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Autore: RLandH    23/04/2022    1 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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BACK FROM THE DEAD.
Non è vero, sono ancora morta, ma non nel Valhalla, più ad Hellhaim.
Comunque spero che tutti abbiate passato una buona Pasqua, almeno migliore della mia ahah.
Devo confessare che ultimamente sto facendo una fatica infernale a scrivere, non solo questa ff, ma le storie in generale (ed il fatto che prossimamente mia aspettino settimane di fuoco mi uccide) però, cercherò di aggiornare il più possibile; comunque devo dire che rispetto al precedente, mi sono divertita a scrivere questo capitolo.
Vorrei ringraziare come sempre Farkas per la gentilezza mostrata nel sorbirsi questa epopea.
Ed ovviamente a chiunque legga/ricordi/segua/compagnia bella.
Buona Lettura ed un bacio a tutti <3

Non fidarti della Strige del piano quattrocentodieci[1]

 

“Mimir è scomparso. Questo non va bene” aveva commentato Mel, sentito il racconto di Jason.
“Sì, ripensandoci bene, nelle uniche due volte che ho incrociato Mimir lui stava parlando con una persona e si è riferita a lui come figlio di Frey” aveva ricordato Jason, grattandosi il capo.
Non ne poteva essere assolutamente sicuro, anche perché, per quanto stupido apparisse non aveva mai dato troppa importanza a quei due sfioramenti con il dio scomparso. Ma se i fiumi cosmici avevano ritenuto importante guidarlo lì, anche se per un solo momento, doveva accettare che dovessero esserlo.
“Sai, Jason, quattro giorni fa, pensavo proprio che questo posto fosse diventato noioso” aveva replicato Mel, “Non andavo in missione dalla seconda metà del settecento, praticamente” aveva aggiunto, rincuorato in qualche maniera.
Poteva sembrare rilassato Mel, differentemente da Stellan, appoggiato ad un angolo dell’ascensore, che si teneva serrato il suo elmo da vivo, sulla testa, ma non lo era. “E secondo te il figlio di Frey da cui dobbiamo guardarci e lo stesso con cui Mimir parlava, ora che anche lui è scomparso?” aveva chiesto retorico l’elfo. Retorico perché non c’era una risposta chiara.
Jason aveva guardato i grandi occhi, come laghi, di Stellan, pieni di incertezza, senza poter in alcuna maniera trovare una soluzione al suo quesito, che sembrava logico, così aveva rivolto lo sguardo a Mel.
“Da chi stiamo andando?” aveva chiesto. Non pensava davvero che Mel rispondesse, era sembrato evasivo, fino a quel momento, ma non poteva fare altro che provarci lo stesso.
Mel si era morso un labbro, “Uhm … la mia Sorella di Latte?” aveva provato il germano, incerto delle sue parole.
“Una cosa?” aveva chiesto Jason, confuso, “Conosco i fratelli di sangue, di giuramento” aveva provato. “Quando nascono due bambini ed una persona non può o non vuole allattare il suo. I due bambini che condividono lo stesso latte sono chiamati così” aveva raccontato Mel incerto, “Il nostro caso è stato un po’ particolare” aveva ammesso.
Jason aveva annuito, “Quindi è come un membro della tua famiglia?” aveva chiesto, non del tutto convinto di quanto potesse entrare in questo discorso. Stellan aveva schiuso le labbra, “Anche la tua amica di infanzia è un einherjar? Vive qui!” aveva esclamato l’elfo stupefatto. “Sì, ha avuto la graziosa idea di morire con un’arma alla mano e proprio non ho idea di che diamine ci facesse una valchiria lì” aveva raccontato Mel. C’era qualcosa di strano nella sua voce.

L’ascensore aveva raggiunto il suo piano, annunciandolo con il suo abituale din confortevole. “Dei, mihi vires dabis[2]” aveva ringhiato Mel, quando le porte si erano schiuse.
“Ohh …” aveva esclamato Stellan confuso, Jason era rimasto irretito.
Perché quel posto sapeva di casa, come se un piccolo pezzo di Nuova Roma fosse stato spalmato nel Valhalla, incluso l’enorme striscione rosso vibrante, su cui era dipinto in oro, con caratteri latini: S P Q R, che dava il benvenuto al corridoio. “Questo è il piano dei romani” aveva dichiarato Jason sconvolto, chiedendosi perché non fosse finito lì.
“Sì, quelli morti nei campi di battaglia contro i germani, per la maggior parte, le valchirie non fanno troppe distinzioni, ma anche quelli che combattevano con e contro i variaghi o altri in generale. Insomma, l’Hellheim del Valhalla” aveva detto indignato Mel, uscendo dall’ascensore.
“Oh! Il piano quattrocentodieci, come il Sacco[3]!” aveva commentato Jason, “Be, il piano esisteva da prima del Sacco, ma rimane una felice coincidenza” aveva considerato Mel, mentre percorreva il corridoio.
Alcune porte erano aperte e Jason non aveva potuto fare a meno che dare una spiata, sentendo un rivoluzionario moto di infanzia.
Aveva anche spiato un paio di uomini giocare ad Aliossi.
Qualcuno li aveva notati ed aveva riservato non pochi sguardi agonistici contro Mel, il suo odio per i romani doveva essere ormai ben noto a tutti, in duemila anni.

