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Autore: TheSlavicShadow    15/04/2022    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Dicembre 2009

 

Noi creiamo i nostri demoni. Non ricordava dove lo avesse sentito la prima volta, ma le era sempre piaciuta come frase. Probabilmente l’aveva letto in un libro o sentito in qualche film, ma non era importante. 

Suo padre aveva creato molti dei suoi stessi demoni. Aveva nemici in ogni dove nonostante avesse sempre fatto il piacione con tutti. Ma lo sapevano tutti che i suoi amici si contavano sulla punta delle dita. E su alcuni aveva dovuto ricredersi. 

Lo stesso si poteva dire di lei. Aveva creato molti più demoni rispetto a suo padre. In ogni angolo degli Stati Uniti sicuramente, se non anche del mondo intero. E le persone su cui poteva affidarsi, ma non era sicura nemmeno di questo, si contavano sulle dita di una mano. La sua paranoia costante non l’aiutava di certo a fidarsi del prossimo. E i suoi comportamenti passati non l’avevano di certo aiutata a farsi amare dalle persone. 

C’era stato un periodo davvero buio e se ci ripensava provava quasi vergogna per sé stessa. Aveva trattato spesso le persone come pezze da piedi e se ne era resa conto troppo tardi. Lei era Natasha Stark e aveva tutto il diritto di comportarsi come più le piaceva. Di questo era stata fin troppo convinta, a causa della giovane età, del potere economico che improvvisamente possedeva, e del collasso emotivo in cui era. Il danno era stato fatto e ora doveva solo continuare a raccogliere i cocci disseminati lungo il suo cammino.

Sei mesi prima, solo sei mesi prima, aveva visto l’opinione pubblica spaccarsi letteralmente a metà per quello che la riguardava. Una volta sarebbe stata quasi unanime nella condanna che lei fosse una minaccia a qualsiasi cosa. Invece adesso c’era una parte sempre più consistente della popolazione che la stava ammirando. Si stupiva sempre di come potessero dei bambini prenderla come esempio e di quanto potessero essere scellerati quei genitori che lo permettevano. Capitan America sarebbe stato un ottimo esempio da seguire. Non di certo Iron Woman. 

Lei al massimo poteva essere un ottimo esempio per il tossico della stazione.

Si era passata una mano sugli occhi. Stava di nuovo finendo in una spirale di cattivi pensieri quando avrebbe dovuto rimanere concentrata sul lavoro e sul migliorare l’armatura. Non si ricordava ormai nemmeno quante ne avesse costruite. 

“Signorina Stark, dovrebbe dormire. Sono quasi 72 ore che non ha praticamente chiuso occhio.”

“Devo finire prima qui, poi posso dormire.” Aveva morso con forza un pezzo di stoffa prima di inserirsi degli impianti sottocutanei. Stava oltrepassando con molta probabilità ogni limite della decenza umana e scientifica, ma non le stava minimamente importando. 

Quando Loki, il dio dell’inganno e della rottura di scatole, l’aveva lanciata dalla Stark Tower sarebbe morta se non avesse avuto i braccialetti creati apposta per richiamare l’armatura. Aveva passato i successivi mesi a creare qualcosa che potesse avere sempre addosso e che richiamasse l’armatura allo stesso modo.

Dei microchip sottocutanei erano stati la risposta. Sarebbero stati contenti tutti i complottisti se l’avessero vista. Dei veri microchip inseriti in un corpo umano, collegati ad un’intelligenza artificiale che poteva controllare poi un’armatura a distanza. 

Si era superata e se ne era stupita. Quella idea le era venuta in uno dei suoi vaneggiamenti notturni con troppo alcool e poco sonno in corpo. 

“Signorina Stark, mi dispiace insistere, ma si ricorda l'appuntamento di questa sera?”

“No.”

Lo ricordava. Lo ricordava benissimo, ma non ci voleva pensare. Non era nemmeno un appuntamento. Era solo un impegno all’ultimo. Era soltanto una visita di cortesia di un vecchio amico. Nulla di importante. Nulla per cui strepitare. 

