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Autore: Sofifi    09/04/2022    3 recensioni
Raccolta di OS legate da tema e personaggi.
Andrea cerca la morte per le strade di Torino, o forse solo un motivo per restare a galla.
1. Urban blues
“Quando uscivi dal mio appartamento tutto quello che ci eravamo lasciati alle spalle tornava a farti compagnia. La morte, vecchia compagna di viaggio, ti aspettava sul pianerottolo, pronta a riprenderti per mano.” [Autoconclusiva]
2. Scratched soul
"Non possono riposare in pace neppure i miei occhi, questa sera, nonostante in questa città non ci sia più nulla da guardare." [Autoconclusiva]
[Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna]
3. Farewell swing
“Siamo cambiati, Simone, e in fondo lo sappiamo. Adesso siamo due persone che non avresti mai amato.” [Collegata a Scratched soul]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Realtà dicotomica'
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Scratched soul

 

 

Chi me l’ha fatto fare di alzare il culo da questa panchina? Non ho ragioni per rincasare, forse è stata solo la forza dell’abitudine.

Dio! Se ancora credessi in un dio qualunque… almeno avrei qualcuno da raggiungere: il fiume è sempre lì, pronto ad accogliermi, ma io –

Da quando te ne sei andato la città ha perso il suo ritmo e io questa melodia non la riesco a sopportare. È zoppa, goffa; è come se le mancasse una gamba, e invece manchi solo tu.

Granuli di unghie sminuzzate mi scartavetrano la lingua; sputo a terra una poltiglia di cheratina, catarro e saliva.

La notte dà il via a un assolo di campane.

I primi don mi ammaliano sulla sponda, sussurrano giù, giù, giù. Il sesto cambia idea e mi ordina di attraversare la strada. Ruote sull’asfalto – il loro stridere mi fa girare la testa, il loro puzzo m’appesta i polmoni. Qualcuno sbatte una portiera e lancia un boja fauss ma io continuo a camminare. Quel pezzo di merda non mi ha messo sotto e dato che non muoio io a sfumare è il mio desiderio, al dodicesimo rintocco.

La luce dei lampioni non mi dà un attimo di tregua. Non possono riposare in pace neppure i miei occhi, questa sera, nonostante in questa città non ci sia più nulla da guardare.

Rimaniamo noi, i brutti – io e i piccioni –, in una Torino che avvelena e toglie il sonno. Restano i vivi, scompaiono i morti.

Non mi sono mai sentito così disgiunto dalla vita.

Sono infetto. I piccioni lo sanno e mi evitano anche loro – volano via.

Non mi sono mai sentito così solo.

Accelero non appena comincio a distinguere la sagoma massiccia e fredda di Palazzo Nuovo. Troppi ricordi felici: io che aspetto con della birra in mano pronto a fingere di averla fregata al mini e tu che ci caschi e bevi senza sensi di colpa, noi che percorriamo questo percorso a ritroso e – Basta! Le cosce cominciano a dolermi. Ora che sono sudato il vento mi fa tremare tutto.

C’è il verde in via Po. Bene. Non mi fermo. Non mi fermo… sino al marciapiede e poi riprendo il fiato.

Cazzo, non sono più abituato a correre.

Passa una vecchia con un brachicefalo al guinzaglio. Il cane respira a fatica, proprio come me. Oh, Simone! Se esistesse un paradiso, se potessi vedermi in questo momento… odieresti questa scena con tutto il cuore! Sputeresti in faccia alla signora da lassù – ma che ne sai? Magari l’ha adottato, magari –

A volte avrei voluto tirarti un pugno in faccia.

Com’è amaro il sapore della mancanza… Simone, oh, vaffanculo… Via Giolitti è poco più avanti.

Cosa mi avevi detto, già, su Giolitti? Che era nato nell’Ottocento? Boh, non mi ricordo, comunque dev’essere stato una persona di un certo tipo. Manco a dirlo, non ti piaceva. Ma la tua soglia di sopportazione è sempre stata bassa.

Ecco, questo è il bar dove mi hai chiesto scusa quando –

Dio! Perché non riesco a pensare ad altro!?

Eri scappato dalla festa dopo avermi baciato.

Sei sempre stato… impossibile? Malato? Mi facevi ridere.

Basta, basta, non ne posso più! Voglio smettere di pensare, per un momento… per solo un istante. Mi blocco con le dita incastrate fra i capelli e stringo forte il cranio. Poggio la spalla alla fiancata fredda e granulosa di un palazzo.

Forse dovrei riprendere in mano Kurose e Ross… tentare l’esonero di Programmazione o chiedere a Zambini alcune dritte per Analisi. Focalizzare tutta la mia attenzione sullo studio potrebbe rivelarsi utile. Ma non so se ce la faccio. Non so se voglio farlo. E poi da quando in qua si usa la logica in amore?

