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Autore: lmpaoli94    03/04/2022    0 recensioni
Un sogno.
Un sogno ma che nel mondo è tutto vero.
Un fratello e una sorella di appena cinque anni che si tengono per mano nelle vie fredde dove sopra le loro teste suonano i rumori di disgrazie che non potranno mai dimenticare.
Quei rumori che li fa fuggire senza i propri genitori e che io ho visto con i miei stessi occhi una mattina come tante.
Parlavano a malapena l'italiano, ma ciò non gli impediva di capire. Di riuscire a sentirsi protetti in una terra che non era la loro.
Io pensavo che tutto questo potesse essere un terribile incubo vedere quei bambini assetati e affamati che scappavano con le loro residue forze lontano dalla follia della guerra.
Eppure loro due erano lì, in una notte d'inverno come tante...
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I bambini si sentivano protetti e ogni giorno che passava, si sentivano sempre più a casa.
Non lavorando, avevo molto tempo da dedicare a loro.
Tempo che non persi assolutamente rimanendo chiuso con loro tutto il santo giorno.
I bambini dovevano rifiatare e stare all'aria aperta e non rinchiusi in casa come se fossero in prigione.
Uscendo di casa, si poteva godere di un sentiero boschivo dove l'aria aperta , ala bella giornata e la temperatura mite, potevano farti godere quel momento pieno di silenzio.
Io non riuscivo a trovare le parole adatte con loro, ma in fondo mi faceva molto tenerezza vedere fratello e sorella che si tenevano per mano.
Erano due bambini graziosi che ogni genitore avrebbe desiderato di avere.
Genitori che non sapevano più niente di loro, visto che i bambini non avevano apparecchi come cellulari o quant'altro.
Non volevo parlare con loro del passato, anche se credevo fermamente che le mie parole sarebbero state ascoltate ma soprattutto capite.
Non potevo scordarmi quella foto che la bambina mi aveva fatto vedere e tutta quella felicità e serenità che poteva sprigionare.
Ma quei bambini capivano benissimo che non si trovavano da soli, mentre alcune lacrime uscirono molto velocemente ripensando a quel ricordo.
Lacrime che non destarono il bambino, l'unico trai tre ancora restio e con la corazza che non accennava ad aprirsi.
Mi stava asciugando le lacrime dopo che mi ero chinato per guardarlo fisso negli occhi.
Mi chiamava con gesti che io non potevo rifiutare e quel tocco di mano calda mi fecero rincuorare all'istante.
Il bambino in questione stava asciugando il mio volto perso e triste, mentre la bambina mi guardava con fermezza e con sorriso sincero.
Che dire di questi due pargoli: mi voleva far sentire a tutti i costi un uomo felice.
Un uomo che stavo cambiando e che quei bambini mi facevano capire che la vita è assolutamente dura da essere vissuta, ma che talvolta quando meno te l'aspetti, ti regala un sacco di soddisfazioni.
E quelle soddisfazioni erano composte in quella giornata così diversa mentre il vento sferzante di inizio primavera non ci fece scuotere e unire in un abbraccio che ci avrebbe protetti dal freddo.


