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Autore: _Equinox    08/04/2022    1 recensioni
|| ShigaDabi || Hurt/Comfort, più o meno || Spoiler per il capitolo 350! ||
Tomura portò lo sguardo cremisi su Dabi, poggiando la testa sulle ginocchia e storcendo il naso nel constatare che qualcosa non stava andando sul serio. L’altro non stava mai zitto, sembrava che a volte esistesse proprio per infastidirlo; ciò significava che, se teneva la bocca chiusa, qualcosa non andava davvero.
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Shigaraki Tomura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Storia scritta  per la #dropschallenge del mese di aprile del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia.
Prompt: A tratti fragile. A tratti indistruttibile.
Ho inserito l'avvertimento spoiler perché, per quanto l'atteggiamento di Dabi possa sembrare OOC, credo sia coerente con quanto mostrato nel capitolo 350 del manga. Nel caso poi non si riveli tale, be', modificherò le note.


La luna piena era alta in cielo già da un po’, Shigaraki l’aveva tenuta d’occhio per tutta la sera dal letto a baldacchino color porpora presente in quella che ormai era la sua stanza da oltre un mese. Aveva una bella prospettiva, da lì, senza contare che il materasso era davvero comodo – probabilmente, però, il fatto che avessero dormito per anni su pavimenti polverosi e brandine malandate influiva parecchio sul suo giudizio.
L’enorme camera, arredata in uno stile piuttosto classico e sgradevole, ai suoi occhi, era buia, illuminata solo dalla fioca luce del plenilunio e da quella della Nintendo Switch su cui Tomura stava concentrando la sua attenzione – quella maledetta Fuffi era pressocché inutile su Smash. Concentrato com’era sul gioco, a stento si accorse della porta che venne sbattuta.
Dabi si avvicinò vacillante al letto, in silenzio, con quelle sue solite movenze feline che lo caratterizzavano in ogni aspetto della quotidianità. Non era stabile, l’alcool gli teneva la mente e la vista annebbiate; tuttavia, riuscì senza troppi sforzi – se non si volevano considerare la poltrona e la lampada urtate con il ginocchio – a raggiungere il materasso e ad accasciarvisi sopra. Aveva solo dei jeans neri strappati e la camicia bianca a mezze maniche, quella di lino, sottile, perché il timido caldo primaverile a lui dava già fastidio, e con un quirk di fuoco era abbastanza difficile gestire la temperatura corporea quando ad influire vi era anche il clima – che poi Cremation fosse un’unicità bastarda era un’altra storia.
Shigaraki storse appena il naso all’ennesima sconfitta e, appuntatosi mentalmente di non utilizzare più quella maledetta cagnolina gialla, si apprestò a poggiare la console sul comodino. C’era un leggero disagio nell’aria, percepibile dal fatto che l’erede di AFO avesse portato le gambe al petto e le mani vicino al collo – il tic nervoso era quasi sparito, ma vi erano situazioni come quella in cui non sapeva cosa fare e si ritrovava a sfiorare la pelle con le dita, di riflesso, senza però scavarvi con le unghie. Dal compagno proveniva un forte odore di alcool, ma non si trattava di una novità: da quando vivevano nella residenza che ReDestro aveva messo loro a disposizione, più volte Dabi aveva alzato un po’ il gomito, concedendosi dei drink di troppo. A Tomura non piaceva bere, il forte sapore dei liquori gli causava sensazioni sgradevoli in bocca e nello stomaco, ma doveva ammettere che c’erano state delle sere in cui, complice la noia, aveva fatto compagnia al capitano della Vanguard Action Squad. Le conversazioni diventavano più interessanti, in quei momenti, così come il sesso – anche se, il giorno dopo, entrambi stavano abbastanza uno schifo. Tuttavia, quando Dabi decideva di ubriacarsi da solo, Shigaraki non sapeva mai cosa fare e come comportarsi. Aveva capito lo facesse per sfuggire ai problemi, sebbene sotto ci fossero ragioni più complesse. Evidentemente, non si era mai davvero aperto con lui: gli aveva raccontato di Endeavor, della sua famiglia, dello schifo che aveva vissuto da bambino, con un padre di merda e una madre instabile; tuttavia, l’erede di AFO sentiva ci fossero ben altri scheletri che turbavano quello che, ormai, era il suo partner sessuale fisso.
