Padri e figli
“Quando
non si ha un buon padre, bisogna procurarsene uno.”
Friedrich Nietzsche
«Non
ti farò del male».
Evan
esita ma alla fine allunga la mano, afferrando quella che l'adulto
gli porge e uscendo dal nascondiglio che era stato il tavolo di uno
dei tanti salotti di Rosier Castle.
«Girati»
ordina suo zio, lapidario, e lui ubbidisce.
Gli
mostra la schiena, tremante, dove, sulla camicia immacolata, ci sono
tagli e macchie di sangue.
Rimane
immobile, deglutendo nervoso, con la paura di ricevere una nuova
punizione.
Trattiene
il respiro quando lo sente borbottare una formula sconosciuta,
chiudendo gli occhi con forza e stringendo i denti, pronto ad essere
investito da una nuova ondata di dolore. Invece percepisce sulla
pelle una brezza leggera, fredda, capace di scacciare via il bruciore
che gli ustiona la schiena.
Si
volta all'indietro, un'espressione di pura sorpresa sul viso
infantile.
«L'incantesimo
ha guarito le ferite più recenti» afferma zio Julian, rispondendo
alla sua domanda silenziosa e riponendo la bacchetta nel fodero che
porta attaccato alla cintura. «Per le altre, non c'è rimedio»
sentenzia spiccio.
Evan
sbatte le ciglia, spiazzato.
E
rimane ancora più sbalordito quando l'adulto lo prende in braccio,
stringendolo a sé con sicurezza e uscendo ad ampie falcate dal
salotto. Si aggrappa alla stoffa della camicia dell'altro, mentre
salgono i gradini della scala che portano al piano superiore.
Docile,
Evan non si ribella quando lui gli sfila la camicia lacera e
insanguinata per mettergliene una pulita. Non protesta nemmeno quando
gli fa cenno di sdraiarsi a letto, né quando gli rimbocca le
coperte.
«Non
ti toccherà mai più» esordisce all'improvviso zio Julian,
spezzando quel silenzio fatto di domande non dette e di un velo di
paura e incertezza. «Lo sai che mantengo sempre le mie promesse?»
chiede, inchiodandolo con i suoi occhi verdi.
Lui
annuisce, consapevole di quella verità
«Sì»
pigola in un sussurro. Poi si schiarisce la gola. «Grazie» aggiunge
esitante.
L'uomo
sospira, prima di abbassare per un istante lo sguardo.
«Tuo
padre non è forte» riprende monocorde, a bassa voce. «È da deboli
prendersela con chi non può difendersi» sentenzia sprezzante. «Il
potere è tutta un'altra cosa» decreta quasi tra sé, scuotendo
appena il capo e storcendo le labbra in una smorfia. Quando torna a
guardarlo, però, non c'è più traccia di fastidio sul suo viso.
«Non ti preoccuparti: ci penso io a te, ragazzo»
assicura
quasi con dolcezza.
Rosamund
gli aveva spesso chiesto perché si fosse preso tanto a cuore il
benessere di qualcuno.
Non
era nella sua natura la pietà, e nemmeno l'amore.
Lui
non rispondeva mai, trincerandosi dietro un indecifrabile silenzio.
Non
lo sapeva allora, Julian, che avrebbe finito per amare quel bambino
come non aveva mai fatto con nessuno nell'arco della sua intera vita.
«Julian
non è mai stato un mostro con me».
«Lo so. Lo so che lo amavi
come un padre, anche se ti ha insegnato a uccidere».
«Mi ha
insegnato a sopravvivere. Non ce l'avrei fatta senza di lui,
liebchen».
*
“Mio padre non ha fatto nulla di insolito.
Ha fatto solo ciò che i papà dovrebbero fare: essere lì.”
Max
Lucado
«Lance,
vieni fuori da lì».
Lui
non muove un muscolo, rimanendo immobile nel letto, le coperte tirate
fin sopra i capelli.
Vati
sospira, prima di avvicinarsi. Sente il materasso abbassarsi sotto il
suo peso quando si siede sul letto, poco distante da lui.
«Non
te lo ripeterò una seconda volta» lo avvisa con una punta di
durezza.
Lance
riemerge da sotto il piumone, il viso corrucciato in una smorfia
imbronciata.
«Che
cos'hai?»
«Niente»
risponde lamentoso, di malavoglia.
«D'accordo,
riproviamo» afferma vati, scoccandogli un'occhiata di
avvertimento. «Che cos'hai per davvero?»
Lui
abbassa lo sguardo, vergognoso.
«Non
ci riesco» sbotta infine, angosciato. «Non ne sono capace».
