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Autore: LondonRiver16    20/04/2022    0 recensioni
“Ho solo cercato di proteggere delle vite innocenti, quel giorno” fremetti, ancora nudo dalla cintola in su, ancora scosso per una punizione che ormai mi era entrata sottopelle e sarebbe sempre stata parte di me. “Un amore.”
La sua esitazione durò solo un battito di ciglia.
“Erano le vite sbagliate. Un amore sbagliato” decretò lapidario. “Tu fai parte di una famiglia privilegiata, Arlen. Questo comporta sacrifici. Comporta non poter scegliere chi amare. Ti rendi conto di quanto sia grave ciò che è successo? Questo tipo di scosse politiche può risolversi in un’onda come in un maremoto. Se vogliamo che l’Accademia e assieme a lei l’intero Continente rimanga stabile, questi errori da principianti non possono e non devono essere commessi. Un abbaglio può costarci ogni cosa.”
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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I. Due ribelli per un solo saggio

 

Fu un clangore di lame che cozzavano a svegliarmi nei meandri della notte, strappandomi senza alcun rispetto ai miei sogni. Non appena riuscii a recuperare una parvenza di coscienza, saltai a sedere e diedi un’occhiata alla stanza per farmi un’idea di ciò che stava accadendo.

Il letto arrangiato su una struttura di giunchi accanto al mio era disfatto e vuoto, così come quello addossato alla parete opposta della stanza. La mia tunica e il mio mantello erano gli unici indumenti appesi al muro dietro la porta, mentre perfino parti delle armature da addestramento dei miei fratelli mancavano. Arrivai ad essere certo del guaio in cui si erano cacciati ancora prima che il frastuono dato dall’incrocio inclemente di due spade e le loro grida giungessero come promemoria alle mie orecchie.

Lasciando che i capelli mi volassero dietro le spalle, mi precipitai ad affacciarmi alla finestra che dava sul cortile e subito i due apparvero sotto il mio sguardo allarmato, con i corpi che emergevano dalle tenebre della notte solo grazie ai pochi lumi appesi alle pareti esterne del maniero.

Stavano combattendo. E non per mero allenamento, ma lottando per prevalere l’uno sull’altro. Con spade reali, non le solite armi di legno che eravamo soliti usare per allenarci ogni volta che non potevamo perdere tempo a indossare una vera armatura.

Non mi misi a urlare solo perché sapevo bene che non mi avrebbero nemmeno sentito, figuriamoci ascoltato. Per qualche secondo li osservai dall’alto dare e ricambiare affondi, parate e attacchi da ogni lato, servendosi anche dei passi più elaborati mostratici dal nostro maestro di spada, e mi ritrovai a pensare che forse nostro padre aveva ragione: quei due non avevano bisogno d’altro che di un intervento fisico per imparare un minimo di prudenza. Ma, malgrado ciò, non ero mai riuscito a controllare il mio buon cuore prima d’allora e mi fu subito chiaro che nemmeno quella sarebbe stata la serata giusta.

Rifiutando di allungare i tempi che avrebbero potuto permettere ai miei fratelli di uccidersi a vicenda, mi precipitai a infilarmi la tunica appesa alla parete – a garanzia del pudore che non mi avrebbe permesso di precipitarmi nel cortile nella mia nudità notturna -, calzai i miei sandali di cuoio e sbattei la porta nella fretta di precipitarmi nel corridoio in penombra e poi giù dagli scalini a chiocciola che conducevano al piano terra, direttamente nella sala arredata di ricordi di glorie e onori che fungeva da atrio.

Non feci troppa attenzione al cuore che mi martellava in petto né al fracasso che l’eco del mio passaggio lasciò nell’androne delle scale. In fondo, se il baccano del duello fra Devin e Kenneth aveva lasciato almeno un’anima libera di riposare, io non sarei mai riuscito a peggiorare la situazione, neppure impegnandomi a fondo. Tutto quello a cui pensai in quei venti secondi di discesa fu la nuvola d’incertezza che mi annebbiava la mente.

