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Autore: OrderMade96    15/04/2022    2 recensioni
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Hogwarts significava magia.
Magia significava potere.
E potere significava entrare in possesso della capacità di cambiare le cose.
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Genere: Angst, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek/Stiles
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NOTE DELL'AUTRICE:
Questa storia farà parte di una raccolta crossover di Harry potter.
Gli avvenimenti seguiranno solo in parte gli avvenimenti canonici del libro.  
Potete leggere questa oneshot come una storia indipendente, non dovreste aver nessun problema a godervela e spero vi incuriosisca a leggere i vari seguiti/spin off che pubblicherò in un secondo momento.
Per la long vera e propria... arriverà. Devo prima portare a termine altri progetti e storie. Ma bolle nel calderone, perciò non disperate!
Special guest un disegno su questo au <3 
Alla prossima!



      

Il piccolo Serpeverde salì le scale calpestando i gradini di marmo antico con rabbia, quasi come se questi lo avessero offeso personalmente.

Diventare un mago doveva essere l’esperienza migliore della vita di Stiles, oltre che la soluzione ad ogni suo problema. 

Invece finora si era rivelata solo un’enorme delusione.

Quando quell’estate aveva ricevuto la lettera da Hogwarts che lo riconosceva come un mago - non che ci fossero molti dubbi, i bambini babbani non facevano volare stoviglie quando erano sovrappensiero o esplodere lampadine se il loro malumore andava alle stelle - era stato entusiasta. 

Hogwarts significava magia. 

Magia significava potere.

E potere significava entrare in possesso della capacità di cambiare le cose. 

Probabilmente era stata quella smania di conoscenza e la sua segreta ambizione a far prendere la decisione al cappello parlante di smistarlo in Serpeverde, invece che spedirlo in Grifondoro insieme all’altro simpatico ragazzino con la mascella storta e gli occhi da cucciolo che lo aveva aiutato a rialzarsi qualche secondo prima, quando era inciampato nella propria toga cercando di salire i pochi gradini che lo allontanavano dal seggio e scatenando un coro di risate nella Sala Grande. 

Stiles non si era mai veramente chiesto quali fossero state le ragioni che lo avevano portato nella casata che ormai lo ospitava da quasi un mese. 

Il suo unico pensiero dal primo giorno al castello era stato quello di trovare un incantesimo o simili in grado di salvare ciò che di più caro al mondo aveva.

Probabilmente era stato fin troppo ingenuo nello sperare che fosse sufficiente venire ad Hogwarts per trovarlo. 

Finora tutto quello che aveva guadagnato dalla sua ricerca erano stati inutili sguardi carichi di compassione da parte dei magi e delle streghe a cui si era rivolto in cerca di aiuto. 

 

La magia non è onnipotente, ragazzo. 

 

Soleva ricordare suo padre ogni qualvolta in passato, con l’innocenza di un bambino ammaliato dalle mille possibilità di possedere una bacchetta magica, gli aveva chiesto perché non potesse fare una certa cosa per accontentare la sua viscerale curiosità. 

Le bacchette magiche erano un mezzo e la magia il loro carburante e, proprio come una macchina nella quale va inserita della benzina per funzionare, una bacchetta senza il giusto quantitativo di magia era più simile a un bastoncino di legno che a un potente strumento magico. 

Potevi compiere meraviglie, forse avere l’illusione di concretizzare l’impossibile, ma vigevano delle regole e dei limiti che nemmeno i più potenti maghi della storia o alchimisti erano riusciti a superare. 

Possedere una bacchetta magica nella vita quotidiana era sicuramente una comodità, anche se praticare un incantesimo incautamente - giusto perchè volevi facilitarti la vita - poteva causare seri guai quando abitavi in una piccola cittadina costituita dal novantanove per cento da babbani. 

Stiles non aveva mai compreso la decisione dei propri genitori di vivere mescolati nel mondo babbano invece che in quello magico. 

Poteva capire suo padre che era nato in una famiglia interamente babbana, vivendo buona parte della sua vita facendo a meno della magia e nascondendo la sua natura. 

Svolgere i normali compiti quotidiani contando unicamente sulle proprie forze era una vecchia abitudine che fortunatamente non aveva mai perso, perciò non aveva faticato ad inserirsi nella comunità.
Sua madre al contrario era l’ultima strega di un’antica linea di sangue, per lei la bacchetta era un’estensione naturale del braccio. 

Adattarsi a un nuovo stile di vita non era stato facile e ancora oggi ogni tanto dimenticava dove si trovava - alcuni giorni più di altri - e lanciava un incantesimo, incurante di occhi indiscreti. 

Come facevano a non sentirsi costantemente fuoriposto?

Come riuscivano ad ignorare gli sguardi sbiechi e i sussurri che si scambiavano le persone del vicinato quando li notavano camminare per strada? 

Era un argomento spinoso che i suoi genitori non amavano affrontare. 

Le domande a tal proposito sarebbero state sempre evitate abilmente e con palese nervosismo. 

In ogni caso la magia non era la risposta a tutto. 

Stiles lo stava comprendendo meglio ogni giorno che trascorreva a scuola. 

Un incantesimo poteva far fluttuare un oggetto, ma il suo peso non sarebbe variato nell’effettivo e nulla avrebbe potuto mantenere quell’oggetto sospeso in eterno. 

Una pozione poteva accelerare il processo di guarigione di un osso rotto. Alcune potevano anche allungare la durata di vita di una persona, se eri disposto a pagare il giusto prezzo.

Ma non potevano rimandare l’inevitabile per sempre. 

Quindi il suo problema persisteva e il tempo a sua disposizione per scovare una soluzione era ormai agli sgoccioli.

Motivo per cui dopo le lezioni si stava aggirando con frustrazione nel castello in cerca di non si sa bene cosa. 

Finché non si imbatté in una porta al settimo piano che era sicurissimo non fosse mai stata lì prima. 

“Che diavolo…”

Stiles si fermò incuriosito dinanzi al grande misterioso portone palesatosi dal nulla. 

Guardò a destra e sinistra per vedere se ci fosse qualcun’altro nelle vicinanze, scrollando le spalle e decidendo di entrare per dare una sbirciatina. 

Non aveva idea di cosa si immaginasse di trovare di così strabiliante e insolito là dentro, ma di certo non si aspettava un normale e semplice salotto, più piccolo addirittura della sala comune della sua casata.

Le pareti della stanza erano coperte da librerie colme di libri. 

Due divanetti erano disposti dinanzi a un caminetto acceso e scoppiettante, con un unico tavolino tra essi e un grande tappeto a ricoprire il pavimento.

“Che ci fai qui?” 

Interruppe la sua ispezione una voce infastidita. 

Un ragazzo più grande - doveva avere circa quindici o sedici anni e dai colori della sua cravatta Stiles potè dedurre che fosse un Tassorosso - lo stava fissando accigliato, stravaccato su uno dei divanetti e reggendo tra le mani un libro dalla copertina consunta. 

“Io…” Iniziò esitante Stiles a rispondere, intimidito dallo sguardo del ragazzo. “Cercavo il bagno.” Mentì, considerando se non fosse meglio girarsi per scappare a gambe levate.