“J., ne va della mia sanità mentale finire questo progetto e vedere che funziona. Tutto il resto in questo momento è totalmente superfluo. Devo solo capire di non essere totalmente andata fuori di testa per essermi iniettata tutte queste cose nelle braccia.”

Non erano stati mesi facili quelli che erano seguiti a New York. Era scappata nuovamente da quella città e si era rinchiusa nel suo eremo per potersi lasciar andare ai pensieri distruttivi che continuavano a ronzarle in testa. Nulla dopo New York era stato facile. Aveva scoperchiato il vaso di Pandora e dentro c’erano solo vermi. La speranza non dimorava in quelle mura e questo già lo sapeva da tempo. 

Quando si era lasciata andare alle confessioni con Steve Rogers, non aveva trovato quella pace che sperava. Non c’era da nessuna parte ormai. E la battaglia aveva solo accentuato ancora di più quel malessere che continuava a vivere. 

Spesso il male di vivere ho incontrato”, diceva un poeta italiano, ed era lo stesso male che anche lei provava in continuazione. Arrancava per andare avanti a tentativi. Inciampava lungo la strada e cadeva ancora più in basso. Non trovava quella salvezza di cui parlava il poeta. Quella indifferenza, quel distacco di cui il poeta scriveva lei non riusciva a metterlo davvero in pratica. Solo a parole. A fatti cadeva, cadeva e cadeva e non c’era un posto in cui riuscisse davvero ad aggrapparsi e fermare quella caduta. 

Quando le sembrava di aver trovato un terreno stabile in cui fermarsi anche solo per un attimo, questo si frantumava sotto ai suoi piedi e non c’era molto da fare. 

“Il capitano Rogers sarà qui tra poco. Le consiglierei almeno di farsi una doccia prima del suo arrivo.”

“Steve mi ha vista in condizioni peggiori, e poi ha deciso lui di passare. Non è stato invitato e quasi non gli è stato dato il permesso.” Aveva pulito una traccia di sangue con lo straccio che aveva morso fino a pochi attimi prima. Aveva finito con gli impianti sottocutanei. Ora doveva solo provare se funzionavano davvero una volta inseriti sotto pelle. Ma la sua intelligenza artificiale continuava a distrarla. 

Steve Rogers le aveva telefonato quella mattina che sarebbe stato a Los Angeles per lavoro e che sarebbe passato a trovarla. Gli aveva risposto di fare come preferiva. Non voleva sembrare felice o scossa o qualsiasi cosa, così aveva optato per l’indifferenza. Sperava che facendo così Steve avrebbe lasciato stare, ma l’uomo aveva riso al telefono e le aveva semplicemente detto l’orario in cui sarebbe arrivato. 

Non sapeva nemmeno lei come prendere quella notizia esattamente. Aveva fatto finta di non averci pensato per tutta la giornata, quando invece questo pensiero continuava a distrarla più del dovuto. 

Si erano incontrati un paio di volte in quei sei mesi, ma era solo per lavoro e sempre in qualche sede dello S.H.I.E.L.D.. Non avevano scambiato più di qualche parola e sempre inerente a quello per cui si erano incontrati. Civili e professionali, nulla di più erano stati.

“Se questo non funziona, avrò un bel problema col togliere questi impianti.” Si era alzata in piedi osservando i punti rossi sulle braccia. Aveva superato il limite, vero? Una persona normale non avrebbe mai neppure pensato a fare una cosa simile, figuriamoci metterla in atto su sé stessa. Ma lei aveva ormai superato ogni limite. Lo aveva detto la Vedova Nera stillando il suo bel rapporto su di lei. E lo aveva dimostrato col suo bel stunt a New York.

Almeno una volta al mese riceveva una telefonata da Fury in persona. Sembrava preoccupato, o questo coglieva dalle domande che le faceva e che non avevano nulla a che fare col lavoro. Era una mina vagante, una spina nel fianco. Glielo aveva detto più di una volta in passato. E a quanto pare entrare volontariamente in un buco interdimensionale era considerato autolesionista. O questo era ciò che coglieva dalle sue parole.