Io, Devin e Kenneth eravamo tre ragazzi gemelli di sedici anni. Ma mentre io ero reputato senza dubbio alcuno il più docile e assennato, i miei fratelli emergevano come sicuri talenti nell’accademia di guerrieri di cui nostro padre era il responsabile e, tanto per complicare la vita al sottoscritto, erano nati con una spiccata attitudine a una competitività sfrenata che profanava a dir poco le regole di vita del nostro illustre genitore. Però occorre dire che anch’io avevo le mie discrete qualità di guerriero e apprendista. Nonché una formidabile abilità nel seguire i miei cari fratelli nel fango che si creavano da soli.

Superato in un lampo il fastoso ingresso deserto, giunsi nel piazzale appena in tempo per ammirare una parata di Devin all’ultimo tentativo di Kenneth di ferirlo al fianco. Fu quello l’istante in cui mi accorsi che non solo stavano rischiando di ferirsi a morte con vere lame taglienti, bensì avevano avuto l’ardire di sguainare niente di meno che i generosi regali che avevano ricevuto dalle più nobili casate affiliate all’Accademia. Spade eccelse, che avrebbero fatto una figura eccellente durante ogni occasione di rappresentanza, ma che erano anche affilate e assetate di sangue come ben poche. E quei cretini non si erano nemmeno presi la briga di infilarsi degli elmi, oltre che fornire come protezione al resto del corpo solo una misera imbottitura.

“Ragazzi, smettetela! Siete usciti di senno, nostro padre vi ucciderà!”

Senza prestarmi la benché minima attenzione, Devin si preparò a menare uno dei suoi fendenti più temibili. Gettando la testa all’indietro, sollevò la spada sopra il capo prima di gettarsi in verticale sopra Kenneth, che rispose al suo grido con un ruggito non da meno, portando il suo pesante spadone all’altezza della fronte e mettendo in atto una trionfale coreografia difensiva.

Siano ringraziati gli Dei, pensai, sudando freddo al pensiero dell’esito opposto.

Preso alla sprovvista, Devin rotolò nella polvere per qualche metro prima di ritrovare l’equilibrio. Kenneth gli riservò un’implacabile risata provocatoria.

Non meriti il nome che porti! I tuoi attacchi sono efficaci quanto quelli di un undicenne!”

“Vedremo chi sarà degno di chiamarsi Hjallmar una volta che avrò frantumato la tua difesa! La verità è che ti sopravvaluti e sei troppo lento, per resistere ancora a lungo!”

Io rimasi lì come un fantoccio a pochi metri dal centro dell’azione, raggelato e intontito, pieno di ammirazione e di compassione allo stesso tempo. I miei fratelli avevano la stoffa dei guerrieri, letali in ogni movimento che precedesse un vibrante affondo. Possedevano sia il coraggio che la ferocia del leone, ma parevano essere del tutto privi della pazienza e del buonsenso degli stessi felini, come aveva confermato il più vicino custode degli Antichi Padri, ribadendo più volte nel corso degli anni che quei tratti sembravano essersi riversati totalmente in me quando nostro nonno ci aveva lasciato.

Fui l’unico a voltarmi trasalendo quando nostro padre fece sbattere il portone da cui ero appena uscito e si fermò appena oltre l’uscio per scandagliare il cortile con occhi sgranati. Chiunque avrebbe potuto leggere con facilità i segni tangibili della sua collera, che non so come ma mi arrivava al cuore più intensa che mai, forse per il semplice fatto che non avevo nulla da temere sostenendo il suo sguardo.

Le pieghe disordinate della stoffa dei calzoni e la camicia di lino che gli si apriva per metà sul petto testimoniavano il suo brusco risveglio, ma l’abbigliamento trasandato non toglieva nulla all’autorevolezza che quell’uomo si portava dietro come un’ombra: nelle spalle possenti, nella schiena dritta come un fuso, nei capelli color fiamma, nelle mani strette a pugno le cui nocche stavano sbiancando rapidamente e nei fieri occhi cobalto che riflettevano la luce degli astri in quella notte tormentata.