Il Tassorosso non aveva molto l’aria di qualcuno che apprezzasse l’essere disturbato mentre ovviamente tentava di rilassarsi in santa solitudine.

Il ragazzo abbassò lo sguardo nuovamente tra le pagine. 

“Probabilmente lo avresti trovato se fosse stato quello che stavi realmente cercando.” Bofonchiò enigmatico. 

Stiles aggrottò la fronte, osando un passo avanti nella direzione dell’altro. 

“Che intendi dire?”

Sapeva che la sua bugia era stata scarsa e facilmente individuabile, ma il modo in cui l’altro giovane mago aveva risposto con la sua frase lo insospettiva che ci fosse qualche sottotesto nascosto in essa. 

L’adolescente - con il paio di sopracciglia più espressive che Stiles avesse mai visto - tornò ad osservarlo, questa volta sembrando più annoiato che omicida. 

“Sai almeno dove ti trovi?” 

“In un salotto?” Dichiarò Stiles banalmente. 

“Questa è la Stanza delle Necessità.” Spiegò l’altro rispondendo alla sua palese ignoranza. 

La bocca di Stiles si spalancò in sbalordimento. 

Ovviamente conosceva la Stanza delle Necessità.

Ne aveva sentito parlare dai suoi genitori in precedenza. 

Era una delle tante misteriose stanze nascoste nel castello che ogni anno gli studenti facevano a gara per scovare.

Nessuno però sapeva dove si trovasse o come vi si accedesse. 

L’unica informazione certa su di essa era il suo scopo: fornire al proprio ospite ciò di cui aveva bisogno quando la stava cercando. 

Ma nemmeno la formidabile Stanza delle Necessità aveva il potere di dare a Stiles quello che desiderava ardentemente trovare. 

Perché ciò che Stiles stava cercando non esisteva

Se lo era sentito ripetere fin troppe volte negli ultimi giorni e anche se in cuor suo non voleva arrendersi, stava inconsciamente cominciando a convincersene. 

“Qui dentro non può esserci quello che sto cercando.” Sospirò afflitto. 

“Evidentemente la stanza deve aver pensato il contrario.” Sentenziò con disinteresse l’altro.

Stiles strinse i pugni, cercando di ignorare il pizzicore agli occhi.

"Beh, allora questa stanza è stupida.” Sputò velenosamente, voltandosi per andarsene prima di iniziare a piangere davanti a un perfetto sconosciuto. 

Quella sera, raggomitolato nelle coperte e con le guance ancora sporche dal sale delle lacrime, Stiles strinse al petto una foto che ritraeva lui e i suoi genitori ad un parco divertimenti, chiedendosi silenziosamente dove avrebbe trovato il coraggio e la forza di rassegnarsi all’imminente morte di sua madre.

 

***

 

Stiles non comprendeva come funzionasse la Stanza delle Necessità. 

Il giorno seguente alla scoperta, colto dal dubbio che forse avrebbe dovuto cercare meglio all’interno della sala per qualche miracoloso rimedio al proprio problema prima di arrendersi, si era recato al settimo piano per vedere se la porta fosse ancora lì, trovando il muro del corridoio perfettamente sgombro.

Aveva provato tutto quello che gli era passato per la testa - compreso sventolare la bacchetta urlando ‘apriti sesamo’ per pura disperazione - ma ogni tentativo era stato vano.

La stanza non era riapparsa. 

E così era stato il giorno dopo e quello dopo ancora. 

In compenso però aveva scoperto chi fosse il misterioso Tassorosso con cui aveva interagito.

Il suo nome era Derek Hale, frequentava il quinto anno ed era il fratello minore di Laura Hale, prefetta di Grifondoro. 

Hale era un cognome famoso e rispettato nel mondo magico.

Gli Hale erano una famiglia numerosa e potente, di origini antiche e che vantava alcuni tra i migliori maghi del paese.

La loro famiglia era tra quelle che si era opposta apertamente al Signore Oscuro, combattendo in prima linea nella Prima Guerra tra maghi. 

Si vociferava addirittura che fossero stati decisivi per la vittoria. 

In verità c’erano anche un sacco di altre voci in giro sul loro conto, non tutte molto lusinghiere e alcune decisamente oscure. 

Sia Derek che Laura sembravano rispettare le aspettative derivate dal loro lignaggio.

Erano entrambi studenti impeccabili, oltre che atleti formidabili.

Derek era stato definito uno dei migliori Cercatori che Hogwarts avesse mai visto nell’ultimo secolo e puntava ad essere convocato per il campionato internazionale di Quidditch.

Laura invece era la prima della sua classe di Trasfigurazione ed aveva passato i suoi G.U.F.O a pieni voti l’anno prima. 

Sarebbe sicuramente diventata un ottimo Auror, proprio come sua madre Talia. 

Stiles si ricordava di lei come di una donna bella e gentile. 

L'aveva vista una volta quando suo padre lo aveva portato con sé al Ministero della Magia. 

Talia Hale gli aveva offerto un pacchetto di gelatine tutti i gusti+1, facendogli compagnia mentre suo padre era impegnato in un interrogatorio. 

Suo padre gli aveva confidato più tardi quel giorno, che la donna non era solo straordinariamente gentile ma anche una delle streghe più formidabili che avesse mai conosciuto. 

Gli Hale sembravano sotto ogni punto di vista persone eccezionali. 

Derek era inoltre, per conoscenza diretta di Stiles, l'unica persona che sapesse come accedere alla Stanza delle Necessità.

Probabilmente avrebbe potuto chiedere al ragazzo di mostrargli come fare, ma dubitava che gli avrebbe dato retta. 

Nessuno dal terzo anno in su degnava un primino di attenzione. 

Per questo Stiles decise di tenerlo d'occhio. 

Prima o poi Derek sarebbe dovuto tornare nella Stanza delle Necessità, suppose e lui avrebbe colto l’occasione per capire come accedervi.

Dover pedinare il ragazzo più grande nel proprio tempo libero era solo un piccolo prezzo da pagare. 

Gli sforzi di Stiles vennero ricompensati una settimana dopo circa. 

Stiles era seduto nella Sala Comune al fianco di Scott Mccall. 

Il giovane Grifondoro era divenuto il suo migliore amico nelle ultime settimane e ora erano inseparabili.

Stiles stava facendo finta di finire i compiti che aveva già bellamente svolto, quando il Tassorosso si era alzato e aveva salutato il suo gruppo chiassoso d'amici, avviandosi verso l’uscita della stanza.

Stiles non aveva perso tempo a preoccuparsi di recuperare le sue cose.

Era sfrecciato dietro Derek, abbandonando libri e pergamene dov'erano, confidando nel fatto che Scott se ne sarebbe preso cura per lui. 

Quando Stiles aveva visto Derek imboccare la rampa di scale per il settimo piano aveva esultato, sapendo perfettamente dove si stava dirigendo. 

Stando attento a non farsi notare, Stiles si nascose dietro una colonna, studiando attentamente cosa avrebbe fatto l'altro ragazzo. 

Derek si fermò davanti al muro dove teoricamente sarebbe dovuta esserci la porta, inclinando leggermente la testa in una posizione che ricordò a Stiles un cane che ascoltava un rumore in lontananza, poi si raddrizzò come se nulla fosse e si mise a camminare avanti e indietro. 

