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Autore: _sweet    19/04/2022    1 recensioni
(...)"È iniziato tutto con il sole, la Nutella, un pesce di nome Nemo e una boccia piena d’acqua.
Sì, credo che sia stato in quel pomeriggio di giugno che ho capito di odiare mia sorella. Forse un po’, preda di quella gelosia così comune nei bambini che vanno ancora alle elementari. Forse, un po’ di più del normale. Forse, perché era meglio di me e alla fine me ne ero accorta per davvero."
Perchè tra sorelle l'affetto è anche questo; guardare l'altra e scoprirla il peggior nemico che si possa avere. Una cosa che Emma e Giada sanno bene.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È iniziato tutto con il sole, la Nutella, un pesce di nome Nemo e una boccia piena d’acqua.
Sì, credo che sia stato in quel pomeriggio di giugno che ho capito di odiare mia sorella. Forse un po’, preda di quella gelosia così comune nei bambini che vanno ancora alle elementari. Forse, un po’ di più del normale. Forse, perché era meglio di me e alla fine me ne ero accorta per davvero.
Comunque, ricordo il sole e il sudore che mi appiccicava i capelli alla base del collo. Ricordo la cioccolata sul cotone del vestito e l’acqua che mi aveva bagnato la punta del naso, una volta tornata a casa.
 