“Coraggio, ragazzi. Vediamo se l’ultima cosa che ho partorito avrà senso. U, tu filma. DUM-E, tu sei solo l'addetto antincendio. J, tu monitora i parametri vitali una volta che avrò avviato il tutto.”

“Come sempre, signorina.”

Con un movimento della mano aveva dato inizio al processo di vestizione. Aveva pensato a questo metodo perché anche con i polsi legati sarebbe riuscita a farlo e a richiamare l’armatura. Sempre se avesse funzionato.

I primi tentativi con solo alcuni pezzi erano stati fruttuosi. Avevano funzionato al primo tentativo. Ma tutta l’armatura non era sicura si sarebbe composta nei punti giusti. Anche perché, doveva ammetterlo, non sempre era stata molto lucida nei momenti in cui lavorava. Considerando che quasi non dormiva. 

I pezzi dell’armatura volavano verso di lei, agganciandosi nei punti giusti senza alcuna difficoltà. Si sentiva quasi un cavaliere dello zodiaco con la sua lucente armatura e quando anche l’ultima parte si era chiusa aveva sorriso soddisfatta. Aveva funzionato al primo tentativo e non poteva essere più orgogliosa di sé stessa. 

“I suoi parametri vitali sono perfetti, signorina Stark. L’armatura si è chiusa con precisione in ogni punto.” La voce dell'intelligenza artificiale si era subito fatta sentire all’interno dell’elmo e facendole comparire davanti agli occhi un’immagine olografica dell’armatura stessa.

“Sinceramente sono stupita di esserci riuscita al primo tentativo.” Aveva guardato una mano ricoperta di metallo e si era resa conto che ormai quella armatura era davvero una seconda 

pelle. Forse avrebbe davvero dovuto andare da uno psicologo , uno vero, e non maltrattare telefonicamente Bruce Banner ogni volta che aveva bisogno di parlare con un essere umano. Mascherava quel bisogno dicendo di dover parlare di scienza con qualcuno che la capisse. Ma in realtà lo usava solo come valvola di sfogo quando i pensieri si facevano troppi e troppo pesanti. 

“Le faccio i miei complimenti, anche se ormai queste armature le costruisce con molta facilità.” 

“Anche troppa.” Aveva ridacchiato tra sé e sé. Era un passatempo ridicolo, ma le piaceva troppo mettere le mani sulle vecchie armature e ricrearne di nuove. Sempre migliori. Sempre più leggere ma resistenti. “J., sincero, ho fatto bene a non dirgli di non passare?”

“Signorina Stark, questa storia con il capitano Rogers è peggio di una soap opera messicana, ma vedere una faccia amica ogni tanto non le farà male.”

“Cosa vorresti dire? Devo anche vedere Rhodes domani per pranzo. Vedo le persone, ogni tanto.” Con un altro gesto della mano aveva dato il comando all’armatura di togliersi e rimettersi in piedi completamente assemblata. Era stata brava anche questa volta, doveva dirselo. “Steve non so nemmeno perché dovrebbe passare. Non credo sia la prima volta che viene a Los Angeles.”

“Potrà chiederglielo tra mezz’ora circa. Per questo motivo le suggerisco di farsi una doccia e di mettere qualcosa di pulito. Non vorrà farsi trovare con una maglietta sporca di sangue per farlo preoccupare inutilmente?”

Voleva ribattere qualcosa, ma non avrebbe avuto senso. Steve si sarebbe davvero preoccupato se avesse visto la maglia sporca o qualche traccia di sangue sulle sue braccia. E l’ultima cosa che voleva era avere Steve Rogers addosso che si preoccupava per lei. Lo ricordava ancora con fin troppa vividezza tutte le volte che era entrato in modalità mamma chioccia e non la mollava nemmeno per un attimo. Era piacevole e soffocante allo stesso tempo. E adesso l’ultima cosa di cui aveva bisogno era qualcosa che la soffocasse. Era scappata da New York proprio per questo motivo. Lì era diventato tutto troppo soffocante.

