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Autore: Sasita    25/04/2022    2 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Ci avviciniamo al capolinea di questa storia e devo dire che è davvero una pietra miliare nella mia storia come fanwriter... mai prima d'ora avevo portato a compimento una longfic. Che dire, si cresce... mancano ancora un paio di capitoli dopo questo, e forse (forse) un epilogo! 
Grazie a chi è rimasto sintonizzato fino a qui, e grazie a chi commenta sempre. Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo! 

 


CAPITOLO XIII
Bless the broken road

 

I set out on a narrow way many years ago
Hoping I would find true love along the broken road
But I got lost a time or two
Wiped my brow and kept pushing through
I couldn't see how every sign pointed straight to you

That every long lost dream led me to where you are
Others who broke my heart, they were like Northern stars
Pointing me on my way into your loving arms
This much I know is true
That God blessed the broken road
That led me straight to you
Yes, He did

I think about the years I spent just passin' through
I'd like to have the time I lost and give it back to you
But you just smile and take my hand
You've been there, you understand
It's all part of a grander plan that is coming true

 

 

I giorni trascorrevano sereni, tra passeggiate nei filari e gite in spiaggia. Un giorno Castiel aveva insistito per mostrare a Dean le sue api; e dato che erano completamente abituate alla presenza dell’angelo e in Paradiso non c’era assolutamente nulla da temere, nessuno dei due aveva indossato alcuna protezione. Nonostante questo, mentre Castiel aveva raccolto un po’ di miele direttamente dalle arnie per farglielo assaggiare, Dean si era comunque tenuto a distanza: il ricordo del caso con la città invasa dagli insetti maledetti di quindici anni prima gli faceva ancora contorcere lo stomaco. Il miele era buono però, dolce e denso, dal lontano sentore di lavanda. Gli aveva fatto solleticare il palato, lasciando esplodere il retro della sua mente in una miriade di piccole stelline che gli avevano provocato una buffa euforia da zuccheri. Piegati dal dolore agli addominali e con le lacrime agli occhi, ubriachi di miele e col cuore riscaldato dal sole, Dean e Castiel si erano trovati a ridere come due ragazzini sciocchi ripensando alle situazioni più esilaranti in cui si erano trovati in passato.

Un altra volta Dean aveva deciso di andare a visitare qualche villaggio vicino. Castiel gli aveva spiegato che il Paradiso riproduceva abbastanza fedelmente la Terra, con alcuni necessari ampliamenti, e che vivevano al suo interno anime provenienti da tutte le epoche. Alcune di esse si erano adattate alla modernità, dopo un certo periodo di aggiustamento, altre invece avevano preferito rimanere nel proprio secolo, creando piccoli nuclei simili a bolle temporali in cui far un viaggio attraverso la storia. Nei pressi del loro cottage si potevano trovare sia cittadine moderne, ricalcate su luoghi come Arles, Avignone o Cassis, e altre più lontane nel tempo, come le medievali Bonnieux e Gordes, o l’ottocentesca Isle-sur-la-Sorgue. Ma c’erano molti altri agglomerati, alcuni anche molto antichi. Dean aveva deciso di fare un piccolo road-trip, scegliendo di visitare per primo il villaggio gallo-romano dove secondo Castiel si potevano trovare ottimi salumi e carne essiccata di cacciagione, da abbinare a pane grezzo di cereali antichi e marmellate di bacche boschive. I due si erano fermati in una taverna dall’aspetto autentico, fatta di pietre, terracotta, legno e paglia. Sedie e tavoli erano stati ricavati da vecchi ciocchi di legno e l’aria calda faceva evaporare dalla terra un’odore umido misto ad erba fresca, sottobosco e stalla. Una giovane dalle lunghe trecce castano chiaro e gli occhi quasi più chiari di quelli di Castiel aveva portato loro due bicchieri di terracotta pieni di sidro fermentato e due grossi piatti di leccornie molto particolari. Felice come un bambino davanti a un giocattolo nuovo, Dean aveva spazzolato tutto dando sfogo a tutta la sua allegria e stravaganza, enumerando ogni film trash che avesse mai visto sull’antichità, tra cui anche qualche “porno d’autore”, come l’aveva chiamato lui. 

