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Autore: LadyHeather83    02/04/2022    1 recensioni
Le fogne di Parigi nascondono oscuri segreti ed un ignaro cittadino lo scoprirà sulla propria pelle.
Umiliato, deriso e profondamente offeso si nasconderà nelle sue profondità e si trasformerà in un nemico che Lady Bug e Chat Noir del futuro dovranno affrontare per salvare il Sindaco Bourgeois dalla sua ira.
Ma gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo e a farne le spese sarà proprio l'eroe gatto.
Per uno strano scherzo del destino, sua figlia Emma si ritroverà catapultata nel passato con la responsabilità di dover ritornare al più presto nel suo tempo per salvare suo padre.
L'unico modo, sarebbe quello di raccontare tutto a Marinette ed Adrien, anche se questo potrebbe compromettere irrimediabilmente il suo futuro
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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S.O.S. dal futuro

*

Capitolo 1

*

Era quasi notte inoltrata ed il temporale continuava ad imperversare sulla città di Parigi con tuoni e fulmini a farla da padrona, innalzando un muro d’acqua che non permetteva di vedere ad un palmo dal naso, a meno che tu non fossi un super eroe.

Ormai erano ore che lo scrosciare dell’acqua addosso le pareti e sui tetti accompagnavano i parigini fino a che i più assonnati non si addormentarono tra i sussulti e con il pensiero che se il brutto tempo avesse continuato per tutta la notte, l’indomani si sarebbero svegliati con una città completamente allagata.

Un rintocco quasi spettrale risuonò attraverso l’ululato del vento quando un uomo sulla cinquantina di bell’aspetto, alto, corporatura magra, capelli neri lisci e con sguardo glaciale, stava discutendo animatamente con un suo coetaneo molto più basso e grasso, in testa portava un caschetto antinfortunistica color arancio nonostante indossasse una camicia a scacchi e una cravatta nera, un abbigliamento che faceva ben intendere di non essere un operaio qualsiasi, ma qualche capo reparto che passava le sue giornate comodamente seduto sulla poltrona del suo ufficetto ingurgitando ciambelle zuccherose e caffè all’interno della sua tazza bianca con inciso a caratteri cubitali “ti voglio bene papà”, mentre impartiva ordini ai lavoratori della catena di montaggio, e che infilasse quell’elmetto protettivo solo se si richiedeva la sua presenza all’interno del reparto. Giusto per non ritrovarsi con un buco in testa.

Si trovavano in una fabbrica che produceva prodotti chimici ad alta tossicità, probabilmente di proprietà di quello più alto.

Due occhi color smeraldo continuavano a seguirli con insistenza ed enorme curiosità.

Le gocce d’acqua di quel temporale colpivano ripetutamente il vetro dell’ufficio posto ai piani alti e il rumore di tuoni e fulmini si udivano in lontananza.

“Quindi tu vuoi dirmi che non c’è più posto per stoccare le scorie!” Disse in tono calmo quello alto mentre controllava minuziosamente il grafico appena allungatogli.

“S-si!” Confermò timidamente muovendo la testa su e giù.

L’amministratore delegato prese la cartellina e chiuse gli occhi facendo un bel respiro profondo voltandosi, poi senza un accenno e con violenza, tirò quell’oggetto addosso al grassone facendogli cascare gli occhiali da vista sul pavimento polveroso.

“SEI UN’IDIOTA, DIDIER! In mezzo anno ti sei giocato l’equivalente di tre, adesso che cosa facciamo?”

Il grassone si accucciò a raccogliere quanto caduto e dopo un paio di tentativi riuscì a trovare quelle lenti.

“Mi-mi dispiace signor Arthur. La produzione è salita molto nell’ultimo semestre, dovrebbe essere contento di quanto guadagnato fino ad ora.” Trasalì per cercare di indorare la pillola.

“Il problema resta! E lo risolverai TU mio caro” Gli puntò un dito nel petto che affondò nel grasso, digrignando i denti, non aveva intenzione di pagare per un errore di calcolo di quell’imbecille, infondo, era quello il suo lavoro, no? Risolvere i problemi, mentre lui sganciava ingenti somme di denaro guadagnandone altrettanto.

“I-io?” Balbettò spaventato, non era semplice far sparire quintali di scorie tossiche senza che nessuno se ne accorgesse.

Un fulmine squarciò il momentaneo silenzio tombale che si era creato all’interno dell’abitacolo della fabbrica, e se quei due avrebbero guardato fuori dalla finestra, sarebbero riusciti a scorgere sue sagome ben distinte che li controllavano mentre stavano appostati sul tetto difronte.

“Si, tu. Hai capito bene”

“Cosa vuole che faccia?” Chiese aprendo le braccia.

“Non me ne importa: portatele a casa, bevile se ti fa piacere, ma voglio che spariscano di qua.”

Didier arricciò le labbra poco convinto, anche se avrebbe chiamato tutte le centrali nucleari, nessuno avrebbe acconsentito a ricevere quelle scorie, doveva trovare un altro modo e in fretta se non voleva essere licenziato, e lui aveva la soluzione a portata di mano.