“Vado a lavarmi. Tu ordina cinese per cena.”

 

✭✮✭

 

Era appoggiata al muro dell’ingresso quando la porta si era aperta. J.A.R.V.I.S. aveva aperto il cancello quando il citofono aveva suonato e lei era quasi corsa all’ingresso. Ovviamente avrebbe sempre negato di averlo fatto e si era appoggiata al muro fingendo nonchalance. Aveva ancora i capelli bagnati, ma si era cambiata. Aveva indossato dei leggins e una maglietta puliti. Aveva anche pensato di mettere qualcosa di più carino, ma quella era solo una visita di cortesia, si era ripetuta. Tutto il resto era nella sua testa da TSO. 

La porta si era aperta ed era entrato un raggio di sole. E quel raggio di sole era Steve Rogers che sorrideva.

“Ciao, Tasha. Scusa per questa visita improvvisa.”

“No problem, Cap. Tanto ero a casa oggi e non avevo molto da fare.” Si era staccata dal muro e aveva mosso qualche passo verso di lui che stava entrando. Jeans, maglietta, anfibi, giubbotto di pelle. Avrebbe venduto la propria anima al diavolo per vederlo ancora in sella alla sua moto così. 

“Ero nei paraggi e volevo vedere come stavi davvero.”

“La casa è ancora in piedi come puoi vedere, e non ho fatto aggiunte o altro.” Oh, come avrebbe voluto gettarsi tra quelle braccia e addormentarsi su quel petto. Quello sarebbe stato un ottimo piano per avere qualche ora di sonno in più. “Sento Fury su base bisettimanale e Coulson minimo settimanale. Chiamano con le scuse più disparate, ma non sono così stupida da non aver capito cosa stiano facendo.”

“Glielo avevo detto che non dovevano usare scuse.” Steve aveva scosso la testa e aveva messo le mani in tasca. Sembrava quasi imbarazzato, ma del resto si era autoinvitato da solo. Che avesse seguito il proprio istinto e poi si fosse pentito? 

“La stessa cosa che gli ho detto io l’ultima volta che li ho sentiti. Vieni, ho ordinato cinese.”

“Ah, non pensavo di fermarmi. Volevo solo passare…” Si era passato una mano sulla nuca, prima di passarla sul viso e restare in silenzio. Pensieroso. Combattuto.

Aveva inarcato un sopracciglio mentre lo osservava. Era in imbarazzo davvero. Non sapeva nemmeno lui cosa stava facendo. 

Il leggendario Capitan America messo in crisi dalla presenza della famigerata Iron Woman. Sarebbe stato un titolo perfetto per gli articoli di giornale. O per le fanfiction su di loro che si era ritrovata a leggere di notte. La gente davvero non aveva molto da fare se scriveva su di loro inventandosi storie su storie. A volte anche simpatiche, doveva ammetterlo. 

“Volevi passare per un ciao e andartene?” Aveva incrociato le braccia e gli aveva sorriso. “Tutto sto sbattimento nel traffico serale solo per un ciao? E lo sbattimento di J.A.R.V.I.S. nell’ordinare la cena, vuoi mettere?”

“Fare una telefonata non lo definirei sbattimento, signorina. Buonasera, Capitano Rogers. Spero che non abbia trovato troppo traffico per arrivare fino a qui.”

“Salve, J.A.R.V.I.S..” Steve aveva fatto un leggero sorriso dopo aver spostato la mano dal viso. “Non molto, pensavo molto peggio in realtà.” L’aveva guardata e amava e odiava essere guardata da lui. Era troppo per lei e per il suo povero cuore martoriato. Martoriato da lei stessa poi, perché era la causa del proprio male sempre. 

“Steve, una cena assieme che male può farci?” Molto. Si era risposta, ma non voleva farsi sfuggire quell’occasione. Steve le mancava sempre. Non lo diceva mai, non lo avrebbe mai ammesso a nessuno e quasi nemmeno a sé stessa. Ma Steve, la sua presenza, le mancava. Le mancava anche solo l’amicizia che li aveva sempre legati. Per questo non era riuscita a dirgli di non passare. Ci avrebbe, come sempre, pensato in seguito a rialzarsi dalle spirali depressive in cui finiva per ricadere. 