Un freddo che non accennava a diminuire, purtroppo.
Mentre le nuvole stavano ricoprendo il sole, decisi di tornare a casa con loro aiutandoli in alcuni compiti scolastici per non fargli perdere l'allenamento.
Li aiutavo nella lingua italiana e anche in matematica, una materia che fortunatamente riuscivo a capire molto bene.
Erano solamente operazioni facili per me, ma non si poteva dire lo stesso di quei due bambini.
Non riuscendo a capire bene l'italiano, dovevo fare in modo che con i miei gesti i due bambini potessero capire, cosa che non fu affatto scontata.
Ma il tutto s'interruppe appena sentì suonare il campanello di casa mia.
Non mi ero reso conto che erano quasi le otto e mi ero dimenticato di preparare la cena per quella sera.
E quando capii che ad attendermi dietro la porta non fu altro che la mia fidanzata, mi sentii il cuore raggelare.
< Ciao, tesoro > feci con tono misto a incredulità e felicità.
< Ciao. Mi dici il motivo per cui non rispondi ai miei messaggi? Ero preoccupata e perciò ho provato a chiamarti, ma tu niente. >
< Ecco, sono successe un sacco di cose che ho bisogno di spiegarti. >
< E curiosamente, i due bambini non si nascosero sotto il tavolo in cucina come potevo credere, ma andarono incontro alla mia ragazza con sguardo compiaciuto, come se stessero aspettando qualcuno.
Quel qualcuno non poteva che essere i loro genitori, dove i loro occhi speranzosi di andarono a spegnere molto velocemente.
< Lore, che ci fanno qui in casa tua due bambini? >
< Ecco, sono due piccoli rifugiati fuggiti dall'Ucraina. Per questo li ho accolti in casa. >
La mia fidanzata non sapeva come controbattere.
In fondo era felice che io potessi aiutare qualcuno, ma la responsabilità di prendermi cura di loro, andava ben oltre il mio badare a me stesso.
Sì perchè prima di qualche giorno fa', non mi ero mai preso cura di n essun bambino, soprattutto piccolo come loro.
Ma quei due bambini ucraini sapevano bene badare a loro stessi, dopo il lungo viaggio pericoloso che avevano dovuto intraprendere.
< Lore, lo sai la responsabilità che ti sei preso... >
< Sì, Anna. Lo so bene. E mi dispiace se non te l'ho detto prima, ma non riuscivo a trovare le parole adatte. E poi dovevo pensare a loro. >
< Questo non è un motivo sufficiente per non dirmi niente. Ero preoccupata. >
< Lo so Anna, ma sono a casa. >
La mia fidanzata si sentiva afflitta dinanzi a quegli sguardi così confusi.
Anche lei, come me, aveva capito che i bambini avrebbero desiderato qualcun altro che non fosse loro.
< Ciao. Mi dici come ti chiami? > domandò al piccolo con tono flebile e coinciso.
Ma come potevo immaginare, il bambino non risposte.
Allora provò con sua sorella, ma sortì il solito effetto.
< I bambini non parlano, Anna. Nemmeno io so i loro nomi. >
< Lore, forse sarebbe meglio se tu li portassi a qualche azienda benefica che possa davvero curare loro e tutti i bisogni che hanno. >
< Anna, ma come puoi credere una cosa del genere? In casa mia si sentono al sicuro e questa è la cosa più importante. >
< Ma non sai niente dei suoi genitori. >
< E come posso? Non so i loro nomi e cognomi. >
< Ma se tu li dessi a qualche associazione, vedresti che riuscirebbero a ritrovare i loro genitori. È questo quello che i bambini vogliono. >
In fondo la mia fidanzata aveva ragione.
I loro genitori era il mio chiodo fisso, ma la cosa più importante è che questi bambini si potessero sentire al sicuro.
< Certo che penso ai loro genitori, ma non vedi i loro sguardi spaesati? Come posso sentirmi tranquillo nel vederli così afflitti? >
< Lore, credi davvero che possano rimanere con te per tutto il tempo necessario? Vorrei ricordarti che tra poco ricomincerai a lavorare. E a quel punto, chi baderà a loro? >
< Non lo so, ma qualcuno troveremo. La mia famiglia sarebbe disposta a farlo. >
< E i bambini? Rimarranno lontano da te dopo che li hai fatti sentire al sicuro? >
< I bambini capiranno, Anna. È solo questione di tempo. >
Non so come, ma la mia fidanzata non aveva nessuna intenzione di volermi credere.
Era fermamente convinta che io non potevo badare molto di più a loro e ciò mi avrebbe spinto a rinunciare ad essere il suo aiutante, oltre che ai loro occhi, il suo unico genitore.
Ma la mia fidanzata doveva capire che stavo facendo tutto il possibile per loro e con o senza il suo aiuto, sarei riuscito nel mio intento.
< Si sta facendo molto tardi > tagliai corto inorridito < Preparo qualcosa per cena. >
< Sì. Buona idea. >


Il mio pensiero fisso per come quei bambini avrebbero attraversato il loro destino, non mi faceva stare tranquillo.
Non potevo sopportare che altri sconosciuti si sarebbero potuti prendere cura di loro perchè sicuramente li avrebbero portati lontano da me, e questo non potevo sopportarlo.
Ma vedendoli come la mia fidanzata stava cercando di stringere amicizia con loro, il mio cuore si sentì all'improvviso sollevato.
Potevano passare una serata tranquilla e in totale compagnia, e vedere quei bambini mangiare avidamente come se non mangiassero da giorni.
Il loro colorito della pelle e quegli occhi speranzosi, mi spingevano a lottare per la loro salute.
Senza mai abbandonarli.
E mentre gli facevamo delle domande sul loro passato infantile, solo la piccolina emise un suono come se si sforzasse di parlare.
< Avanti. Puoi farcela. >
Cercai di spronarla e di dargli tutto il coraggio necessario, ma alla fine la bambina non disse niente al riguardo.
Il suo spavento era ancora palpabile, nonostante alcuni giorni che stava abitando in questa casa-
Non sapevo bene che cosa ne sarebbe stato di lei e di suo fratello, ma finché avessero abitato sotto il mio stesso tetto, niente di male gli sarebbe accaduto.
Dovevamo solo attendere il miracolo.
Un miracolo che io in primis dovevo fare in modo che si realizzasse per il bene di quei bambini che non meritavano tale patimento e sofferenza.
Dovevano ricominciare a vivere.
Una volta per tutte

   
 
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