Dopo aver gironzolato un po’ per il villaggio erano rientrati in macchina e si erano diretti verso un paese che ricalcava la versione medievale di Bonnieux. Qui Castiel aveva scovato una piccola locanda dall’aspetto logoro, da cui però proveniva un profumo intenso di limone. Se fosse stato possibile, a Dean sarebbero venuti gli occhi a forma di stella come nei cartoni animati, davanti all’assortimento di crostatine, tortine e biscotti, dolciumi zuccherini e mielosi di ogni genere e specie, al limone, all’arancia o alle ciliegie. Castiel gli aveva dovuto spiegare che il cioccolato non era ancora contemplato all’epoca, e Dean non si era poi risentito tanto, aveva preso quante più leccornie possibili e insieme si erano seduto su una panchina di pietra nella piazza più alta del paese per godersi il panorama. Avevano preso dell’idromele aromatizzato ai chiodi di garofano e Castiel aveva parlato della Via della Seta, delle fiere di Champagne e dei mercanti che correvano lungo le strade del mondo per unire Oriente ed Occidente, portando con sé spezie e pietre dure, considerate quasi dello stesso valore. Dean l’aveva ascoltato con gli occhi grandi, trangugiando un dolcetto dopo l’altro, finché non si era stancato ed aveva iniziato a giocare col cibo, sporcandosi un dito con una crema appiccicosa al limone per passarlo sulla faccia di Castiel. Il ricordo di quando Sam gli aveva schiaffato la fetta di torta in faccia al festival della crostata gli aveva punto un po’ il cuore, provocandogli una fitta tra le costole, ma era passata velocemente, con l’espressione di totale disappunto che era apparsa sulla faccia dell’angelo. Senza dargli il tempo di difendersi, Castiel gli aveva stretto i polsi con le mani e si era strusciato contro la sua faccia, riempiendolo a sua volta di crema. Avevano riso come bambini e poi si erano baciati fino a ripulirsi il viso, mescolando il sapore dei dolciumi a quello delle loro labbra. 

Nel tardo pomeriggio erano arrivati a visitare un vecchio monastero, un posto dove si trovavano le “anime dei devoti benedettini” di un qualche periodo tra il 1500 e il 1800, tutti raggruppati nonostante le diverse epoche di provenienza grazie al simile stile di vita, immutato nel tempo. Qui si erano ubriacati con un po’ troppo di quel vino bianco prodotto dai monaci, che avevano anche servito loro  una sorta di bassa focaccia al rosmarino calda e croccante insieme a una miriade di formaggi diversi, alcuni a pasta dura, altri spalmabili, altri che puzzavano più di un Goul. Dean era in estasi, mangiava e rideva e parlava a bocca aperta, sventolando la tazza di vino e gesticolando, con i pezzi di cibo che volavano dovunque. Castiel lo guardava con un sorriso fisso sul viso, con la schiena abbandonata contro lo schienale della panca e gli occhi azzurri che brillavano. Si erano seduti a uno dei pochi tavoli lunghi e rettangolari di lato alla chiesa, vicino al piccolo negozio di liquori, vini e prelibatezze fatte in casa che si incastonava in una parte del monastero. Il sole basso colpiva in pieno quell’angolo con i suoi raggi dorati, creando splendide ombre e giochi di luce che accarezzavano i lineamenti di entrambi, facendo loro ogni sorta di favore. Le lentiggini di Dean sembravano piccole macchie di bronzo fuso, i suoi capelli riflettevano come ambra scura, mentre gli zigomi alti e la mandibola scolpita di Castiel erano enfatizzati dando alle sue guance quella stessa ombreggiatura caravaggesca che aveva quando era apparso la prima volta.