CAPITOLO 1 - NEL PARADISO DEI PESCI 
 
Giugno, 2007

Mamma svita il tappo della bottiglietta, bagna l’angolo di un fazzoletto di carta e mi afferra per il gomito. «Dai, vieni qui.»
Due gocce d’acqua cadono a terra, sul grigio opaco dei sampietrini. Faccio un passo avanti e le copro con la punta delle ballerine; forse così saranno al sicuro dai raggi del sole.
«Sono già qui.» borbotto. 
«Vedi di fare poco la spiritosa, Emma.» Mamma si china su di me e prende il vestito tra pollice e indice, «guarda che razza di macchia. Perché riesci sempre a sporcarti?»
Una ciocca di capelli castani le scivola davanti al viso e, per un secondo, il profumo del suo shampoo alla lavanda copre la puzza di zucchero filato della bancarella più vicina.
Ha ragione, ma io le avevo già detto di non volerlo mettere, il vestito nuovo. E non è colpa mia se il cartone della crêpe scottava tanto da non poterlo tenere bene; ho i polpastrelli tutti bruciacchiati. Alla fine, la Nutella era pure quella finta. Che fregatura.
«Mi fai male. Tiri troppo!» Scuoto le spalle, mamma non lascia la presa. Continua a sfregare il fazzoletto umido sull’enorme macchia marrone, proprio sopra la pancia.
Tanto non andrà mai via, lo so. Un po’ come il succo delle ciliegie sulla camicetta rosa o la striscia verdina, di qualcosa che neanche nonna ha saputo individuare, sui pantaloni di ieri.
Mamma bagna un altro fazzoletto e aumenta il ritmo. «Devi stare più attenta quando fai le cose. Non so più come dirtelo.»
Apro la bocca per rispondere, ma Giada è più veloce di me. «Mammina, quando andiamo a comprare il pesciolino?»
«Mai. Non ti serve nessuno stupido pesce.» dico.
Mamma dà uno strattone un po’ più forte degli altri al vestito. «Non trattare male tua sorella, Emma.»
«Ma io–»
«Fatto. Poi quando torniamo a casa lo diamo a nonna così lo lava per bene.» Mamma si raddrizza e butta i fazzoletti nel cestino.
La macchia c’è ancora ed è anche più grande con i margini irregolari sbiaditi dall’acqua. Non posso andare in giro conciata così, non con Giada che fa le giravolte per vedere le pieghe della gonnellina azzurra ruotarle attorno.
«Adesso andiamo via, vero?» Mi avvicino a mamma e infilo la mia mano dentro la sua.
Lei scuote la testa e stringe le dita di Giada nell’altra mano. «Ora si va a comprare Nemo.»
«Evviva!» Giada fa un piccolo saltello per sottolineare la sua felicità e mi sorride.
Ma non c’è niente da ridere, oggi. Rispondo con una smorfia e incrocio le braccia sulla pancia. Quando passiamo davanti alla vetrina della Benetton mi giro a specchiarmi nel vetro e mi sembra di essere una delle vecchiette che pregano la domenica a messa. Però, non posso farci niente; è l’unico modo per nascondere l’alone di Nutella finta.
Attorno alla statua di Leopardi al centro della piazza le bancarelle sono più numerose e la gente riempie tutto lo spazio disponibile, allungandosi sopra le merci esposte al sole. Collane e bracciali con le pietre grandi come nocciole, pile di libri dalle copertine sbiadite, piantine grasse con le spine simili a stecchini, borse di finta pelle e ancora piadine, hot dog, frittelle di mele e formaggi che odorano di calzini sporchi. Troppe cose insieme e troppe persone in un solo posto, nello stesso momento.
Lo stand degli animali è l’ultimo, al limitare della piazza. Per fortuna non c’è quasi nessuno, tranne un ragazzino che tiene al guinzaglio un cane nero e un signore con la camicia appiccicata alla schiena dal sudore.
Giada si avvicina all’acquario dei pesci e appoggia i palmi sulla plastica opaca per le ditate untuose di centinaia di altri bambini.
«Ciao, piccolina. Ne vuoi uno?» La signora dietro alla bancarella inforca gli occhiali appesi al collo e indica i pesci.
Giada annuisce. Un riccio ribelle fugge dalla pinzetta e le rimbalza sulla fronte. «Quello arancione.»
La donna distende le labbra in un sorriso e guarda mamma. «Quello arancione, allora?»
Mamma dice di sì e lei prende un retino, lo immerge nell’acquario e tira fuori il pesce. Le squame arancio e argento sembrano cosparse di brillantini.
«Ecco qua, piccola.» Dice, mettendo un sacchetto di plastica pieno d’acqua nella mano tesa di Giada.
Nemo non ha abbastanza spazio per nuotare. Credo che gli piacerebbe tornare dai suoi amici.
«Emma, scegli un pesciolino anche tu.».
Ma io non voglio un pesce. Mi piacerebbe uno dei gattini grigi che si rotolano nella scatola. Magari il più piccolo, quello con le striature marroni attorno alle orecchie.
«No, non mi va.»
«Sì, Emmy! Così Nemo non si sentirà solo.» Giada preme un’altra volta la mano che non tiene il sacchetto contro il vetro.
«Non lo voglio un pesce!» ripeto.
Perché Nemo dovrebbe avere un amico? Allora, tanto vale portarsi via uno dei gattini che ci sono per fargli avere un po’ di coccole. Ma a mamma non piacciono i gatti, o i cani o qualunque altro tipo di animale che sia più grande di un pugno.
