Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Deruchette    05/04/2022    4 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
-
Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
-
Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In The Still Of The Night - 42

Scusate, scusate, scusate. Chiedo venia. Giuro che non sparirò più.
Dove eravamo rimasti?

 

 

 

In the still of the night

 

 

42.

 

La sera prima dell’esecuzione, la presidente Coin convoca me e Peeta nei suoi nuovi appartamenti per prendere parte ad una riunione straordinaria. Mi lascio guidare da Peeta, dalla sua mano che stringe la mia e dai suoi passi rumorosi che risuonano lungo i corridoi deserti e altrimenti silenziosi. Sono assorta, non capisco perché ci abbia chiamati. Altri passi rumorosi risuonano dietro di noi. Mi volto, e scopro che sono i passi pesanti di Haymitch. Il nostro vecchio mentore ha un colorito verdognolo e profonde occhiaie sotto agli occhi, ma sorride.
- Bella serata per una riunione, eh? Accogliamo il nuovo anno insieme?
Il nuovo anno.
È la sera di Capodanno. Un anno intero sta per chiudere i battenti. Un anno da dimenticare, un anno su cui mettere una croce sopra. Vorrei quasi tornare indietro nel tempo, alla sera di un anno fa in cui raggiunsi Peeta a casa sua per non restare da sola nella mia. La sera in cui mi mostrò il dipinto di Rue, la sera in cui mi promise di aiutarmi ad affrontare il futuro che ci attendeva. La sera in cui ci amammo per la prima volta…
È passato un altro anno. E sono più che sicura che non ce ne sarà un altro da vivere, dopo stasera. Domani ucciderò Snow, e poi ucciderò me stessa grazie alla pillola di Morso della Notte. I miei prossimi anni li trascorrerò nell’oscuro nulla rappresentato dalla morte.
E non vedo l’ora che succeda.
La stanza in cui entriamo è già piena di gente. Poca gente, in realtà; c’è la Coin, ovviamente, e gli altri vincitori sopravvissuti: Annie, Johanna, Beetee. Enobaria.
- Che ci fa lei qui? – domanda Peeta.
- Lei è qui sotto la protezione del “Patto della Ghiandaia Imitatrice” – gli spiega la Coin. – Patto nel quale Katniss Everdeen accettava di sostenere i Ribelli in cambio dell’immunità per i vincitori catturati. È presente anche lei in questo Patto, signor Mellark, non dimentichiamolo.
Il patto. Lo stupido patto che ho stretto con la Coin per essere la loro Ghiandaia Imitatrice.
Devo smetterla di stringere patti con la gente.
Seduti attorno ad un enorme tavolo, la Coin ci spiega il motivo per cui ci ha riuniti. Ci spiega che Snow non è stato l’unico ad aver ricevuto una condanna a morte: insieme a lui ci sono funzionari, dirigenti, e altri complici dell’oppressione che ha colpito Panem per così tanti anni. Ci spiega che per i cittadini liberi della nazione queste morti non sono ritenute sufficienti, e che per loro uccidere ogni singolo cittadino di Capitol City sarebbe una soluzione migliore. Ma dato che uccidere ogni singolo cittadino di Capitol City sarebbe uno spreco di tempo, e rappresenterebbe anche un certo numero di esecuzioni da trasmettere in televisione, la Coin ci dice che si è cercato di raggiungere un compromesso. Ci spiega che, subito dopo l’esecuzione di Snow, ha intenzione di annunciare una straordinaria e memorabile edizione degli Hunger Games. Un’edizione simbolica, conclusiva, per ricordare le innumerevoli ed irrecuperabili perdite che abbiamo subito per raggiungere la pace.
Ed i tributi, per questa particolare edizione, verranno sorteggiati tra i bambini di Capitol City.
Ma allora che pace è?
- Sta scherzando? – urla Peeta.
- No.
- L’ha avuta Plutarch, quest’idea? – chiede Haymitch.
- L’ho avuta io – risponde la Coin.
Altri Hunger Games, altri bambini nell’arena, altri bambini morti. Osservo la mano di Peeta che stringe la mia in maniera ossessiva, forte. Sta riversando su di essa la sua rabbia, dopo averla urlata in faccia alla Coin. Io non riesco a dire nulla.
- Il programma verrà attuato se raggiungerà una maggioranza di almeno quattro voti – prosegue la Coin. – E se i giochi si terranno davvero, verrà reso noto che si è andati avanti grazie anche alla vostra approvazione. I voti, invece, non saranno rivelati per garantire la vostra sicurezza.
Quale sicurezza? Non saremo mai davvero al sicuro.
- Io voto no! Non ci saranno altri Hunger Games – dice Peeta.
- Anche io voto no, come Peeta – mormora Annie.
- Al diavolo, sì! – questa è Johanna. – Snow ha anche una nipote! Facciamolo!
- No – dice invece Beetee.
- Io voto sì – dice Enobaria. Ha una voce insolitamente dolce e delicata, per una donna che si è fatta limare i denti come zanne.
- Rimangono Katniss ed Haymitch – annuncia la Coin.
Gli altri restano in attesa degli ultimi due voti. Ho lo sguardo basso, sento i loro sguardi puntati addosso e, più di tutti gli altri, sento lo sguardo di Peeta puntato sulla mia testa. La stretta sulla mia mano si allenta, diventa più dolce, confortante. Va tutto bene, sta dicendo la stretta, ma non sta andando tutto bene. Non sta andando bene e non andrà bene, se ci mettono davanti ad una scelta del genere. Non andrà tutto bene, se alla fine di una guerra con migliaia di morti ci costringono a votare per mandare a morte ventiquattro ragazzini. Alzo gli occhi, incrocio quelli gialli della mia nuova presidente, e capisco che non posso farlo.
- – dico. – Io voto sì.
La mano di Peeta scaccia via la mia come se gli avessi appena dato fuoco.
- Eccellente – trilla la Coin. – Haymitch?
Adesso guardo Haymitch, incrocio il suo sguardo grigio così simile al mio, identico a quello di tutti gli altri che sono nati e vissuti nel Giacimento del Distretto 12. Haymitch soppesa i miei occhi per dei lunghi, intensi secondi, e alla fine annuisce.
- Io sto con la Ghiandaia Imitatrice – dichiara.
Un sorriso trionfante nasce sulle labbra della Coin. È il sorriso di chi ha raggiunto, ancora una volta, il suo obiettivo. È il sorriso di chi ha la vittoria in pugno. È il sorriso di chi non teme che qualcosa possa andare storto.

