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Autore: NPC_Stories    22/03/2022    2 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 11)


Dee Dee non aveva dovuto attendere a lungo: presto si era radunato un piccolo consiglio di persone, tutte donne, forse tutte sacerdotesse. Nonostante il loro numero ridotto, l'importanza di quel raduno non era minimamente intaccata perché era chiaro perfino a un'estranea che quelle erano le persone più centrali del tempio. Insieme a Qilué e alla donna che si era presentata come Rylla, comandante dei Cavalieri del Cantoscuro, c'era una sacerdotessa minuta come una bambola di nome Iljrene il cui rango a Dee Dee non era molto chiaro, e c'era la preannunciata drow con una bambina.

“Abbiamo ricevuto una comunicazione interessante a proposito dei nostri antichi nemici” annunciò Qilué alle altre donne. “Mi riferisco ai seguaci dell’Occhio Antico.”
La drow con la bambina sollevò una mano per coprire il capo di sua figlia, come se temesse che quelle sole parole potessero farle male.
“Non è troppo rischioso nominarlo? Davanti a lei, intendo?”
Ma sta parlando di me? Si chiese la dhampir, un po’ infastidita. Si riferisce a me come se non ci fossi?
“Per questo non ho fatto il suo nome, nemmeno se ci troviamo sotto la protezione di Eilistraee” fece notare Qilué, “ma sentiti libera di portare la piccola nella nursery se non vuoi che oda i nostri discorsi.”
Dee Dee arrossì un pochino per l’imbarazzo. Aveva pensato male, mettendosi subito sulla difensiva. Però a sua discolpa non capiva quel discorso: la bimba drow era troppo piccola per comprendere il significato delle parole, quindi perché preoccuparsene?
La madre comunque ci pensò un momento, poi annuì. “Se potete scusarmi, torno fra qualche minuto.”
Le altre due non sembrarono infastidite da quella dilazione. Dee Dee lo trovava un po’ strano… ma dopotutto, si disse, non erano affari suoi.
Qilué comunque non aspettò il ritorno della loro collega; poggiò sul tavolo la lettera che Dee Dee aveva consegnato e la fece scivolare verso Rylla, come se contenesse informazioni strettamente confidenziali. Non fu una mossa semplice, visto che il tavolo era ingombro di mappe e pergamene buttatevi sopra alla rinfusa.
La sacerdotessa mezzadrow lesse la lettera con qualche difficoltà.
“Chi ha una grafia così terribile? Capisco a malapena le parole.”
Qilué sorrise bonariamente, mentre a Dee Dee sfuggiva un ghigno divertito. Ignorava quel dettaglio sul suo compagno di avventure.
“Un amico, di cui non posso fare il nome. È più bravo con la spada che con la penna.”
“Lo vedo” commentò l’altra, assorta nella lettura. “Un tempio di Juiblex? Sgominato da un maschio?”
“Io ho dato una mano” bofonchiò Dee Dee.
Le due elfe scure si girarono verso di lei come se si fossero ricordate solo allora della sua presenza. Dee Dee arrossì, e sulla sua pelle cadaverica si vedeva subito.
“Be’, un po’” insistette.
“Per questo sei qui, gentile visitatrice” Qilué Veladorn le sorrise come a volerle trasmettere che era tutto a posto. “Per raccontare ciò che hai visto e che hai combattuto in quel tempio.”
Rylla aveva finito di leggere, quindi passò la pergamena nuovamente a Qilué. In quel momento l’altra sacerdotessa tornò nella stanza, stavolta senza bambina al seguito.
“Ben tornata, Li’Neerlay. Stavamo per discutere le notizie che abbiamo ricevuto. Vuoi leggere la missiva del nostro informatore?”
La sacerdotessa si fece passare la lettera, ci gettò solo uno sguardo e storse la bocca. “Che calligrafia tremenda. Mi fiderò del vostro riassunto.”
“Un tempio di Juiblex è stato trovato e distrutto al secondo livello di questo dungeon. Se fosse teatro regolare di celebrazioni o solo un luogo per incontri saltuari, non lo sappiamo. Il culto di Juiblex di solito non è molto strutturato.”
“Distrutto? Bene” commentò seccamente la sacerdotessa chiamata Li’Neerlay. “Chi è stato? Avventurieri?” La domanda venne accompagnata da un rapido sguardo in direzione della dhampir.
“Sono stati questa giovane elfa e un nostro Incognito a debellare quel gruppetto di cultisti” intervenne Rylla, prima che Dee Dee potesse rispondere.
“Un Incognito” Li’Neerlay aggrottò la fronte. “Certo, ha senso. Un Incognito deve essere ancora più forte di un normale guerriero, giacché combatte senza una squadra.”
“C’ero io con lui…” insistette Dee Dee. “Anche fe fono folo un’apprendifta.”
“E hai visto quello che ha visto lui” ricapitolò Qilué. “Hai visto i ghaunadan.”
“Gau… ah fì. Lui ha detto una parola ftrana cofì. Le melme da guerra.” Ricordò, ripetendo la definizione che vi aveva dato lei. “Apparivano come umani, o qualcofa di fimile, ma quando abbiamo provato a colpirli con le fpade… non avevano il cuore, o altri organi a cui mirare. La loro forma cambiava, fi riaggiuftava intorno alle lame. Uno di loro non aveva le mani, ma due fpecie di tentacoli o pinne o qualcofa del genere.”
Le tre donne si guardarono a vicenda.
“La descrizione corrisponde” commentò Rylla. “Per caso li hai visti diventare melme liquide?”
“N… oh fì! Quando fono morti. Due pozzanghere di fchifo.”
“La loro vera forma” sussurrò Qilué. “Ti ringrazio, coraggiosa ragazza. Queste informazioni ci saranno utili.”
“Come mai?” Dee Dee corrugò la fronte. “Già fapevate cof’erano…”
“Ghaunadan”, ripeté l’alta sacerdotessa, “servitori esclusivi di Ghaunadaur, il dio delle melme che è uno dei nostri più antichi nemici.”
“Non avrebbero dovuto trovarsi in un tempio di Juiblex, il signore demoniaco delle melme” ragionò Li’Neerlay. “A meno che…”
“A meno che Juiblex e Ghaunadaur non siano in realtà la stessa entità, o forse uno l’Aspetto dell’altro” concluse Qilué. “Era una cosa che sospettavamo, ma ora ne abbiamo una prova.”[1]
“Mi sorprende che un Incognito, per di più maschio, sia così informato sulle minuzie delle nostre dispute teologiche da capire che questa era un’informazione importante.”
“Ehi! Non è uno ftupido!” S’indignò Dee Dee.
“No, e noi non lo pensiamo” Qilué le rivolse un cenno con il capo. “Rylla intendeva dire che solitamente i drow maschi non si interessano a questioni che riguardano la religione. Ma questo Incognito è ben informato su chi siano i nostri nemici, e odia il Signore delle Melme tanto quanto odia la Regina Ragno.”
Dee Dee rifletté su quel commento come se non sapesse come interpretarlo. Non sapeva cosa fosse una regina ragno, ma non le era sembrato che Daren odiasse particolarmente i ragni. Più di una volta li aveva combattuti ma si era limitato ad allontanarli, con il fuoco o con la magia, definendoli ‘animali privi di intelletto’. Aveva perfino collaborato con Lizy, che era mezza donna e mezza ragno. Però Qilué Veladorn sembrava molto sicura della sua affermazione.
“Che cof’è una regina ragno?” Si decise a chiedere infine.
Le tre donne la guardarono come se avesse appena chiesto che cos’era il sole.
“La dea malvagia a cui molti elfi scuri sono devoti” spiegò Qilué con pazienza. “Più un demone che una dea, dall’aspetto di ragno gigante con il volto di drow. Lei vorrebbe mantenere il nostro popolo soggiogato e prigioniero della sua ragnatela per sempre.”
“È un’astuta ingannatrice, che manipola la realtà come vuole e presenta ai suoi fedeli una visione distorta del mondo” aggiunse Li’Neerlay, la drow che prima aveva con sé la bambina. “Noi ci opponiamo a Lolth e al suo culto ogni volta che ce n'è occasione.”
“Ah… capifco. Il dio delle melme, la dea malvagia dei ragni… fiete fempre in guerra, fe ho capito bene” azzardò. Adesso di sicuro capiva meglio certi comportamenti di Daren, perché si prendesse a cuore certe situazioni che non lo riguardavano.
La sua gente era così. La sua religione lo richiedeva.
“Non per nostra scelta.” Ribatté Li’Neerlay. “Noi speriamo che un giorno il nostro popolo si liberi dalla prigione della sua cultura nociva e torni a ballare sotto le stelle, dove tutti gli elfi dovrebbero stare. Incoraggiamo ogni drow a liberarsi e tornare alla sua antica natura. Ma c’è così tanto da fare, prima. Così tanto da risolvere. I nostri nemici remano contro i nostri sforzi, e di nemici ne abbiamo troppi.”
“Quindi voi reftate qui” comprese Dee Dee. “Nel fottofuolo. Per creare una nuova vita in fuperficie per altri, qualcuno deve ftare quaggiù e… aiutarli? Combattere il male?”
“Entrambe le cose” annuì Qilué. “Abbiamo degli infiltrati in molte città drow per questo scopo. Drow che danzano per la luna, ma in segreto.”
“Come il mio amico?”
Qilué esitò.
“Non proprio. Lui è un Incognito. Non ha il ruolo di prendere contatti con drow che vogliono fuggire dalle città oscure, anche se può farlo in caso di bisogno. No, gli Incogniti hanno altri compiti. Lui non dovrebbe parlare della sua appartenenza a questo culto, se non a persone di cui si fida ciecamente.”
Dee Dee arrossì, non per la prima volta quel giorno. “Lui mi ha parlato… be’, non ha fatto nomi in modo chiaro, ma mi ha detto che apparteneva a un culto e che era un fegreto. Ma fino ad oggi non fapevo nulla della voftra dea. Ora… ora credo di capire meglio come mai fi mette fempre nei guai.”
Più lo conosceva e più temeva che anche lui, un giorno, avrebbe fatto la fine di Valaghar.
Ma se ha una fede da seguire, come mai a volte mi sembra così smarrito?