Mel si era fermato davanti ad una porta, “Ora, vorrei essere faccia-a-faccia contro Nidhoggr[4] che incontrare lei” aveva ammesso, “Perché ci hai chiesto di venire? Nel senso, abbiamo appurato perché hai chiesto a noi, ma perché volevi compagnia?” aveva domandato Jason.
Non potevo farlo da solo” aveva ammesso Mel, calmo, per quanto le sue labbra tremolassero, “Lei … mi annichilisce” aveva ammesso. Aveva sospirato ed aveva bussato alla porta.
Quella si era aperta dopo un momento, senza annunci di particolare evidenza; Jason, doveva ammettere, si sarebbe aspettato una gorgone con tanto di zanne da cinghiale e chele di granchio, ma ciò che lo aveva accolto era stato diverso.
Era una bella donna, sulla quarantina, ma ancora piacente, con l’incarnato olivastro, un viso a cuore incorniciato da riccioli neri e serpentini. Non era molto alta, ma neanche minuta, con un seno florido e fianchi larghi, con una vita sottile come quella di una clessidra. Indossava una tunica porpora lunga fino alle caviglie con un generoso scollo a V – che non lasciava spazio all’immaginazione – ed una stola rosso amianto. L’unica cosa che non la faceva apparire come una creatura perfetta, era un naso leggermente pronunciato – che non le toglieva niente.
Jason era rimasto stregato, da lei, ma non per il suo aspetto incantevole, ma per gli occhi … erano castani e letali come quelli di un barracuda.
“Sono innamorato” si era lasciato sfuggire Stellan senza vergogna
“Oh! Chi non muore si rivede!” aveva esclamato la donna. “Tecnicamente siamo tutti morti!” aveva biascicato Mel, con un tono insospettabilmente insicuro.
La donna aveva sorriso, come il suo sguardo, anche quello era raccapricciante e poco amichevole, “Entrate, entrate” aveva concesso la donna, “Mi annoio molto di questi tempi!” aveva detto senza mezzi-termini.