 

Il primo gennaio, il primo dell’anno. Mi sveglio nella fredda e buia alba che annuncia il primo giorno del nuovo anno. Il primo gennaio è il giorno in cui è stato deciso che morirà Snow. Ho dormito poco e male, ma ho sempre avuto Peeta accanto: mi ha tenuta stretta a sé per tutta la notte. Mi ha abbracciata nonostante fosse arrabbiato con me, e nonostante avessi scelto di assecondare la Coin per indire la nuova edizione degli Hunger Games. Abbiamo ancora dei desideri diversi, eppure non riesce a lasciarmi andare via. Mi resta accanto, forse perché teme che possa fare qualche pazzia. Come suicidarmi, per esempio.
Peeta non sa ancora che è proprio una pazzia ciò che ho in mente di fare oggi. Non lo sa, e non glielo posso dire. Mi impedirebbe di farlo, altrimenti. Mi impedirebbe di fare tutto ciò che desidero fare oggi. Stamattina. Manca davvero poco, ormai.
Effie trascorre l’intera mattina a rimettere a nuovo la mia immagine: fa la solita treccia ai miei capelli, trucca i miei occhi, le mie guance, mi consente di indossare l’uniforme da Ghiandaia Imitatrice solo quando non ha più nulla da truccare. Canticchia a mezza voce, vestita e agghindata in maniera stravagante come se la sua temporanea permanenza al Distretto 13 non fosse mai avvenuta. La parrucca color oro è la stessa che si fece fare in vista dell’Edizione della Memoria. Mentre riordina i suoi trucchi e mi consiglia di guardarmi allo specchio per ammirare il risultato del suo duro lavoro, controllo di nuovo la tasca sulla spalla. La pillola è ancora al suo posto: bene. Andrà tutto come previsto.
Accanto alla porta, quando esco, ci sono il mio arco e la mia faretra: questa contiene una sola, singola freccia nera. È quella che userò per uccidere l’ormai ex presidente Snow. Hanno davvero molta fiducia sulle mie capacità per rifornirmi di una sola freccia. Dovrò guardarmi bene dal non deluderli.
- Andiamo, Katniss! Non rallentiamo la tabella di marcia – trilla Effie.
Effie ed alcuni soldati mi conducono fuori dalla villa e mi scortano fino all’Anfiteatro cittadino, il luogo scelto per l’esecuzione. È già colmo e straripante di persone venute ad assistere alla morte del carnefice. Snow, al centro della scena, è in piedi ed è legato ad un palo, ed è impeccabile come sempre: i capelli bianchi pettinati all’indietro, il cappotto blu che avvolge elegantemente la sua figura, i guanti neri sulle mani, la solita rosa bianca all’occhiello. Il sangue che gli cola dalle labbra è la sola cosa che rovina la sua immagine da perfetto gentiluomo.