***


Nello stesso momento, in una chiassosa taverna di Skullport

Nephlyre Kilchar non sapeva cosa pensare della sua giornata. Quella mattina, al risveglio, il drow gli aveva dato un tozzo di pane di fungo da mangiare e gli aveva detto “Sbrigati a fare i tuoi bisogni perché poi usciamo.”
Ma in realtà erano usciti solo dalla stanza. Il suo carceriere aveva voluto che si trattenessero a lungo nel refettorio della locanda, dove aveva parlato per un po’ con i gestori, una coppia di umani già in là con gli anni. L’adepto di Graz’zt si era chiesto se stesse cercando di venderlo, per farlo lavorare lì o qualcosa del genere. Ma non sembrava questo il caso.
In realtà Kilchar si aspettava di essere portato al mercato degli schiavi, quella mattina, ma il tempo era scivolato avanti pigramente, un’ora dopo l’altra, e l’elfo scuro non aveva fatto cenno di voler uscire. Era solo rimasto seduto al loro tavolo, pagando al tiefling un bicchiere di vino (soprattutto per farlo smettere di lagnarsi) e aveva ascoltato le conversazioni nel locale. All’ora di pranzo avevano consumato un pasto insipido che forse era carne o forse era pesce, difficile a dirsi.
“Perché ce ne stiamo qui?” Tentò il cultista, qualche tempo dopo. “Mi si stanno addormentando le gambe a forza di stare seduto.”
“Ottimo, così non proverai a scappare” commentò il drow con leggerezza.
“Pensavo che oggi mi avresti venduto” provò con un altro approccio.
“Sei un prigioniero, non uno schiavo” fu la risposta, inaspettatamente chiarificante, del suo aguzzino.
Un prigioniero? Merda! Kilchar imprecò nella sua mente e il suo volto perse ogni colore. Prigioniero era peggio di schiavo. Gli schiavi passavano di mano, potevano arrivare a un padrone più manipolabile. I prigionieri no. I prigionieri venivano interrogati, torturati, uccisi.
“Sono un tuo prigioniero? O mi conservi per qualcun altro?”
Siamo qui per incontrare il mio nuovo carceriere? Si chiese guardandosi intorno.
“Per il momento starai con me” il drow non si scucì. “Prenderò una decisione dopo che la mia socia sarà tornata. Non posso promettere che il tuo fato sarà migliore di quello del cultista di Juiblex.”
La criptica frase accese un mare di domande nella mente dello scaltro tiefling.

Forse il drow stava aspettando qualcuno, la sua compagna elfa era l'opzione più probabile, ma non arrivò nessuno a parte i normali avventori.
Il pomeriggio trascorse penosamente lento, come era stato per la mattina. L'elfo scuro non sembrava disturbato dalla cosa, doveva essere avvezzo alle lunghe attese, come lo sono spesso i guerrieri e i cacciatori. Per il tiefling la questione era del tutto diversa.
Anche lui era un cacciatore, ma di natura opposta. Non era abituato ad aspettare, non era capace, lui era una creatura di azione. Le sue prede lui le attirava, non restava in paziente attesa che passassero. Peggio ancora, il silenzio e l'ozio forzato lo costringevano a rimanere da solo con i suoi pensieri. Una cosa che Nephlyre Kilchar avrebbe voluto evitare, perché in quel momento i suoi pensieri erano angoscianti e ossessivi.
Era stato abbandonato dal suo culto, nonostante avesse passato i precedenti dieci anni a dimostrare il suo valore e la sua utilità. Era stato abbandonato anche dallo stesso Graz’zt. Lui sapeva che il suo signore non era clemente con chi falliva, non era incline al perdono. A Nephlyre questo non era mai importato, finché era convinto di non poter fallire. Finché era convinto che sarebbe riuscito sempre, per sempre, ad attirare e corrompere qualcuno ogni giorno. Il suo padrone richiedeva un sacrificio ogni giorno, un sacrificio ottenuto attraverso la seduzione, l'ammaliamento e le lusinghe.
Da quanti giorni il bel tiefling non sacrificava nessuno? Quante volte aveva deluso il suo signore demoniaco?
Graz'zt gli aveva ritirato la sua benedizione molto tempo fa, abbandonandolo proprio quando avrebbe avuto più bisogno dei poteri conferiti dal demone per fuggire alla cattura. Era rimasto per ore all'interno di una vasca di acido completamente impotente perché Graz'zt non aveva più risposto alle sue preghiere.
Finché poteva muoversi, parlare, interagire con la gente, Kilchar poteva quasi permettersi di illudersi ancora di essere lo stesso di prima, la creatura astuta e sfuggente che avrebbe sempre trovato una via per svicolare dai problemi e tornare sulla cresta dell'onda.
Trovandosi costretto a rimanere in silenzio e in isolamento, invece, non poteva fare altro che affrontare la realtà. E perdere.
Era stato sconfitto dalla vita.
La stessa vita che lo aveva sempre preso a pesci in faccia.
La vita su cui lui credeva di essere riuscito a vendicarsi, trovando potere e soddisfazione nell'abbraccio oscuro del culto di Graz'zt.
Nessuno gli avrebbe mai regalato nulla, era un tiefling, anche se assomigliava molto ad un umano le persone in qualche modo si rendevano conto che lui era diverso. Tutti lo avevano sempre temuto, e di conseguenza lo avevano odiato. Se voleva della sicurezza, poteva ottenerla solo attraverso il potere. E se voleva il potere, poteva ottenerlo solo con la crudeltà.
Quello non era mai stato un problema. Al mondo, lui non doveva nulla, se non una giusta vendetta. Gli piaceva sacrificare una persona al giorno. Gli piaceva sedurre e fare innamorare quegli stessi umani che un tempo gli avevano lanciato le pietre.
Essere un cultista di Graz'zt gli aveva donato due grandi piaceri, la vendetta e il potere. Queste due cose insieme avevano rafforzato la sua autostima e gli avevano dato un nuovo senso di sicurezza. Era lui il predatore adesso. Non era più una preda.
E tutto questo aveva funzionato, finché non era diventato di nuovo una preda.
Quando era stato catturato dai cultisti di Juiblex e in seguito dal drow era tornato ad essere impotente. Era tornato ad essere solo.
Le promesse e le ricompense di Graz'zt erano condizionate, lui lo sapeva, aveva sempre conosciuto i termini dell'accordo. Per quale motivo allora si sentiva così abbandonato e deluso? Era colpa sua se aveva fallito, non era colpa di Graz'zt o dei suoi colleghi cabalisti. Loro non avevano nessun dovere di aiutare un perdente. Era solo normale abbandonare chi restava indietro, che diritto aveva di sentirsi ingiuriato e tradito?
Kilchar stava cominciando a considerare che forse aveva sbagliato strada nella vita. La sua valutazione non era guidata da considerazioni morali, non gli importava di dover fare del male al prossimo, ma forse si era rivolto all'entità sbagliata. Se quello che lui cercava era la protezione di qualcuno, che senso aveva cercarla da un demone che lo avrebbe aiutato soltanto finché lui avesse continuato a vincere, a non avere bisogno di protezione?
Quanto era stato stupido a credersi invincibile?
E d'altra parte, quale entità anche solo vagamente affine alla sua natura di tiefling avrebbe mai esteso la sua protezione ad un perdente? Lord Graz'zt non era l'eccezione. Era la norma. I signori dei demoni e le divinità malvagie non conoscevano il perdono per i servitori che avevano fallito.
"Avrei dovuto morire e basta" mormorò, senza accorgersi di aver dato voce al suo pensiero.