Volse lo sguardo appena fuori la finestra in basso e appena l’ennesimo fulmine illuminò il vicolo, vide un tombino e un canale di scolo aperto.

“Va bene. Mi disferò di quei liquami”

Il signor Arthur lo guardò di sottecchi, nonostante fosse un uomo d’affari molto potente, la sua ricchezza se l’era guadagnata senza sotterfugi o imbrogli di alcun tipo, i suoi conti erano sempre stati limpidi e trasparenti come l’acqua, ma quell’ultima frase del suo collaboratore, soprattutto nel modo in cui gliela aveva detta, lo aveva fatto preoccupare e non poco.

Didier era un ottimo braccio destro quando non beveva troppo o si intratteneva con donne che non fossero sua moglie, oltre l’orario di lavoro in ufficio.

Si, Arthur sapeva anche delle sue scappatelle, ma era pronto a passarci sopra se lui eseguiva bene il suo lavoro, ma ogni tanto aveva bisogno di qualche scossone per riattivare i neuroni del suo cervello e farlo rigare nella giusta direzione.

“In modo pulito ovviamente” Sottolineò l’amministratore delegato dandogli le spalle prendendo la via della porta, per poi voltarsi di scatto e lanciargli un’occhiata fulminante “…inutile dirti che se intendi fare qualcosa di losco, la colpa ricadrà su di te. Tu dirigi il reparto, tua la colpa.” Disse in tono mellifluo chiudendo dietro di sé la porta lasciando il grassone da solo con i suoi pensieri.

Non ci pensò due volte e prese la bottiglia mezza vuota di gin che teneva nell’ultimo cassetto della scrivania e senza troppi complimenti ne trangugiò un bel sorso fino a che la gola non gli bruciò e dovette buttare fuori dell’aria dalla bocca per sopperire a quel breve, ma dolce dolore.

“Fa presto lui a parlare…” Berciò tra sé e sé buttando la testa all’indietro “…e intanto si incassa i bei soldoni…” Ingurgitò dell’altro gin cercando di trovare un’altra soluzione, questa volta più pulita rispetto a quella di svuotare i bidoni nelle fogne rischiando di avvelenare i parigini.

Volse nuovamente lo sguardo fuori dalla vetrata e quando un altro fulmine squarciò il cielo vide una figura nera che lo stava osservando nel tetto difronte.

Indietreggiò per lo spavento riconoscendo quella figura inquietante: Chat Noir.

Poi, quando fece per assicurarsi che fosse ancora lì, il super eroe era sparito.

“Sarà stata solo la mia impressione” Tirò un sospiro di sollievo staccandosi dalla bottiglia che lanciò nel primo cestino libero.

*

“Dici che ti ha visto?” Chiese sussurrando la nuova portatrice del miraculous dell’ape mentre assieme a Chat Noir saltellavano tra i tetti della città.

L’eroe in nero fece spallucce “Anche se fosse? Non hai sentito che cosa aveva in mente quel delinquente?”

“Non puoi esserne sicuro, e poi sarebbe una cosa terribile da fare.”

“Il capo gli ha detto chiaramente di far sparire quelle scorie” Chat Noir richiamò la sua farfalla spia sulla punta del dito indice quando rientrò in casa dalla finestra che aveva lasciato aperta seguita dalla giovane, poi schioccò le dita facendola sparire per sempre.

“Peccato, era carina!” Fece spallucce la ragazzina bionda trattenendo uno starnuto.

“Ha fatto il suo dovere, non abbiamo più bisogno di lei…Plagg, Duusu, dividetevi” Chat Noir venne avvolto da una luce verdastra con sfumature bluastre.

“Ritrasformami!” Ordinò lei prima che la porta si spalancasse furiosamente.

“Dove siete stati voi due??” Chiese un’iraconda Marinette ancora con i capelli arruffati ed il segno evidente sulla guancia lasciato dal cuscino “…non avete visto che ore sono? E TU…” Si rivolse a suo marito con l’indice alzato “…TI PARE TRASCINARE UNA RAGAZZINA DI QUATTORDICI ANNI CON QUESTO TEMPACCIO E A QUEST’ORA DELLA NOTTE NELLE TUE SCORRIBANDE, PER GIUNTA AMMALATA???” Lo avrebbe preso volentieri a schiaffi quel gattaccio.

Adrien trasalì e deglutì il nulla, era incazzata e questa volta non l’avrebbe passata liscia.

Gli occhi di Marinette erano lucidi, ma anche fuori dalle orbite e presto avrebbero anche sputato frecce avvelenate addosso a lui; doveva fare qualcosa, per prima cosa: rimanere il più calmo possibile per non rischiare di litigare proprio davanti a sua figlia.

“Tu dormivi” Disse con naturalezza sfoderando il suo fascino “…e poi Emma mi ha detto di stare bene, l’influenza è passata.” Adrien prese un asciugamano dal bagno personale e ne passò subito dopo uno alla figlia, dovevano asciugarsi immediatamente, altrimenti rischiavano di beccarsi un malanno entrambi.

