- Sai, mi è venuta sete. Vado a bere
un altro po' di tè. -
Kitagawa si volta e corre verso la
spiaggia, lasciandosi dietro un guizzo dei suoi capelli dorati e
l'inconfondibile scia di profumo alla ciliegia, ora unito alle note
salmastre dell'oceano.
Gojo si ritrova da solo ad ammirare
l'immensa distesa di sfumature blu.
La luce del sole gioca con il movimento
morbido dell'acqua. La brezza marina lo avvolge. La sabbia gli
solletica i piedi nudi immersi fino alle caviglie, scorrendo tra le
dita. Deve sforzarsi un po' per mantenere l'equilibrio e contrastare
la spinta della risacca ma ci sta prendendo gusto e quel dondolio è
divertente.
Il ragazzo inspira, assaporando quelle
sensazioni che vanno ad aggiungersi al corollario di ciò che di
inedito è stato portato nella sua vita eremitica da quando Marin
Kitagawa ha fatto il proprio ingresso nel laboratorio di cucito, quel
giorno benedetto.
Averla accanto è una ventata di
vitalità che fin dal primo istante ha scompigliato le sue giornate
solitarie.
Non ha mai rimpianto la mancanza di
legami con i suoi coetanei: erano le sue adorate bambole gli amici di
cui si circondava. Quando si dedicava a loro, vedendole prendere
forma sotto le sue mani, si sentiva colmato da una felicità che era
certo fosse impossibile sperimentare altrove. Non avrebbe rinunciato
alla sua passione per timore del giudizio altrui, ma non possedeva
neppure il coraggio per affrontarlo, finendo per ritirarsi in un
isolamento tanto volontario quanto vigliacco.
Sono sempre stati lui, il nonno e le
bambole. Non c'era spazio per nient'altro. Nessun altro. Si era
convinto che andasse bene così. Non aveva bisogno di nulla di più.
Ma le bambole restano bambole: mute,
immobili e perfette, indifferenti ad ogni cosa nella loro regale
maestosità. L'espressione serena di quei volti candidi non può
essere turbata da niente al mondo. E Gojo trovava rassicurante questa
serafica immutabilità... finché non è arrivata lei.
Non è una bambola, Marin Kitagawa.
Ride, piange, si arrabbia, arrossisce. Il suo viso è una cornice
fatta per accogliere un variegato cabaret di emozioni, precluso ad
ogni Hina-Ningyo.
Kitagawa è come la luce del sole che
in quel momento danza sulle onde. Ha divelto la porta della camera
buia e angusta in cui si era rinchiuso, irrompendo con il suo brio e
la sua spumeggiante naturalezza; spalancando il passaggio a quanto
era rimasto tagliato fuori dalla sua vita per anni.
Tesori che nella penombra rimanevano
nascosti, Kitagawa li ha svelati. Ha dato voce a ciò che taceva da
lungo tempo dentro di lui, forse per paura, comodità o semplice
abitudine. Ha ravvivato un fuoco che dormiva sotto le ceneri e
aggiunto un salutare tocco di caos alla sua tranquilla esistenza,
portando meraviglia spesso mista a panico.
Lo ha preso per mano e accompagnato
fuori dal guscio, mostrandogli quanto potesse essere bello là fuori.
Senza mai un giudizio, mai un segno di disapprovazione. Mai un
tentativo di forzarlo ad essere diverso da se stesso, eppure
trasformandolo inconsapevolmente.
Gojo sorride all'orizzonte. Sarà un'estate indimenticabile.
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