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Autore: Lisaralin    11/04/2022    1 recensioni
A volte non esistono parole adatte ad alleviare un dolore, ma è importante anche solo fare lo sforzo di esserci. Ovvero come un burbero gnomo nostromo cerca di affrontare il proprio lutto e quello di un’amica.
[post finale di campagna]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Bard's Songs'
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Brave New World 

“Con le donne è tutto un gioco di pazienza, Kirkland” sentenzia Flint, sollevando un dito ammonitore. Il ragazzo ormai ha raggiunto l’età nella quale il possesso o meno di alcune nozioni di base può fare la differenza tra il dimostrarsi un vero uomo e lo sprofondare per sempre nella derisione dei suoi pari, perciò è suo dovere, in quanto nostromo e membro più anziano della ciurma, assicurarsi che il giovane mozzo conosca tali nozioni a menadito. A costo di ripeterle fino a imprimergliele a fuoco nel cervello.
“C’è un momento per agire e uno per attendere. Saper riconoscere questi momenti è di cruciale importanza. Quando fanno così, ad esempio… “
Accenna leggermente con il capo verso Ta’firi e vede lo sguardo di Kirkland seguire la direzione da lui indicata.
L’elfa dà loro le spalle, una piccola sagoma azzurra sul castello di prua che sembra sul punto di venire inghiottita dal grigio gonfio e plumbeo dell’orizzonte. Il vento è cambiato: adesso porta con sé odore di tempesta da sud-ovest. La treccia di Ta’firi frusta l’aria tutto intorno, agitata dai primi soffi del libeccio. L’arrivo della pioggia è imminente.
Flint non esclude che siano proprio i sentimenti della loro compagna ad influenzare il tempo atmosferico attorno alla Golden Hour.
È una druida del mare, dopotutto.
“... quando fanno così non devi assolutamente avvicinarti. O parlare. O respirare. O esistere. Questi sono i momenti in cui un vero uomo si arma di pazienza e attende.”
Evidentemente il ragazzo non comprende la gravità della questione, perché le sue labbra si piegano in una smorfia divertita e uno scintillio impertinente gli anima gli occhi scuri: “Quindi tu aspetti da molto, Flint?”
Ragazzino irriverente. Invece di apprezzare gli sforzi sovrumani per infilargli un po’ di sale in zucca si mette a fare dello spirito assolutamente non richiesto! Flint si acciglia e inizia a borbottare qualcosa di caustico, ma l’umorismo di Kirkland deve avere una qualità contagiosa, perché anche lui scopre di non riuscire a rimanere serio. La risata gli sguscia via da sotto i baffi per poi risuonare allegra sul ponte, mescolandosi a quella del ragazzo.
Almeno finché il primo tuono non rimbomba minaccioso da sud.
“La pausa è finita” brontola, ritornando immediatamente concentrato. Prende fiato e il suo ordine si propaga in un attimo per tutta la Golden Hour: “Ammainare le vele!”




Quel nuovo mondo non gli piace.
O meglio, a voler essere onesti quel mondo non ha davvero nulla che non vada. È un posto come tanti altri, colline, campi coltivati, gli occasionali villaggi, come l’entroterra di una qualsiasi isola del Mare di Smeraldo.
È essere costretti ad attraversarlo a piedi che non incontra la sua approvazione
E la notte. Soprattutto la notte. La prima volta che si è avvolto nel suo sacco a pelo e ha sgranato gli occhi verso tutte quelle stelle sconosciute gli è venuto un capogiro da fargli esplodere la testa. Come si può viaggiare se non si conoscono le stelle?
Per fortuna Flint è uno gnomo pieno di risorse e ha già iniziato a studiare queste nuove costellazioni. E a tracciare mappe.
Però ci sono giornate in cui la sensazione del ponte di una nave che oscilla sotto i suoi piedi gli manca come l’aria che respira.
Non è uno gnomo da terraferma, lui.
Malik gli ha promesso che stabiliranno il loro primo insediamento fisso lungo la costa, e questo in parte lo consola. Il loro capitano ha già deciso che il nuovo centro abitato si chiamerà Valamar, un nome di cui Flint non ricorda il significato in lingua albahariana ma che di sicuro ha a che vedere con la religione del popolo di Malik.
Per lui non fa differenza. La spiritualità non si può misurare con un sestante o tracciare tramite una bussola, perciò è ben felice di lasciarla a chi tra i suoi compagni ha più esperienza in materia. Flint sa soltanto due cose, due fatti certi e granitici come il sole che sorge a est ogni mattina (anche in questo nuovo mondo, per fortuna). Il primo, che Malik è il suo capitano e suo amico. Il secondo, che è stata la Madre delle Onde, la dea di Malik, a concedergli un’ultima occasione per dire addio a Kirkland.
Questo gli basta per decidere di seguire la missione sacra del suo amico fino ai confini del mondo e oltre. Persino sulla terraferma.
