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Autore: blackandpurple    28/03/2022    0 recensioni
immaginate di viaggiare nella mente di una persona della quale non sapete l'età, il sesso o il nome, ma di conoscere, seguendo il flusso dei suoi pensieri, la parte più nascosta della sua anima
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Avrei  fatto di tutto per scappare da uno di quei pesanti incontri che dovrebbero svolgersi con naturalezza ma che finiscono per impregnarsi di una mediocre formalità e ricoprirsi  di un velo di falsità  egoista, la gente di solito li chiama cene in famiglia. Ed è lì che ho solo una certezza: forse non troverò  mai il mio posto nel mondo ma è certo che non sia questo, perché  non c'è  momento della giornata in cui l'incompatibilità  tra persone sia più sottolineata che quando si è seduti attorno a un tavolo. Così l'unica mia salvezza rimane  mettere una mano sulla tasca del giubbotto, estrarne un pacchetto di Camel Blue e lo stesso accendino che funziona una volta si e tre no che ho da anni, per poi  poter annunciare che esco a fumare. Il freddo mi avvinghia lo stomaco pronto a ricordarmi dell'abbuffata di pochi momenti addietro e il venticello della sera  mi penetra le ossa facendosi quasi doloroso , ma non chiudo comunque  i bottoni del cappotto perché  quel leggero e fresco dolore fa sentire vivi i miei polmoni e liberi i miei pensieri, che urlando silenziosamente si mescolano, sottomessi, ai rumori della città. Apro il pacchetto, tiro fuori una sigaretta. Perché  rifiuto il bene che quelle persone possono darmi? Perché mi sembra tutto così  finto e imbalsamato nell'immagine di famiglia perfetta che dobbiamo dimostrare di essere? Porto il filtro alle labbra, tra i denti. Sono la pecora nera, da sempre. E questo non cambierà  mai. Anche se non nego l'affetto che mi lega a loro non è  nulla più  di questo: di uno stereotipato modo di volere il bene dell'altro. In mano il solito vecchio accendino che sembra ascoltare. Loro non sono il mio bene, hanno provato a esserlo ma riescono solo a riaprire in me ferite mai completamente rimarginate. Con una mano proteggo la debole fiamma dal vento,  quasi  con premura . Aspiro, accendendo la mia Camel,  con solenne lentezza. Mi sembra di rivedere lo spettro di ciò  che ero a 15/16 anni, quando vivevo nella convinzione  di non meritarmelo quell'amore. Mi feci una promessa allora, una delle tante stronzate che ti racconti quando sei tra i banchi del liceo. Promisi alla versione futura di me che non avrei dimenticato quel dolore e che lo avrei tramuto nella spensierata capacità  di donare ogni parte di me:  di amare. Lascio che il fumo di quello  che sarà  il terzo tiro esca dalle mie  labbra con troppa impassibilità, così  che mi annebbi gli occhi e nasconda gli ennesimi cristalli salati pronti a sgorgare dalle mie palpebre. Non ho dimenticato quel male, mai. Con una smorfia simile a ciò  che rimane di una risata nostalgica anticipo il prossimo pensiero:  non riesco ad amare impavidamente come avevo promesso, invece ho chiuso il mio cuore, ho limitato le sue funzioni a quelle vitali e ho spento la capacità che aveva di far nascere le farfalle alla bocca del mio esofago. Per pura e semplice paura ho inaridito la mia anima. Tolgo la cenere accesa che cade sul muretto. La guardo bruciare e lottare per fare luce, ma si spegne, proprio  quando sembrava avercela fatta. Aspiro ancora, avidamente. Questa volta sbuffo il fumo denso verso il cielo, alzando la testa. Spero che così  rimanderò  dentro il frutto di quei pensieri, ormai evidenti. Che effetto mi fa questa casa, dove ho vissuto la mia adolescenza? Ora che non vivo più  qui ancora vedo spettri  del passato raggomitolati negli angoli bui, come se  aspettassero che io  torni a rifugiarmi nel rassicurante abbraccio della paura.  Vorrei bere un boccale di birra a tavolino con la Vita e chiederle perché  si accanisce così su chi ha troppi pensieri da esprimere ma non abbastanza  fiato per urlare e farla nuotare nel mare di complesse  e intrigate ragioni che si nascondono dietro gli occhi di chi piange. Non capirebbe lei, la Vita, perché  non fuma; e come puoi spiegare certe cose a chi non si accende una sigaretta dopo i pasti? Sfiorato ormai il filtro, spengo il mozzicone e lo scaglio lontano, sperando si porti dietro quei pensieri. "Puttana  che sei, arrivi al dunque in pochi minuti eh" le sussuro mentre mi dirigo verso il bordo del balconcino. Sull'orlo della morte scoppio in  una fragorosa risata che solo io posso sentire. "Faremo i conti un'altra volta " . Mi volto, dando le spalle al vuoto, sfoggio il mio miglior sorriso e rientro in casa.
   
 
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