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FROM THE DEAD.
Non
è vero,
sono ancora morta, ma non nel Valhalla, più ad Hellhaim.
Comunque spero che tutti abbiate passato una buona Pasqua, almeno
migliore
della mia ahah.
Devo confessare che ultimamente sto facendo una fatica infernale a
scrivere,
non solo questa ff, ma le storie in generale (ed il fatto che
prossimamente mia
aspettino settimane di fuoco mi uccide) però,
cercherò di aggiornare il più
possibile; comunque devo dire che rispetto al precedente, mi sono
divertita a
scrivere questo capitolo.
Vorrei ringraziare come sempre Farkas per la
gentilezza mostrata nel
sorbirsi questa epopea.
Ed ovviamente a chiunque legga/ricordi/segua/compagnia bella.
Buona Lettura ed un bacio a tutti <3
Non fidarti
della Strige del piano quattrocentodieci[1]
“Mimir
è
scomparso. Questo non va bene” aveva commentato Mel, sentito
il racconto di
Jason.
“Sì, ripensandoci bene, nelle uniche due volte che
ho incrociato Mimir
lui stava parlando con una persona e si è riferita a lui
come figlio di
Frey” aveva ricordato Jason, grattandosi il capo.
Non ne poteva essere assolutamente sicuro, anche perché, per
quanto stupido
apparisse non aveva mai dato troppa importanza a quei due sfioramenti
con il
dio scomparso. Ma se i fiumi cosmici avevano ritenuto importante
guidarlo lì,
anche se per un solo momento, doveva accettare che dovessero esserlo.
“Sai, Jason, quattro giorni fa, pensavo proprio che questo
posto fosse
diventato noioso” aveva replicato Mel, “Non andavo
in missione dalla seconda
metà del settecento, praticamente” aveva aggiunto,
rincuorato in qualche
maniera.
Poteva sembrare rilassato Mel, differentemente da Stellan, appoggiato
ad un
angolo dell’ascensore, che si teneva serrato il suo elmo da
vivo, sulla testa,
ma non lo era. “E secondo te il figlio di Frey da cui
dobbiamo guardarci e lo
stesso con cui Mimir parlava, ora che anche lui è
scomparso?” aveva chiesto
retorico l’elfo. Retorico perché non
c’era una risposta chiara.
Jason aveva guardato i grandi occhi, come laghi, di Stellan, pieni di
incertezza,
senza poter in alcuna maniera trovare una soluzione al suo quesito, che
sembrava
logico, così aveva rivolto lo sguardo a Mel.
“Da chi stiamo andando?” aveva chiesto. Non pensava
davvero che Mel
rispondesse, era sembrato evasivo, fino a quel momento, ma non poteva
fare
altro che provarci lo stesso.
Mel si era morso un labbro, “Uhm … la mia Sorella
di Latte?” aveva
provato il germano, incerto delle sue parole.
“Una cosa?” aveva chiesto Jason, confuso,
“Conosco i fratelli di sangue, di
giuramento” aveva provato. “Quando nascono due
bambini ed una persona non può o
non vuole allattare il suo. I due bambini che condividono lo stesso
latte sono
chiamati così” aveva raccontato Mel incerto,
“Il nostro caso è stato un po’
particolare” aveva ammesso.
Jason aveva annuito, “Quindi è come un membro
della tua famiglia?” aveva
chiesto, non del tutto convinto di quanto potesse entrare in questo
discorso.
Stellan aveva schiuso le labbra, “Anche la tua amica di
infanzia è un
einherjar? Vive qui!” aveva esclamato l’elfo
stupefatto. “Sì, ha avuto la
graziosa idea di morire con un’arma alla mano e proprio non
ho idea di che
diamine ci facesse una valchiria lì” aveva
raccontato Mel. C’era qualcosa di
strano nella sua voce.
L’ascensore aveva raggiunto il suo piano, annunciandolo con
il suo abituale din
confortevole. “Dei, mihi vires dabis[2]”
aveva ringhiato Mel, quando le porte si erano schiuse.
“Ohh …” aveva esclamato Stellan confuso,
Jason era rimasto irretito.
Perché quel posto sapeva di casa, come se un piccolo pezzo
di Nuova Roma fosse
stato spalmato nel Valhalla, incluso l’enorme striscione
rosso vibrante, su cui
era dipinto in oro, con caratteri latini: S P Q R, che dava il
benvenuto al
corridoio. “Questo è il piano dei
romani” aveva dichiarato Jason sconvolto,
chiedendosi perché non fosse finito lì.
“Sì, quelli morti nei campi di battaglia contro i
germani, per la maggior parte,
le valchirie non fanno troppe distinzioni, ma anche quelli che
combattevano con
e contro i variaghi o altri in generale. Insomma, l’Hellheim
del Valhalla”
aveva detto indignato Mel, uscendo dall’ascensore.
“Oh! Il piano quattrocentodieci, come il Sacco[3]!”
aveva commentato Jason, “Be, il piano esisteva da prima del
Sacco, ma rimane
una felice coincidenza” aveva considerato Mel, mentre
percorreva il corridoio.
Alcune porte erano aperte e Jason non aveva potuto fare a meno che dare
una
spiata, sentendo un rivoluzionario moto di infanzia.
Aveva anche spiato un paio di uomini giocare ad Aliossi.
Qualcuno li aveva notati ed aveva riservato non pochi sguardi
agonistici contro
Mel, il suo odio per i romani doveva essere ormai ben noto a tutti, in
duemila
anni.