Dietro la sua figura possente intravidi quella alta e fragile di mia madre, coperta solo da una tunica leggera e da una vestaglia celeste che le sfiorava le calzature da interni, fatte solo di morbida stoffa. Potevo sentire ardere il suo turbamento anche solo scorgendola nell’ombra, notando il tremore della mano che teneva posata sul braccio di mio padre.

Per un paio di interminabili secondi lui osservò i miei fratelli affrontarsi, teso e con la mascella che fremeva, mentre loro rimanevano ignari del suo arrivo. Quando ebbe avuto la conferma del tipo di armi con cui stavano combattendo ed ebbe visto da sé che razza di patetica protezione Kenneth e Devin avevano indossato prima di dare il via a quel suicidio programmato, un lampo di allarme gli balenò negli occhi e l’uomo fu rapido a sottrarsi al tocco delicato di sua moglie per intervenire il più celermente possibile.

Marciò verso il punto del piazzale di ghiaia dove né Devin né Kenneth si stavano risparmiando, aggredendo l’altro a ogni pie’ sospinto, senza tregua, tra ansiti e mezze grida di battaglia. Io lo seguii con lo sguardo, addolorato ma anche desideroso di sapere se i miei fratelli avrebbero imparato la lezione, quella volta, e dopo pochi attimi sentii mia madre affiancarsi a me, con la bocca coperta da una mano.

Mio padre si fermò per un istante laddove la sabbia s’involava in risposta al continuo balzare di qua e di là dei miei fratelli, proprio mentre Devin rispondeva a un assalto del fratello e incontrava la sua lama di piatto. Poi tutto accadde in una manciata di secondi: mio padre approfittò dell’istante in cui Kenneth scivolò con un ginocchio a terra per inserirsi nell’intreccio del combattimento e, approfittando della sorpresa di entrambi i figli, li divise seduta stante. Una sua manata decisa sull’elsa della spada di Devin fu sufficiente a fargliela abbandonare, stupito com’era mio fratello da quell’intrusione che non aveva visto arrivare. Subito dopo, voltatosi verso Kenneth, nostro padre vibrò un calcio sulla sua presa malferma, attento ad evitare di colpirgli le dita ma spaventandolo abbastanza da far crollare l’arma a terra, pervasa da un brivido che risuonò in tutto il cortile.

Poi mio padre fece un passo indietro e si concesse solo un sospiro, mentre Kenneth si rimetteva in piedi e si scambiava con Devin un’occhiata indecifrabile quanto il loro bisogno di misurarsi in battaglia. Quando finalmente l’uomo parlò, fu usando un tono di voce forzatamente basso, come se si trovasse davanti a una pira funeraria e si stesse mordendo la lingua per non concedere libero sfogo alle urla.

Non solo decidete di mettervi a guerreggiare nel bel mezzo della notte, spaventando l’intera cittadella, ma lo fate senza alcun riguardo per le vostre vite. L’idiozia che vi ha colto vi ha forse fatto dimenticare quanto facilmente una lama di quel tipo può trapassare queste imbottiture, se usata senza un minimo di criterio? Non credete ci sia una ragione se ve le facciamo usare assieme a spade di legno? Razza di sconsiderati!” scattò, allungando una manata alla veste di cuoio imbottito che rivestiva il torace di Kenneth.

Quest’ultimo, saggiamente, non mosse la minima obiezione al colpo subito e chinò la testa in segno di rimorso. O forse intendeva fare del proprio meglio per cercare di ignorare la piccola folla accorsa per scoprire a cosa fosse dovuto tutto quel fracasso e per godersi lo spettacolo agrodolce di un superiore infuriato. C’erano i nostri compagni dell’Alta Cavalleria, oltre la prima fila di istruttori, il che voleva dire che il giorno seguente sostenerne lo sguardo sarebbe stato arduo.