Daren non si aspettava davvero di veder tornare Dee Dee quel giorno. Conosceva la sua gente e il loro concetto di ospitalità, era più probabile che la dhampir restasse con loro ancora un giorno. Era una ragazzina magra e scarmigliata, non l'avrebbero lasciata andare finché non fossero stati sicuri che era in forze e in buona salute. Il motivo per cui aveva deciso di passare un'intera giornata al tavolino della taverna era testare la pazienza del suo prigioniero. A volte non c'era peggiore tortura che il silenzio. Era solo nel silenzio che poteva emergere la propria voce interiore, quella che non riusciva a mentire nonostante ci provasse con forza.
Quella voce interiore si chiamava paura e Daren, da bravo drow, la conosceva intimamente. Non era la stessa paura di quando ci si trova davanti un nemico, o la morte stessa. Era una paura diversa, più sottile, costante.
Quando viveva a Menzoberranzan quella voce gli ripeteva sei debole, morirai, e non importerà a nessuno. Adesso, che non aveva più paura della morte, la voce era cambiata, si era fatta più subdola, gli diceva vivrai, forse esisterai per sempre, e continuerà a non importare a nessuno. Daren non aveva una risposta, scrollava le spalle e accettava quella verità, perché se il mondo poteva permettersi di ignorarlo voleva dire che il mondo poteva fare a meno di lui, e questo in un certo senso andava bene lo stesso. Alla voce interiore rispondeva con fatalismo e rassegnazione, ed era così, forse, che si esprimeva la sua incapacità di provare paura.
Ma che cosa stava sentendo, invece, il tiefling? Era un cultista di qualche demone, la sua microscopica società non poteva essere tanto diversa dalla macroscopica società drow. Nessuno era venuto a salvarlo, di sicuro qualcuno aveva gioito della sua scomparsa perché aveva potuto scalare i ranghi grazie alla rimozione del tiefling, o perché si era liberato di un pericoloso e ambizioso sottoposto. Non esisteva amicizia, fratellanza o nemmeno senso di comunità all'interno del culto di un demone. Sentimenti positivi che in percentuale assolutamente minima e irrisoria esistevano perfino fra i drow.
Daren non era incapace di provare pietà, e in quel momento la stava provando. Aveva notato lo sguardo smarrito del suo prigioniero, avrebbe voluto dirgli 'Lo capisco, ci sono passato, è una merda', ma non poteva farlo perché era proprio grazie al fatto che lo capiva che sapeva anche come torturarlo con il silenzio. E soprattutto non poteva mostrare debolezza. La persona davanti a lui era capace di uccidere senza provare la minima remora. La pietà non poteva influenzare il suo buonsenso.
Avrebbe dovuto lasciarlo in balia della voce interiore, qualsiasi cosa gli stesse dicendo. Era la voce della peggiore verità possibile, e ogni tanto doveva essere ascoltata. Se non riconosciuta e correttamente affrontata, era quella voce che subdolamente manovrava tutte le azioni di una persona, anche se quella persona era convinta di prendere le sue decisioni con razionalità.
"Avrei dovuto morire e basta" sussurrò il tiefling a un certo punto. Le orecchie sottili del drow riuscirono a cogliere non solo le parole, ma anche il tono. C'era sconcerto in quelle parole, come se fosse stata una realizzazione improvvisa. Non sembrava che l'avesse detto apposta, sembrava una frase sfuggita al controllo delle sue labbra.
"Non essere così negativo. Ci si può sempre reinventare, nella vita." Commentò con leggerezza. Voleva provocare una reazione.
Il prigioniero contraccambiò le sue parole con uno sguardo vuoto.
"No, non hai capito. Non parlo per disperazione. È una semplice verità. Ero stato catturato, avevo fallito, il mio destino era morire. Hai interferito con il corso naturale delle cose e ora io sono qui, una creatura senza più un posto nell'ordine naturale."
"Perdonami, per come la vedo io, i servitori dei demoni non fanno parte di nessun ordine naturale" continuò Daren, interessato da quel discorso.
"Ah, no? Che importanza ha che io fossi il servitore di un demone?" Il drow notò l'uso del verbo al passato; era un inganno del tiefling? Oppure era sincero? Aveva scelto di cambiare vita oppure il suo padrone lo aveva semplicemente rigettato? "L'ordine naturale si compone di predatori e prede. Io ero un predatore. Sono caduto dalla grazia, sono stato sopraffatto da predatori più forti di me, avrei dovuto morire. Adesso che cosa sono? Non sono più niente. Senza la benedizione di Graz'zt sono… di nuovo una preda. Sono un lupo senza più denti. Hai soltanto rimandato la mia morte."
Daren sospirò. Oh, era uno di quei momenti.
"Non sei una preda. Hai ancora il tuo fascino, sicuramente hai appreso una o due cose utili nel corso della vita anche se adesso il tuo padrone è scontento di te." Era un'ipotesi, ma non troppo azzardata. Funzionava così anche nella società drow: quando una sacerdotessa falliva, Lolth le negava il suo favore. Eppure, il favore di un'entità malvagia e capricciosa poteva essere riguadagnato, di solito con azioni malvagie di entità catastrofica. "Devi solo decidere se per te essere in cima alla catena alimentare è più o meno importante che sopravvivere. Il colpo inferto al tuo ego è talmente devastante che ora vuoi morire? Oppure ti bastano un paio di ceffoni e poi ti dai una svegliata?"
I tiefling rimase interdetto.
"Perché ti importa? Sono un prigioniero, non è meglio per te se il mio spirito si arrende?"
"Uno spirito che si arrende è uno spettacolo penoso a cui assistere. Non c'è nulla di più innaturale di una persona talentuosa che si lascia morire. Certo adesso che sei mio prigioniero non puoi permetterti di riprendere a fare ciò che facevi prima perché non hai libertà di azione, però io non posso dettare i tuoi pensieri. Già che ci sei, potresti considerare se la strada che hai percorso fino a questo momento ti ha portato la consolazione che speravi, o se vuoi tentare qualcosa di diverso."
"Consolazione?" Una scintilla di offesa si accese negli occhi maligni del tiefling.
"Non sentirti insultato. La consolazione è l'unica cosa che tutte le persone cercano. Il potere, l'amore, la felicità, sono solo consolazioni per non pensare al fatto che prima o poi moriremo e nulla avrà più importanza."

