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Autore: anonimo_21    27/03/2022    0 recensioni
"Ancora frastornata si alzò per avvicinarsi e guardarsi allo specchio. Tutto il suo corpo era visibilmente provato: Vi si vide allo specchio e si accorse di essere colma di ferite e lividi anche sul volto, e che le sue guancie erano bagnate dal pianto. ...Vi riuscì a vedere lo stupore dato da quella presa di coscienza crescere nei suoi occhi e diventare qualcosa di peggiore, mentre raggiungeva quella consapevolezza terribile: non era stato un sogno."
La fanfiction CONTIENE SPOILER DEL PRIMO ATTO DI ARCANE (e solo di Arcane poiché non ho quasi mai giocato a League of Legends, dunque non ne conosco la lore), ma se siete alla ricerca di storie su questa serie dubito sia un vostro problema. Detto questo, vi auguro di cuore una buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Ceneri”
Lo scoppiettante crepitio di tutto il fuoco a cui l’esplosione aveva dato inizio accompagnava l’ascesa del fumo verso il cielo nuvoloso, dal quale di contro cadeva una pioggia fitta. Vi, ferita, aveva trovato riparo e piangeva per tutto il dolore che quella notte le aveva portato. In preda alla rabbia ed alla disperazione aveva abbandonato Powder davanti al corpo morto di Vander e se n’era andata. La ragazza si guardò di nuovo le mani insanguinate con le quali aveva colpito la sorella e si sentì ancora peggio. Non riusciva a riflettere, ad essere lucida, sebbene di solito lo fosse sempre. Ma quel che era successo questa volta andava ben oltre ciò che poteva sopportare: paura, dolore, rabbia, lutto… tutti insieme l’avevano sovrastata. Mente e corpo chiedevano pietà. Aveva solo bisogno di fermarsi un attimo, pensare… Non poteva credere che tutto ciò fosse successo davvero. Non poteva essere vero…
Ma non le venne lasciato nemmeno il tempo di soffrire. Gettò uno sguardo verso la direzione da cui era arrivata e lo vide, vide l’uomo che in una notte aveva odiato più di chiunque altro in tutta la sua vita. Egli era in piedi a sua sorella, nella mano stringeva un coltello che rifletteva la luce delle fiamme circostanti. A quella vista Vi chiamò a raccolta tutta la forza che le era rimasta, determinata a proteggere la sorella anche a costo di morire combattendo. Ma non appena fece qualche passo si sentì afferrare: qualcuno la bloccò e le mise una mano sulla bocca. Vi si dimenò, cercò di liberarsi, ma sentiva la disperazione crescere mentre realizzava che non avrebbe mai raggiunto la sorella. Riuscì a sentire colui che l’aveva stretta sussurrare qualcosa, poi l’oblio la colse. 
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Vi si svegliò ansimante e stesa su di un letto sconosciuto. Si guardò attorno e capì dove si trovava: era una cella. Le pareti erano rovinate e tremendamente anonime, le sbarre d’acciaio erano arrugginite ma ben fissate; da esse proveniva una flebile luce, che illuminava un lavandino sovrastato da uno specchietto sferico. Il silenzio opprimente era rotto da un solo lamento sofferente, imperterrito, proveniente da chissà chi e chissà dove. Quel suono le faceva venire i brividi. Com’era arrivata in quel posto?
 Ancora frastornata si alzò per avvicinarsi e guardarsi allo specchio. Tutto il suo corpo era visibilmente provato: Vi si vide allo specchio e si accorse di essere colma di ferite e lividi anche sul volto, e che le sue guancie erano bagnate dal pianto. Allora la ragazza capì, ricordò, e si gustò amaramente l’ultimo momento di tregua psicologica regalatole dal sonno, consapevole del vortice emotivo che stava per coglierla. Il primo mattino dopo una tragedia è sempre terribile, poiché per un attimo si è ancora convinti che nulla sia cambiato rispetto al giorno precedente, e, invece, ci si ritrova a dover fare i conti con un nuovo tremendo stato delle cose. Vi riuscì a vedere lo stupore dato da quella presa di coscienza crescere nei suoi occhi e diventare qualcosa di peggiore, mentre  raggiungeva quella consapevolezza terribile: non era stato un sogno.
L’angoscia la assalì e le tolse il fiato. I ricordi di ciò che era successo le riempirono la testa di sensazioni ed immagini stranzianti: il momento in cui si era autodenunciata, l'attentato a Grayson, la morte di Benzo, poi la lotta, il sudore, il sangue ed infine Claggor, Mylo, Vander, Powder...
Dovette aggrapparsi al lavandino con entrambe le mani per non cadere a terra. Aveva perso tutti in una notte. Non era stata in grado di fare nulla, non era stata in grado di proteggere né salvare nessuno. Anzi, era colpa sua. Se non avesse deciso di agire forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma ormai il passato era passato. Ora era sola al mondo e chiusa in una prigione buia, soffocante, tremenda. A tenerle compagnia c’era solo un lamento straziante, identico a quello che Vi avvertiva nella sua mente, laddove i suoi sensi di colpa non le davano pace e non le concedevano riposo. Le lacrime ricominciarono a solcare le sue guance, riaprendo le ferite che incontravano sul loro cammino. Quella vista le causò un moto di disperato furore: Vi gridò mentre colpì lo specchio, rompendone una parte. Alcuni frammenti le graffiarono le la mano destra: altro dolore. Non le rimaneva che dolore…
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Passarono i giorni, le settimane, i mesi forse: il tempo per Vi non aveva più alcun valore. Passava ogni giorno come se fosse in un limbo, compiendo azioni ripetitive sempre uguali. Aveva passivamente imparato a che ora era la sveglia, quando erano i pasti, le pause dai lavori forzati, aveva capito (da subito in realtà) che lì dentro non avrebbe potuto fidarsi di nessuno. Dentro a quell’inferno non c’era nulla che riuscisse a distrarla dai suoi sensi di colpa, dunque Vi aveva cercato di svuotare la sua mente, ed ora viveva come se non avesse un’identità, che, di fatto, non aveva più. Con la morte della sua famiglia, la sua seconda famiglia, tutto aveva perso di significato, perfino la sua identità, perfino la sua vita. Che motivo aveva di vivere, se non c’era più nessuno per cui valesse la pena andare avanti? Aveva già fallito nel difendere chi avrebbe dovuto. Era stata colpa sua, unicamente colpa sua, perciò questo era il destino che si meritava. Dunque la ragazza passava le sue ore libere nella cella a fissare il vuoto, lei stessa era come un guscio vuoto ormai. Ma comunque c’era sempre in sottofondo un lamento incessante, che non la lasciava libera, mai. Cercava di ignorarlo, di continuare a non pensare a niente, ma quello premeva sulla sua coscienza, penetrando nella barriera di indifferenza e totale apatia che Vi aveva faticosamente costruito nella sua mente, fino a quando il vortice emotivo non tornava a prendere il sopravvento su di lei. Troppe volte era già finita così. Non importava quanto cercasse di non pensarci, di andare oltre: comunque finiva a soffrire pensando al passato perduto. Già da tempo Vi aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva finito le lacrime…
 
   
 
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