Sbuffo, raddrizzo il busto e riprendo ad avanzare.

Ho voglia di perdere la testa, di dimenticarmela per strada. Quasi quasi devio e vado a svegliare Lorenzo. Ho soldi in tasca? Gli devo ancora dieci euro.

Chiavi… accendino… un pacchetto grinzoso di Marlboro… Niente portafoglio.

Meglio non farlo arrabbiare.

Supero un gruppo di ragazze che schiamazzano; traballano a braccetto, ubriache, ma nonostante tutto si sostengono. Bei tempi, quelli delle prime uscite con gli amici ad Alessandria. Giulio, Roberta, Franca. Eppure, nonostante la tecnologia, alla fine ci siamo allontanati.

Attraverso il corso; ormai sono quasi a casa.

Sono stanco ma da quando sei morto dormo sempre male. Vorrei solo mettermi a letto e cadere in un sonno profondo, non m’importa neanche più di raggiungere il mattino.

Vivo al quarto piano, mal che vada posso sempre cadere dal balcone – eccolo lì, completo di sacchetti di plastica. Domani devo buttare l’immondizia.

Accanto al portone – legno marcio, in perfetto stile popolare – c’è una figura imbacuccata. Batte i piedi, infreddolita; guarda a terra. Sembra viva in un suo mondo.

Fa bene. Non importa.

Mi rigiro il mazzo di chiavi tra le dita, poi avvicino il polso alla serratura.

“Andrea!”

Mi volto di scatto.

La figura ha alzato la testa: è Susanna ma indossa vestiti sformati, forse di sua mamma o di Laura. Sembra invecchiata di almeno dieci anni dal tuo funerale e per un momento mi chiedo se sia stata l’unica a farlo.

Apro la bocca ma mi accorgo di non avere nulla da dire, e allora la richiudo e affondo le mani nelle tasche dei jeans.

“Avevo paura che non tornassi…” Si stringe nel cappotto nero. “Ti stavo aspettando ma continuava a suonare la campana e io…”

Sputo per terra. Il mio cervello è davvero così scontato? Tiro fuori Marlboro e accendino e nascondo la mia angoscia nel fumo.

“Da quanto sei qui?”

Susanna alza le spalle oltre la coltre. “Non avevo il coraggio di andarmene…”

Da ore, per forza. “Susy, sto bene. Sul serio.”

Lei arriccia le labbra in una smorfia, poi abbozza un sorriso tirato. “E io non avevo davvero il coraggio di andarmene, ma non soltanto… Insomma, Andrea, avevo paura che potessero inghiottire anche me, le campa—” No!

Afferro un lembo della sua giacca e la tiro verso di me.

Cazzo, Simone. Guarda in che stato ci hai lasciato.

Susanna è immobile, ad occhi sgranati. Mi stacco dal suo cappotto ed indietreggio di un passo.

Mi esplode la testa, non ce la faccio. Lascio cadere la sigaretta e la spengo con un calcio sull’asfalto.

Non riesco a lasciarti andare. Parlo da solo. Ti amo. Amo un cazzo di morto, un oggetto senz’anima. Cazzo, quanto sono coglione…

Susanna comincia ad andare avanti e indietro al mio fianco.

Si ferma, sbuffa, si copre gli occhi con i palmi. “Scusami, sto impazzendo.”

“No, scusami te.”

Le affiderei il mio cuore, in ogni sua piega asfissiante, ma non sarebbe giusto. Lei non ha ancora perso tutto quanto. Ha ancora una possibilità in questa vita… Ha l’amore. “Chiamo Laura.”

S’irrigidisce. “No, le ho detto che sono da mamma.”

Una bugia? Susanna? “Ma sei venuta da me…”

“Pensavo saresti stato l’unico in grado di capire.”

Reagisco d’impulso. “Lo sono.”

Sbaglio?

Forse, quando mi accusavi di essere egoista, avevi ragione.

 

 

 

Eccoci qui, orizzontali. Come in una tomba.

Le mie dita affondano nell’imbottitura della sua giacca; le sue riposano sulle mie coste.

La stringo forte, Simone, non la lascio più. Sarei persino disposto a immobilizzarla con tutta la poca forza che ho. Dovesse mai giungere il momento sarei io il primo ad andare.

È un abbraccio egoista, il mio. E il suo, invece?

La tua assenza è una punizione che va condivisa – e non importa che le mie guance siano rosse per la rabbia, per i ricordi, per altro… Il buio nasconde illusioni e peccati.

Il materasso è tiepido, ora che non devo più scaldarlo da solo; sussurra resta. Susanna sussurra resta, anche se è casa mia.

E allora restiamo entrambi, a Laura non ci pensiamo più.

 

(A te tutto il tempo.)

 

 

 

  
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