Una… due… tre volte. 

Conteggiò mentalmente Stiles. 

Infine Derek si fermò nuovamente, chiaramente in attesa che succedesse qualcosa. 

Lentamente, dal muro cominciò ad apparire la tanto agognata porta. 

Derek aspettò a malapena che si fosse materializzata prima di aprirla e sgattaiolare all'interno di essa. 

La porta iniziò a scomparire nell'istante esatto in cui Derek sparì al suo interno.

Stiles si prese qualche minuto per considerare il prossimo passo.

Aveva due alternative: provare ad entrare subito nella stanza e ignorare lo sguardo assassino di Derek mentre frugava in giro o tornare in un secondo momento, evitando così l'altro ragazzo. 

Stiles decise di poter sopportare qualche occhiataccia mortale per un bene superiore. Dopotutto aveva già perso abbastanza tempo. 

Quando Stiles entrò, Derek era esattamente nello stesso posto in cui lo aveva trovato la prima volta. 

Di nuovo qui?

Sembrò domandare lo sguardo che gli rivolse con quel sopracciglio perfettamente arcuato.

Stiles scrollò le spalle, ignorandolo in favore di mettersi a cercare quello per cui era venuto. 

Due ore più tardi, avendo messo a soqquadro praticamente l’intera stanza, Stiles si arrese con frustrazione. 

“Dannazione!” Esclamò, lanciando uno dei tanti libri che aveva precedentemente esaminato. 

“Non prendertela con i libri.” Rimproverò severamente Derek dal suo posto sul divano.

Stiles lo folgorò con uno sguardo in tutta risposta. 

“Si può sapere cosa diamine stai cercando?” Chiese l’altro, per nulla impressionato dall’occhiataccia.

“Non sono affari che ti riguardano.” Scattò Stiles prima che potesse ragionevolmente mordersi la lingua. 

“Peggio per te.” Controbattè burberamente Derek, stizzito dal suo comportamento astioso. “Avrei potuto darti una mano.”

“Tanto non c’è nulla da trovare!” Affermò acidamente il ragazzino, il petto che rapidamente veniva stretto in una morsa, man mano che anche l’ultima speranza che aveva avuto si sgretolava tra le sue dita. “È tutto inutile.” Ansimò in mancanza d’aria. 

“Stai bene?” Domandò preoccupata la voce del Tassorosso. 

Stiles vacillò sulle proprie gambe, crollando in ginocchio. 

Come mai la stanza aveva preso a ruotare? 

La sua testa iniziò a pulsare dolorosamente al ritmo del proprio battito cardiaco in crescente ascesa.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non c’era nessun rimedio.

Non aveva più tempo.

Non avrebbe potuto fare nulla. 

“Respira.” Spronò duramente qualcuno al suo fianco. 

La coscienza di Stiles stava faticando a mettere a fuoco. 

Mani delicate ma sicure lo presero per le braccia, sollevandolo per trascinarlo su qualcosa di più morbido rispetto al freddo e polveroso pavimento. 

“Stiles, respira per favore.” Riprovò la voce, questa volta vacillando per il panico. 

Stiles provò a fare come gli veniva detto, anche se ogni respiro che riusciva a guadagnare minacciava di soffocarlo più che aiutarlo. 

L’importante era continuare a inspirare e espirare, no? 

Si sentiva un po’ confuso, ma era sicuro che se avesse smesso di respirare a un certo punto sarebbe sopraggiunta la morte. 

Era così che funzionava il corpo umano. 

“Inspira.” Continuò a guidare la voce, di nuovo in pieno controllo. “Conta fino a cinque… così, bravo. Ora espira. Sì, va bene. Ora di nuovo.” 

Lentamente e faticosamente, Stiles fu nuovamente capace di respirare correttamente. 

Quando si fu ripreso a sufficienza da essere parzialmente coerente, notò di essere seduto su uno dei due divani, stretto nientemeno che tra le braccia di Derek Hale, poggiato con la schiena contro il petto dell’adolescente. 

“Grazie.” Riuscì a gracchiare stancamente in un colpo di tosse. 

Derek sospirò contro la sua nuca.

“Non farlo mai più.”

“Fidati amico, se posso lo eviterò totalmente.” Promise, abbozzando un piccolo sorriso.

Il giovane Serpeverde gemette, tentando di rimettendosi in piedi e riuscendoci a malapena. 

Gli dolevano i muscoli come se avesse corso una maratona. 

“Forse dovrei tornare al mio dormitorio.” Soppesò ad alta voce. 

“Sicuro di riuscire a raggiungerlo?” Chiese Derek con neanche una goccia di scherno nella voce, solo sincera preoccupazione per le sue attuali condizioni. 

“Non trattarmi come un bambino.” Protestò Stiles, alzando il mento con orgoglio. 

Derek gli sorrise, le labbra che si schiudevano a mostrare un paio di simpatici denti da coniglio. 

“Ma lo sei.” 

“Per tua informazione, tra qualche mese compirò dodici anni.” 

‘Qualche’ in realtà erano più di cinque, ma questo Derek non era tenuto a saperlo.

“Oh, questo cambia tutto.” Derise giocosamente l’altro. “Sul serio però, pensi di farcela?”

“Certo.” Assicurò Stiles, scavalcando una piccola pila di libri per terra e riuscendo miracolosamente a non inciampare nel processo. “Probabilmente dovrei mettere a posto questa stanza prima.” 

“Lascia perdere. Ci penserà da sola.” Gli ricordo Derek. 

“Oh, giusto. Stanza magica, me ne ero quasi dimenticato.” Farfuglio imbarazzato il ragazzino. “Ok, ci vediamo in giro allora. Credo. Si insomma, ciao.” 

Derek scosse la testa divertito. 

“Ciao, Stiles. Fa attenzione alle scale, a loro piace cambiare.”

Stiles alzò gli occhi al cielo. 

“Lo so benissimo. È stata una delle prime cose su cui ci hanno messo in guardia quando siamo arrivati!” 

La risata soffocata di Derek lo accompagnò mentre usciva dalla stanza tra gli svolazzi della sua toga.

Soltanto più tardi, quando Scott venne a restituirgli le sue cose per chiedergli come era andata e dovendo raccontargli l'accaduto, Stiles realizzò che Derek Hale lo aveva chiamato per nome senza che lui si fosse mai presentato. 

 

***

 

“Quel piccolo Serpeverde ti sta fissando.” Informò Laura sedendosi al suo fianco al tavolo. 

“Ignoralo.” Rispose Derek.

Era quello che stava facendo da un paio di giorni, da quando si era accorto del ragazzino che lo seguiva in giro pensando di essere discreto. 

“È adorabile.” Commentò sua sorella civettuola.  “Secondo me ha una cotta per te.” 

Derek roteò gli occhi. 

“Non ha una cotta. Mi sta solo tenendo d’occhio perché spera che gli mostri come accedere alla Stanza delle Necessità.”

"Perché pensa che potresti aiutarlo?” 

“Sa che so come farlo. Mi ha trovato lì qualche giorno fa.” Le spiegò. “Credo sia riuscito ad entrare per puro caso.”