Tomura portò lo sguardo cremisi su Dabi, poggiando la testa sulle ginocchia e storcendo il naso nel constatare che qualcosa non stava andando sul serio. L’altro non stava mai zitto, sembrava che a volte esistesse proprio per infastidirlo; ciò significava che, se teneva la bocca chiusa, qualcosa non andava davvero. Gli occhi turchesi stavano fissando un punto indefinito del soffitto, mentre la mano destra, sollevata appena in prossimità del petto, produceva piccole fiamme azzurre di tanto in tanto. La luce bluastra del fuoco creava un meraviglioso contrasto con la pelle di Dabi, perché pareva risaltasse il viola delle parti bruciate e facesse brillare il candore delle zone sane. Senza contare che le sue iridi si illuminavano di un bagliore folle e distruttivo, che Shigaraki avrebbe guardato per ore. Non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma adorava il fatto che Cremation avesse la stessa sfumatura dello sguardo del portatore. L’erede di AFO stava per dire qualcosa, però la sua attenzione venne catturata da altro: un luccichio insolito e inedito negli occhi del capitano della Vanguard Action Squad. Inizialmente credette fosse qualche strano riflesso dovuto alla luce lunare, ma quando si accorse del leggero rossore si immobilizzò: un velo malinconico e triste, avrebbe osato dire, rivestiva quelle iridi solitamente strafottenti e pronte a sfidare chiunque. Tomura si sentì strano, non gli era mai capitato di trovarsi di fronte ad una situazione del genere. Di solito, ad avere crolli mentali e isterici era lui, mai il compagno, che in quel momento sembrava ferito, esposto ed evitava di guardarlo – perché ci aveva provato a far incrociare i loro occhi, ritrovandosi davanti ad un’evasività ignota che lo aveva destabilizzato.
E fu proprio quell’evasività a spingerlo ad allungare una mano verso lo zigomo di Dabi, per sfiorarlo appena. Portava i guanti, perché dopo Deika aveva ancora un po’ di timore nel girare a mani scoperte – soprattutto quando giocava ai videogiochi, che talvolta gli scatenavano veri e propri attacchi di rabbia.
L’altro non si ritrasse, anzi: portò lui stesso la propria testa vicino quelle dita così terribili, chiudendo gli occhi e abbandonando le braccia sul proprio ventre. Istintivamente, Shigaraki ebbe ancora una volta modo di paragonarlo ad un felino, ma solo per un millesimo di secondo. Il capitano della Vanguard Action Squad si girò sul fianco, assumendo una posizione fetale, senza però mai allontanarsi dalle attenzioni che Tomura gli stava dedicando. Quest’ultimo non se la sentì di fare domande circa quell’atteggiamento, nemmeno quando il compagno strinse le coperte tra le mani a pugno e iniziò a tremare. L’erede di AFO si limitò a sguisciare vicino a lui, preoccupato, ma avvertendo comunque un calore non indifferente provenire dal ragazzo – calore che, fino a poco prima, non c’era.
«Anche per te sono una seconda scelta, Tomura?» il tono sarcastico aveva una punta di amarezza, quasi simile ad una sorta di delusione.
Shigaraki non rispose, non perché non volesse, ma perché non capiva cosa spingesse il compagno ad assumere quell’atteggiamento così sbagliato per uno come lui. Era convinto di conoscere tutti i suoi sottoposti, ma evidentemente stava sbagliando: quel lato di Dabi non gli si era mai palesato. Evidentemente, però, lì con lui non c'era il giovane strafottente che aveva quasi ammazzato durante il primo incontro, nel vecchio covo: accanto a lui giaceva Touya Todoroki, o quel che rimaneva di lui, un ragazzino pieno di sogni e altrettante paure, che chiedeva solo di essere accettato e amato, per una volta, da qualcuno.
Tomura rimase in silenzio, titubante, e provò a fare qualcosa che, anche solo un anno prima, gli avrebbe messo i brividi: si avvicinò piano all’altro e, come meglio riuscì, lo avvolse con le proprie braccia in un abbraccio sghembo, che forse nemmeno avrebbe definito tale. Il corpo del compagno era caldo, probabilmente si sarebbe ritrovato sudato fradicio di lì a poco, eppure non gli importava. Sentiva che quella fosse la cosa giusta da fare, in quella notte silenziosa, che sarebbe certamente stata bagnata da lacrime amare se Dabi ne avesse avuto la possibilità. Quest’ultimo si limitò ad aggrapparsi alla schiena del ragazzo che avrebbe seguito fino in capo al mondo e strinse, forse più del dovuto, ma non venne allontanato. Shigaraki era lì per lui, gli stava accarezzando i capelli e sussurrando quelle stupide frasi d’occasione che entrambi odiavano a morte, ma che lui in primis ripeteva al boss durante i suoi attacchi.
«Ci riprenderemo tutto» mormorò Tomura, ricambiando quella stretta salda e aggiungendo «Ammazzeremo coloro che ci hanno ferito, te lo prometto»
E quelle parole sembrarono bastargli, così come parvero abbastanza i baci e le carezze che ne seguirono. Non andarono oltre, non volevano e ne erano consapevoli, ma non ci fu un istante in cui l’erede di AFO lo fece sentire una seconda scelta. Forse era stato proprio questo, ingenuamente, a fargli perdere la testa per quella chioma morbida e disordinata e quei due rubini rossi che ti avrebbero tranquillamente distrutto nel profondo. Si addormentò con quella consapevolezza, abbracciato al leader, sentendosi solo dire, ad un tratto:
«Sei a tratti fragile, a tratti indistruttibile. Grazie per avermelo mostrato, Touya»
Ma, forse, lo immaginò soltanto.

 
   
 
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