha: ti mostrerò le mille sfumature del tuo grigio, una più bella dell’altra e, con il mio, ti aiuterò a creare mille altre colori. In questo modo capirai che il mondo non è tutto bianco e nero come te lo hanno sempre mostrato,” rispose, felice, quando finalmente incrociarono gli occhi e, in quelli dorati di lui, vide una scintilla nuova. Alzò le dita per sfiorargli la guancia e si beò di quel giallo così intenso, del sentimento che lesse in esso. Qualsiasi cosa sarebbe accaduta, qualunque sfida avrebbero affrontato, Kagome non avrebbe mai scordato quel momento, come un ricordo tatuato sul cuore.  
 
E Inuyasha non avrebbe dimenticato la promessa che gli era stata fatta né l’arcobaleno che avrebbe scoperto giorno dopo giorno insieme a quell’anima perfetta per lui, in una piccola comunità che accettava e apprezzava la diversità, divertendosi a inventare mille e altre ancora sfumature per sfoggiarle, fiera.  
 
Non avrebbe mai potuto dimenticarlo perché, finalmente, avrebbe imparato a guardare il mondo a colori e non soltanto in bianco e nero. Quel meraviglioso caleidoscopio che era la vita era a sua disposizione e lui, anche se in ritardo, non vedeva l’ora di scoprirlo. 
 
 
 

 


N/A: Come già avrete letto nell’introduzione, la storia è stata scritta per il “Soulmate!AU” contest sul forum “Ferisce più la penna”, ma quello che non ancora sapevate è che questa non era la storia che inizialmente avrei voluto scrivere.
Amo leggere questo tipo di storie e da tempo contemplavo l’idea di scrivere una io stessa. Ho colto l’occasione per farlo e devo dire che, nonostante tutte le idee cambiate, sono molto soddisfatta di ciò che ne è uscito. E per quella iniziale, beh, ci sto scrivendo una long 😆 — e sono anche a buon punto!
 
Il prompt scelto in questo caso è “Non puoi ferire la tua anima gemella” e, come avrete ormai notato, ci troviamo in un What-if in cui Kagome è nata e cresciuta nel Sengoku, vivendo anche con Kaede e Kikyo, ecc. ecc.
 
Per quel che concerne il titolo – che mi ha fatto un po’ scervellare –, l’argento vivo altro non è che un nome del mercurio, ma volendo citare il Treccani, l’espressione ‘avere l’argento vivo addosso’ significa non stare mai fermo, essere in continuo movimento, sia per irrequietezza sia per instancabile operosità e vitalità. È una definizione che, a parer mio, può adattarsi bene al nostro bel mezzo demone, ma ho scelto questo titolo anche, banalmente, come riferimento al grigio che è un tema predominante nel testo.
 
La citazione all’inizio, invece, è una canzone che ho ricordato dopo aver finito di scrivere la prima bozza e ho pensato fosse perfetta.
 
Spero che, nel complesso, la One-shot vi sia piaciuta e che vogliate farmelo sapere perché, come dico sempre, le recensioni sono il pane dei fanwriter.
Vi mando un abbraccio virtuale e a presto! ❤
   
 
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