La stanza della donna era incantevole, era della stessa dimensione di quella di Jason, divisa in due ambienti, uno doveva essere la camera da letto, ma l’altra era una stanza che riproduceva, in una versione ridotta, un triclinio di rappresentanza. Al posto del ninfeo, al centro c’era un quadrato con della terra ed un albero: il suo collegamento con l’Yggdrasill.
C’erano i tre kline d’uopo, che circondavano da tre lati il piccolo giardino. “Accomodatevi miei cari!” aveva stabilito la donna, occupando quello centrale, stendendosi su un fianco.
Mel si era seduto su quello sinistro, Stellan si era seduto lì accanto, non rispettando la tradizione del letto. Jason si era seduto in quello libero, non imitando la parola di casa.
“Non posso offrivi nulla da mangiare, non ho niente qui e nonostante tutte le mie richieste, Odino trova indecoroso darmi una valchiria personale” aveva cinguettato la donna, “Come se una signora dovesse servirsi da sola” aveva considerato quella.
“Non serve, tra poco serviranno il cinghiale” aveva detto Mel, la sua voce era sottile come quella di un topolino, “Inoltre sono qui da poco, ma mi pare di aver capito che la stanza ti da tutto quello che vuoi” aveva sottolineato Jason.
Era stata la prima volta che aveva parlato alla donna, questa aveva subito fatto saettare i suoi occhi predatori verso di lui, come se lo notasse davvero per la prima volta in quel momento.
“Tu sei?” aveva chiesto, ringalluzzita, “Ehm … Jason Grace” aveva risposto lui, sentendo per la prima volta il suo tono amaro sulla lingua. L’espressione sul viso della signora si era illuminato. Jason si disse che non poteva conoscerlo, certo, Jason era romano, era figlio di Giove, era stato uno dei ragazzi della profezia, ma quella signora era nel Valhalla da quasi duemila anni, era sorella di latte di Mel.
 “Lui è un nuovo avventore del piano venti!” si era intromesso il suo amico attirando l’attenzione nuovamente sulla sua persona. La signora non aveva deviato gli occhi scuri da Jason come se lo stesse sondando attentamente, “Va bene!” aveva detto, volgendosi poi finalmente verso Mel, “Perché sei qui? Non che mi dispiaccia vedere il tuo bel visino” aveva chiesto con mestizia.
La bocca di Mel si era curvata in una smorfia insofferente, prima di parlare, “Per quello che è mio” aveva dichiarato, ci aveva messo almeno un minuto buono, lungo, come se avesse dovuto processare attentamente ogni parola.
La donna aveva sorriso, come una fiera, “Oh, Thumelicus ma tu non possiedi nulla” aveva risposto lei, con voce graffiante. “L’invito di mio cugino!” aveva replicato Mel, senza perdere il suo tono, come se le parole di lei non l’avessero toccato, sebbene Jason, poteva chiaramente vedere l’infelicità nel suo viso.
Quella aveva schiuso le labbra, “Oh!” aveva esclamato stupita, “Perché lo vuoi? L’ultima volta che ci siamo visti hai dichiarato che lo odiavi e non volevi avere più niente a che fare con lui” aveva dichiarato.
“Sono passati anche duemila anni” aveva sottolineato Mel.
“Improvvisamente voglia di amore familiare? Cose che non posso capire” aveva considerato quella.
“Sì. So che hai tu l’invito” aveva insistito Mel, “Sei una delle poche persone che avrebbe saputo dell’invito e che non avrebbe avuto dubbi a prenderlo per il solo gusto di poterlo fare” aveva terminato.
 La donna aveva ridacchiato, “Sono felice che ricordi” aveva dichiarato quella, inclinando il capo, facendo oscillare i capelli riccioluti. C’era qualcosa di magnetico in quella donna, letale e famigliare.
“Sai un po’ ti invidio, guardati: sei bello e giovane, invece, eccomi qui, come una mela ammaccata” aveva dichiarato la donna.
“Penso mia signora, che lei sia ancora incantevole” aveva dichiarato Mel sempre rigido; Jason aveva un altro sospetto, aveva pensato alla conversazione che aveva avuto con Freydis in ascensore qualche giorno prima: “Vuole delle mele di Idunn” si era lasciato sfuggire. Le Mele non ridavano semplicemente la giovinezza, restituivano la forma migliore, anche ai non-morti.
“Bello ed anche intelligente!” aveva ridacchiato la donna, indicandolo, “Sicuramente non lo hai ereditato da tuo padre” aveva decantato. Jason aveva trattenuto il fiato; Stellan lo aveva guardato con discreta perplessità e anche Mel era confuso, lo vedeva dipinto sul suo viso.
“Ah” aveva esclamato la donna leggendo la situazione, “Va bene, non importa. Thumelicus, visto che sono di buona lena, procurami almeno uno spicchio di mela e ti darò l’invito” aveva asserito.
“L’invito è mio!” aveva replicato Mel, il suo tono non era agitato, ma era lontano dalla calma. “Non avevamo stabilito che tu non potessi possedere nulla? Tutto ciò che hai è mio. Tutto ciò che sei è mio” aveva replicato la donna senza battere ciglio – una voce imperiosa.
Mel aveva avuto un singulto.
Jason aveva ispirato ed aveva capito. “Lei era la tua padrona” voleva solo pensarlo, ma lo aveva detto ad alta voce. Erano stati fratelli di latte, avevano diviso lo stesso latte materno, sospettava che fosse quello della madre di Mel … lui era stato schiavo da ragazzino, Madina aveva detto fosse nato in catene, probabilmente la sua stessa madre era stata una schiava.
“No!” aveva esclamato Mel, “Sì!” aveva replicato lei.
“Eri un … thrall?” aveva domandato Stellan, piuttosto confuso. Mel lo aveva ignorato guardando la donna: “Non è mai stata la mia domina. La sua bisnonna lo era, suo prozio lo è stato, ma non lei” aveva stabilito, “Lei è la mia sorella di Latte” aveva ribadito Mel.
 “Be, sì, non ha torto, tecnicamente. Provai a comprarlo, avevo sedici anni, ma ero sotto la mano di mio marito, nonostante il mio sangue notevolmente più nobile. E quello non ha voluto. Quindi, si, certo, Mel ha ragione, non ero la sua padrona, ma lui era un bene della mia famiglia … per il resto, sì, eravamo pari. Tutti e due piccoli bambini, nati a due mesi di distanza l’uno dall’altro – nella Germania Magna” aveva replicato la donna, con una punta di cattiveria.
Jason ricordava che Samirah avesse chiamato Mel: Thumelicus di Confluentes, doveva essere il nome latino di una città tedesca. Forse quando era nato lui, si chiamava ancora così.
“Questo non cambia. Era duemila anni fa e io sono morto. L’unico che ora ha i miei servigi è il sommo Wotan ed io scelgo, come libero uomo, di servirlo” aveva dichiarato alzandosi.
“Provo una gran pace nel vederti ancora così pieno di illusioni, Thumelicus” aveva detto la donna, roteando gli occhi, davvero stizzita. “Iulia tu mi sei stata più cara di chiunque per molto tempo” aveva commentato Mel, con voce quasi colpevole – Jason fu certo che Madina non avrebbe apprezzato –  “So chi ero e cosa ero, ciò che eri tu, ma ho bisogno di quell’invito” aveva terminato Thumelicus.
Nel farlo si era inginocchiato davanti a lei. Mel aveva usato il tono dolce e gentile di un amante, quasi.  Iulia sorrise, in una maniera fredda come il ghiaccio, “Oh, Thumelicus” aveva cominciato, melensa, “Le prime volte che mi hai rivolto parole così di miele, avevamo tredici anni. Tu eri uno schiavo e la cosa era decisamente sbagliata, a modo suo era elettrizzante per questo. Quante fustigate mio fratello ha convinto l’Archimagirus[5] a darti per questo?” aveva chiesto, con cattiveria lei. “Venti. Ma ora non ho più le cicatrici” aveva risposto Mel, vibrando nella voce e nel corpo. “Sì, lui tendeva a reagire male a queste cose. Era un ragazzino così problematico, pensava che noi fossimo tutto quello che aveva” nel dire quell’ultima cosa Iulia aveva preso una nota malefica.
“Ti prego” aveva ripreso Mel, con un tono ancora dolce, ma sbavato di incertezza. “Dicevo, Thumelicus, avevo tredici anni quando mi parlasti con così tanta dolcezza … e da quel momento, mio caro, gli uomini che lo hanno fatto non sono mancati. Mariti, amanti, fratelli … Ma non si diventa me, ascoltando tutti gli idioti infatuati che ti dicono parole di miele” lo aveva atterrato Iulia, sciogliendo con un movimento secco la mano di Thumelicus dalle sue.
Mel si era allontano da quella confessione con terrore, quasi scottato.
Il sorriso di Iulia era cattivo, una falce di luna come la scure di un’ascia. La donna si era alzata dal suo kline, “Ti ho preso l’invito, perché potevo, che sia giusto o meno. Non sono senza cuore ed accetto volentieri di ridartelo in cambio di una mela di Idunn, diciamo mezza-mela, giusto per essere giovane per dei simpatici lustri” aveva scherzato lei.