Nephlyre si appoggiò con i gomiti al tavolo e fissò il drow per un lungo momento. "Sono troppo sobrio per un discorso del genere."
E io che pensavo di essere depresso.
Però, in un qualche modo molto contorto e molto indiretto, il suo carceriere si era un po' scucito. Forse c'era qualcosa su cui lavorare. Forse non avrebbe recuperato il favore di Graz'zt, ma prima o poi sarebbe riuscito a liberarsi. Avrebbe convinto il drow a lasciarlo andare, lo avrebbe manipolato per fargli credere che fosse una sua decisione.
E poi… forse l'elfo scuro non aveva tutti i torti. Kilchar era una persona dai molti talenti. Forse avrebbe trovato un altro modo per dominare, con o senza il favore di Graz'zt.

***


Il giorno dopo, uno degli esploratori del sottosuolo al servizio del tempio di Eilistraee accompagnò Dee Dee fino alla città di Skullport.
Skullport era imbarazzantemente vicina al tempio, la dhampir si sentì un po' offesa dal fatto che avessero ritenuto necessario affiancarle un esploratore anziché darle solo delle indicazioni. Però ormai credeva di aver capito come ragionavano i suoi ospiti e le intenzioni dietro quel gesto erano gentili.

Dee Dee per la prima volta ebbe occasione di esplorare un po’ la famigerata città sotterranea che, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuta diventare la sua futura casa. Non ne restò molto impressionata: era un luogo affollato, con case abbarbicate le une sulle altre, l’aria era stantia e satura dell’odore di esseri viventi e infestata da una cacofonia di rumori. Dopo tanti mesi nella relativa solitudine dei cunicoli, Dee Dee non era più abituata al caos delle città e all’inizio ne rimase spiazzata.
Anche alla Promenade di Eilistraee c’era molta gente, ma si muoveva in modo più ordinato e silenzioso; a Skullport no, le persone - e cose che forse non erano persone - si urtavano e si sbraitavano addosso e contrattavano in molte lingue diverse e ogni tanto qualcuno faceva saettare una lama. C’era anche odore di sangue a Skullport. Sangue vivo e sangue morto.
Presto Dee Dee si scoprì a sentire la mancanza dell’esploratore che le aveva fatto da guida; sarebbe stato più utile per orientarsi all'interno della città piuttosto che nei cunicoli.
Daren le aveva detto di raggiungerlo ad una locanda di nome Il Troll Infuocato, nel quartiere del porto, e lei immaginava che il porto fosse a livello dell'acqua in quella città che si sviluppava soprattutto in verticale, con stalagmiti, passerelle sospese e case scavate nel fianco della caverna; già, probabilmente doveva restare al livello del terreno, ma il porto dov'era esattamente?
Provò a chiedere indicazioni ad una creatura vagamente umanoide che le sembrava del posto e che non sembrava eccessivamente pericolosa, a giudicare dai vestiti logori e dal fatto che i suoi pugnali arrugginiti avevano visto giorni migliori. Quell'essere, che sembrava l'incrocio mal riuscito fra un bugbear e un kuo-toa, vedendo una ragazzina minuta non rispose alla domanda ma sfoderò un sorriso lascivo.
Dee Dee rispose con la sua versione di un sorriso: aprì la bocca per metà mostrando bene le zannine e soffiò come un gatto. Il tizio fece quasi un salto sul posto e scappò senza darle l'informazione che cercava.
"E che ca…" borbottò lei, poi vide con la coda dell'occhio un goblin che spazzava la strada raccogliendo spazzatura con la ramazza. Decise di chiedere informazioni a lui, o lei, qualunque cosa fosse. Il goblin si rivelò molto più collaborativo. Dopo aver cercato di farsi pagare una moneta d'oro per l'informazione, e dopo aver ricavato una moneta di rame e uno schiaffo, indicò correttamente alla giovane avventuriera come raggiungere il porto.