“Giusto. Non può farci del male.” Era quasi sicura che Steve la pensasse come lei. Sarebbe stata una serata distruttiva per entrambi e loro erano autolesionisti da manuale. A fine serata ognuno si sarebbe messo in un angolo a leccarsi le ferite facendo finta di stare bene. 

Steve l’aveva seguita in cucina, dove lei aveva stranamente già apparecchiato. Non che avesse dovuto fare molto. Aveva solo tirato fuori dalle buste le scatole con la loro cena e aveva messo la birra in tavola. Quella era sempre stata la loro tipica cena di ripiego. Quella di quando Steve rientrava tardi dal lavoro e lei ovviamente non cucinava. 

Era una cosa nostalgica, ma lo erano del resto entrambi. Anche se lei, al contrario di Steve, non lo ammetteva mai. Forse tra i due era in realtà lei quella nostalgica davvero. 

“Era da un po’ che non entravo in questa cucina, ma non è cambiata molto.”

“Non è cambiato nulla in tutta la casa. Come l’hai lasciata, così è rimasta.” Si era seduta, indicando a Steve di fare lo stesso. Era da un po’ che non aveva compagnia per cena. Rhodes era spesso via per lavoro. Pepper aveva i suoi impegni, ed Happy la seguiva ovunque come un fedele cagnolino. Avrebbe dovuto indagare anche su cosa stavano facendo quei due perché non gliela raccontavano giusta. 

“Strano.” Steve aveva sorriso e si era seduto prendendo subito degli spaghetti con gamberi e verdure. Lo aveva osservato mentre iniziava a mangiare e non avrebbe mai pensato di rivederlo in quella cucina. Era davvero una situazione strana. Piacevole, ma molto strana. 

“Sono stata molto impegnata in questi mesi. Ho costruito nuove armature.” Aveva iniziato a mangiare anche lei, cercando di sforzarsi a mantenere la conversazione leggera. Voleva fosse una delle solite conversazioni che avevano avuto a quel tavolo. “A te com’è andata al lavoro?”

“Brancoliamo nel buio.” Lo aveva visto sospirare e lo aveva osservato incuriosita. “Hai sentito parlare del Mandarino, no? Sembrerebbe essere a capo dei Dieci anelli.”

“Ah, ora capisco perché sei qui.” Aveva mormorato riempiendosi la bocca di cibo. Doveva immaginare che Steve si sarebbe preoccupato di fronte ad una minaccia simile. “Dopo New York sto mantenendo un profilo basso su tutti i fronti, e non produco più armi. Non il tipo che potrebbe interessare a loro.” L’Afghanistan non l’avrebbe mai lasciata in pace. Quel ricordo sarebbe tornato a perseguitarla fino alla fine dei suoi giorni, ne era certa. Non se ne sarebbe mai liberata. 

“Sì, lo so che te ne stai qui buona. Fury mi tiene informato.”

Steve le aveva sorriso e c’era qualcosa che non tornava in tutta quella situazione. Lei si era solo soffermata a Steve che passava a trovarla e non aveva pensato a tutto il resto. Il suo cervello era troppo stanco per collegare le sinapsi e farla ragionare. 

Steve lavorava pur sempre per lo S.H.I.E.L.D.. Era, come lei e tutti gli altri, un Avenger solo per hobby. E quell’uomo aveva informazioni che lei non aveva e non aveva nemmeno cercato. 

“Cosa non so?” Aveva solo guardato il telegiornale, nemmeno prestandovi attenzione.

“Non sappiamo ancora esattamente cosa vuole il Mandarino. Ci sono stati alcuni attentati rivendicati da lui, ma non abbiamo mai trovato le bombe.” Steve aveva sospirato e si era solo allora accorta che sembrava stanco. Fisicamente e mentalmente. Non ci aveva fatto caso in un primo momento. Era solo stata elettrizzata all’idea di vederlo entrare in casa e tutto il resto non aveva senso. 