Mel si era
fermato davanti ad una porta, “Ora, vorrei essere
faccia-a-faccia contro
Nidhoggr[4]
che
incontrare lei” aveva ammesso, “Perché
ci hai chiesto di venire? Nel senso,
abbiamo appurato perché hai chiesto a noi,
ma perché volevi compagnia?”
aveva domandato Jason.
“Non potevo farlo da solo” aveva
ammesso Mel, calmo, per quanto le sue
labbra tremolassero, “Lei … mi
annichilisce” aveva ammesso. Aveva sospirato ed
aveva bussato alla porta.
Quella si era aperta dopo un momento, senza annunci di particolare
evidenza;
Jason, doveva ammettere, si sarebbe aspettato una gorgone con tanto di
zanne da
cinghiale e chele di granchio, ma ciò che lo aveva accolto
era stato diverso.
Era una bella donna, sulla quarantina, ma ancora piacente, con
l’incarnato
olivastro, un viso a cuore incorniciato da riccioli neri e serpentini.
Non era
molto alta, ma neanche minuta, con un seno florido e fianchi larghi,
con una
vita sottile come quella di una clessidra. Indossava una tunica porpora
lunga
fino alle caviglie con un generoso scollo a V – che non
lasciava spazio all’immaginazione
– ed una stola rosso amianto. L’unica cosa che non
la faceva apparire come una
creatura perfetta, era un naso leggermente pronunciato – che
non le toglieva
niente.
Jason era rimasto stregato, da lei, ma non per il
suo aspetto incantevole,
ma per gli occhi … erano
castani e letali come quelli di un barracuda.
“Sono innamorato” si era lasciato sfuggire Stellan
senza vergogna
“Oh! Chi non muore si rivede!” aveva esclamato la
donna. “Tecnicamente siamo
tutti morti!” aveva biascicato Mel, con un tono
insospettabilmente
insicuro.
La donna aveva sorriso, come il suo sguardo, anche quello era
raccapricciante e
poco amichevole, “Entrate, entrate” aveva concesso
la donna, “Mi annoio
molto di questi tempi!” aveva detto senza
mezzi-termini.
La stanza della donna era incantevole, era della stessa dimensione di
quella di
Jason, divisa in due ambienti, uno doveva essere la camera da letto, ma
l’altra
era una stanza che riproduceva, in una versione ridotta, un triclinio
di
rappresentanza. Al posto del ninfeo, al centro c’era un
quadrato con della
terra ed un albero: il suo collegamento con l’Yggdrasill.
C’erano i tre kline d’uopo, che
circondavano da tre lati il piccolo
giardino. “Accomodatevi miei cari!” aveva stabilito
la donna, occupando quello
centrale, stendendosi su un fianco.
Mel si era seduto su quello sinistro, Stellan si era seduto
lì accanto, non
rispettando la tradizione del letto. Jason si era seduto in quello
libero, non
imitando la parola di casa.
“Non posso offrivi nulla da mangiare, non ho niente qui e
nonostante tutte le
mie richieste, Odino trova indecoroso darmi una valchiria
personale” aveva
cinguettato la donna, “Come se una signora dovesse servirsi
da sola” aveva
considerato quella.
“Non serve, tra poco serviranno il cinghiale” aveva
detto Mel, la sua voce era
sottile come quella di un topolino, “Inoltre sono qui da
poco, ma mi pare di
aver capito che la stanza ti da tutto quello che vuoi” aveva
sottolineato
Jason.
Era stata la prima volta che aveva parlato alla donna, questa aveva
subito
fatto saettare i suoi occhi predatori verso di lui, come se lo notasse
davvero
per la prima volta in quel momento.
“Tu sei?” aveva chiesto, ringalluzzita,
“Ehm … Jason Grace” aveva risposto lui,
sentendo per la prima volta il suo tono amaro sulla lingua.
L’espressione sul
viso della signora si era illuminato. Jason si disse che non poteva
conoscerlo,
certo, Jason era romano, era figlio di Giove, era stato uno dei ragazzi
della
profezia, ma quella signora era nel Valhalla da quasi duemila anni, era
sorella
di latte di Mel.
“Lui
è un nuovo avventore del piano
venti!” si era intromesso il suo amico attirando
l’attenzione nuovamente sulla
sua persona. La signora non aveva deviato gli occhi scuri da Jason come
se lo
stesse sondando attentamente, “Va bene!” aveva
detto, volgendosi poi finalmente
verso Mel, “Perché sei qui? Non che mi dispiaccia
vedere il tuo bel visino”
aveva chiesto con mestizia.
La bocca di Mel si era curvata in una smorfia insofferente, prima di
parlare, “Per
quello che è mio” aveva dichiarato, ci
aveva messo almeno un minuto buono,
lungo, come se avesse dovuto processare attentamente ogni parola.
La donna aveva sorriso, come una fiera, “Oh, Thumelicus ma tu
non possiedi
nulla” aveva risposto lei, con voce graffiante. “L’invito
di mio cugino!”
aveva replicato Mel, senza perdere il suo tono, come se le parole di
lei non
l’avessero toccato, sebbene Jason, poteva chiaramente vedere
l’infelicità nel
suo viso.
Quella aveva schiuso le labbra, “Oh!” aveva
esclamato stupita, “Perché lo vuoi?
L’ultima volta che ci siamo visti hai dichiarato che lo
odiavi e non volevi
avere più niente a che fare con lui” aveva
dichiarato.