Era giunto a quella conclusione unicamente perché il bambino era sembrato sincero quando non aveva avuto nemmeno idea di dove si trovasse, scambiando la stanza magica per un mero salotto. 

“Perchè non lo aiuti allora?” Domandò Laura incuriosita, offrendogli una bacchetta magica alla liquirizia.

Derek mise in bocca il dolciume mordicchiandolo nervosamente. 

"Perché poi andrebbe a dire in giro a tutti il meccanismo.”

“Quindi hai solo paura che qualcuno venga a disturbarti nel tuo piccolo nascondiglio segreto?”

Si. Ammise il ragazzo a se stesso. 

La Stanza delle Necessità era un luogo importante per lui. 

Era il suo rifugio, il posto in cui sapeva di potersi nascondere quando gli stimoli esterni diventavano troppi da sopportare e il suo controllo minacciava pericolosamente di cedere. 

Si era imbattuto nella stanza l'anno prima, dopo un acceso litigio con un arrogante Serpeverde dell'ultimo anno e il suo stupido gruppo di amici che avevano inziato a punzecchiarlo con commenti sconvenienti su sua sorella maggiore, fino a fargli prudere le mani per la voglia di strangolarli. 

Si era allontanato dal gruppo di bulli per tentare di non commettere un plurice omicidio, finendo al settimo piano del castello nel suo girovagare in cerca di un posto tranquillo in cui sbollire, quando la Stanza delle Necessità sembrò rispondere al suo silente appello, apparendo di fronte a lui.

All'epoca non era un accogliente salotto, ma più simile a una vecchia sala d'allenamento. 

C'erano oggetti di ogni genere, con la capacità di tornare integri una volta rotti - lo scoprí lanciandone alcuni -  e manichini che avrebbe potuto colpire a pugni o con incantesimi, a seconda di cosa avrebbe preferito usare. 

Inoltre la stanza era talmente immensa che dubitava che qualcuno nel castello lo avrebbe sentito se avesse fatto rumore o si fosse messo ad urlare. 

Si era rintanato in essa per delle ore, finché l'incontrollabile rabbia non era scemata in un più sopportabile fastidio. 

Nei giorni seguenti aveva compreso il processo esatto per accedere alla stanza senza dover contare su un colpo di fortuna. 

Non aveva mai rivelato a nessuno il meccanismo. 

Nemmeno a Laura, anche se sospettava che sua sorella maggiore lo sapesse.

Nel corso dei mesi la Stanza delle Necessità era mutata, adattandosi alle sue esigenze e stati d'animo.

Ora sembrava un salotto accogliente solamente perchè a volte Derek desiderava un posto tranquillo in cui rintanarsi a leggere senza essere interrotto da qualche rumoroso compagno di scuola.  

“Andiamo, Der. Guardalo.” Laura lo punzecchiò con un gomito nel fianco. “Lo sento puzzare di ansia e disperazione a venti metri di distanza.” 

Non era che Derek non lo avesse notato, i suoi sensi erano buoni tanto quanto quelli di sua sorella maggiore, semplicemente aveva scelto di ignorare quel dettaglio.

“Non mi interessa.” Dichiarò ostinatamente. 

“Quando sei diventato un tale stronzo?” Rimproverò la ragazza. 

“Forse lo sono sempre stato.”

Laura sbuffò disapprovante.

“Uscire con chiunque sia ti sta facendo male.”

Derek si irrigidì. 

“Non sto vedendo nessuno.” Mentì, immediatamente sulla difensiva. 

“So che stai uscendo con qualcuno. Ti ho beccato a sgattaiolare fuori dalla finestra della tua stanza una sera l’estate scorsa.” Confidò l’altra. “Tranquillo, non l’ho detto alla mamma. Ma devi stare attento, soprattutto se si tratta di una babbana.”

Derek tirò un mentale sospiro di sollievo.

“Lo so.”

Non era uno stupido, anche se forse a volte prendeva decisioni discutibili. 

Come nel caso di Paige, in cui aveva affrettato troppo le cose e mostrato alla ragazza un trucco di magia per impressionarla. 

La ragazza era fuggita a gambe levate da lui e Talia era stata costretta a cancellarle la memoria. 

“So che lo sai, ma non fa male ricordartelo. Inoltre è tra i miei doveri di sorella maggiore prendermi cura di te ed evitare che tu faccia qualche cazzata.” Scherzò lei scompigliandogli i capelli e alzandosi. “In bocca al lupo per la partita contro Corvonero.” Augurò, raggiungendo i suoi compagni di Grifondoro al loro tavolo. 

Rimasto solo, Derek decise di concentrarsi per finire il capitolo del libro di Difesa contro le Arti Oscure che stava studiando, quando le sue orecchie captarono per caso una conversazione che lo riguardava. 

“Forse dovresti semplicemente chiedere a Derek di dirtelo.” 

“Scott, pensi davvero che me lo direbbe?” Rispose la voce che riconobbe come quella del ragazzino Serpeverde che lo stava stalkerando. 

“Magari è gentile?”

“Solo perché qualcuno è popolare non significa che sia anche gentile.” Fece notare l’altro. 

“Prendi Jackson. È diventato subito popolare tra quelli del primo anno dopo la nostra prima lezione di volo, ma è un coglione con la puzza sotto il naso.”

“Non credo che Jackson sia il metro di paragone migliore.”

“Fidati di me, Derek Hale non mi aiuterebbe.” 

“Stiles, ti aiuterebbe sicuramente se gli dicessi il motivo per cui vuoi tornare in quella stanza.”

“Non gli parlerò di quello.” 

“Bhe, con me ne hai parlato.”

“Tu sei un’eccezione.”

Derek osò uno sguardo nella loro direzione.

I due ragazzi si stavano sorridendo affettuosamente. 

Formavano un bel quadretto, una coppia insolita da vedere nelle sale di Hogwarts poiché raramente Grifondoro e Serpeverde si mischiavano a causa della loro ferrea rivalità.

“Devo solo essere paziente. Prima o poi dovrà tornare lì e avrò la mia occasione.” Dichiarò con sfrontata sicurezza Stiles. 

Puoi scordartelo ragazzino. Pensò Derek, abbassando nuovamente lo sguardo sul suo libro. 

“Puoi almeno aiutarmi con Pozioni mentre lo tieni d’occhio?” Pregò il piccolo Grifondoro continuando la loro conversazione. “Non ho prestato molta attenzione alla lezione prima in classe.” 

"Forse se non avessi fissato Allison per tutto il tempo…"

"Stiles, per favore." 

“Puoi copiare i miei appunti.” Offrì il Serpeverde. 

“Sei il migliore.” Ringraziò l’altro. 

Derek smise di origliare facendo del suo meglio per ignorare Stiles e i suoi tentativi di furtività mentre lo seguiva in giro per il castello.

Stiles era persistente, doveva dargliene atto. 

Derek aveva scommesso che il ragazzino avrebbe rinunciato dopo qualche giorno, ma invece continuò imperterrito nella sua missione, al punto da fargli considerare che forse la motivazione che lo spingeva nella ricerca della Stanza delle Necessità non fosse così futile come aveva supposto all’inizio. 