Avreste potuto ferirvi, rompervi un arto, o peggio!” disse mio padre a denti stretti, ma ora abbastanza forte perché la sua voce tuonasse nitida nel cortile. Poi alzò lo sguardo e studiò quello dei figli, irritato dalla loro sfacciataggine oltre che da tutto il resto. “Troppe volte ho indugiato, con voi due. Ringraziate vostra madre se sono state poche quelle in cui ho alzato le mani su di voi. Ma ora basta.”

Senza ulteriori spiegazioni, si pose di fronte a Devin, che non indietreggiò ma abbassò il capo serrando gli occhi.

Il primo ceffone lo fece trasalire e retrocedere di un passo, ma ai seguenti, che non osai contare, si fece trovare preparato, stabile, silenzioso nell’assorbire l’ira di nostro padre. Come suo solito, dimostrava il coraggio e la prontezza di spirito che gli invidiavo da sempre. All’ultimo di quella serie di schiaffi assestati senza pietà paterna, però, si accasciò al suolo, sopraffatto, sputando sangue.

Dopo avergli concesso la benevolenza di un’occhiata dall’alto, mio padre si spostò verso destra fino a fronteggiare Kenneth, le cui mani tremavano per la tensione. Conoscevo la sua angoscia. Mio fratello era un soldato addestrato che prometteva di diventare un Cavaliere valoroso, un giorno, ma non era ancora in grado di sostenere l’incendio della rabbia di nostro padre senza rabbrividire.

“Morven, no!” provò a opporsi mia madre, facendo due passi avanti e allungando un braccio.

Non avevo mai avuto dubbi su chi fosse il figlio che preferiva e sicuramente non li aveva neppure mio padre, ma questo non lo fermò dal concedere a Kenneth niente di più o di meno della stessa sorte subita da Devin. Kenneth, che nell’aspetto era la fotocopia di nostro padre, dimostrò una resistenza maggiore del fratello, ma alla fine anche lui cadde in ginocchio con il naso che sanguinava.

Ora portatemi le vostre spade” ordinò nostro padre, indifferente agli sguardi spauriti dei miei gemelli.

I due obbedirono, l’uno pulendosi la bocca su una manica della casacca prima di raccogliere la propria spada e l’altro tamponandosi il naso con la stoffa della camicia di cotone mentre ritornava di fronte a nostro padre con la lama in posizione di riposo.

Io ammirai le due armi scintillanti alla luce della luna. Entrambe erano state forgiate nelle fucine dei maestri dell’acciaio dell’Impero dei Laghi, ma ognuna era unica nelle sue caratteristiche inimitabili, dato che erano state disegnate e create appositamente per aderire alle caratteristiche fisiche e allo stile combattivo proprio dei miei fratelli. Mentre quella di Devin era una spada ricurva – per la sua implacabilità chiamata Audace –, quella di Kenneth era una lama a doppio taglio, più classica e simile a quella di Lord Morven, per la sua rapidità nell’inferire squarci mortali battezzata Sfregio. Entrambe erano state un regalo per i miei fratelli da parte del regno da cui provenivano le loro rispettive future spose – anch’io ne possedevo una per lo stesso motivo. Ma utilizzarle senza permesso e vestiti al modo di Devin e Kenneth all’interno dell’accademia militare di cui la nostra famiglia era responsabile e che fin dall’infanzia si era fatta vanto di infonderci i basici principi di sicurezza in un conflitto… ebbene, quello era un ovvio desiderio di morte.

“Consegnatemele” comandò nostro padre, tendendo le braccia. “Le terrò rinchiuse finché non sarò sicuro che le meritiate. Sono due lame eccellenti e spettano a combattenti molto più capaci di quanto non siate voi ora.”

Ma, padre…” mormorò Kenneth, incredulo.