«Va bene, scelgo io un compagno di giochi per Nemo.» Annuncia mamma, «prendiamo…lui.»
E un altro pesciolino, questa volta giallo limone, viene tuffato nell’acqua di un secondo sacchetto di plastica.
La signora della bancarella ci saluta, le banconote strette nel pugno.
«Ecco, Emma. Questo è tuo.» Mamma mi dà il sacchetto.
Devo ammettere che è carino il pesciolino che ha comprato, con le squame più rosse verso la coda e la bocca che si apre e si chiude velocissima. Anche se non è l’animale che volevo posso avere lo stesso quello che ha Giada. Anzi, il mio Limone è addirittura più bello del suo Nemo. E comunque, che razza di nome è Nemo?
Le campane della torre iniziano a suonare, i rintocchi sfumano nell’aria e alcuni uccellini si alzano in volo dal tetto del Comune. La gente ammassata vicino alle bancarelle si schiera ai lati di una strada immaginaria, sul cotto della piazza. Mamma mi spinge di lato in linea con i suoi sandali dorati come se fossi un soldatino di stagno, quello della storia che ho letto ieri sera. Nell’ultima pagina, se non ricordo male, il soldatino e la ballerina di carta che ama bruciano insieme nelle fiamme del camino. Mi tocco una guancia ed è bollente per il caldo; spero che non facciamo tutti la fine di quei due giocattoli innamorati.
Un altro rintocco. Chissà se anche Limone, come le rondini, ne ha paura. A giudicare dal palpitare lieve delle sue pinne direi di no, forse le bollicine d’acqua formano una barriera impenetrabile per i rumori spaventosi.
Una tromba e un tamburo si mescolano agli ultimi suoni vibranti delle campane. Dal fondo della strada dritta disegnata dalle persone spuntano i cappelli e le giacche blu della banda, poi un prete vestito di bianco che tiene un microfono tra le mani intrecciate sopra la tonaca. Dietro, quattro tizi con il viso arrossato spingono un carro, seguiti da una folla a capo chino il cui canto esce gracchiante dagli altoparlanti all’inizio della fila. Su un panno damascato che copre le ruote del carro c’è San Vito.
Mamma mi tocca una spalla e subito faccio il segno della croce. Ti prego San Vito, fa’ che nessuno si sia accorto che ho il vestito sporco.
Lui mi passa davanti, gli occhi dipinti di azzurro in risalto sulla pelle chiara di cartapesta, e posso solo immaginare che mi abbia ascoltato. Starnutisco; tutti quei gigli che lo circondano risucchiano ogni particella d’ossigeno con il loro odore.
«La mano davanti alla bocca, Emma.» sussurra mamma.
Sì, so come si starnutisce, io. Non sono mica Giada, sempre a disperdere la sua saliva in giro. Però, non è una cosa furba sfidare la sorte un’altra volta e mostrare a tutti il pasticcio marroncino, tipo una pennellata venuta male di acquerello, che ho sulla pancia.
La processione ci sfila difronte, una donna con un foulard nero in testa si aggiunge a quelli che camminano e sparisce alla vista. Anche altri seguono il suo esempio mentre io, mamma e Giada restiamo ferme. È facile così, vorrei dire; è facile mettersi in mezzo e raggiungere la chiesa oltre la salita proprio ora, quando c’è gente che marcia sotto al sole da chissà quanto. Davvero troppo comodo. Mi mordo la lingua perché so che sarebbe sbagliato, nonna me lo dice sempre che la verità non è quasi mai la scelta giusta. Nessuno vuole sentire quello che gli crea sofferenza, stellina. Be’, oggi può essere orgogliosa di me, visto che non ho detto a Giada che odio Nemo o al prete di sgridare i furbetti ritardatari in processione.
Quando la scarpa del signore in fondo alla fila calpesta il bordo della piazza, la stradina creata dal nulla viene distrutta. Le persone ricominciano a parlare e le parole si confondono in un ronzio costante senza senso.
Mamma si gira verso l’orologio sulla parete della torre e stringe gli occhi. «Adesso andiamo a casa, va bene?»
Va bene mille volte per me. Giada non è dello stesso avviso. Sporge in avanti il labbro inferiore e dilata al massimo gli occhi marroni, già troppo grandi. I raggi del sole le spruzzano l’iride di una manciata di pagliuzze dorate, in perfetto accordo con i riflessi di miele tra i boccoli. Lei lo sa che nessuno, neppure papà, riesce a resistere quando fa così. A volte, questo superpotere può tornare utile anche a me, per un nuovo gioco o una porzione gigante di patatine fritte, eppure in questo momento vorrei che non sapesse farlo, risultare dolce e tutto il resto.
Mamma le accarezza il viso e le appunta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Domani ritorniamo alla fiera anche con zia e nonna.»
Giada ritira di scatto il labbro. «Se lo prometti, allora va bene.»
Falsa. Quella frase glie l’ho insegnata io, dovrebbe almeno ringraziarmi.
 