“Sono passati anche duemila anni” aveva
sottolineato Mel.
“Improvvisamente voglia di amore familiare? Cose che non
posso capire” aveva
considerato quella.
“Sì. So che hai tu l’invito”
aveva insistito Mel, “Sei una delle poche persone
che avrebbe saputo dell’invito e che non avrebbe avuto dubbi
a prenderlo per il
solo gusto di poterlo fare” aveva terminato.
La donna aveva
ridacchiato, “Sono felice
che ricordi” aveva dichiarato quella, inclinando il capo,
facendo oscillare i
capelli riccioluti. C’era qualcosa di magnetico in quella
donna, letale e
famigliare.
“Sai un po’ ti invidio, guardati: sei bello e
giovane, invece, eccomi qui, come
una mela ammaccata” aveva dichiarato la donna.
“Penso mia signora, che lei sia ancora incantevole”
aveva dichiarato Mel sempre
rigido; Jason aveva un altro sospetto, aveva pensato alla conversazione
che
aveva avuto con Freydis in ascensore qualche giorno prima:
“Vuole delle mele di
Idunn” si era lasciato sfuggire. Le Mele non ridavano
semplicemente la
giovinezza, restituivano la forma migliore, anche ai non-morti.
“Bello ed anche intelligente!” aveva ridacchiato la
donna, indicandolo,
“Sicuramente non lo hai ereditato da tuo padre”
aveva decantato. Jason aveva
trattenuto il fiato; Stellan lo aveva guardato con discreta
perplessità e anche
Mel era confuso, lo vedeva dipinto sul suo viso.
“Ah” aveva esclamato la donna leggendo la
situazione, “Va bene, non importa.
Thumelicus, visto che sono di buona lena, procurami almeno uno spicchio
di mela
e ti darò l’invito” aveva asserito.
“L’invito è mio!” aveva
replicato Mel, il suo tono non era agitato, ma era
lontano dalla calma. “Non avevamo stabilito che tu non
potessi possedere nulla?
Tutto ciò che hai è mio. Tutto ciò che
sei è mio” aveva replicato la donna
senza battere ciglio – una voce imperiosa.
Mel aveva avuto un singulto.
Jason aveva ispirato ed aveva capito. “Lei era la tua
padrona” voleva solo
pensarlo, ma lo aveva detto ad alta voce. Erano stati fratelli di
latte,
avevano diviso lo stesso latte materno, sospettava che fosse quello
della madre
di Mel … lui era stato schiavo da ragazzino, Madina aveva
detto fosse nato in
catene, probabilmente la sua stessa madre era stata una schiava.
“No!” aveva esclamato Mel,
“Sì!” aveva replicato lei.
“Eri un … thrall?”
aveva domandato Stellan, piuttosto confuso. Mel lo
aveva ignorato guardando la donna: “Non è mai
stata la mia domina. La sua
bisnonna lo era, suo prozio lo è stato, ma non
lei” aveva stabilito, “Lei è
la mia sorella di Latte” aveva ribadito Mel.
“Be,
sì, non ha torto, tecnicamente.
Provai a comprarlo, avevo sedici anni, ma ero sotto la mano
di mio
marito, nonostante il mio sangue notevolmente più nobile. E
quello non ha
voluto. Quindi, si, certo, Mel ha ragione, non ero la sua padrona, ma
lui era
un bene della mia famiglia … per il resto, sì,
eravamo pari. Tutti e due piccoli
bambini, nati a due mesi di distanza l’uno
dall’altro – nella Germania Magna”
aveva replicato la donna, con una punta di cattiveria.
Jason ricordava che Samirah avesse chiamato Mel: Thumelicus
di Confluentes,
doveva essere il nome latino di una città tedesca. Forse
quando era nato lui,
si chiamava ancora così.
“Questo non cambia. Era duemila anni fa e io sono morto.
L’unico che ora
ha i miei servigi è il sommo Wotan ed io scelgo, come libero
uomo, di servirlo”
aveva dichiarato alzandosi.
“Provo una gran pace nel vederti ancora così pieno
di illusioni, Thumelicus”
aveva detto la donna, roteando gli occhi, davvero stizzita.
“Iulia tu mi sei
stata più cara di chiunque per molto tempo” aveva
commentato Mel, con voce
quasi colpevole – Jason fu certo che Madina non avrebbe
apprezzato – “So
chi ero e cosa ero, ciò che eri tu, ma ho
bisogno di quell’invito” aveva terminato Thumelicus.
Nel farlo si era inginocchiato davanti a lei. Mel aveva usato il tono
dolce e
gentile di un amante, quasi. Iulia
sorrise, in una maniera fredda come il ghiaccio, “Oh,
Thumelicus” aveva
cominciato, melensa, “Le prime volte che mi hai rivolto
parole così di miele,
avevamo tredici anni. Tu eri uno schiavo e la cosa era decisamente
sbagliata, a
modo suo era elettrizzante per questo. Quante fustigate mio fratello ha
convinto l’Archimagirus[5]
a darti per questo?” aveva chiesto, con cattiveria lei.
“Venti. Ma ora non ho
più le cicatrici” aveva risposto Mel, vibrando
nella voce e nel corpo. “Sì, lui
tendeva a reagire male a queste cose. Era un ragazzino così
problematico,
pensava che noi fossimo tutto quello che aveva” nel dire
quell’ultima cosa Iulia
aveva preso una nota malefica.