L'altro
rimane in silenzio, probabilmente sta cercando di capire a cosa si
riferisca.
«L'Occlumanzia
richiede pazienza e costanza» dice, infine, inflessibile, decifrando
quella rivelazione criptica. «Hai solo otto anni: datti tempo»
aggiunge, più dolce.
Lance
alza le iridi azzurre, già bagnate da un principio di pianto.
«Evan
ci era già riuscito alla mia età» bofonchia mortificato, la voce
tremante.
«Erano
tempi diversi» risponde vati, comprensivo. «La guerra
necessitava di apprendere più velocemente» sottolinea sottile.
Lui
china nuovamente il capo.
«Mi
spiace non essere all'altezza» borbotta mortificato.
«Questo
non è vero» replica vati, con una tale determinazione che lo
costringe a guardarlo. E in quegli occhi scuri, così diversi da
suoi, Lance non intravede nemmeno una traccia di menzogna. «Tu sei
il mio orgoglio, häschen»
confida schietto. Lo vede abbassare per un attimo le iridi,
imbarazzato per quella confessione che va contro la sua natura di
uomo schivo e tutto d'un pezzo. «Lo so che sono spesso troppo duro
nei tuoi confronti» riprende impacciato, schiarendosi la voce. «E
che non sono nemmeno così bravo a esternare quello che provo. Ho il
brutto vizio di essere ipercritico e spietato con quello che amo»
continua, il volto per un attimo incupito. Però quando torna a
guardarlo, non c'è ombra di sofferenza. Solo un amore limpido che
gli balugina nello sguardo e un sorriso benevolo che gli piega le
labbra. «Voglio che tu sappia che non mi hai mai deluso. Mai,
nemmeno una volta» ribadisce con forza. «È in te che ho riposto il
futuro» aggiunge, allungando una mano per sfiorargli i capelli scuri
in una carezza amorevole.
Lance
sbatte le ciglia, destabilizzato da quelle premure che non è solito
ricevere, prima di annuire.
«Sarai
fiero di me, vati» promette, sorridendo convinto.
«Già,
lo sono, häschen. Già
lo sono» mormora l'uomo,
annuendo con il capo. «Du
bist mein ein und alles»
sussurra amabile.
Lui
esita un istante, prima di cedere all'istinto e cingere con le
braccia il collo dell'altro, stringendolo in un abbraccio infantile e
impetuoso.
«Sono
contento che tu sia il mio vati»
mugugna, le labbra premute contro il maglione dell'adulto,
continuando a sorridere con riconoscenza e affetto.
«Anche
se ti punisco molto spesso?» è la replica ironica.
Lance
scrolla le spalle, noncurante, sentendo il cuore tremare quando
percepisce una carezza gentile sulla schiena.
«Grazie
per avermi dato tutto quello che a te è stato negato».
Stavolta
mi sono segnata tutto, prima di dimenticarmi qualcosa.
Ho
scritto questa storia il 15 ottobre del 2021. L'ho tenuta per dei
mesi al sicuro nel mio pc perché non ero certa delle dinamiche che
si erano sviluppate tra questi personaggi e ho preferito aspettare
per essere certa di non cambiare idea in seguito.
Al
di là di qualche sfumatura che devo ancora valutare, i rapporti tra
questi personaggi sono e saranno quelli che ho stabilito quel giorno.
Lo
so che ultimamente sto pubblicando quasi solo sui Rosier ma sono
ispirata.
(Non
è una scusa, ne sono conscia. È solo che mi ci sono affezionata più
di quanto pensassi)
Dunque,
piccola precisazione prima di lasciarvi.
Nel
mio headcanon i Rosier hanno origine tedesca, ecco perché sono
soliti utilizzare quella lingua.
Evan
e Julian sono vissuti durante la Prima Guerra Magica. Compaiono nella
mia minilong Condannati,
nella raccolta Familie
kommt zuerst (le
ultime battute della prima flash, quelle che si scambiano Evan ed
Emmeline, provengono dal primo capitolo di questa storia) e
nella os Baratro.
Lance,
invece, l'ho collocato nella Nuova Generazione. Compare nella serie
Someone you loved (il rapporto tra padre e figlio verrà approfondito qui).
Vorrei ringraziare la persona che non si è letta in anticipo
questa storia ma, nonostante la stanchezza e mille cose da fare, trova
sempre del tempo per me. Grazie davvero <3
E grazie anche a voi per sopportare me e i miei deliri.
Alla
prossima,
Blue
Vati:
papà.
Häschen:
coniglietto.
Du
bist mein ein und alles: sei
tutto
per me.