La locanda, come aveva promesso Daren, era in prossimità del mercato del pesce. Era una zona della città che - per dirla in modo gentile - non aveva un odore proprio eccelso. Chissà perché lui aveva scelto un posto del genere. Di solito era così schizzinoso.
Trovò il suo compagno di viaggio seduto a un tavolo, con un bicchiere di vino davanti. Aveva una corda intorno al polso destro, che dondolava morbida accanto al tavolo. L’altro capo era legato al polso sinistro del tiefling. Il prigioniero sembrava ancora imbronciato - perennemente imbronciato, al confronto perfino Daren diventava un allegrone - e stava giocherellando con il cibo che aveva davanti. Reggeva il cucchiaio come se fosse più propenso a usarlo come arma che per mangiare. Nel suo piatto ristagnava qualcosa che pareva zuppa di pesce, e anche se per la dhampir il cibo aveva un odore rivoltante scoprì di avere molta fame. Era sveglia da ore e aveva mangiato solo una striscia di fungo secco per colazione.
“Eccoti qui” la salutò l’elfo scuro, facendole cenno di sedersi con loro.
Dee Dee recuperò uno sgabello e si sedette alla sinistra dell’amico.
“Hai consegnato il prigioniero?”
“L’ho fatto, ma non mi hanno detto che hanno intenzione di farci…”
“Non è un problema nostro” tagliò corto Daren. “Non più.”
“E lui?” Dee Dee indicò il tiefling con un cenno del capo.
“Lui sì, è un problema nostro. Non stargli troppo vicino, potrebbe cercare di prenderti le armi. Non sappiamo di cosa sia capace.”
“E quindi che intendi farci con lui…?”
“Non ho ancora un’idea precisa, quindi per ora starà con noi. E già che siamo in tema di decisioni, penso che sia il caso di fermarci a Skullport fino a domattina. Ci riposiamo, compriamo dei vestiti per questo qui, vediamo se c’è da rimpinguare il nostro equipaggiamento. Intanto, comincia mettendo qualcosa nello stomaco. Ti consiglio il pesce, è l’unica cosa fresca qui dentro.”

Dee Dee scoprì presto che la locanda non era stata scelta solo per via del pesce fresco; c’era un’altra caratteristica che trasformava quel locale scalcinato in una locanda di lusso: bagni caldi. L’edificio era costruito sopra a una piccola caverna naturale abitata da melme di lava, i sotterranei erano particolarmente caldi e i proprietari della locanda ne avevano approfittato per mettere a disposizione dei clienti una zona relax con acqua “termale”. A fronte di un generoso pagamento (offerto dal drow), Dee Dee passò il più bel pomeriggio dei suoi ultimi due anni.
“Te lo devo, dopo quella marcia a tappe forzate in mezzo a un fiume”, era stata la spiegazione di lui, e Dee Dee non poteva del tutto dargli torto. Gli aveva tirato parecchi accidenti per quella traversata terribile, doveva pur farsi perdonare.