“Ti prego” aveva ripreso Mel, con un tono ancora
dolce, ma sbavato di
incertezza. “Dicevo, Thumelicus, avevo tredici anni quando mi
parlasti con così
tanta dolcezza … e da quel momento, mio caro, gli uomini che
lo hanno fatto non
sono mancati. Mariti, amanti, fratelli … Ma non si diventa
me, ascoltando tutti
gli idioti infatuati che ti dicono parole di miele” lo aveva
atterrato Iulia,
sciogliendo con un movimento secco la mano di Thumelicus dalle sue.
Mel si era allontano da quella confessione con terrore, quasi scottato.
Il sorriso di Iulia era cattivo, una falce di luna come la scure di
un’ascia.
La donna si era alzata dal suo kline, “Ti ho preso
l’invito, perché potevo, che
sia giusto o meno. Non sono senza cuore ed accetto volentieri di
ridartelo in
cambio di una mela di Idunn, diciamo mezza-mela, giusto per essere
giovane per dei
simpatici lustri” aveva scherzato lei.
Jason si era
tirato su, “La prego” aveva dichiarato con voce
stanca lei, “Stiamo affrontando
una situazione terribilmente drammatica – ed avremmo bisogno
di “quell’invito”
aveva dichiarato con voce perentoria Jason, alzandosi anche lui.
Sovrastava in
altezza Iulia di parecchi centimetri, ma tra i due, lei era certamente
la più
spaventosa. “Dici?” aveva domandato lei, con
divertimento, “La cosa dovrebbe
riguardarmi?” aveva chiesto retorica.
“Sì, ne va del mondo in cui viviamo?”
aveva risposto Jason.
“Be se è nel mondo in cui viviamo … Be,
Jason, forse non hai esattamente capito
chi io sia: ho cospirato contro mio fratello, ma penso che tu
non possa
darmi torto per questo, ho ucciso mio marito –
forse più di uno – e, potrei
o non potrei, aver complottato contro anche il mio stesso figlio. Pensi
mi
importi di esplodere come una supernova? Ho duemila anni!”
aveva risposto Iulia
con divertimento, “Se anche dovessi morire, mi sono comunque
divertita più di tutti
e tre sommati insieme” aveva aggiunto, scoccando uno sguardo
prima a Mel e Stellan,
che aveva sussultato.
Jason ebbe la bruttissima sensazione di sapere chi fosse Iulia in quel
momento.
La donna aveva sorriso della confusione e dell’orrore che si
era manifestata
sul viso di Jason, voltando il capo verso Mel di nuovo, “Come
ho detto:
portatemi una mela d’oro e tutto andrà
meglio” aveva commentato, con un tono di
miele.
Jason si era
seduto stanco affianco a Thumelicus, “Te lo ho detto. Ha
questo potere di
annichilire la gente, è un lascito di Apollo,
forse per quello” aveva
provato Mel, per rincuorarlo.
Jason aveva scosso il capo, “No” aveva dichiarato,
era qualcosa di peggio della
sua discendenza di Apollo, Jason lo conosceva come una
divinità svagata,
egocentrica sì, pure molto melodrammatica, ma era ‘a
posto’, ma
immaginava che ai tempi in cui Mel doveva vivere a Roma, come schiavo,
Apollo
dovesse essere nel massimo del suo fulgore e quindi anche un narcisista
egomaniaco
con l’abitudine di punire chiunque lo guardasse storto.
Perciò era possibile che con quest’ottica Iulia,
nome di una gens romana
piuttosto celebre, discendente da Apollo e Venere, potesse risultare
compatibile, con il suo indomito carattere sprezzante, ottimo materiale
come
lascito di Apollo.
Come d’altronde suo fratello –
e Jason sapeva a chi si stava riferendo.
Sorrise
stanco, arreso e, quasi, nauseato. “Freydis” aveva
esordito, “Lei consuma le
mele d’oro, magari ne ha una in più o sa come
raggiungere il giardino dell’Esperidi?”
aveva provato.
“Non è facile da rag … Giardino
dell’Esperidi? Quello è greco! Non ha un nome,
questo, è solo il frutteto di Idunn” lo aveva
corretto con gentilezza. Jason si
era morso il labbro, “Credo sia il nome più
famoso” aveva considerato, “In
realtà anche i celtici ne hanno uno di giardino”
aveva considerato Mel.
Iulia si era accomodata di nuovo sul suo letto, accavallando le gambe,
con espressione
piuttosto annoiata, “Se potete recuperare le mele dalla mia
stanza va bene … ma
lo credo difficile” aveva detto casualmente.
Jason si era
alzato, così come Mel, che lo aveva seguito, con espressione
abbattuta, “Ti
odio, Iulia” aveva dichiarato il germano, con una voce
sottile, spiando la donna,
che aveva sorriso di pura circostanza, “Non essere
così duro con me. Ho fatto
recuperare il tuo corpo dall’arena a Ravenna e ti ho
tributato tutti gli onori”
aveva considerato. “Grazie, se avessi incontrato Caronte
avrei dato la moneta
con il faccione di Tiberius” aveva detto Mel, imboccando la
strada per la
porta, seguito da Jason.
“Avete dimenticato qualcosa … Potete lasciarlo
qui, se volete. Trovo gli elfi
gradevoli da guardare” aveva considerato Iulia, attirando la
loro attenzione.
I due ragazzi si erano voltati, subito, notando Stellan ancora seduto
sul
letto. Con gli occhi rivolti alle punte degli stivali da giardinaggio
di plastica.