Nonostante fosse primavera inoltrata e la temperatura era salita di qualche grado nelle belle giornate, c’era sempre l’inconveniente che quando pioveva, l’aria diventava gelida, costringendo i cittadini a rispolverare i vecchi cappotti riposti con cura all’interno degli armadi o negli scatoloni per il cambio stagionale.

“Si, mamma. Sto bene” Confermò la bionda ragazzina con ovvietà, sentendosi ad un tratto strana: la vista iniziava ad annebbiarsi e lo stomaco improvvisamente contorcersi dal dolore e dal senso di nausea.

La testa iniziò a farle male e le guance avvampare all’improvviso.

Brividi di freddo le attraversarono il corpo, costringendola a chiudersi di più nell’asciugamano per non far trasparire il suo malessere.

“Lo decido io se stai bene, OK???! Vuoi forse finire all’ospedale a causa della tua patologia?” Non aveva mai visto sua madre così furiosa e allo stesso tempo preoccupata.

Questa volta padre e figlia l’avevano combinata grossa, più Adrien, perché era stato lui ad acconsentire ad Emma di uscire di casa nel buio e nel freddo di quella notte tempestosa.

“La tratti come un’appestata!” Convenne Adrien prendendo le difese della biondina ammiccandole “…se ti ha detto che sta bene, sta bene.”

Marinette digrignò i denti dalla rabbia ricordando alla perfezione lo spaghetto che entrambi avevano preso quando solo qualche mese fa Emma era stata ricoverata in ospedale in condizioni gravi.

Ora, era reduce da una semplice influenza, ma ampliata dai problemi respiratori di cui soffriva la giovane, diciamo pure un souvenir che nonna Emilie le aveva trasmesso, una forma di asma rara e pericolosa se non curata a dovere, ma gli Agreste potevano contare sempre sulle cure migliori in assoluto, soprattutto grazie alla generosità di nonno Gabriel, il quale donava spesso denaro al reparto di terapia intensiva e devolveva anche aiuti alla ricerca sulle malattie respiratorie rare.

“…ormai sono giorni che non ha più la febbre e per me può ricominciare la scuola già da domani.” Continuò il biondo con aria spocchiosa fomentando ancora di più l’ira della moglie che non la pensava di certo allo stesso identico modo, ma si fidava anche molto di suo marito e sapeva bene che non avrebbe mai messo in pericolo sua figlia per niente al mondo, in fondo quella sera sarebbe toccato a lei pattugliare quella fabbrica, dopo che Gabriel aveva espresso la preoccupazione del suo amico Arthur su sospetti illeciti compiuti dal suo braccio destro Didier.

Peccato che Marinette si era addormentata non appena aveva toccato il divano del salotto nel tentativo di trascorrere un po' di tempo con Hugo, il figlio più piccolo, che la seguì a ruota appena aveva appoggiato la sua testolina nera sul suo petto.

“Forse hai ragione… sto esagerando.” Mormorò Marinette avvicinandosi al marito e vedendo che Emma tutto sommato stava bene, ma solo all’apparenza, perché la ragazzina non vedeva l’ora di ritornarsene nella sua stanza e sotto le coperte.

“Stai lavorando sodo in questo periodo, è normale essere stanchi.” Adrien le mise le mani sulle spalle amorevolmente ed Emma non potè non pensare che al mondo esistessero genitori migliori di loro due e sorrise mentre strofinava i capelli dentro l’asciugamano e tremava dal freddo.

“La sfilata si avvicina e sai bene che acque tirano ai piani alti.” Sospirò mestamente ricordando tutta la fatica di quel periodo, però aveva un uomo meraviglioso accanto che sapeva bene come tirarle sempre su il morale e farle dimenticare per qualche attimo tutti gli impegni lavorativi e non.

Le bastava un suo tocco per lasciarsi andare completamente a lui.

Adrien sogghignò, nonostante il suo ufficio si trovasse un po' più in basso, nei corridoi si percepiva la tensione che scendeva dall’alto.

Vento freddo, lo chiamava per scherzo.

Stoffe del colore e del tessuto errato, gioielli che non arrivano, pizzi sgualciti, modelle e modelli che si danno malati e quindi da sostituire… per non parlare di Gabriel Agreste e di come riusciva a trasmettere la sua ansia all’intero staff.

E conosceva bene quella sensazione di smarrimento, la testa che vortica e tu vorresti solo vomitare, proprio come era accaduto ad Emma in quel preciso momento prima di svenire sul pavimento della camera da letto dei genitori.

*

Continua

*

Angolo dell’autrice: Hola Miraculer! Eccovi come promesso la storia nuova ambientata nel futuro, spero vi piacerà.

In questo mio scritto vedremo un nuovo cattivo, il quale è stato menzionato all’interno della seria, ma lo ritroveremo più avanti.

E come di consueto ringrazio fin da subito chi vorrà intraprendere con me questo viaggio che vi racconterò.

Un ringraziamento speciale va a summerlover o persefoneb, la quale dispensa sempre ottimi consigli.

Un abbraccio, e vi do appuntamento alla prossima settimana.

Erika

  
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