Fu davvero a malincuore che quella sera la ragazza uscì dalla pozza di acqua calda e si recò nella sua stanza. Daren le aveva fatto riservare una camera che era piccola e scomoda come tutte le stanze di tutte le locande di Skullport (dopo aver visto la conformazione della città, lei non si aspettava nulla di diverso), ma almeno era pulita.
Ad un certo punto qualcuno bussò alla sua porta. Dee Dee immaginava che fosse Daren perché non aveva sentito i suoi passi. Se fosse stato il locandiere o un altro ospite della locanda probabilmente avrebbe fatto più rumore del drow.
"Che c’è?"
"Vorrei parlarti un momento. Da soli."
Il drow le aveva portato una ciotola con pesce marinato e una borraccia con acqua fresca. Lei si era del tutto dimenticata di cenare e apprezzò molto quella seconda cortesia, anche se cominciava a chiedersi che cosa ci fosse sotto.
"Mangia" la esortò, entrando nella sua stanza. "Lo so che il cibo ti fa schifo ma devi mantenerti in forze." Le mise la ciotola fra le mani. In effetti il pesce era disgustoso come sempre, ma almeno aveva un sapore aspro e pungente che costituiva una novità. L'acqua invece era… buona. Non era semplicemente insapore, era proprio buona. Guardò l'otre con curiosità.
"C'è un pozzo di acqua ferruginosa nelle vicinanze" spiegò il drow, notando la sua espressione perplessa. "Mi sembra che ricordi un po' il sapore del sangue e ho pensato che potesse piacerti."
"Un po' come la luce delle ftelle ricorda quella del fole, però è più buona dell'acqua normale. Come mai oggi fei cofì gentile?"
Daren si assicurò che la porta fosse ben chiusa.
"Ti meritavi una pausa per riprendere le forze prima di quello che ci aspetta. Dobbiamo risalire al secondo livello e non sono sicuro che sia il caso di rifare la stessa strada che abbiamo fatto venendo qui. Non abbiamo mai scoperto cosa stessero combinando gli orchi e gli hobgoblin, per dirne una, e ci toccherebbe risalire il fiume controcorrente, per dirne un'altra." Daren non si curò di nascondere un’espressione frustrata. "Eppure non abbiamo molta scelta. O quella via, o… a Skullport stanno costruendo un sistema di canali e di chiuse per portare le barche su fino al porto di Waterdeep. Non so nemmeno se quel sistema sia già attivo, e potrebbe essere pericoloso andare a Waterdeep portando con noi il prigioniero. Lassù avrebbe più possibilità di scappare, o di aizzarci contro una folla; io sono un drow, tu sei una mezza vampira, e lui ha un aspetto quasi umano. Se la cava bene con la favella, potrebbe tentare qualche trucco, quindi preferirei rimanere nell’Undermountain."
Dee Dee sbiancò. Non aveva mai considerato che arrivare laggiù con quel viaggio infernale fosse stata la parte semplice.
"Quindi dovremo femplicemente tornare da dove fiamo arrivati? Dannazione, perché ci portiamo dietro quel tizio? È chiaro che tu non ti fidi di lui, e io nemmeno!"
"Potremmo non passare dal fiume ma ci troveremmo a dover pagare una generosa somma ad almeno un’organizzazione criminale, forse più di una, per calpestare i loro preziosi cunicoli."
Dee Dee mugugnò il suo scontento.
"In quefto viaggio mi hai pienamente dimoftrato quanto è difficile andarfene da Fkullport" ammise lei, ricordando i loro primissimi discorsi. "Non mi hai rifpofto, perché ci portiamo il tiefling?"
"Perché ho deciso così"
"Daren!"
Il drow sospirò.
"Perché si trova in un momento molto delicato della sua vita. Lui è, o forse era, un apostolo di Graz'zt. Si tratta di un demone potente e pericoloso, specializzato nella seduzione e nel tradimento. Quelli come il tiefling, servitori prediletti di un demone, dovrebbero avere un marchio sulla pelle che testimonia la loro natura."
La dhampir si sforzò di riportare alla mente quel che aveva visto del corpo del tiefling.
"Ma noi lo abbiamo vifto nudo come un verme, e a meno che quefto fimbolo non foffe nafcofto tra i capelli, non c’era.”
"Credo che l’acido lo abbia abraso… ma il marchio di un servitore dei demoni non è un semplice tatuaggio. Avrebbe dovuto riformarsi quando la pelle è ricresciuta. Io penso che il suo Signore lo abbia rinnegato a causa del suo fallimento, per questo il marchio non è ricomparso."
"Be’... ma quefto non lo rende meno pericolofo, giufto?"
"Forse un pochino" Daren si strinse nelle spalle. "Ma non lo sto tenendo con noi solo in attesa di vedere se Graz’zt se lo riprende. Ieri per la prima volta ho visto una crepa nella sua facciata. Lo immaginavo, non era possibile che fosse così sicuro di sé dopo essere stato sconfitto, aver contrariato il suo padrone e aver perduto il suo marchio. La sua tracotanza era solo qualcosa in cui aveva bisogno di credere, e dopo aver rifiutato molte volte le sue avances ha finalmente capito che non potrà guadagnarsi la libertà con la seduzione."
"Ti ha fatto delle avanf?" Domandò lei incredula, inciampando nella pronuncia.
"Non ha fatto altro da quando l’abbiamo catturato" si lamentò Daren, ma poi ridacchiò per quanto erano stati patetici quei tentativi. "A forza di sbattere la faccia contro un muro ha capito l’antifona, e la sua facciata si è incrinata. In quelle crepe, io ho visto una persona smarrita che non sa cosa fare della sua vita adesso." Sospirò, scuotendo la testa. "È probabile che cerchi di tornare alle sue vecchie abitudini, ma non potrà farlo finché sta con noi. E ci starà finché non avrò deciso se liberarlo… o ucciderlo."