Jason si era tirato su, “La prego” aveva dichiarato con voce stanca lei, “Stiamo affrontando una situazione terribilmente drammatica – ed avremmo bisogno di “quell’invito” aveva dichiarato con voce perentoria Jason, alzandosi anche lui. Sovrastava in altezza Iulia di parecchi centimetri, ma tra i due, lei era certamente la più spaventosa. “Dici?” aveva domandato lei, con divertimento, “La cosa dovrebbe riguardarmi?” aveva chiesto retorica. “Sì, ne va del mondo in cui viviamo?” aveva risposto Jason.
“Be se è nel mondo in cui viviamo … Be, Jason, forse non hai esattamente capito chi io sia: ho cospirato contro mio fratello, ma penso che tu non possa darmi torto per questo, ho ucciso mio marito – forse più di uno – e, potrei o non potrei, aver complottato contro anche il mio stesso figlio. Pensi mi importi di esplodere come una supernova? Ho duemila anni!” aveva risposto Iulia con divertimento, “Se anche dovessi morire, mi sono comunque divertita più di tutti e tre sommati insieme” aveva aggiunto, scoccando uno sguardo prima a Mel e Stellan, che aveva sussultato.
Jason ebbe la bruttissima sensazione di sapere chi fosse Iulia in quel momento. La donna aveva sorriso della confusione e dell’orrore che si era manifestata sul viso di Jason, voltando il capo verso Mel di nuovo, “Come ho detto: portatemi una mela d’oro e tutto andrà meglio” aveva commentato, con un tono di miele.

Jason si era seduto stanco affianco a Thumelicus, “Te lo ho detto. Ha questo potere di annichilire la gente, è un lascito di Apollo, forse per quello” aveva provato Mel, per rincuorarlo.
Jason aveva scosso il capo, “No” aveva dichiarato, era qualcosa di peggio della sua discendenza di Apollo, Jason lo conosceva come una divinità svagata, egocentrica sì, pure molto melodrammatica, ma era ‘a posto’, ma immaginava che ai tempi in cui Mel doveva vivere a Roma, come schiavo, Apollo dovesse essere nel massimo del suo fulgore e quindi anche un narcisista egomaniaco con l’abitudine di punire chiunque lo guardasse storto.
Perciò era possibile che con quest’ottica Iulia, nome di una gens romana piuttosto celebre, discendente da Apollo e Venere, potesse risultare compatibile, con il suo indomito carattere sprezzante, ottimo materiale come lascito di Apollo.
Come d’altronde suo fratello – e Jason sapeva a chi si stava riferendo.

Sorrise stanco, arreso e, quasi, nauseato. “Freydis” aveva esordito, “Lei consuma le mele d’oro, magari ne ha una in più o sa come raggiungere il giardino dell’Esperidi?” aveva provato.
“Non è facile da rag … Giardino dell’Esperidi? Quello è greco! Non ha un nome, questo, è solo il frutteto di Idunn” lo aveva corretto con gentilezza. Jason si era morso il labbro, “Credo sia il nome più famoso” aveva considerato, “In realtà anche i celtici ne hanno uno di giardino” aveva considerato Mel.
Iulia si era accomodata di nuovo sul suo letto, accavallando le gambe, con espressione piuttosto annoiata, “Se potete recuperare le mele dalla mia stanza va bene … ma lo credo difficile” aveva detto casualmente.