***
 
Limone e Nemo nuotano in cerchio nella boccia di vetro sopra al tavolino. Giada mi si siede accanto sul divano, i piedi nudi a qualche centimetro dal parquet. «Secondo te sono felici di stare lì dentro?»
Mi stringo nelle spalle. «Forse. Non lo so.»
Quello che so è che non c’è niente di più bello dell’aria condizionata sulla pelle dopo l’afa di prima. Sono quasi sicura che anche i pesciolini si rendano conto della differenza.
 «Facciamo un gioco?»
Giada stacca gli occhi dalla boccia e gli angoli delle labbra le schizzano all’insù. «A che cosa giochiamo?»
Prendo una treccia che mi solletica la spalla e inizio a mordicchiarne l’estremità. Un gioco, ma quale? Nonostante il bel fresco che c’è in casa fa troppo caldo per mettersi a correre. E in cucina ci sono mamma e nonna che preparano la cena; ci sgriderebbero di sicuro.
Un gioco, un gioco…
Allontano i capelli dalle labbra e vado al centro della sala. Mi fermo sul rombo rosso in mezzo al tappeto. «Ho trovato. Facciamo che siamo principesse di un regno sotto al mare e che loro» punto l’indice verso i pesciolini, «sono le guardie del nostro palazzo.»
Giada batte le mani e si avvicina. «E ci prepariamo per andare al ballo come Cenerentola?»
«No, siamo delle principesse guerriere!»
Giada aggrotta la fronte. «Quindi non balliamo?»
Perché non arriva a capire le cose? Per fortuna che è la più brava della classe.
«La nostra è una danza che ci farà vincere la guerra. È magica, capito?»
«Capito. E contro chi dobbiamo combattere?»
Ecco, questa sì che è una bella domanda. Qualcosa di terribile, qualche mostro terrificante…
«Ognuna sceglie il suo cattivo. Il mio sarà un polipo gigante con i tentacoli ricoperti di broccoli.»
In effetti, mi sembra abbastanza spaventoso. Ora tocca a Giada. Si passa la lingua sulle labbra, poi arrotola il bordo della canotta attorno all’indice tozzo. «Io scelgo uno squalo.»
Banale. Sarà un nemico fin troppo semplice da sconfiggere.
«Come vuoi. Ora, dobbiamo solo sperare che Limone e Nemo ci avvertano in tempo dell’arrivo dei nemici.»
Giada annuisce e lascia il bordo della canottiera, ormai spiegazzato. «Adesso iniziamo il gioco?»
Limone e Nemo si rivelano dei cavalieri impeccabili; gridano avvertimenti e ci incitano a sconfiggere i mostri. Poi, Giada interrompe a metà una piroetta che dovrebbe aiutarla a ridurre in cenere i canini appuntiti dello squalo. Guarda la boccia e mi fa cenno di avvicinarmi.
Limone galleggia immobile sulla superficie dell’acqua. Nemo continua a nuotare frenetico, sfiorando con le pinne i sassolini sul fondo.
«Emmy, è morto!» Giada si copre la bocca con le mani.
Corro a chiamare mamma e anche lei dice che non c’è più nulla da fare. Limone starà già esplorando il Paradiso dei pesci. Guardo l’acqua del water vorticare in un mulinello che inghiotte Limone ed è difficile pensare che lui sia davvero tra coralli e stelle marine.
Torno in salotto. «Non voglio giocare con te, sei noiosa!» grido a Giada che mi tira per una mano, pronta a riprendere il combattimento lasciato a metà.
Lei si precipita in cucina. Me la immagino seduta sulle gambe di mamma a lamentarsi della mia cattiveria. Chissenefrega, voglio restare sola.
Non è giusto. Perché il mio Limone è morto e il suo Nemo respira ancora?
Giada ha i capelli ricci che si schiariscono in estate, i dentini bianchi e perfetti, le guance paffute che su di lei non sono qualche chilo di troppo ma un altro elemento di tenerezza, amichette da invitare ogni sabato pomeriggio e adesso, come se non bastasse, ha anche un pesce.
No, non è giusto.
Vado al tavolino, afferro la boccia e la rovescio. L’acqua si allarga in una pozza sul legno e il centrino attutisce la caduta dei sassolini. Nemo è una piccola mezzaluna arancione sul bianco del pizzo. Il corpicino sussulta, la coda si agita così tanto che uno schizzo d’acqua mi finisce sul naso. Ha gli occhi rotondi fissi alla porta, ma nessuno verrà ad aiutarlo.
I pesci hanno bisogno dell’acqua per respirare e so che tra pochi secondi Nemo morirà.
A ogni spasmo vedo i capelli di Giada diventare lisci e neri, i denti macchiarsi di giallo e distanziarsi fino a lasciare uno spazio tra gli incisivi superiori, le guance lievitare come il pane che nonna mette in forno coperto dallo strofinaccio a righine e le sue amichette smettere di salutarla.
Deglutisco. Nemo è immobile.
Se Limone è nel Paradiso dei pesci, ora non è più solo e se il Paradiso dei pesci si trova in cielo, allora San Vito potrà giocare con loro.
«Emma, vieni ad apparecchiare!» grida mamma dalla cucina.
«Arrivo!» Spengo la luce del salotto e, anche se gli occhi di Nemo non possono più vedere niente, sento il suo sguardo incollarmisi addosso.

Note:
Savle a tutti! Se siete arrivati fino a qui: GRAZIE PER AVER LETTO.
Poi, alcune precisazioni veloci sulla storia che intendo sviluppare. Semplicemente e banalmente, l'idea è quella di raccontare il rapporto tra Emma e Giada nel corso della loro vita, tramite la narrazione di alcuni episodi salienti della loro quotidianità. Dunque, aspettatevi salti nel tempo e nello spazio che spero saranno sempre e  comunque abbastanza chiari. E niente, non voglio rubarvi altro tempo o fare eventuali spoiler. Dico solo che, per cause relative alla vita e che esulano dal mio controllo, non sono sicura di quando potranno avvenire gli eventuali aggiornamenti della storia. 
Con la speranza di non aver annoiato nessuno, a presto!

P:S. Se volete farmi sapere la vostra opinione su quanto avete appena letto ne sarei molto felice. Solo così si può migliorare, giusto? 

 
   
 
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