“Non intendo discutere con degli incoscienti immaturi, non stanotte!” tuonò allora l’uomo, allungando la mano aperta verso Sfregio e sfidandolo a replicare puntandogli addosso uno sguardo inflessibile. “A me.”

Stringendo le labbra fino a farle divenire esangui, Kenneth gli porse la propria spada dalla parte dell’elsa e suo padre se la infilò nella cintura, per poi voltarsi verso l’altro figlio.

In fretta, Devin, non voglio rimanere qui tutta la notte.”

È un'ingiustizia!” sbottò però il mio gemello, alzando il capo per fissarlo negli occhi, con le guance ancora rosse per i manrovesci ricevuti. “Queste spade ci appartengono di diritto! Non potete sottrarcele come se niente fosse!”

Anche se ero lontano, fui quasi sicuro di vedere una vena sulla tempia di Morven gonfiarsi di fronte a quell’ennesimo affronto.

“Non osare sfidarmi ancora, ragazzo. Ricorda che sono tuo padre e che puoi frignare quanto vuoi, ma non salirai mai sul gradino superiore al mio dove già ora credi di stare. Fa’ sì che non debba richiamartelo alla memoria di nuovo, Devin, se non vuoi incorrere in qualcosa di molto più serio di ciò che hai ricevuto stasera.”

Devin chinò nuovamente il capo, vibrante di vergogna. Immaginai si sentisse più consapevole che mai dell’assembramento di cadetti dell’Alta Cavalleria che si erano radunati nel cortile a debita distanza, affascinati da quello che sarebbe diventato l’evento più chiacchierato della settimana a dispetto dei richiami al silenzio degli istruttori.

“Dammi Audace immediatamente,” proseguì nostro padre in un sibilo, “se non desideri che ti colpisca ancora, stanotte. Qui, davanti a tutti. Sai che non avrei difficoltà a farlo, pur di inculcarti un po’ di rispetto in quella testa dura.”

Sì, lo so bene” ringhiò Devin, per poi tendere la propria spada verso suo padre dalla parte della lama.

Per niente stupito da quell’implicita minaccia, l’uomo afferrò la punta di Audace con una mano, la spinse in aria facendola roteare, la riafferrò per l’impugnatura e la mise a far compagnia a Sfregio.

Ora tornate nella vostra stanza e restateci li congedò, assestando una spinta alla schiena di Devin. “E ricordatevi che la prossima volta si tratterà di frustate e non di semplici schiaffi. Vediamo se questo sarà sufficiente, come monito, a impedirvi di trapassarvi il cuore a fil di spada a vicenda, dannazione.”

Quindi superò i passi incerti dei figli e fece un cenno a testa alta verso i due istruttori presenti ai margini del cortile perché facessero disperdere i loro allievi e gli ordinassero di tornare ai rispettivi giacigli. Infine venne a fermarsi davanti al sottoscritto.

Arlen” esordì, cercando di calmare il più possibile il tono di voce per farmi capire che non voleva riversare su di me la collera di cui Devin e Kenneth erano responsabili. “Non posso dirmi deluso dal fatto che non provi gli stessi istinti fratricidi dei tuoi fratelli, ma un aspirante cavaliere deve comunque dimostrare sempre il suo coraggio: intervieni, la prossima volta. Con le tue capacità sei in grado di fermarli entrambi mentre sono in un tale stato di idiozia.”

“Sì, padre” assentii, abbassando lo sguardo a terra. “Chiedo perdono, è solo che… ogni volta sento il loro rancore divampare anche dentro di me e… sono entrambi miei fratelli, non ho la forza di decidere da chi parte stare. E questo mi immobilizza.”

La tua maledizione è che sei il loro gemello” mi sorrise stancamente lui, posandomi una mano sulla spalla. “E allo stesso tempo sei molto diverso. Vorrei che fossi nato qualche anno prima di loro. Almeno adesso li potresti sopraffare con facilità e farti obbedire.”

Forse fu solo un’impressione, ma improvvisamente mi sentii perforato dallo sguardo letale di Kenneth.