“Amico?” lo aveva chiamato.
Stellan aveva sollevato lo sguardo, i suoi occhi erano biglie accese di
un
azzurro intenso, come fil fuoco da gas.
Iulia aveva drizzato le spalle, con una leggera preoccupazione sul
viso, ed allora
Stellan si era alzato, le mani invece di essere morbide lungo il
fianco, erano
tese e rigide a quarantacinque gradi, con i palmi rivolti verso di
loro. Con una
voce sottile, appena un sussurro, aveva ripetuto qualcosa. Alle
orecchie di
Jason era parso nulla più che un borbottare. Una luce
vibrante d’azzurro si era
dipanato dalle mani di Stellan e poi lo aveva avvolto. Era
così accecante, che
Jason aveva dovuto chiudere gli occhi, quando la luce era venuta a
scemare, lo
spettacolo che l’aveva accolto era stato sorprendente.
L’albero che occupava il soggiorno di Iulia, al posto di un
ninfeo, non era più
un piccolo alberello dalle foglie verde bruno a spilli, ma una creatura
quasi
viva.
Il tronco era rimasto piccolo, ma i rami si erano estesi come
rampicanti, come zampe,
fino a raggiungere Iulia e farla prigioniera in spire di legno e foglie.
“Sta tramontando il sole nel mio mondo. Non può
succedere. La notte ci
distrugge, la notte ci uccide” aveva dichiarato Stellan
grave. Gli occhi erano
ancora scintillanti come lampadine al neon.
“Adesso ho capito perché Gerd lo ha preso come
giardiniere” aveva esclamato
Mel, sconvolto, ma non meno di Jason.
Il figlio di Giove aveva guardato Iulia, un ramo, vivo, come un
serpente le
stringeva la gola sottile, “Pensi mi importi? Qui non posso
morire … e di certo
se Alfheim muore non è un problema mio” aveva
rantolato lei, prima che Stellan
stringesse un pugno e la corda intorno al suo collo si facesse un filo
più
stretta. “Non posso tenerla così a
lungo” aveva dichiarato lui con voce più incerta
voltandosi verso di loro, “E lei non
parlerà” aveva considerato. “No, non lo
farà. Una volta rubò la spilla più
cara dell’Imperatore, dono della sua
amatissima prima moglie, e non volle mai rivelare dove fosse”
aveva raccontato
Mel, “Il caro prozio aveva anche minacciato di farmi tagliare
una mano, come ai
ladri” aveva detto la donna.
La frase sarebbe risultata molto più d’effetto, se
la giovane non l’avesse
detta con un disperato tono raschiante.
“Però … “ aveva cominciato
Jason, dopo uno sguardo veloce con Stellan, “Tu sei
il suo fratello di Latte, tu la conosci meglio, almeno tre noi tre, da
sapere
dove terrebbe l’invito” aveva considerato Jason.
Mel si era morso il labbro, “Certo,
le sistemavo la camera, tanto da sapere dove sistemava il suo tesoretto
segreto
– incluso la spilla di Vipsania Agrippina[6]
- ma sono passati anche duemila anni. Ho smesso di lavorare per lei che
avevo
quattordici anni” aveva espresso Mel,
“Sì, ma avete vissuto entrambi qui. Tu
sei la persona che conosce questo posto come le sue tasche e conosci
lei, non
come le tue tasche, ma abbastanza, no, per provare?” aveva
domandato retorico
Jason.
“Oh … potreste prendere la mel-”
l’invettiva di Iulia, era stata soffocata da
un bavaglio di legno.
Mel si era voltato verso Jason, “Allora: Agrippina
è troppo paranoica per
permettere che una leva – anche se così blanda e
con molta incertezza come
quella – potesse essere fuori dal suo controllo. Deve essere
qui, ma in un
posto improbabile, assolutamente impensabile e probabilmente anche
irraggiungibile”
aveva stabilito Mel, cercando di recuperare il controllo.
“Bene, mettiamo a soqquadro questo posto” aveva
esclamato Jason, pieno di
furore. Iulia Agrippina aveva lanciato verso di
loro uno sguardo al
vetriolo.
Jason aveva
smontato il letto, tirando via lenzuola, coperte e rovesciando il
materasso.
Aveva tolto anche le assi di legno ed aveva cominciato a scoperchiare
il pavimento,
tessera dopo tessera, del mosaico arzigogolato che lo componeva, fino a
rivelare il calcestruzzo sotto – era sorprendente come il
Valhalla fosse
preciso nelle ricostruzioni – Mel invece aveva cominciato dal
soffitto, cercando
di intercapedini e fessure. Poi aveva cominciato a spostare i mobili,
“La prima
volta nascondeva un porta-gioie, in una botola, sotto il
baule” aveva detto,
prima di cominciare a fare a pezzi ogni cosa.
E poi era andato nel bagno, cominciando a smontare tubi, spostare la
vasca,
rompere specchi.
Jason era passato all’ambiente del triclinio.
Aveva sentito sul suo collo nudo l’occhio predatorio della
donna, ma lui aveva
guardato solamente Stellan.
L’aria era impestata di un odore così intenso, da
risultare quasi stucchevole,
di pino. Jason aveva visto gocce sottili di sudore, scivolare dal naso,
dal
viso dell’elfo, così come i capelli
d’oro, sotto l’elmo erano unti e posticci.