Dee Dee trattenne il fiato bruscamente. "Ucciderefti qualcuno a fangue freddo?"
"L’ho già fatto in passato, in situazioni irrecuperabili… o che credevo tali. Preferirei non doverlo fare di nuovo. Se il mio giudizio fosse sbagliato, dovrei convivere con quella colpa per sempre. Ma d’altra parte, liberare un assassino significa condannare altre persone, forse innocenti. Meglio convivere con il dubbio che lasciar morire della gente, no? Alla fine io sono solo io. Le mie mani sono già sporche di sangue in ogni caso." Sembrava più che altro una riflessione a voce alta.
A Dee Dee sembrò, per un momento, che anche Daren avesse messo su una facciata, e che ci fossero delle sottili crepe. In passato aveva ucciso qualcuno e poi aveva capito di essersi sbagliato? Oppure aveva fatto l’opposto?
"Per ora il tiefling viaggerà con noi perché dietro alla sua sicumera, dietro alla malvagità, ho visto rabbia e tristezza. Non posso ignorare il fatto che le sue azioni siano mosse da sentimenti, anche se negativi. La tristezza non è un lusso per chiunque, sai. I drow non la provano quasi mai, perché la tristezza nasce da aspettative di carattere emotivo che vengono deluse, e la mia gente impara subito a cancellare le emozioni. Insomma, voglio dire, rabbia? Oh sì. Delusione? Tutto il tempo. Ma la tristezza, non la proviamo quasi mai, perché nasce dall’amore. E forse il prigioniero ama solo se stesso, e prova rimpianto e rabbia solo per come è stato trattato dalla vita, ma questo è qualcosa. Se desidera un futuro migliore per se stesso, ti assicuro, è meglio di niente. Deve solo capire come trovare questo futuro migliore. Che senza dubbio per un tiefling non sarà stato semplice, vanno incontro allo stesso stigma sociale che… be’, che avrai sperimentato tu stessa come mezza vampira. E quando vieni rifiutato da tutti, il male diventa sempre più seducente. Promette potere immediato, vendetta, soddisfazione. Diventa come una droga. La soddisfazione non è felicità, ma ci si avvicina, e se non hai mai provato la vera felicità non conosci nemmeno la differenza. Ti fa stare bene per un breve momento, e cominci a volerne di più, sempre più spesso. La soddisfazione di uccidere qualcuno solo perché tu puoi, perché sei potente e nessuno riuscirà mai più a farti del male, è sia un piacere che un conforto. Sapere che hai superato i tuoi nemici e i tuoi pari in astuzia, o nel caso del tiefling sapere che li hai sedotti, ti fa sentire invincibile. Sembra di avere tutti i risultati che vuoi a portata di mano, la vita diventa facile, scendere verso il male è una strada in discesa in tutti i sensi. Solo che non lo è.
Più la dipendenza aumenta, più ti accorgi che non lo è. Vuoi sempre di più e diventa sempre più difficile mantenere i tuoi standard. Attiri l’attenzione di persone pericolose, e la tua sopravvivenza è di nuovo a rischio. C’è sempre una gerarchia da scalare, oppure il padrone che servi inizia a chiederti sempre di più. Lo sai che certi demoni chiedono un sacrificio al giorno? Una cosa del genere la puoi fare solo in una grande città. Quanto tempo credi che passi prima che un criminale attiri troppa attenzione e inizi a essere indagato dalle guardie? E allora che fai, lasci la città? Ti muovi a piedi per strade dove potresti non incontrare nessuno per giorni? Non ha senso. Padroni che danno molto, richiedono anche molto, e tu sei solo un mortale destinato a fallire se non oggi, domani. Perché non c’è vittoria né pace, non è previsto che tu vinca, entrare nel gorgo della crudeltà e della ricerca di soddisfazione significa che non puoi mai fermarti, puoi solo continuare a muoverti sempre più veloce, senza sapere bene quale obiettivo stai inseguendo o quale nemico stia inseguendo te. E l’entità che servi non ti ama, non ti tiene in alcuna considerazione, non perdonerà il minimo errore. Sei solo una marionetta e prima o poi la tua anima diventerà uno spuntino. Scendere verso il male all’inizio pare facile, ma in realtà è una strada in salita, e peggio ancora, non porta da nessuna parte.
E se sei abbastanza fortunato da fallire e rimanere vivo, come il nostro prigioniero, cominci a rendertene conto. La realizzazione può facilmente schiacciare il tuo spirito, perché tutto quello che hai costruito nella vita ti ha portato in un vicolo cieco e tu sei ancora vivo per doverne fare i conti, ma non sai cosa fare. Per questo non posso liberarmi di lui adesso. Magari sarà tutto completamente inutile, magari sceglierà di continuare a correre in quel vicolo cieco fino a schiantarsi contro il fondo. Ma devo almeno essere lì per provare a dirgli che tornare indietro, imboccare un’altra strada, è difficile ma è possibile. E forse è meno difficile che continuare ad andare avanti. E non importa quanti passi hai fatto nella direzione sbagliata, non importa quante persone hai ucciso; continuare sulla stessa strada è comunque peggio che tornare indietro, è comunque più doloroso e più inutile. Per te stesso, prima che per gli altri. L’unico modo per andare avanti nel tuo solito nulla e sopravvivere a questa consapevolezza è rinunciare del tutto alla tua anima e alle tue emozioni, accettare che la felicità non la proverai mai e raccontarti che ti va bene così, perché tanto la felicità mica esiste, è un’illusione dei deboli."