“In effetti anche Rhodes non mi ha detto nulla di degno di nota su questo tizio. E io li ho anche conosciuti, ma non posso aiutarvi in alcun modo. Ero chiusa nella grotta e loro volevano solo il Jericho.” Aveva giocato con le bacchette nel cibo e improvvisamente le era passata la fame. I flash di quei mesi non avevano aspettato a farsi vedere. “E non so effettivamente nulla di loro. Per me erano solo i miei aguzzini e li ho fatti fuori tutti. O così pensavo.”

“Da te nessuno vuole niente, Tasha. Non sono venuto qui per conto dello S.H.I.E.L.D., volevo solo vedere se eri davvero al sicuro.” L’uomo aveva allungato una mano oltre il tavolo e l’aveva messa sulla sua. “Sono qui come Steve, non un agente dello S.H.I.E.L.D..”

“Così fai emozionare il mio cuoricino malandato.” Aveva inarcato un sopracciglio e lo aveva guardato. Sorrideva lievemente, ma non aveva spostato la mano dalla sua. Doveva immaginare che Steve si sarebbe preoccupato. Dopo l’ultima conversazione seria che avevano avuto, non si stupiva più di nulla. 

“Non era esattamente quello il mio scopo, ma temo di non poterci fare nulla.” Aveva spostato solo allora la mano, ma non aveva smesso di sorridere. E lei non aveva fatto altro che guardarlo mentre riprendeva a mangiare con tranquillità. Si era rilassato. Rilassato davvero e tutti i dubbi che aveva avuto si era dissipati. 

“Dimmi, Steven.” Aveva appoggiato il viso sul palmo della mano e l’uomo l’aveva guardata con gli spaghetti a metà fuori dalla bocca. Avrebbe voluto sempre fotografarlo in quei momenti per metterli in giro per la città. Quello era il vero volto di Capitan America. Non la postura rigida e autoritaria con cui lo raffiguravano sempre. Quello era il vero volto di Steven Grant Rogers. “Sharon sa che sei qui?”

Non voleva trovarsi sotto il fuoco incrociato. Andava bene tutto, non sarebbe stata la prima volta che si trovava in mezzo a coppie che litigavano a causa sua. Ma sapeva che qualcosa era cambiato in lei. Se una volta erano situazioni che non la toccavano e la divertivano ora non più. A 15 anni era divertente. A 23 non le interessava minimamente cosa potevano pensare gli altri e faceva quello che voleva. A 29 se ne sentiva 90 ed era stanca dei continui flirt, scandali e tutto quello che ne seguiva. Soprattutto non voleva macchiare ulteriormente la reputazione di Steve e trascinare in questo anche Sharon. Aveva troppo rispetto per sua zia Peggy per fare una cosa simile.

“In verità, non stiamo più insieme da qualche mese.” Steve aveva sospirato e si era appoggiato con la schiena alla sedia. Aveva toccato un tasto dolente e ora se ne pentiva. “Dopo New York le cose non sono più state le stesse.”

“Non per colpa mia.” Aveva alzato entrambe le braccia in aria. “Non sono stata io quella che ha baciato l’altro, per una volta.”

“Per assurdo non è stato nemmeno quello il motivo. Dopo tutta la rabbia, ha concluso che era colpa del momento ed era vero. Fosse stata qualsiasi altra situazione non lo avrei fatto.”

“Quindi devo morire ancora per farmi baciare da te?”

Steve le aveva sorriso, ma aveva ignorato il suo commento. 

“E poi sono iniziati i problemi. Più da parte sua che da parte mia in realtà. Capisco che lavora per lo S.H.I.E.L.D. anche lei e che deve sempre tenere un profilo basso, ma era diventata paranoica. Se prima di New York ogni tanto siamo usciti a cena fuori, improvvisamente lei non voleva farsi vedere accanto a Capitan America, testuali parole. E da lì la situazione ha iniziato a precipitare.”