La sua posa non era più rigida, ma scossa da lievi tremori,
in ultimo gli occhi
luminescenti, erano più opachi. Stava soffrendo. Non sarebbe
riuscito a
controllare la piccola piantina ancora a lungo … e Jason
sospettava che per
quanto farlo sembrasse semplice – ne aveva conosciuti nel
corso della sua vita
di clorocinetici, alla mente balenava la ruggente Meg, figlia di
Demetra, l’ultima
che aveva incontrato, sapeva non fosse un potere gentile con cui
confrontarsi,
ma portentoso, ma Stellan non stava semplicemente controllando un
albero, stava
controllando un’estremità
dell’Yggdrasill, l’albero che sorreggeva i mondi.
Non immaginava quanto potere dovesse star usando, quanta energia
dovesse star
drenato da se stesso …
E soprattutto non avrebbe retto.
Aveva sventrato i tre kline, utilizzando la forma di spada di Giunone,
cercando
di non farsi notare troppo dagli altri.
Prima di rovesciare anche i supporti in legno. Mel era arrivato subito
dopo,
zuppo come se avesse fatto un bagno, “Splendida spada,
amico!” aveva dichiarato
mentre cominciava a far saltare le prime mattonelle in marmo della sala
di rappresentanza.
“Non ha un frigidarium qui. L’ultima volta, dopo
che la domina Livilla l’aveva
trovata l’aveva spostata nella stanza del bagno, ma era
durata poco, fratelli
insospettabili. Non ho più nascondigli.
D’Altronde, dopo essersi sposata e dopo
che io sono stato venduto-e-morto, lei ha potuto vivere oltre trenta
anni”
aveva considerato Mel piuttosto spento.
Stellan aveva mosso la mano, liberando Iulia Agrippina del suo
bavaglio. “Tutto
inutile, mi credi stupida? Non avrei mai, mai, messo qualcosa dove tu
potessi
trovarlo!” aveva considerato quella, con un tono oppresso.
Jason la guardò attentamente, “Certo!”
aveva detto, “Quando ero al collegio,
avevo un compagno di corso con una passione assolutamente inconcepibile
per
Edgard Allan Poe” aveva esordito.
Un espressione confusa si era dipinta sul viso di Iulia Agrippina e su
quello
di Mel, “Una sua massima mi è rimasta molto
impressa, perché, ecco, si adattava
a molte situazioni della mia vita: Il posto migliore per
nascondere una cosa
è in piena vista” aveva dichiarato Jason.
“Forse sarebbe stato meglio saperlo prima che riducessimo
questo posto ad una
discarica ecco” aveva valutato Mel, “Adesso
dovremmo aspettare due ore”
aveva aggiunto.
Lui aveva guardato il suo amico, osservando l’espressione
frustrata sul suo
volto, ma poi si era rivolto alla donna, non pareva più una
bestia famelica, ma
di una persona preoccupata; il ragionamento di Jason la
preoccupava. “Non
sarà necessario. Lei è la Securitas[7]”
aveva declinato Jason. Mel aveva aggrottato le sopracciglia,
“Si … uhm … credo”
aveva mormorato, per nulla certo delle sue parole. In quel momento era
già
morto, se Jason aveva fatto bene i conti – doveva ammettere
che i numeri a
volte, a mente, non erano facili, così come i fatti storici.
“Lei è Iulia Agrippina
Augusta, nota come Agrippina Minor;
consacrata come la dea Securitas,
la sicurezza” aveva spiegato.
Agrippina aveva ridacchiato, “Grazie per non avermi definita
solo come la madre
di Nero. Comunque, sì, consacrata dea-vivente[8],
da quel cucchiaino di miele di mio fratello Gaius Caesar,
che entrambi
conoscete bene” aveva considerato, l’attimo prima
che la corteccia che le
avvolgeva la gola, aveva serrato la stretta. Jason aveva sentito un
dolore
fantasma, bruciare sulla sua schiena, lì, dove sapeva che la
lancia lo aveva trapassato.
Caligola, non voleva pensare a Caligola.
La bile era risalita lungo l’esofago.
Mel si era voltato di scatto verso di lui, Jason aveva ricambiato pieno
di
nervosismo, “Madina mi ha detto che conosci il Triumvirato
… ed è capitato
anche a me. Ne parliamo dopo, se vuoi” aveva provato. Mel
aveva inclinato il
capo, “Va bene, amico. Riconosco le mie
priorità” aveva sottolineato il
barbaro, voltando il capo verso Agrippina, “Quindi secondo
te, ha addosso il
mio invito?” aveva chiesto perplesso.
“Sì, certo. Forse è anche un
po’ tardi per chiederlo: ma come è
fatto?” aveva domandato
Jason, ricordandosi che la cosa poteva essere imbarazzante.
Probabilmente, avrebbe
dovuto pensarci prima, ma trovava davvero difficile, che un invito
di
origine divina passasse inosservato. Jason aveva un vero radar per
quello.
“Ehm …” aveva cominciato Mel,
“È come una delle fibule di Domagnano[9],
sai
quelle a forma d’aquila, solo che al posto delle paste vitree
ci sono vere gemme,
sul retro c’è inciso il messaggio di
Italicus” aveva spiegato il germano.
Jason non aveva idea di che forma avessero le fibule di Domagnano, ma
il
pensiero stesso era stato silurato da un altro.
“Hai detto Italicus?” aveva chiesto.
“Mio cugino” aveva risposto Mel, con
ovvietà. Fino a quel momento, Jason non
aveva mai associato un nome ad un cugino
– così come quel nome era per
lui, in qualche maniera un piccolo campanello.