Dee Dee ascoltò quella spiegazione, che sapeva un po’ di sfogo e un po’ di racconto autobiografico. Non pensava che Daren avesse mai servito dei demoni in passato, ma forse la sua esperienza era simile per altri versi. Quando il drow aveva sottolineato la somiglianza fra lei e il tiefling, la dhampir si era ritrovata a rifletterci con attenzione.
"Io non ho nemmeno vent’anni, non le ho tutte quefte efperienze" cominciò, con voce tremula. "Ma fe non aveffi incontrato Valaghar forfe… non lo fo, quando fono fcappata dalla città dei lich non ero una perfona cattiva, ero una vittima, anche fe agli occhi del mondo ero già un moftro. Fe a quel punto tutti mi aveffero rifiutata, fcacciata, come hanno fatto quei paladini e perfino mio padre e il fuo clan, forfe avrei cominciato a penfare che… che la vita è una merda, che le vittime refteranno per fempre vittime perché non c’è giuftizia, che la felicità non efifte ed è folo un’illufione dei deboli, come dici tu. Credo di capire cofa intendi. E fe… e fe ci toccherà camminare in un fiume contro corrente, va bene. Noi non fiamo deboli, giufto?"
Daren le regalò uno dei suoi rarissimi sorrisi sinceri. Un sorriso privo di ogni traccia di sarcasmo, anzi, accompagnato da uno sguardo che sembrava quasi di orgoglio.
"No, infatti. Noi non siamo deboli."



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[1] No, non si sono fumate cose strane. Questa informazione, cioè che Juiblex fosse un Aspetto di Ghaunador, è stata ufficialmente confermata nella quinta edizione, ma prima di allora era soltanto un'ipotesi accreditata.

Note dell’autrice: questa storyline si conclude così (sperando di essere riuscita a spiegare, finalmente, il titolo nella sua piena ambivalenza), ma non è la fine della storia; è piuttosto la fine della parte “lineare” della storia, che d’ora in avanti e per un po’ di tempo sarà portata avanti con capitoli episodici, perlopiù a trama verticale, per raccontare le (dis)avventure di Dee Dee, Daren, e del loro nuovo recalcitrante compagno. Per questo non posso promettere di aggiornare in modo costante (come se per ora lo avessi fatto, lol) ma mi sento meno in colpa perché la storia diventerà più di avventura e meno introspettiva.
Almeno per un po’.
   
 
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