Quella sera fa più freddo del solito. Un vento di cui ancora non conosce il nome si insinua sotto la sua camicia come le dita gelide di un non morto, ma Flint è di buon umore come non gli accadeva da giorni: l’odore del mare è lo stesso in tutti i mondi, e l’aria della notte che sta calando ne è meravigliosamente carica. Chiude gli occhi e lo inspira profondamente, lasciando che gli accarezzi le guance e la barba. Non mancherà nemmeno un giorno di cammino alla costa.
Forse, riflette osservando il falò che scoppietta, il tempo di aspettare è finito.
Ta’firi non siede molto distante da lui, ma per quanto poco si sono parlati negli ultimi giorni potrebbe benissimo trovarsi a tre mondi di distanza. Non che la druida abbia parlato molto con chiunque degli altri da quando hanno attraversato il portale verso questa nuova terra. La tempesta l’ha seguita, o piuttosto è stata lei a portarla con sé. È seduta con le ginocchia raccolte tra le braccia e lo sguardo fisso sul fuoco; due occhi azzurri e freddi in cui a Flint pare di scorgere le profondità spumeggianti del Vortice.
Si guarda intorno: nessuno degli altri è in vista. Dhalk dovrebbe essere di guardia, Malik e Carver non sono ancora tornati dalla battuta di caccia, e William e Freya, beh… Flint si augura che siano impegnati nell’unica attività sensata per una coppia durante una fresca serata odorosa di mare. Perciò si alza borbottando e avvicina la propria coperta a quella di Ta’firi, sedendosi al suo fianco. Lei volta brevemente la testa e gli rivolge un cenno, ma torna subito a dedicare la sua attenzione al falò.
Flint sospira. Rumorosamente.
Ha rimandato quel momento troppo a lungo. Sa di doverle parlare, forse è l’unico a poterlo fare davvero. Gli altri ci hanno provato, anche con diversi gradi di successo, ma non possono capire fino in fondo. Tutti loro hanno sofferto e conoscono la perdita, ma non quel tipo di perdita. Quella che ti scava le profondità del Vortice negli occhi e nel cuore, lasciandoti svuotato per sempre.
“È una cazzo di ingiustizia, lo so.”
Se non altro ottiene la sua completa attenzione. Ta’firi non risponde, ma i suoi occhi adesso sono fissi su di lui. Per un attimo, complice la luce incerta del falò e le sfumature azzurre della pelle di lei, ha l’impressione di essere appena diventato il bersaglio di un predatore degli abissi.
“Vorresti distruggere qualsiasi cosa sul tuo cammino. E ne hai tutte le ragioni. Ti aiuterei a farlo, se potessi. Solo che… “ scuote tristemente la testa “... non servirebbe a nulla.”
Il predatore si lancia all’attacco: “E tu cosa ne sai?”
Gli viene spontaneo sollevare le mani, cercando un gesto conciliante. Borbotta qualcosa di inintelligibile, frugando nel cervello alla ricerca delle parole adatte. La verità, a dispetto di tutte le sue vanterie con Kirkland, è che non è per niente bravo con questo tipo di discorsi. Potrebbe stare per ore a parlare di cartografia, e il suo repertorio di aneddoti di viaggio è più esteso delle vecchie riserve di rum sulla Golden Hour. Conosce ogni ballata marinaresca dalle Bianche Isole fino ai porti del profondo sud, ma trovare le parole per dare conforto ad un’amica gli appare un’impresa più ardua che dominare un veliero in preda ai venti di maestrale.
E poi, si può essere davvero amici di una donna? Prima di conoscere Freya e Ta’firi nemmeno credeva che una cosa del genere fosse possibile (con Freya è più semplice, perché è la donna di un altro e questo non crea confusione nei ruoli). Ricorda le risate di Kirkland quel giorno di nemmeno un mese prima, e scuote la testa con tristezza.
“Non pretendo di saperlo. Né mi arrogo il diritto di sapere davvero come ti senti adesso. Solo… penso di poterlo immaginare. Almeno un po’. Anche io ho… “ le parole si confondono in borbottii confusi, di nuovo. Gesticola nel vuoto, si sforza di continuare a guardarla negli occhi.
“Insomma, so che non è davvero la stessa cosa, perché E’oran era davvero tua figlia, era il tuo sangue, mentre Kirkland non… “
Si sta rivelando un’impresa superiore alle sue forze. L’aver dovuto nominare Kirkland non aiuta affatto, oltretutto. Ritorna a fissare il fuoco, sperando in un salvataggio che non arriva. Quel maledetto fumo gli sta facendo lacrimare gli occhi.
Inaspettatamente, è la mano di Ta’firi a posarsi sul suo avambraccio. Lo stringe con delicatezza, facendolo trasalire leggermente. Quando l’elfa parla, lo fa in tono triste ma pacato.