Italicus … cheruscio … Italicus … Oh!
“Italicus Re dei Cherusci?”
aveva chiesto alla fine, “Il figlio di Flavus?”
l’ultima parte l’aveva chiesta con terrore,
recuperando tutte le sue conoscenze
romane, da riallineare nella sua mente.
Sperava davvero, ma davvero, tanto di sbagliare.
“Sì?” aveva confermato tutti i suoi
timori Mel, “Inizio a sospettare tu sia un
vero esperto di storia romana” aveva chiesto.
“Raagaaazzi” aveva piagnucolato alle loro spalle
Stellan, salvandolo
inconsciamente da una situazione decisamente più spinosa. Si
erano voltati
verso di lui; i tremori dell’elfo si erano fatti decisamente
più fitti. Non
avrebbe resistito ancora!
“Concentrati, dobbiamo cercare
l’oggetto!” aveva detto Jason, riacquisendo
lucidità, Mel aveva annuito, “E che facciamo? La
perquisiamo?” aveva chiesto
Mel, ammiccando al vestito piuttosto lascivo della donna, che non
lasciava
presagire nessun nascondiglio, che non fosse particolarmente scomodo.
Jason era avvampato tale e quale a Mel.
“Oh Padre dei Numi! Da un barbaro un comportamento
così villano me l’aspetto,
ma da un romano!” si era beffata di loro Iulia Agrippina, con
un tono
terribilmente melodrammatico.
“Non sono un romano!” aveva
gridato Mel, come se quelle parole l’avessero
offeso più di qualsiasi ingiuria mai detta.
Jason aveva pensato a quanto fosse maledetta la sua vita, fin da quel
momento,
quando a due anni sua madre l’aveva dato a Lupa.
“Oh, sarà una cosa divertente di cui parlare nei
prossimi secoli, sempre se saremo
ancora qui” aveva commentato Agrippina – sebbene
dallo scintillio sinistro nei
suoi occhi, Jason fu certo, che gli avessero dato un’arma per
il futuro, così
come il fatto che non lo stesso usando per una ragione –
“Adesso c’è un’altra
cosa di cui parlare. Mia nonna, Iulia Augusti Filia[10],
aveva come nonno il grande e potente Apollo e tutta la mia stirpe ne ha
sempre
fatto un gran vanto. Insomma, conoscete mio fratello, preferiva farsi
chiamare Neo
Helios che Stivaletti, però
… La mia cara nonnina ha sposato in
seconde nozze mio nonno: Marcus Vipsanius Agrippa,
di cui porto il nome.
Lui non era un lascito, lui era un semidio: figlio di Marte Ultore![11]”
aveva
esclamato con divertimento Agrippina.
I due ragazzi l’avevano guardata con estrema
perplessità, “Grazie per la lezione!”
aveva provato Mel, ma il suo tono divertito non lo sembrava molto.
“E mentre
tutta la mia famiglia si è sempre vantata con amore del
divina discendenza dal
signore del sole – ed onestamente questo aspetto è
opera suo, ma io ho
onorato tutti i miei avi” aveva ringhiato, con un
movimento potente delle
braccia era riuscita a far saltare qualche legaccio vimineo,
“Per questo, be,
sono sopravvissuta a tutti i miei fratelli! E a quasi tutte le
congiure. Non perché
sia particolarmente più intelligente di loro, forse di
qualcuno sì, ma perché io:
sono un lascito di Marte” aveva stabilito, più
libera nei movimenti era riuscita
a sciogliere gli ultimi ostacoli.
“Scusatemi ragazzi non riesco!” aveva provato
stremato Stellan, sollevando una
mano, tentando di riprendere il controllo della pianta, ma Agrippina
aveva spezzato
un pezzo di legno spesso come un avambraccio, come fosse stato un
fuscello, “Inoltre,
già che sono nata nella Germania Magna[12],
mia
madre che non era una donna stupida, mi ha esposto anche ai loro
dei… Wotan
veglia su di me!” aveva esclamato divertita, portando una
mano all’orecchio,
dove scendeva un pendente d’oro, l’aveva sfilato
poi questo era esploso nella
sua mano.
Non aveva più un orecchino, ma una spatha
d’oro imperiale.
Mel, nervoso, aveva sfilato il suo gladio dalla fodera, mentre Jason
dopo un
momento aveva lanciato la sua spada in aria, afferrando a sua volta il
giavellotto.
“Io mi siedo” aveva squittito Stellan, trovando un
posticino nella stanza.
“Non ricordavo che nell’Antichità alle
donne romane fosse concesso di potersi
allenare” aveva considerato Jason, ricordava che durante il
suo tempo a Nuova
Roma, aveva studiato che permettere alle donne di poter accedere alle
cariche
era stato un argomento discusso, ma approvato solo dopo
l’Incoronazione a Imperatore
del Sacro Romano Impero
di Carlo Magno.
Per loro, i discendenti degli dei: la Grande Roma
era finita[13],
definitivamente, i semidei non erano più così
tanti e la gloria di quella
Roma, incarnata dalla dodicesima legione andava protetta[14].
Al meglio.
Per Jason non c’era nulla di così astruso
(così come non lo era sembrato quando
lo aveva studiato), conosceva donne combattenti capaci di picchiare
duro come Vulcano
sul ferro, come Reyna, sua sorella, Annabeth.