“A letto, ora” sospirò però nostro padre, mettendo fine alla conversazione e precedendo tutti all’interno del maniero e poi lungo le scale a chiocciola.

Procedemmo in una fila scomposta tutti e cinque, i nostri genitori davanti e noi figli dietro in religioso silenzio, fino al primo piano. Lì si concentravano molti più alloggi di quanti noialtri, in qualità di famiglia del discendente del fondatore dell’Accademia, potessimo occuparne al momento. Soprattutto dato il fatto che io, Devin e Kenneth, in quanto cadetti militari, eravamo destinati a condividere un’unica camera, la più spoglia, finché non avessimo avuto una moglie che giustificasse un aumento di comodità.

Dal nulla intravidi nostra sorella minore Coraline affacciarsi alla porta della sua camera e rimanere sgomenta notando i volti malconci di Devin e Kenneth. Così, dopo che si fu curata di salutare il padre al suo passaggio, rivolse a nostra madre uno sguardo di supplica al quale la donna rispose annuendo con un sorriso triste prima di seguire il marito in camera da letto e chiudere la porta con il minimo rumore.

Solo allora Cora uscì di corsa, con addosso una veste da camera decorata da ricami argentati sopra la tunica leggera con cui aveva dormito, per precipitarsi verso Kenneth e Devin. Stava per parlare, mettendo a nudo ogni singola goccia della sua apprensione, ma Kenneth ebbe il buonsenso di premerle un dito sulle labbra e aspettare che tutti e quattro fossimo entrati nella nostra camera e la porta fosse stata chiusa per concedere libero sfogo a qualsiasi commento.

Che cosa è successo?”

Devin e Kenneth si sono sfidati di nuovo” risposi io, visto che i miei gemelli stavano ancora affogando nell’imbarazzo della punizione subita. “E questa volta nostro padre non si è limitato a urlargli addosso.”

Lasciatemi dare un’occhiata a quei lividi” sospirò allora Cora, che ad appena tredici anni era una Guaritrice più potente di nostra madre.

Quando però allungò la mano verso il volto di Devin, questi si ritirò con fare irritato.

“Lasciami stare, Cora.”

Dubiti che ti possa far stare meglio?” domandò allora nostra sorella, indignata. “Chi ti salvò dalla perdita di una gamba quando avevi dodici anni e ruzzolasti giù da quella tettoia?

Non è questo il problema.”

E allora…”

Ti dirò io qual è il problema” intervenne Kenneth, alzando lo sguardo. “Ci vergogniamo, Cora.”

“E per quale strano motivo?” insistette lei, spaesata.

Kenneth scoppiò in una risatina malsana e per niente allegra.

“Ti rendi conto di quanto sia grave quello che è successo per noi, per il nostro orgoglio e onore? Essere presi a sberle da nostro padre alla veneranda età di sedici anni, davanti a mezza Accademia. Ci ha trattati come due marmocchi capricciosi, certo non come due militari, e domani mattina tutti lo sapranno.”

“Ebbene, lascia che ti dica quello che penso, Kenneth” esclamai io a voce un po’ troppo elevata, alzandomi dal giaciglio dove mi ero accomodato, con le guance profuse dello stesso calore che doveva aver provato mio padre pochi minuti prima. “Data l’immaturità e l’avventatezza del vostro comportamento, dovreste rendere grazie che non vi abbia stesi sulle ginocchia e sculacciati come faceva quando conoscevamo il significato di ben poche parole. La verità è che voi due vi comportate continuamente come mocciosi viziati.”

Senza nemmeno lasciare alle mie parole il tempo di sedimentare, Devin mi si avvicinò con fare minaccioso, borbottando ingiurie, e mi afferrò bruscamente per la parte anteriore della tunica.

Prova a ripeterlo, femminuccia leccapiedi, e ti fa lavare l’offesa col sangue!”