Dopo circa una settimana, stanco di essere perseguitato, Derek si arrese e condusse Stiles al settimo piano - lasciando che il ragazzino rimanesse convinto di non essere stato scoperto e che finalmente il suo piano fosse andato a buon fine - esibendosi in una dimostrazione sul corretto funzionamento per far apparire la porta della stanza. 

Poteva essere gentile, visto? 

Stiles aveva fatto il suo ingresso nel salotto qualche minuto più tardi. 

Dopo una breve e silenziosa conversazione fatta di sguardi, il ragazzino si era messo a frugare in giro in cerca di qualcosa. 

Derek lo aveva lasciato fare, studiandolo mentre si muoveva da un lato all’altro della stanza. 

Dopo ore, era sicuro che non ci fosse centimetro della stanza che Stiles non avesse accuratamente esaminato. 

Sembrava così disperato che Derek lo avrebbe aiutato volentieri se solo Stiles si fosse deciso a fidarsi di lui e rivelargli cosa stesse cercando.

Ma no, il testardo ragazzino aveva preferito farsi prendere un attacco di panico e fargli avere un quasi infarto di conseguenza. 

Scongiurato il peggio e colpito dall’esperienza - Derek pregò di non dover mai più affrontare una situazione simile - si ripromise di scoprire il più possibile sul piccolo Serpeverde. 

Forse poteva trovare un modo per aiutare quel ragazzino che sembrava afflitto da un peso troppo grande per le sue minuscole spalle. 

E forse Laura poteva aiutarlo. 

 

***

 

Derek stava uscendo dalla torre di Divinazione quando Laura lo intercettò.

“Il nome del tuo piccolo amico Serpeverde è Stiles Stilinski.” Informò sua sorella.

Non è mio amico. Avrebbe voluto ricordarle Derek.

Conosceva a malapena il nome del ragazzo.

“Stilinski hai detto? Perchè mi suona familiare?” 

Chiese Derek facendosi strada tra la calca di studenti per raggiungere la sua prossima lezione.

“Perché uno dei colleghi di mamma al Ministero si chiama così.” Laura si interruppe per alzare la mano e ricambiare il saluto di un conoscente di passaggio nel corridoio. “È suo figlio.” 

Derek annotò mentalmente quell’informazione anche se momentaneamente gli era inutile a capire come aiutare Stiles.

“Cos’altro hai scoperto su di lui?”

“Non molto, è un ragazzino piuttosto riservato. Marin dice che potrebbe parlare per ore senza stancarsi, ma mai di qualcosa che lo riguarda personalmente. E a parte quell’altro primino di Grifondoro, non si è fatto molti altri amici.”

“Hai parlato con Marin?” Esclamò sorpreso Derek. 

Marin Morrell era la prefetta di Serpeverde e la sorella minore del professor Deaton, insegnante di Erbologia. 

Laura la detestava a pelle perchè a parer suo l’altra ragazza era fin troppo brava a mentire per i suoi gusti.

“Sì. Mi aspetto un bel ringraziamento per i miei servigi, fratellino.” Sorrise maliziosamente lei. 

“Finora non mi hai dato molto su cui lavorare.” Precisò in risposta. 

Laura gli mise un braccio sulle spalle, trascinandolo in un’alcova. 

“Ci sono delle voci.” Sussurrò cospiratoria. 

Derek la fissò con cipiglio.

“Davvero, Lau? Voci?”

Odiava le voci.

Potevano distruggere la reputazione di qualcuno o costruirgliene una all’occorrenza. 

Insinuare dubbi nelle menti deboli, giocando sulle paure recondite delle persone o al contrario, sussurrare facili bugie credibili per mettere a tacere preoccupazioni e distogliere l’attenzione da pericoli incombenti.

La sua famiglia conosceva bene quanto potere avessero le voci. 

Dovevano lottare ogni giorno contro quelle che li additavano come lupi mannari.  

Non che fossero false dicerie.

Gli Hale erano lupi mannari da generazioni. 

Ma non erano pericolosi. 

Non perdevano il controllo con la luna piena e non strappavano gole in preda a raptus omicidi. 

Albus Silente lo sapeva e aveva aperto loro le porte di Hogwarts, ben prima che dimostrassero la loro fedeltà lottando al suo fianco nella battaglia contro l'Oscuro Signore. 

“Voci da fonti sicure.” Promise Laura, facendo l’occhiolino in direzione di uno dei fantasmi residenti nel castello. 

Derek sospirò, facendole cenno di continuare.

“Sembrerebbe che Stiles abbia infastidito ogni professore presente ad Hogwarts dall’inizio dell’anno. Dicono che Silente sia stato addirittura costretto a chiamare il bambino nel suo ufficio a un certo punto per intimargli gentilmente di smetterla di importunare il personale.” 

“In che modo li stava importunando?” 

“Con domande per lo più. Qualcosa a che fare con le maledizioni.”

“Perché un bambino dovrebbe interessarsi alle maledizioni?” 

“Non ne ho idea.” 

L’orologio da taschino di Laura prese ad urlare attirando la loro attenzione e informandoli che stavano facendo tardi a lezione. 

“Almeno non ha l’aria di qualcuno che vorrebbe metterne in atto una.” 

Fu l’ultima cosa che disse Laura prima di correre verso le scale. 

Derek deglutì pesantemente.

Sperava davvero che fosse così. 

 

***

 

“Come sapevi il mio nome?”

Derek aprì un occhio per osservare Stiles guardarlo accigliato da dietro il divano.

Non aveva dormito molto quella notte, il suo sonno agitato da incubi su un incendio.

Così, dopo la sua ultima lezione, aveva sperato di poter schiacciare un pisolino nella Stanza delle Necessità prima della prossima partita di Quidditch.

Aveva pensato male.

“Cosa?”

“Il mio nome.” Ripeté Stiles appoggiandosi con le braccia allo schienale. “Mi hai chiamato con il mio nome ma non mi sono mai presentato.” 

Derek non poteva dirgli di aver origliato una sua conversazione con l’altro ragazzino di Grifondoro, perché questo avrebbe comportato dovergli spiegare come avesse fatto, dato che i due ragazzi non erano mai stati a portata di orecchio umano. 

“Ho chiesto in giro dopo aver notato che mi seguivi.” Scelse invece di dire l’adolescente.

Gli occhi di Stiles si spalancarono comicamente. 

“Sapevi che ti stavo seguendo?” Domandò sconcertato. 

Derek si stiracchiò sul divano, facendo scrocciare una spalla nel processo.

“Che tu voglia crederci o meno, le tue doti da spia sono decisamente carenti.” Rivelò, sbadigliando sonoramente. “Hai finito il tuo interrogatorio? Vorrei tornare a dormire.” 

La vicina luna piena lo rendeva irritabile. 

“Oh. Non volevo disturbarti!” Si scusò in fretta il giovane Serpeverde. “Senti posso…”

Il ragazzino esitò, mordendosi il labbro a disagio.

“Cosa?” Stiles continuò a torturarsi il labbro con i denti, evitando timidamente il suo sguardo. “Sputa il rospo, Stiles.”