“Beh, eri così anche tu con me all’inizio. Certo, è diverso, io sono Natasha Stark tutti mi conoscono e non ho mai avuto una bella fama. E tu sei il simbolo dell’integrità americana corrotta da me. Ho probabilmente rovinato la tua immagine pubblica nel periodo in cui uscivamo assieme.”

“Direi che io ho migliorato la tua.” Steve le aveva sorriso. “La capisco, davvero. Ci sono appunto passato anch’io con te, ma uscivamo di casa anche quando nessuno sapeva chi ero. Siamo andati anche alle sere di gala assieme proprio perché lo S.H.I.E.L.D. ci protegge anche con false identità. Ma era diventata paranoica dopo New York. E anche per me la situazione era diventata insostenibile, perché comunque ogni tanto saltava fuori la storia del bacio.”

“Stai riuscendo a farmi sentire in colpa per una cosa che non ho fatto, ti rendi conto? In questo momento vorrei quasi averti baciato quando ci siamo salutati a New York così almeno avrei la coscienza a posto sapendo che è davvero colpa mia.”

Steve le aveva sorriso ancora e aveva ripreso a mangiare. Per un attimo era rimasto in silenzio, e lei aveva solo continuato ad osservarlo. Ne avevano passate tante in quella cucina, anche se sempre per un breve periodo. 

Stavano sempre insieme per brevi periodi e poi le cose precipitavano. Anche se finivano sempre per ruotarsi attorno come attratti da una gravità che non riusciva e non voleva spiegarsi. La sua era ossessione, ne era sicura. Era cresciuta con il mito di quell’uomo. Era la sua cotta per una celebrità, una di quelle cose stupide ed infantili che a volte non superi in alcun modo. Quella di Steve non sapeva come definirla. Ma quando meno se lo aspettava, quell’uomo ricompariva nella sua vita. 

“Resterò a Los Angeles ancora per qualche giorno. Magari posso ripassare a trovarti.”

“Se non vuoi tornare al quartier generale, puoi rimanere anche qui. C’è una stanza vuota. Sei un po’ lontano dal lavoro, ma almeno stacchi da quel postaccio.”

“E se mi vedono uscire da questa casa domani mattina?” Steve l’aveva guardata e aveva sorriso. Si era stupita che non avesse rifiutato subito. 

“Oh, dichiarerò che c’è stato un ritorno di fiamma di quelli molto focosi.” Aveva incrociato le braccia al petto e inarcato un sopracciglio nella sua direzione. “Tutta la notte sesso selvaggio in ogni angolo della casa. Ti ho lasciato anche graffi così profondi sulla schiena che nemmeno il tuo corpo da super soldato è riuscito a rimarginare subito. E dovrebbero vedere in che stato è ridotto il tavolo della mia officina dopo che mi ci hai sbattuta sopra.”

Steve Rogers aveva riso. Riso di gusto, con una delle sue risate profonde che gli uscivano da dentro e sembravano far vibrare tutto il suo corpo. E le faceva piacere vederlo ridere così per una stronzata detta da lei. Non ridevano insieme da troppo, troppissimo tempo.

E anche questo le era mancato. Non doveva illudersi. Non era un ritorno di fiamma. Non sapeva nemmeno se poteva definirlo davvero così visto che da parte sua non si era mai spento proprio nulla. Ma vedere Steve Rogers seduto al tavolo di quella cucina, cenare e ridere con lei, quello era un tuffo nel passato e le aveva scaldato il cuore. Le aveva fatto dimenticare per qualche istante tutto quello che la preoccupava e non la faceva dormire di notte. Steve era come sempre un salvagente nelle situazioni critiche. E se avesse voluto parlarne sapeva che l’avrebbe ascoltata e non avrebbe sminuito il problema. Perché Steve era sempre così con lei. Probabilmente con tutti, ma le piaceva pensare di avere un posto speciale nel suo cuore. Avevano passato davvero tante notti seduti sul divano a parlare delle cose che li tenevano svegli. Si ascoltavano in silenzio e forse era quello di cui avrebbe avuto bisogno anche in quel momento.

 
   
 
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