Perché non usi il tuo, visto che nostro padre ha già gentilmente provveduto a fornirlo?” sibilai di rimando.

Lui tirò indietro la mano serrata a pugno prima di dirigerla contro il mio stomaco, ma per mia fortuna Cora fu lesta ad aggrapparsi al suo braccio e a bloccarlo.

“Smettetela!” ordinò con gli occhi lucidi. “Possibile che riusciate a ignorare in questo modo il fatto di essere fratelli? Non posso obbligarvi a volervi bene, ma almeno abbiate un minimo di rispetto per le persone che ve ne vogliono!”

Colpito dal malessere della sorella, Devin acconsentì ad abbassare il braccio lungo il fianco, ma sputò ai miei piedi e mi rivolse un’occhiata carica d’odio prima di andare a stendersi sul proprio letto dalla parte opposta della stanza senza aggiungere una singola parola.

“Bene” disse allora Cora nel silenzio, con lacrime che minacciavano di colarle lungo le guance da un momento all’altro. “Visto che nessuno qui sembra avere bisogno di me, me ne vado. Buonanotte.”

“Aspetta, Cora” si affrettò a fermarla Kenneth, rivolgendole un sorriso colmo d’affetto non appena lei si voltò a guardarlo. “Ti sarei davvero molto grato se volessi aiutarmi con questi lividi. Nostro padre ha la mano pesante e lo ammetto, la faccia mi fa un male cane.”

Lei lo guardò stralunata per qualche secondo, poi annuì, compita: “Certo. Fammi vedere.”

La osservai con attenzione mentre posava le mani fresche sulle guance di Kenneth e chiudeva gli occhi per concentrarsi sul dolore del fratello. Dopo pochi secondi, Kenneth sussultò e, quando nostra sorella allontanò le mani, il suo viso era di nuovo latteo e fiero, vagamente lentigginoso, senza accenni di gonfiore.

“Grazie, sorellina” mormorò lui.

“Aspetta.”

Con un solo tocco, Cora gli pulì il naso dal poco sangue raggrumato.

Dopo che della punizione di Kenneth non fu rimasto altro che il ricordo, tutti e tre restammo in silenzio per un tempo indefinito, con le maglie della notte che parevano sfilacciarsi attorno ai nostri respiri pacati e sguardi sfuggenti. Ben presto il mio e quello di Cora si concentrarono sulla schiena di Devin ed entrambi non impiegammo molto per dedurre che la stanchezza aveva avuto la meglio sul suo sdegno. Era quasi incredibile, quanto in fretta si fosse addormentato dopo essere stato uno dei protagonisti di tanto fracasso.

Sarà meglio che mi occupi anche di lui, ora che non può lamentarsene” sospirò mia sorella.

Con il tatto che la contraddistingueva, si avvicinò a Devin e operò su di lui come aveva fatto con Kenneth, senza destarlo dal suo sonno accigliato.

Ora me ne torno a letto” sbadigliò poi. “Cercate di riposare.”

Ricordo che sorrisi intenerito di fronte all’istinto materno che non sapeva tenere a bada. Ma il suo augurio non si rivelò sufficiente e quella notte dormii poco e male, conscio dell’astio che i miei fratelli covavano nei miei confronti.

 







 

Angolino dell’autrice

Se siete arrivati fin qui, grazie. Questa è una storia che ho rimaneggiato per moltissimi anni – dieci, se ricordo bene – e che da qualche mese, forse, si è avviata sul binario giusto.

Un abbraccio sconfinato a Luinloth per avermi fatto tornare la voglia di impegnarmi nella pubblicazione – cercherò di essere puntuale, pubblicando un capitolo ogni due settimane.

E un benvenuto a voi che state leggendo! Spero che questo capitolo vi abbia incuriositi almeno un po’ e che vi sia venuta voglia di seguirmi in questo viaggio. Se vorrete farmi sapere cosa pensate di questo primo capitolo, ogni recensione sarà più che ben accetta ❤️

Alla prossima!

   
 
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