“Ti spiace se do ancora un’occhiata in giro?” Chiese finalmente. “Prometto di non fare rumore.” 

Derek non credeva alle proprie orecchie. 

“Stiles, hai messo sottosopra la stanza l’ultima volta. Qualsiasi cosa tu stia cercando, non credo si trovi qui dentro.” Rispose con schietta sincerità. 

“Forse. Ma questa stanza si materializza solo in risposta a qualcuno che sta cercando qualcosa, giusto?” 

“Sì, è questo il suo scopo.” Confermò. 

“Allora qui dentro deve esserci qualcosa che mi può tornare utile.” Analizzò Stiles, aggrappandosi disperatamente a quella convinzione. “Anche se ancora non ho capito cosa.”

Derek sospirò, rigirandosi su di un fianco. 

“Fai come ti pare.” Concesse richiudendo gli occhi. “Ma se mi svegli, ti trasformerò in un fischietto e ti scambierò con quello del coach Finstock."

Stiles sembrò credere alla minaccia ed esserne abbastanza terrorizzato da non far volare nemmeno una mosca durante tutto il sonnellino di Derek. 

Al suo risveglio, il bambino era seduto in un angolo con la testa china sulle ginocchia. 

Non stava facendo nemmeno un rumore, ma Derek pensava stesse piangendo. 

O fosse prossimo a farlo, dato l'odore opprimente di tristezza nel suo profumo.

Derek si alzò dal divano, si avvicinò e gli si inginocchiò di fronte. 

"Mangia." Offrì, sventolando una barretta di cioccolato. 

Il ragazzino sollevò la testa. 

"Non ho fame." 

Derek sorrise gentilmente. 

"Il cioccolato non serve per riempire lo stomaco, ma per rinvigorire lo spirito." Disse, citando una famosa frase che sua madre amava ripetere. 

Stiles tirò su col naso, guardandolo con occhi acquosi. 

"Non hai abbastanza cioccolato per quello." 

"Posso procurarmene altro più tardi." 

Derek pensò che avrebbe fatto l'impossibile pur di far sparire l'odore di tristezza dal profumo di Stiles. 

Diamine, avrebbe chiesto a Laura di usare su di lui quell'incantesimo che aveva ideato per staccargli le sopracciglia dal viso e farle volare via come un uccellino se fosse servito a far sorridere il ragazzino. 

La sua sorellina Cora amava quell'incantesimo. 

Rideva sempre a crepapelle quando Laura decideva di usarlo per togliere dal viso di Derek il suo caratteristico cipiglio. 

"È una cosa da Hale?" Domandò Stiles accettando finalmente la barretta, ma solo per prenderne un pezzo e poi restituirla a Derek per condividerla. 

"Che cosa?" 

"Offrire dolci." Spiegò il ragazzino, ficcandosi in bocca l'intero pezzo di cioccolato. "Tua madre mi ha offerto delle gelatine tutti i gusti+1 una volta." 

"Stai mentendo. Mia madre non condivide mai le sue gelatine con nessuno." 

Derek sapeva che in realtà Stiles gli stava dicendo la verità.

Talia Hale andava sempre in giro con qualche dolciume in tasca, dispensando le piccole leccornie alle persone quando le notava giù di morale.
Era convinta che i dolci fossero una buona cura per qualsiasi malumore. 

Era uno dei motivi per cui spediva a lui più dolci che a Laura, sapendo bene quanto Derek fosse più umorale rispetto a sua sorella maggiore. 

“È la verità!” Ribatté Stiles indignato. “L’ho conosciuta al Ministero della Magia. Lavora con mio padre.” 

“Ah si?” 

Derek finse di esserne stupito. 

“Sì. Mi ha tenuto compagnia mentre lui doveva lavorare.” Raccontò l’altro. “Vi somigliate. Avete gli stessi occhi. Solo che lei non sembra spaventosa quanto te.” 

Derek cercò di non offendersi per il commento. 

“Sembro spaventoso?”

“Il più delle volte. O almeno lo sei quando entro in questa stanza e mi fissi come se volessi strapparmi la faccia.”

Se Laura fosse stata presente, Derek era sicuro si sarebbe messa a ridere. 

“La Stanza delle Necessità è il mio nascondiglio.” Fornì come spiegazione. 

Stiles si rannicchiò per farsi più piccolo. 

“Non volevo invadere il tuo spazio.” 

“Non sono arrabbiato con te.” Rassicurò Derek tranquillamente. 

Un trillo assordante li fece sobbalzare entrambi.

Una sveglia si era materializzata sul tavolo e stava suonando impazzita saltellando sul posto.

Accidenti. 

Derek non si era accorto che fosse così tardi.

“Devo correre alla partita.” Avvertì, scattando in piedi verso la porta. “Tu vieni?”

“Certo.”

Stiles gli balzò dietro, seguendolo.

“Pronto a vedere la tua squadra perdere?” Punzecchiò Derek sfrecciando lungo le scale. 

“Pfff, amico, noi Tassorosso ti faremoà il culo!” Ribatté Stiles urlando.

Lingua!” Rimproverò la lady di un quadro al loro passaggio, giudicandoli aspramente da dietro il suo colorato ventaglio.

“Cielo, i ragazzi di oggi sono così sguagliati.” Commentò sir Nicolas - anche detto Nick quasi senza testa - svolazzando a pochi metri da lei. 

Stiles attraversò il fantasma con un sorriso birichino stampato in viso.

“Che modi!” Esclamò indignato lo spirito, ricomponendo il proprio ectoplasma. “Ai miei tempi si veniva decapitati per molto meno!”

I due ragazzi proseguirono la loro corsa ridendo allegramente. 

Tassorosso vinse su Serpeverde per un soffio grazie a Derek che riuscì a catturare il boccino.

Derek fermò la scopa, sollevando con un sorrisetto sfacciato la piccola pallina dorata in direzione di Stiles.
Il ragazzino gli rispose facendogli la linguaccia dagli spalti. 

 

***

 

Stiles continuò ad andare nella Stanza delle Necessità, anche se smise di cercare al suo interno un rimedio per contrastare la morte di sua madre. 

Non si era ancora totalmente arreso all’idea che non esistesse un metodo per salvarla. 

Non ne sarebbe mai stato capace.

Semplicemente si rassegnò al fatto che la stanza non glielo avrebbe fornito. 

Derek non gli chiese mai di nuovo cosa fosse venuto a cercare, né provò ad allontanarlo durante le sue molteplici visite.

C’era qualcosa di confortante per Stiles nella possibilità di trovare Derek lì ad aspettarlo ogni volta avesse deciso di fare visita. 

Non parlavano mai molto. 

Stiles cercava di infastidire il Tassorosso il meno possibile, sapendo che la stanza fungeva da nascondiglio per l’altro ragazzo.

Derek dal canto suo, faceva del suo meglio per non sembrare omicida quando lo vedeva varcare la porta, abbozzando un piccolo sorriso a volte o condividendo con lui i propri dolci. 

La Stanza delle Necessità divenne ben presto anche il nascondiglio sicuro di Stiles. 

Il loro equilibrio ebbe durata breve però. 