Jason si era alzato, così come Mel, che lo aveva seguito, con espressione abbattuta, “Ti odio, Iulia” aveva dichiarato il germano, con una voce sottile, spiando la donna, che aveva sorriso di pura circostanza, “Non essere così duro con me. Ho fatto recuperare il tuo corpo dall’arena a Ravenna e ti ho tributato tutti gli onori” aveva considerato. “Grazie, se avessi incontrato Caronte avrei dato la moneta con il faccione di Tiberius” aveva detto Mel, imboccando la strada per la porta, seguito da Jason.
“Avete dimenticato qualcosa … Potete lasciarlo qui, se volete. Trovo gli elfi gradevoli da guardare” aveva considerato Iulia, attirando la loro attenzione.
I due ragazzi si erano voltati, subito, notando Stellan ancora seduto sul letto. Con gli occhi rivolti alle punte degli stivali da giardinaggio di plastica.
“Amico?” lo aveva chiamato.
Stellan aveva sollevato lo sguardo, i suoi occhi erano biglie accese di un azzurro intenso, come fil fuoco da gas.
Iulia aveva drizzato le spalle, con una leggera preoccupazione sul viso, ed allora Stellan si era alzato, le mani invece di essere morbide lungo il fianco, erano tese e rigide a quarantacinque gradi, con i palmi rivolti verso di loro. Con una voce sottile, appena un sussurro, aveva ripetuto qualcosa. Alle orecchie di Jason era parso nulla più che un borbottare. Una luce vibrante d’azzurro si era dipanato dalle mani di Stellan e poi lo aveva avvolto. Era così accecante, che Jason aveva dovuto chiudere gli occhi, quando la luce era venuta a scemare, lo spettacolo che l’aveva accolto era stato sorprendente.
L’albero che occupava il soggiorno di Iulia, al posto di un ninfeo, non era più un piccolo alberello dalle foglie verde bruno a spilli, ma una creatura quasi viva.
Il tronco era rimasto piccolo, ma i rami si erano estesi come rampicanti, come zampe, fino a raggiungere Iulia e farla prigioniera in spire di legno e foglie.
“Sta tramontando il sole nel mio mondo. Non può succedere. La notte ci distrugge, la notte ci uccide” aveva dichiarato Stellan grave. Gli occhi erano ancora scintillanti come lampadine al neon.
“Adesso ho capito perché Gerd lo ha preso come giardiniere” aveva esclamato Mel, sconvolto, ma non meno di Jason.
Il figlio di Giove aveva guardato Iulia, un ramo, vivo, come un serpente le stringeva la gola sottile, “Pensi mi importi? Qui non posso morire … e di certo se Alfheim muore non è un problema mio” aveva rantolato lei, prima che Stellan stringesse un pugno e la corda intorno al suo collo si facesse un filo più stretta. “Non posso tenerla così a lungo” aveva dichiarato lui con voce più incerta voltandosi verso di loro, “E lei non parlerà” aveva considerato. “No, non lo farà. Una volta rubò la spilla più cara dell’Imperatore, dono della sua amatissima prima moglie, e non volle mai rivelare dove fosse” aveva raccontato Mel, “Il caro prozio aveva anche minacciato di farmi tagliare una mano, come ai ladri” aveva detto la donna.
La frase sarebbe risultata molto più d’effetto, se la giovane non l’avesse detta con un disperato tono raschiante.
“Però … “ aveva cominciato Jason, dopo uno sguardo veloce con Stellan, “Tu sei il suo fratello di Latte, tu la conosci meglio, almeno tre noi tre, da sapere dove terrebbe l’invito” aveva considerato Jason. Mel si era morso il labbro, “Certo, le sistemavo la camera, tanto da sapere dove sistemava il suo tesoretto segreto – incluso la spilla di Vipsania Agrippina[6] - ma sono passati anche duemila anni. Ho smesso di lavorare per lei che avevo quattordici anni” aveva espresso Mel, “Sì, ma avete vissuto entrambi qui. Tu sei la persona che conosce questo posto come le sue tasche e conosci lei, non come le tue tasche, ma abbastanza, no, per provare?” aveva domandato retorico Jason.
“Oh … potreste prendere la mel-” l’invettiva di Iulia, era stata soffocata da un bavaglio di legno.
Mel si era voltato verso Jason, “Allora: Agrippina è troppo paranoica per permettere che una leva – anche se così blanda e con molta incertezza come quella – potesse essere fuori dal suo controllo. Deve essere qui, ma in un posto improbabile, assolutamente impensabile e probabilmente anche irraggiungibile” aveva stabilito Mel, cercando di recuperare il controllo.
“Bene, mettiamo a soqquadro questo posto” aveva esclamato Jason, pieno di furore. Iulia Agrippina aveva lanciato verso di loro uno sguardo al vetriolo.

 