“Non c’è nessuna differenza, Flint. Tra quello che E’oran era per me e quello che Kirkland era per te. E quello che noi eravamo per loro. Nessuna.”
Torna a guardarla e per un attimo ha di nuovo di fronte la Ta’firi di un tempo, con la sua saggezza cristallina e semplice di bambina mai del tutto cresciuta davvero. Ha sempre sentito un istinto protettivo nei suoi confronti, perché pensava che la sua ingenuità e il suo amore per la vita andassero difesi ad ogni costo contro le brutture del mondo. Ma ormai sa che lei è perfettamente in grado di proteggersi da sola: l’ha vista combattere, ricorda il suo corpo sottile dilagare nelle forme imperiose di un elementale dell’acqua, espandersi in un piccolo maelstrom vivente e abbattersi con tutta la furia del mare su quelle strane creature meccaniche. Sa quanto possa essere pericolosa.
I ruoli si sono invertiti, e adesso paradossalmente è lei a consolare lui. Le sue parole sono d’aiuto, più di quanto Ta’firi stessa possa immaginare.
“Il nostro dolore è uguale. Abbiamo solo trovato… soluzioni diverse.
Il suo tocco recede, e il freddo torna ad affiorare nella sua voce. Insieme all’inevitabile accusa.
“La vostra soluzione è stata buttarvi ciecamente al seguito della dea di Malik. Senza farvi domande. Senza curarvi che potesse essere lei stessa la fonte del pericolo. Senza preoccuparvi di quello che pensavo io.”
Flint sospira di nuovo. Capisce che infilarsi in quella discussione sarebbe come impelagarsi in una secca, e cerca di far virare il discorso verso venti più propizi.
“Ma la tua soluzione, Ta’firi…” si ferma prima di dire qualcosa di irreparabilmente sbagliato. Poi ha un’ispirazione improvvisa.
“Sai, credo che sia stato proprio Kirkland ad insegnarmelo” le parole gli suonano strane nel momento stesso in cui le pronuncia, perché non avrebbe mai pensato che il ragazzo potesse fare da maestro a lui.
“Quando ha deciso di rinunciare alla vendetta contro la ciurma della Ruota d’Ossa, i pirati che hanno sterminato la sua vera famiglia. Ha capito… che non ne valeva la pena.”
Il ricordo del suo petto che si gonfiava di fierezza di fronte alle parole mature del ragazzo gli strappa un sorriso, ma la successiva risposta di Ta’firi riversa una mareggiata fredda e implacabile sul suo ottimismo.
“E quanti anni ci sono voluti perché lo capisse?”
Il sorriso di Flint tremola e si spegne.
Che sciocco che è stato. Come se un marinaio, persino il più abile, avesse il minimo potere di arrestare una tempesta. Quando il mare ruggisce c’è solo una cosa sensata da fare: stringersi alle cime, cercare di non affondare e aspettare che passi.
Era come aveva sempre insegnato a Kirkland: c’è un tempo per agire e un tempo per attendere.
“Mi dispiace” dice soltanto, e sono parole sincere. “Non ho la presunzione di pensare che basti uno stupido discorso a farti stare meglio. Però…”
Però c’è qualcosa di sbagliato nella sua filosofia. Ormai Flint ha imparato che quando il tempo dell’attesa si protrae troppo a lungo si rischia di perdere occasioni preziose. Ancora una volta, è stato Kirkland ad insegnarglielo.
Ci è letteralmente voluto un intervento divino perché potesse dire addio al ragazzo nel modo giusto. La sua testardaggine, il suo orgoglio di gnomo tutto d’un pezzo che si vanta di non rivelare ciò che prova nemmeno sotto tortura, stavano per costargli un prezzo altissimo.
Ha rischiato di perdere la persona più importante della sua vita senza mai trovare il coraggio di guardarla negli occhi e dirgli quelle poche, semplicissime parole.
“Per me sei sempre stato come un figlio.”
Che legno ha usato Malik per quel maledetto falò? Il fumo è acre e pesante e gli inonda gli occhi di un velo di lacrime.
“… però voglio solo che tu sappia che io… che tutti noi siamo qui per te. In qualunque momento. E non devi portare questo peso da sola.”
Lei cambia posizione sulla coperta e Flint ha l’impressione di udire l’eco di un sospiro. Per un attimo spera in una risposta, un grazie, una breccia anche minuscola nel muro del suo dolore, ma dopo qualche minuto di silenzio è evidente che la tempesta continua ad imperversare sugli scogli e il vento non calerà ancora per molto tempo.
Non ha importanza. Flint sente di aver fatto la cosa giusta. Non ha più intenzione di rimanere in silenzio quando è in gioco il benessere di un membro della sua famiglia.
Ta’firi non gli parla, ma non gli chiede nemmeno di andarsene. Perciò il vecchio nostromo le rimane accanto, in silenzio, a contemplare le stelle strane di quel mondo nuovo.
  
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