Derek e Laura stavano trascinando le loro valige oltre il portone del castello, di ritorno dalla pausa invernale, quando un piccolo Scott Mccall con al collo una sciarpa rossa e oro corse loro incontro. 

"Possiamo aiutarti?" Domandò educatamente la maggiore degli Hale mentre il ragazzo riprendeva fiato. 

"Mi chiamo Scott Mccall." Si presentò il Grifondoro, guardando direttamente Derek negli occhi. "Sto cercando Stiles."

"Non ho idea di dove sia." Rispose il Tassorosso. 

"Non si è presentato a pranzo. Nemmeno ieri a cena." 

Derek aggrottò la fronte confuso. 

"Non era tornato a casa per il Natale?"

Era sicuro che Stiles avesse accennato, durante uno dei loro ultimi incontri, che sarebbe andato a trovare i suoi genitori per le vacanze. 

"Lo ha fatto, ma è tornato prima. Non ha voluto dirmi il motivo… ma credo sia qualcosa di brutto." Informò preoccupato Scott. 

"Potrebbe essere malato." Suggerì Laura pensierosa. 

"Non è nel suo dormitorio. Anche Marin e il professore Deaton stanno impazzendo a cercarlo." Scott guardò Derek con i suoi grandi occhi castani. "Voi due avete passato tanto tempo insieme ultimamente, tu sai dove. Stiles non mi ha mai detto come accedere a quella stanza. Ho pensato che potessi dare un'occhiata per vedere se fosse nascosto lì." 

Derek lanciò uno sguardo nervoso a sua sorella. 

"Penso io ai bagagli." Rassicurò Laura, spronandolo ad andare con una leggera spinta. 

Il ragazzo annuì, ringraziandola silenziosamente. 

Quando Derek entrò nella Stanza delle Necessità, i singhiozzi disperati e l'olezzo d'angoscia attirarono immediatamente la sua attenzione. 

"Stiles?" Chiamò, cercando con lo sguardo il ragazzino. 

In un angolo della stanza, tra due delle ricolme librerie, c'era una piccola nicchia che non era mai stata lì prima.

Il pianto disperato sembrava provenire da lì. 

Derek si avvicinò, inginocchiandosi davanti al buco che ricordava la piccola tana di un animale. 

Stiles era al suo interno, raggomitolato in una palla. 

"Hey." Salutò Derek, attirando l'attenzione del ragazzino. 

"Vattene."

Gli occhi di Stiles erano rossi e gonfi, il suo viso incrostato da lacrime e muco. 

"Non proprio il saluto che mi sarei aspettato." Ironizzò Derek, sdraiandosi a terra a pancia in giù per mettersi più comodo. 

"Non sono in vena di scherzare, Derek." Ringhió Stiles. "Lasciami in pace."

"Vuoi dirmi cosa c'è che non va?" 

"No!" 

"Scott ti sta cercando. È preoccupato per te." Lo mise al corrente. 

Stiles distolse lo sguardo colpevolmente. 

"Non mi importa."

Derek trattenne un sorriso affettuoso per la palese bugia. 

"Esci di lì. Ti prometto che ti aiuterò a cercare un modo per sistemare qualsiasi cosa ti stia tormentando."

"Non c'è un modo per sistemare questo." Rispose amaramente l'altro. 

"C'è sempre un modo." 

"Non questa volta, ok?!" Scoppió il ragazzino. "Mia madre sta morendo, Derek! Tutto per colpa di una stupida maledizione che la sta facendo impazzire e immaginare cose che non esistono!" 

"Stiles…"

"Ha tentato di uccidermi! Se mio padre non l'avesse disarmata della sua bacchetta forse ci sarebbe anche riuscita!" 

Derek era paralizzato. 

Non aveva idea di come aiutare Stiles. 

Avrebbe voluto poter drenare il dolore emotivo allo stesso modo di come era in grado di fare con quello fisico. 

O essere un mago abbastanza esperto da conoscere un incantesimo capace di spezzare la maledizione di cui era succube la madre del ragazzino. 

Il Morso avrebbe potuto salvarla? 

Non ne era sicuro, avrebbe dovuto chiederlo a sua madre. 

Ora il comportamento schivo di Stiles nel parlare della sua famiglia, le numerose domande poste al corpo insegnanti, la sua disperata ricerca nella Stanza delle Necessità, avevano assunto un senso. 

Ma se nemmeno i professori o il grande Albus Silente erano riusciti a trovare una risposta da dare al ragazzo, cosa avrebbe potuto fare Derek?

"Morirà." Le lacrime ripresero a scorrere dagli occhi di Stiles. 

"Mi dispiace." Riuscì solamente stupidamente a rispondere Derek, non trovando nulla di meglio da dire. 

"Sai qual è la cosa peggiore?" Derek attese pazientemente in silenzio tra un singhiozzo e l'altro di Stiles. "Mia madre morirà e io non riesco a non sentirmi sollevato al pensiero, perché ho paura di lei. Ho paura che potrebbe fare male a me o mio padre. Cosa c'è di sbagliato in me?" 

Le mani di Stiles si strinsero tra i capelli sudaticci, strattonandoli forte. 

"Non c'è niente di sbagliato in te, Stiles." Rispose Derek con decisione, allungando le mani per fermarlo prima che si facesse male. "È del tutto normale il modo in cui ti senti."

"No che non lo è!" Piagnucolò lui. "Dovrei essere triste e disperato, invece l'unica cosa a cui riesco a pensare dopo quell'episodio è che non vedo l'ora che tutto finisca!" 

Derek non si era mai sentito più impotente in vita sua. 

Rimase con Stiles finché il ragazzino non smise di piangere, addormentandosi per sfinimento. 

Solo allora osò tirarlo fuori dal suo rifugio, portandolo in braccio fino in infermeria, pensando fosse il luogo più appropriato in cui lasciarlo riposare. 

L'infermiera - se Derek ricordava bene il suo nome era Melissa - li condusse rapidamente a uno dei tanti letti liberi, tirando da parte le coperte per lasciare che adagiasse il corpo inerme di Stiles su di esso. 

"Cosa gli è capitato?" Domandò, controllando prontamente i valori vitali del giovane. 

"Ha pianto fino ad esaurirsi." Spiegò Derek senza dilungarsi in dettagli superflui. 

"Povero caro. È esausto." Dichiarò la donna. "Lo lascerò dormire il più possibile." 

"C'è qualcosa che posso fare per lui?" Chiese Derek, osservando il viso addormentato di Stiles. 

Il ragazzo gli stava stringendo la manica del cappotto nel sonno. 

L'infermiera sorrise. 

"Stagli vicino." Si raccomandò, posandogli una mano sulla spalla. "Vado ad informare chi di dovere sulle sue condizioni. Puoi tenerlo d'occhio per me finché non torno?"

Derek annuì solennemente, sedendosi sulla sedia di fianco al letto. 

Stiles era così pallido, illuminato dalla luce della luna che filtrava dalle alte finestre dell'infermeria, che Derek riusciva a vedere alcune delle vene più superficiali sottopelle. 

Era anche dimagrito, notó, studiando il visino scarno punteggiato dai nei. 

Stiles si agitò nel sonno, farfugliando parole che Derek non riuscì a decifrare.