Jason aveva smontato il letto, tirando via lenzuola, coperte e rovesciando il materasso. Aveva tolto anche le assi di legno ed aveva cominciato a scoperchiare il pavimento, tessera dopo tessera, del mosaico arzigogolato che lo componeva, fino a rivelare il calcestruzzo sotto – era sorprendente come il Valhalla fosse preciso nelle ricostruzioni – Mel invece aveva cominciato dal soffitto, cercando di intercapedini e fessure. Poi aveva cominciato a spostare i mobili, “La prima volta nascondeva un porta-gioie, in una botola, sotto il baule” aveva detto, prima di cominciare a fare a pezzi ogni cosa.
E poi era andato nel bagno, cominciando a smontare tubi, spostare la vasca, rompere specchi.
Jason era passato all’ambiente del triclinio.
Aveva sentito sul suo collo nudo l’occhio predatorio della donna, ma lui aveva guardato solamente Stellan.
L’aria era impestata di un odore così intenso, da risultare quasi stucchevole, di pino. Jason aveva visto gocce sottili di sudore, scivolare dal naso, dal viso dell’elfo, così come i capelli d’oro, sotto l’elmo erano unti e posticci.
La sua posa non era più rigida, ma scossa da lievi tremori, in ultimo gli occhi luminescenti, erano più opachi. Stava soffrendo. Non sarebbe riuscito a controllare la piccola piantina ancora a lungo … e Jason sospettava che per quanto farlo sembrasse semplice – ne aveva conosciuti nel corso della sua vita di clorocinetici, alla mente balenava la ruggente Meg, figlia di Demetra, l’ultima che aveva incontrato, sapeva non fosse un potere gentile con cui confrontarsi, ma portentoso, ma Stellan non stava semplicemente controllando un albero, stava controllando un’estremità dell’Yggdrasill, l’albero che sorreggeva i mondi.
Non immaginava quanto potere dovesse star usando, quanta energia dovesse star drenato da se stesso …
E soprattutto non avrebbe retto.
Aveva sventrato i tre kline, utilizzando la forma di spada di Giunone, cercando di non farsi notare troppo dagli altri.
Prima di rovesciare anche i supporti in legno. Mel era arrivato subito dopo, zuppo come se avesse fatto un bagno, “Splendida spada, amico!” aveva dichiarato mentre cominciava a far saltare le prime mattonelle in marmo della sala di rappresentanza.
“Non ha un frigidarium qui. L’ultima volta, dopo che la domina Livilla l’aveva trovata l’aveva spostata nella stanza del bagno, ma era durata poco, fratelli insospettabili. Non ho più nascondigli. D’Altronde, dopo essersi sposata e dopo che io sono stato venduto-e-morto, lei ha potuto vivere oltre trenta anni” aveva considerato Mel piuttosto spento.
Stellan aveva mosso la mano, liberando Iulia Agrippina del suo bavaglio. “Tutto inutile, mi credi stupida? Non avrei mai, mai, messo qualcosa dove tu potessi trovarlo!” aveva considerato quella, con un tono oppresso.
Jason la guardò attentamente, “Certo!” aveva detto, “Quando ero al collegio, avevo un compagno di corso con una passione assolutamente inconcepibile per Edgard Allan Poe” aveva esordito.
Un espressione confusa si era dipinta sul viso di Iulia Agrippina e su quello di Mel, “Una sua massima mi è rimasta molto impressa, perché, ecco, si adattava a molte situazioni della mia vita: Il posto migliore per nascondere una cosa è in piena vista” aveva dichiarato Jason.
“Forse sarebbe stato meglio saperlo prima che riducessimo questo posto ad una discarica ecco” aveva valutato Mel, “Adesso dovremmo aspettare due ore” aveva aggiunto.
Lui aveva guardato il suo amico, osservando l’espressione frustrata sul suo volto, ma poi si era rivolto alla donna, non pareva più una bestia famelica, ma di una persona preoccupata; il ragionamento di Jason la preoccupava. “Non sarà necessario. Lei è la Securitas[7] aveva declinato Jason. Mel aveva aggrottato le sopracciglia, “Si … uhm … credo” aveva mormorato, per nulla certo delle sue parole. In quel momento era già morto, se Jason aveva fatto bene i conti – doveva ammettere che i numeri a volte, a mente, non erano facili, così come i fatti storici. “Lei è Iulia Agrippina Augusta, nota come Agrippina Minor; consacrata come la dea Securitas, la sicurezza” aveva spiegato.
Agrippina aveva ridacchiato, “Grazie per non avermi definita solo come la madre di Nero. Comunque, sì, consacrata dea-vivente[8], da quel cucchiaino di miele di mio fratello Gaius Caesar, che entrambi conoscete bene” aveva considerato, l’attimo prima che la corteccia che le avvolgeva la gola, aveva serrato la stretta. Jason aveva sentito un dolore fantasma, bruciare sulla sua schiena, lì, dove sapeva che la lancia lo aveva trapassato. Caligola, non voleva pensare a Caligola.
La bile era risalita lungo l’esofago.
Mel si era voltato di scatto verso di lui, Jason aveva ricambiato pieno di nervosismo, “Madina mi ha detto che conosci il Triumvirato … ed è capitato anche a me. Ne parliamo dopo, se vuoi” aveva provato. Mel aveva inclinato il capo, “Va bene, amico. Riconosco le mie priorità” aveva sottolineato il barbaro, voltando il capo verso Agrippina, “Quindi secondo te, ha addosso il mio invito?” aveva chiesto perplesso.
“Sì, certo. Forse è anche un po’ tardi per chiederlo: ma come è fatto?” aveva domandato Jason, ricordandosi che la cosa poteva essere imbarazzante. Probabilmente, avrebbe dovuto pensarci prima, ma trovava davvero difficile, che un invito di origine divina passasse inosservato. Jason aveva un vero radar per quello.