“Che vuoi che ti dica, sono sempre sui generis!”
aveva risposto con
cattiveria Agrippina, “Giusto perché tu lo sappia,
al momento ho un record di
morte incredibilmente basso ad Idavoll” aveva aggiunto.
Nb: Perché
ho messo Agrippina nel Valhalla?
Perché è una figona che ha
combattuto i ruoli di genere per tutta la
vita. Scherzo, circa. Agrippina nasce in Germania (nella
città di Ara, come
detto nelle note), le hanno anche alzato una statua e la
“festeggiano” ancora
oggi. Inoltre, è davvero sopravvissuta a qualsiasi cosa (la
guerra in Germania,
la morte di tutta la sua famiglia, Tiberio, Caligola,
l’esilio, Messalina [che
fece uccidere sua sorella Livilla]) tranne a suo figlio Nerone (che
comunque
dovette organizzare tre diversi complotti per ucciderla). Inoltre,
è morta indicando
agli assassini di colpire il ventre che aveva generato Nerone (e
potrebbe aver
avuto un’arma alla mano visto che erano andati ad ucciderla).
Insomma, nulla mi toglie, che se fosse stata una barba germanica,
Agrippina
sarebbe stata una Donna-di-Scudo … E poi Wotan le fa queste
cose.
COMUNQUE,
ecco a voi un disegno di IAA (In questo disegno non ha
l’orecchino pendente
citato nella storia, ma uno molto più bellino con un
uccellino blu, che è ispirato
a quello trovato in una campagna di scavo, sebbene fosse di
epoca repubblicana):
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Iulia-Agrippina-Augusta-913951647
[1]
Il titolo
è un riferimento ad una serie tv (Non fidardi della S*ronza
dell’Interno 23),
ho utilizzato la parola Strige che è una traduzione del
termine latino Stryx (un
uccello del malaugurio) da cui poi è derivato il termine
Strega.
[2]
“Oh Dei,
datemi la forza” Credo. I miei crediti in Latino sono una
farsa ahaha.
[3]
Il Sacco
di Roma del 410. Volevo mettere Teutoburgo, ma la data non si prestava
molto
bene!
[4]
Drago
della mitologia norrena
[5]
Era lo
schiavo amministratore degli schiavi.
[6]
Figlia
di Agrippa (generale di Ottavio – e uomo senza il quale non
sarebbe esistito l’Impero
Romano) e della sua Prima Moglie. Era la sposa di Tiberio (da lui tanto
amata),
il quale fu costretto a ripudiarla da Augusto, quando divenne erede,
per
sposare la di lui figlia Giulia (vedova di Agrippa, perciò
matrigna di Vipsania
Agrippina – La dinastia
Giulio-Claudio è esilarante).
Quindi sì, la spilla rubata da Giulia (che per chiarire ogni
dubbio non è la
Giulia figlia di Agusto) apparteneva a Vipsania Agrippina.
[7]
Nel
corso della storia un certo imperatore (famoso per le scarpe e
i cavalli
lol) fece coniare delle monete, dove da un lato (il rovescio)
apparivano
tre nobili fanciulle, insignite come tre dee: una di queste era la
Securitas.
[8]
Non è
del tutto vero. Agrippina Minore è stata rappresentata come
dicevo nella nota
sopra, come la Dea Securitas in una moneta (assieme a Livilla e
Drusilla), ecco
la moneta (direttamente dall’OCRE con amore –
trovata in Inghilterra): http://numismatics.org/ocre/id/ric.1(2).gai.33.
[9]
https://www.corriereromagna.it/wp-content/uploads/2021/08/tesoro-domagnano.jpg
Sono bellissime, io le amo.
[10]
Sebbene
noi ci rivolgiamo a Giulia come Giulia Maggiore, per i contemporanei
lei era nota
così.
[11]
Se di
solito Riordan appioppa ai personaggi storici importanti illustri
paternità divine
(ma va bene, Augusto si dichiarava figlio di Apollo pur avendo un
padre), con
Agrippa si può fare. Era di una famiglia così
sfigata e “plebea” che non
sappiamo quasi nulla sui genitori.
Comunque Agrippa era il BFF di Augusto e marito della di lui figlia,
come detto
prima, che sposò in terze nozze (per Agrippa e seconde per
Giulia) avendo con
lei cinque figli, una dei quali era Agrippa Maggiore, moglie di Druso
Germanico
(figlio di Druso Germanico, fratello di Tiberio) e madre di Caligola,
Agrippina
Minore, Livilla ed altri bambini.
[12]
Agrippina è nata in castrum
romano in Germania, divenuto città con il nome:
Colonia Claudia
Ara Agrippinensium, proprio in suo onore.
[13]
In realtà per molti la Grande Roma continuava, in
particolare nel mito di Carlo
Magno, “leggittimo” successore. E Roma, nei cuori
della gente, finisce davvero
solo con la fine del medioevo e con il rinnovo del Neo Classicismo, con
Roma
che viene “ripresa” perché guardata come
qualcosa di passato. Nota barbosa.
[14]
Non è
detto in nessun libro; però è un problema che mi
aveva sempre incuriosito,
sebbene le donne romane se la passassero meglio delle greche, di poco,
non
avevano tutta la libertà che noi “oggi”
pensiamo avessero e sicuramente non
combattevano (rimane un mistero visto che 3 dei della guerra su 4 erano
donne:
Bellona, Minerva, Vittoria) – quindi, sì, be ad
una certa devono aver valutato
il problema e trovato una soluzione.