È solo un vecchio malato, penso di nuovo. È solo un vecchio.
La Coin osserva tutto dall’alto, dalla postazione sopraelevata dove per anni Snow ha ammirato e accolto i tributi venuti a morire agli Hunger Games. La osservo a mia volta mentre, con calma, raggiungo il punto in cui dovrò fermarmi per lanciare il colpo mortale destinato al nostro nemico comune. Sono a poco meno di venti metri di distanza da Snow; dietro di me, in piedi, ci sono gli altri vincitori che attendono di assistere alla sua morte. Dietro ancora, in attesa spasmodica, un mare di cittadini in vestiti variopinti.
Quando la Coin fa un cenno con la testa, capisco che è arrivato il momento di procedere. Alzo il mio arco, recupero la freccia dalla faretra e la incocco in un semplice, automatico ed abile gesto. Prendo la mira, concedendomi diversi secondi in più del necessario per capire dove scagliarla. Mi concentro, d’altronde ho solo una freccia a disposizione e non posso sbagliare il colpo. Non posso deludere tutti coloro che si sono riuniti nell’Anfiteatro cittadino. Mi concentro, anche se il mio nemico non è molto lontano ed io ho colpito bersagli ad una distanza più elevata di questa. Mi concentro, distogliendo gli occhi dal viso impassibile di Snow per puntarli su quello della Coin, che attende. Attende, e non resterà delusa.
Sono sicura che non lo sarà.
Sollevo l’arco un istante prima di lasciare andare la freccia. Ho dovuto farlo, perché il mio nemico si trova più in alto, ed è più lontano. Più lontano di Snow.
Il mio nemico riceve la freccia proprio sul cuore. Cade in avanti, precipita dalla postazione sopraelevata dove per anni Snow ha ammirato e accolto i tributi venuti a morire agli Hunger Games. E adesso il mio nemico è caduto, è morto, e non vedrà mai arrivare i tributi così come ha fatto Snow per anni. La Coin non indirà mai gli Hunger Games straordinari. La Coin non manderà mai più a morire ventiquattro ragazzini che non hanno alcuna colpa, se non quella di essere vivi.
Il pubblico, i vincitori, Snow: sono tutti attoniti quando abbasso l’arco e mi preparo a prendere la pillola dalla tasca. La stringo tra le dita e la porto alla bocca, l’ho appena sfiorata con le labbra quando Peeta mi placca a sorpresa, scagliandomi a terra. Colpisco il terreno con violenza, la forza dell’impatto mi mozza il respiro. Il Morso della Notte vola via chissà dove, in mezzo al marasma in cui si sta trasformando l’Anfiteatro cittadino.
Ho perso la mia occasione.
- Che cazzo fai? Lasciami, lasciami andare! – urlo rivolta a Peeta. Scalcio, cerco di togliermi il suo corpo di dosso ma lui è troppo forte. È più forte di me e mi tiene ancorata a terra.
- No! – urla a sua volta, ringhiando.
- Lasciami andare!
- Non posso…
- Peeta! – urlo quando mani sconosciute, molte mani che non conosco mi strattonano, e strattonano lui per fare in modo che possano portarmi via. – Peeta! – urlo ancora.
Lui rimane immobile, quasi impassibile, mentre mi allontanano da lui. Soldati e semplici spettatori corrono dappertutto, corrono attorno a noi e davanti a noi, fino a che non coprono la mia visuale. Finché non lo vedo più.
- Peeta! – sto ancora urlando il suo nome quando mi trascinano via dall’Anfiteatro.