“Ehm …” aveva cominciato Mel, “È come una delle fibule di Domagnano[9], sai quelle a forma d’aquila, solo che al posto delle paste vitree ci sono vere gemme, sul retro c’è inciso il messaggio di Italicus” aveva spiegato il germano.
Jason non aveva idea di che forma avessero le fibule di Domagnano, ma il pensiero stesso era stato silurato da un altro.
“Hai detto Italicus?” aveva chiesto.
“Mio cugino” aveva risposto Mel, con ovvietà. Fino a quel momento, Jason non aveva mai associato un nome ad un cugino – così come quel nome era per lui, in qualche maniera un piccolo campanello.
Italicus … cheruscio … Italicus … Oh!
Italicus Re dei Cherusci?” aveva chiesto alla fine, “Il figlio di Flavus?” l’ultima parte l’aveva chiesta con terrore, recuperando tutte le sue conoscenze romane, da riallineare nella sua mente.
Sperava davvero, ma davvero, tanto di sbagliare.
“Sì?” aveva confermato tutti i suoi timori Mel, “Inizio a sospettare tu sia un vero esperto di storia romana” aveva chiesto.
“Raagaaazzi” aveva piagnucolato alle loro spalle Stellan, salvandolo inconsciamente da una situazione decisamente più spinosa. Si erano voltati verso di lui; i tremori dell’elfo si erano fatti decisamente più fitti. Non avrebbe resistito ancora!
“Concentrati, dobbiamo cercare l’oggetto!” aveva detto Jason, riacquisendo lucidità, Mel aveva annuito, “E che facciamo? La perquisiamo?” aveva chiesto Mel, ammiccando al vestito piuttosto lascivo della donna, che non lasciava presagire nessun nascondiglio, che non fosse particolarmente scomodo.
Jason era avvampato tale e quale a Mel.
“Oh Padre dei Numi! Da un barbaro un comportamento così villano me l’aspetto, ma da un romano!” si era beffata di loro Iulia Agrippina, con un tono terribilmente melodrammatico.
Non sono un romano!” aveva gridato Mel, come se quelle parole l’avessero offeso più di qualsiasi ingiuria mai detta.
Jason aveva pensato a quanto fosse maledetta la sua vita, fin da quel momento, quando a due anni sua madre l’aveva dato a Lupa.
“Oh, sarà una cosa divertente di cui parlare nei prossimi secoli, sempre se saremo ancora qui” aveva commentato Agrippina – sebbene dallo scintillio sinistro nei suoi occhi, Jason fu certo, che gli avessero dato un’arma per il futuro, così come il fatto che non lo stesso usando per una ragione – “Adesso c’è un’altra cosa di cui parlare. Mia nonna, Iulia Augusti Filia[10], aveva come nonno il grande e potente Apollo e tutta la mia stirpe ne ha sempre fatto un gran vanto. Insomma, conoscete mio fratello, preferiva farsi chiamare Neo Helios che Stivaletti, però … La mia cara nonnina ha sposato in seconde nozze mio nonno: Marcus Vipsanius Agrippa, di cui porto il nome. Lui non era un lascito, lui era un semidio: figlio di Marte Ultore![11]” aveva esclamato con divertimento Agrippina.
I due ragazzi l’avevano guardata con estrema perplessità, “Grazie per la lezione!” aveva provato Mel, ma il suo tono divertito non lo sembrava molto. “E mentre tutta la mia famiglia si è sempre vantata con amore del divina discendenza dal signore del sole – ed onestamente questo aspetto è opera suo, ma io ho onorato tutti i miei avi” aveva ringhiato, con un movimento potente delle braccia era riuscita a far saltare qualche legaccio vimineo, “Per questo, be, sono sopravvissuta a tutti i miei fratelli! E a quasi tutte le congiure. Non perché sia particolarmente più intelligente di loro, forse di qualcuno sì, ma perché io: sono un lascito di Marte” aveva stabilito, più libera nei movimenti era riuscita a sciogliere gli ultimi ostacoli.
“Scusatemi ragazzi non riesco!” aveva provato stremato Stellan, sollevando una mano, tentando di riprendere il controllo della pianta, ma Agrippina aveva spezzato un pezzo di legno spesso come un avambraccio, come fosse stato un fuscello, “Inoltre, già che sono nata nella Germania Magna[12], mia madre che non era una donna stupida, mi ha esposto anche ai loro dei… Wotan veglia su di me!” aveva esclamato divertita, portando una mano all’orecchio, dove scendeva un pendente d’oro, l’aveva sfilato poi questo era esploso nella sua mano.
Non aveva più un orecchino, ma una spatha d’oro imperiale.
Mel, nervoso, aveva sfilato il suo gladio dalla fodera, mentre Jason dopo un momento aveva lanciato la sua spada in aria, afferrando a sua volta il giavellotto.
“Io mi siedo” aveva squittito Stellan, trovando un posticino nella stanza.
“Non ricordavo che nell’Antichità alle donne romane fosse concesso di potersi allenare” aveva considerato Jason, ricordava che durante il suo tempo a Nuova Roma, aveva studiato che permettere alle donne di poter accedere alle cariche era stato un argomento discusso, ma approvato solo dopo l’Incoronazione a Imperatore del Sacro Romano  Impero di Carlo Magno.
Per loro, i discendenti degli dei: la Grande Roma era finita[13], definitivamente, i semidei non erano più così tanti e la gloria di quella Roma, incarnata dalla dodicesima legione andava protetta[14].
Al meglio.
Per Jason non c’era nulla di così astruso (così come non lo era sembrato quando lo aveva studiato), conosceva donne combattenti capaci di picchiare duro come Vulcano sul ferro, come Reyna, sua sorella, Annabeth.
“Che vuoi che ti dica, sono sempre sui generis!” aveva risposto con cattiveria Agrippina, “Giusto perché tu lo sappia, al momento ho un record di morte incredibilmente basso ad Idavoll” aveva aggiunto.