Derek incrociò le braccia sul letto, poggiando la testa su di esse per chiudere gli occhi con l'intenzione di riposare per qualche minuto mentre aspettava il ritorno di Melissa. 

Doveva essersi addormentato a un certo punto, perché quando li riaprì la stanza era rischiarata da calda luce ambrata. 

"Buongiorno." La voce di Stiles lo colse di sorpresa.

Il ragazzo era sveglio e stava masticando quella che aveva l'aria di essere una focaccina alla zucca. 

"Hey. Come ti senti?" Chiese Derek, stropicciandosi gli occhi incrostati dal sonno. 

"Come se mi avesse calpestato un ippogrifo." Sbuffò Stiles. "A proposito… Grazie."

Derek sollevò un sopracciglio. 

"Per cosa?"

Stiles lo fissò con i suoi penetranti occhi color wisky.  

La serietà racchiusa in quello sguardo non sarebbe dovuta appartenere a un ragazzino di neanche dodici anni. 

"Per non avermi giudicato."

Derek distolse lo sguardo, imbarazzato. 

"Non sono nessuno per giudicarti."

Un silenzio tranquillo calò nell'infermeria, interrotto solo dal leggero masticare del ragazzo. 

"A mia madre non resta molto tempo." Dichiarò monotono Stiles più tardi. "Probabilmente morirà quest'anno. O almeno questo è quello che pensano quelli che hanno studiato la sua maledizione." 

La sua voce era controllata mentre spiegava la situazione, ma le sue mani tremavano mentre stringeva i lembi delle lenzuola che lo coprivano dalla vita in giù. 

"Non ho idea di come farò a superare tutto questo."

Derek allungò una mano, stringendo una delle sue. 

"Sarò qui se ne avrai bisogno." 

Gli occhi di Stiles si inumidirono ma la sua bocca si distese in un sorriso carico di gratitudine. 

"Giuralo."

"Te lo giuro."

 

***

 

Col senno del poi, Derek non avrebbe dovuto fare una promessa così importante a cuore leggero. 

"Continua a correre, Derek!" Spronò Laura, guidandolo nella fuga tra gli alberi. "Non fermarti!" 

Derek corse, cercando di ignorare l'odore di fumo e cenere aggrappato ai loro vestiti che gli stava facendo prudere il naso. 

L'immagine del perfido sorriso dipinto sulle labbra della donna che aveva pensato di amare, mentre reggeva un bastone in fiamme, stampata indelebilmente nella memoria. 

Lo avrebbe tormentato nei suoi peggiori incubi negli anni a venire.

Ad un miglio di distanza alle spalle dei due giovani lupi, la dimora degli Hale stava ancora bruciando. 


***

 

Claudia Stilinski morì quell'estate. 

La donna si tolse la vita in uno dei suoi ultimi barlumi di lucidità. 

Privata della propria bacchetta e rinchiusa in una clinica umana da mesi, dove veniva trattata come una normale paziente affetta da psicosi, la strega non ebbe altra alternativa se non quella di usare un lenzuolo come cappio. 

A trovarla, ancora appesa alle pale del ventilatore della sua stanza, furono suo marito Noah e suo figlio Mieczysław, detto anche Stiles.  

Nessuno fu sorpreso da quel finale. 

Il funerale fu organizzato due giorni dopo. 

Claudia aveva lasciato scritto nel suo testamento di voler essere seppellita nel piccolo cimitero della cittadina che lei e suo marito avevano scelto come luogo per crescere loro figlio, invece che nella cappella di famiglia insieme al resto dei suoi parenti defunti. 

Fu una cerimonia semplice e breve, a cui parteciparono appena dieci persone, compreso l'officiante. 

Tra esse, spiccavano i nomi di Albus Silente e Alan Deaton. 

Stiles ne fu sorpreso. 

Non aveva avuto idea che i due uomini conoscessero intimamente sua madre quando si era rivolto loro in cerca d'aiuto. 

Suo padre lo riportò a casa, scusandosi venti volte nei cinque minuti di tragitto dal cimitero alla loro abitazione per doversene andare così presto.

"Mi dispiace, figliolo. Ho delle cose da sbrigare che non possono essere rimandate." 

"Non preoccuparti, papà. Lo capisco." Lo rassicurò con un finto sorriso. 

Noah gli accarezzò la guancia e lo strinse in un abbraccio da orso prima di scomparire nel camino usando la metropolvere. 

Stiles fissò smarrito il soggiorno. 

Si sentiva vuoto, privato di qualsiasi energia o emozione. 

Il suo sguardo si posò sul calendario appeso alla parete. 

Mancava meno di un mese al ritorno ad Hogwarts. 

Meno di un mese e sarebbe tornato nel luogo che ormai considerava come una casa. 

Amava suo padre, era l'unica famiglia che gli restava, ma non c'era mai a causa del suo lavoro e da quando sua madre si era ammalata, si era fatto distante, chiudendosi in se stesso con il proprio dolore, come se fosse l'unico a soffrire per l'imminente perdita. 

Ad Hogwarts invece, Stiles aveva Scott e Derek che lo stavano aspettando. 

Doveva solo sopravvivere alle prossime settimane senza crollare, poi le cose sarebbero andate meglio.  

 

***

 

Stiles stava facendo colazione con i cereali quando i suoi occhi catturarono la notizia dell'incendio sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta che suo padre teneva sotto il braccio. 

Stiles gli strappó dalle mani il giornale, scorrendo con le palpitazioni la lista dei nomi delle vittime. 

 

Emily J. Hale - 110 anni

Connor Hale - 75 anni 

Sarah Hale - 68 anni 

Thomas Hale - 55 anni 

Talia Hale - 42 anni

Samuel Hale - 41 anni

Peter Hale - 29 anni

Margaret Hale - 23 anni 

Adam T. Hale - 25 anni 

Laura Hale - 18 anni

Derek Hale - 16 anni

Cora Hale - 10 anni

Lucas Hale - 6 anni 

Benjamin Hale - 2 anni

 

Stiles non voleva credere ai propri occhi. 

 

L'incendio sembra imputabile a un gruppo di babbani contrari all'uso di pratiche magiche. 

Gli estremisti, dopo essere riusciti ad intrappolare la famiglia all'interno della loro abitazione (il metodo utilizzato è ancora un mistero su cui stanno indagando gli Auror), l'hanno data alle fiamme.

14 corpi sono stati ritrovati carbonizzati all'interno della casa...      

 

Recitava l'inizio dell'articolo. 

Stiles corse in bagno a vomitare. 

"È uno scherzo, vero?" Singhiozzò, aggrappandosi a suo padre quando lo aiutò a ripulirsi la bocca. "Papà. Dimmi che non è vero!"

"Mi dispiace figliolo." Sussurrò il mago, massaggiandogli la schiena per cercare invano di calmarlo. 

L'intero mondo di Stiles stava andando di nuovo in frantumi. 

 

***

 

Quando a Settembre suo padre lo accompagnó all'Espresso per Hogwarts, Stiles salì sul treno a vapore con un'unica triste certezza su quello che lo avrebbe atteso ad Hogwarts. 

Nonostante lo avesse promesso, Derek Hale non sarebbe stato lì. 







 
   
 
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