 

Dopo essere stata portata via di peso dall’Anfiteatro, i soldati mi fanno entrare in un posto enorme e fatto interamente di marmo; alcuni di loro sono usciti, mentre altri due hanno chiuso le pesanti porte di legno e si sono posizionati ai due lati per impedirmi una qualsiasi fuga. Anche con le porte chiuse si riesce ancora a sentire il vociare e le urla delle persone, urla che ho scatenato con il mio folle gesto. Ho ucciso la Coin
Stringo le braccia al petto e inizio a camminare, osservando il luogo in cui mi trovo e non riuscendo a capire con precisione di che posto si tratti: somiglia moltissimo a uno qualsiasi dei Palazzi di Giustizia in cui sono entrata l’anno scorso, durante il Tour della Vittoria, ma allo stesso tempo ha qualcosa di diverso. Ha un’aura di imponenza, di importanza. È un qualcosa che non avevo mai visto prima d’ora…
Ci sono tante statue di marmo bianco, poste ai lati della costruzione, che raffigurano delle persone con delle tuniche lunghe fino ai piedi; quasi tutte hanno una strana corona a forma di cerchio sulla testa e uno sguardo benevolo e dolce. Le donne, con le mani giunte contro il petto, hanno anche un velo a coprire loro la testa, oltre alla corona. Al centro, disposte su due lunghe file, ci sono delle panche di legno.
Prendo posto su una delle panche poste nelle prime file, pentendomene subito dopo. Anche se so che non è una cosa possibile, sento gli occhi di tutte quelle statue fissi su di me come se mi stessero osservando e giudicando in silenzio. Scopro che la statua di un uomo con i capelli lunghi e la barba, dal volto gentile, è quella ai miei occhi più insopportabile.
Smetto di osservare la statua non appena le porte si aprono con un gran fracasso, quando i soldati fanno entrare Plutarch nel mausoleo – o in qualsiasi altro modo si chiami questo posto. I suoi passi riecheggiano per tutto il tempo che impiega per raggiungermi, sedendosi nella panca accanto alla mia. Mette le mani nelle tasche del cappotto e si schiarisce la voce.
- Katniss, Katniss – inizia Plutarch scuotendo la testa. Mi guarda e scuote la testa, un sorrisino complice a deformargli le labbra. Ho già visto altre volte quel sorriso. – Da te non mi sarei aspettato nient’altro che questo. E non ho nemmeno dovuto suggerirtelo! – aggiunge.
Soppeso per qualche secondo il suo sguardo e poi lo abbasso sul pavimento a scacchi. Inizio a fissare gli scarponi della mia divisa. In qualche modo, sono una visione migliore della sua faccia.
Plutarch continua a parlare quando capisce che non sono proprio propensa a scambiare quattro chiacchiere con lui. – Ti sei messa in un gran bel pasticcio, Katniss. Anche se le tue erano buone intenzioni, non avresti dovuto farlo. Ce ne saremmo occupati noi dopo l’esecuzione di Snow.
- Voleva organizzare dei nuovi Hunger Games – mormoro.
- Ne eravamo al corrente, e non avremmo mai permesso alla presidente Coin di metterli in atto. Sapevamo già come intervenire in questo caso… ma ci hai anticipato. Sei stata di nuovo avventata. – lo osservo con la coda dell’occhio e noto che non ha smesso di sorridere. – Continuo a sottovalutarti, ragazza mia.
Plutarch fa un gesto con la mano e i soldati che erano fermi alle porte iniziano ad avanzare verso di noi. Mi volto per osservarli, e poi torno ad osservare Plutarch, che invece guarda me. Stavolta ha smesso di sorridere.
- Cosa ne dobbiamo fare di te, signorina Everdeen? – domanda.
- Che… che cosa vuoi dire?  
- Mi dispiace molto – è l’unica risposta che ottengo da lui.
Non ho nemmeno il tempo di provare ad alzarmi da quella panca che i soldati mi stanno già spingendo via, fuori dal mausoleo.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Deruchette