 

 Nb: Perché ho messo Agrippina nel Valhalla?
Perché è una figona che ha combattuto i ruoli di genere per tutta la vita. Scherzo, circa. Agrippina nasce in Germania (nella città di Ara, come detto nelle note), le hanno anche alzato una statua e la “festeggiano” ancora oggi. Inoltre, è davvero sopravvissuta a qualsiasi cosa (la guerra in Germania, la morte di tutta la sua famiglia, Tiberio, Caligola, l’esilio, Messalina [che fece uccidere sua sorella Livilla]) tranne a suo figlio Nerone (che comunque dovette organizzare tre diversi complotti per ucciderla). Inoltre, è morta indicando agli assassini di colpire il ventre che aveva generato Nerone (e potrebbe aver avuto un’arma alla mano visto che erano andati ad ucciderla).
Insomma, nulla mi toglie, che se fosse stata una barba germanica, Agrippina sarebbe stata una Donna-di-Scudo … E poi Wotan le fa queste cose.

COMUNQUE, ecco a voi un disegno di IAA (In questo disegno non ha l’orecchino pendente citato nella storia, ma uno molto più bellino con un uccellino blu, che è ispirato a quello trovato in una campagna di scavo, sebbene fosse di epoca repubblicana):


https://www.deviantart.com/rlandh/art/Iulia-Agrippina-Augusta-913951647



[1] Il titolo è un riferimento ad una serie tv (Non fidardi della S*ronza dell’Interno 23), ho utilizzato la parola Strige che è una traduzione del termine latino Stryx (un uccello del malaugurio) da cui poi è derivato il termine Strega.

[2] “Oh Dei, datemi la forza” Credo. I miei crediti in Latino sono una farsa ahaha.

[3] Il Sacco di Roma del 410. Volevo mettere Teutoburgo, ma la data non si prestava molto bene!

[4] Drago della mitologia norrena

[5] Era lo schiavo amministratore degli schiavi.

[6] Figlia di Agrippa (generale di Ottavio – e uomo senza il quale non sarebbe esistito l’Impero Romano) e della sua Prima Moglie. Era la sposa di Tiberio (da lui tanto amata), il quale fu costretto a ripudiarla da Augusto, quando divenne erede, per sposare la di lui figlia Giulia (vedova di Agrippa, perciò matrigna di  Vipsania Agrippina – La dinastia Giulio-Claudio è esilarante).
Quindi sì, la spilla rubata da Giulia (che per chiarire ogni dubbio non è la Giulia figlia di Agusto) apparteneva a Vipsania Agrippina.

[7] Nel corso della storia un certo imperatore (famoso per le scarpe e i cavalli lol) fece coniare delle monete, dove da un lato (il rovescio) apparivano tre nobili fanciulle, insignite come tre dee: una di queste era la Securitas.

[8] Non è del tutto vero. Agrippina Minore è stata rappresentata come dicevo nella nota sopra, come la Dea Securitas in una moneta (assieme a Livilla e Drusilla), ecco la moneta (direttamente dall’OCRE con amore – trovata in Inghilterra): http://numismatics.org/ocre/id/ric.1(2).gai.33.

[10] Sebbene noi ci rivolgiamo a Giulia come Giulia Maggiore, per i contemporanei lei era nota così.

[11] Se di solito Riordan appioppa ai personaggi storici importanti illustri paternità divine (ma va bene, Augusto si dichiarava figlio di Apollo pur avendo un padre), con Agrippa si può fare. Era di una famiglia così sfigata e “plebea” che non sappiamo quasi nulla sui genitori.
Comunque Agrippa era il BFF di Augusto e marito della di lui figlia, come detto prima, che sposò in terze nozze (per Agrippa e seconde per Giulia) avendo con lei cinque figli, una dei quali era Agrippa Maggiore, moglie di Druso Germanico (figlio di Druso Germanico, fratello di Tiberio) e madre di Caligola, Agrippina Minore, Livilla ed altri bambini.

[12] Agrippina è nata in castrum romano in Germania, divenuto città con il nome: Colonia Claudia Ara Agrippinensium, proprio in suo onore.

[13] In realtà per molti la Grande Roma continuava, in particolare nel mito di Carlo Magno, “leggittimo” successore. E Roma, nei cuori della gente, finisce davvero solo con la fine del medioevo e con il rinnovo del Neo Classicismo, con Roma che viene “ripresa” perché guardata come qualcosa di passato. Nota barbosa.

[14] Non è detto in nessun libro; però è un problema che mi aveva sempre incuriosito, sebbene le donne romane se la passassero meglio delle greche, di poco, non avevano tutta la libertà che noi “oggi” pensiamo avessero e sicuramente non combattevano (rimane un mistero visto che 3 dei della guerra su 4 erano donne: Bellona, Minerva, Vittoria) – quindi, sì, be ad una certa devono aver valutato il problema e trovato una soluzione.

   
 
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