Si erano spostati di nuovo solo al calare del sole, quando ormai il cielo era un’esplosione di colori che virava dal blu cobalto al rosso purpureo, passando da nuvole arancioni e rosate. In pochi giri di motore, come se la strada si accorciasse o si allungasse in base alle necessità di chi la percorreva, erano arrivati a quella che Castiel aveva chiamato la “Arles Celeste”, ovvero la versione perfezionata e paradisiaca della reale cittadina francese. Dean aveva insistito per mangiare di nuovo, e prima che Castiel potesse controbattere si era lanciato in una patisserie da cui usciva un profumo di burro e cioccolato da far venire l’acquolina in bocca. Da vero turista americano, l’uomo aveva ordinato una quantità spropositata di pan-au-chocolate ancora fumanti, e lui e l’angelo avevano passeggiato per le vie del paese che si animava per la sera, con le mani abbastanza vicine da sfiorarsi pur senza stringersi, mangiando quelle pagnotte di sfoglia al cioccolato in un silenzio rilassato. Quando ormai la sera era calata si erano ritrovati nel bel mezzo di una festa in centro città, con tutti i locali e i ristoranti aperti e una banda musicale che suonava qualche classico più o meno recente della musica francese; c’erano giovani e vecchi che cantavano e brindavano, alcuni ballavano, e tanti se ne stavano seduti a scherzare, mangiare e bere a piccoli tavolini tondi di ferro battuto. Dean aveva scelto un bistrot all’angolo tra la piazza e la strada principale illuminato a giorno dalle luminarie, e senza neanche pensarci aveva ordinato sia una fonduta di formaggio che una di carne, sotto lo sguardo esasperato di Castiel, che era già abituato alla capacità di mangiare ininterrottamente di Dean sulla Terra, ma che non aveva fatto i conti con la possibilità di autoregolarsi dono del Paradiso 2.0. Pur senza troppa convinzione avevano ordinato anche dell’acqua insieme a due gigantesche pinte di birra; testuali parole di Dean, era “stanco di fare il ragazzo altolocato” e aveva bisogno di un po’ di “buona vecchia birra per risciacquarsi da tutta questa delicatezza francese”. Castiel aveva riso, e poi avevano mangiato la loro cena parlando di tecnicismi da Paradiso. Dean aveva domandato come mai ci fossero persone con un aspetto più giovane ed altre un aspetto più anziano; sua madre gli aveva già spiegato che le anime si manifestavano nell’aspetto che avevano nel momento di massima espressione di sé della propria vita, ma lui si chiedeva se fosse possibile scegliere che aspetto avere, e se quindi alcuni scegliessero deliberatamente di mantenere l’aspetto che avevano quando erano morti, con le rughe e i capelli bianchi, o se invece fosse qualcosa su cui non potevano avere influenza. Inoltre la grande quantità di giovani lo incupiva. Castiel aveva sorriso con quel suo luccichio adorante negli occhi, e aveva spiegato come ognuno potesse bene o male modellare il proprio aspetto, ma che spesso si trattava di una scelta involontaria. Molti si risvegliavano in Paradiso freschi e giovani come non erano più da decenni, solo perché inconsciamente si sentivano più felici in quei panni, mentre altri, magari per qualche motivo legato alla propria esistenza, si risvegliavano esattamente come si erano addormentati. O, almeno, nell’aspetto. Le funzionalità del corpo “celeste” di ogni anima del Paradiso erano tali e quali a quelle che erano state proprie di ognuno al massimo della propria vigoria. Comunque la gran parte delle persone, aveva spiegato, finivano per materializzarsi in un’età di mezzo; non troppo giovani né troppo anziani. In quell’età della piena maturità e consapevolezza, della pienezza dei sensi e del cuore. All’apice della vita, in un certo senso. Dean aveva chiesto se qualcuno si fosse mai risvegliato bambino, e tentennando la testa Castiel aveva risposto di sì, ma aveva spiegato che spesso chi da adulto o anziano si trovava bambino in Paradiso lo faceva per un tempo limitato, come se volesse curare delle ferite rivivendo la propria vita in un modo diverso, pacifico. Neanche i bambini veri e propri, che per qualche motivo non avevano potuto concludere la propria vita terrena, crescevano in Paradiso prima o poi, con tempi e modi molto diversi rispetto a quelli terrestri.

Tra chiacchiere, cibo e alcol, alla fine Dean era stato talmente preso dal momento che aveva trascinato Castiel in mezzo alla piazza insieme alle altre persone, e insieme avevano ballato come due idioti. L’uomo scatenato e sciocco, l’angelo impalato e maldestro. Stanco e frastornato, alla fine Dean aveva preferito non tornare al cottage, così avevano optato per prendere una bella camera in un albergo in paese, e non appena avevano toccato il materasso l’uomo era crollato in un sonno pesante. Castiel, che per natura non dormiva, gli si era sdraiato accanto e lo aveva tirato a sé, senza svegliarlo, per fargli appoggiare la testa contro il suo petto. Il cuore umano che aveva dentro al suo tramite era così colmo di gioia e amore che se non fosse stato un angelo avrebbe dovuto temere che potesse scoppiare. Mai in tutta la sua esistenza aveva creduto di potersi sentire così, mai aveva anche solo immaginato che esistesse una sensazione di pienezza più dolce e stravolgente di quella che provava. Quando Dean si era accoccolato contro di lui nel sonno, cingendogli la vita con un braccio, Castiel si era beato di quella vista appena rischiarata dalla luce lunare, poi aveva deciso di dissociarsi per un po’ dal suo corpo per dare uno sguardo al Paradiso e assicurarsi che andasse tutto bene, pur senza abbandonare del tutto la coscienza per non perdere il contatto caldo e confortante della pelle di Dean contro la sua.

Nonostante secondo il loro progetto iniziale quel piccolo viaggio su ruote sarebbe dovuto durare solo una giornata, Dean si era svegliato il giorno dopo con la voglia di vedere Parigi. La mattina a colazione, davanti a una valanga di brioches e pan-au-chocolate e una tazza stracolma di caffè bollente, si era messo a parlare di come in vita avesse fatto migliaia di migliaia di chilometri su e giù per gli Stati Uniti, ma non fosse mai uscito dal Nord America, quindi ora che ne aveva la possibilità voleva cogliere l’occasione. A poco era valso il tentativo di rincuorarlo da parte di Castiel, che gli aveva assicurato che con tutta l’eternità davanti avrebbero sicuramente potuto visitare tutto il Paradiso più e più volte; e non solo i tanti luoghi ispirati alla Terra, ma anche moltissimi altri per i quali Jack aveva preso ispirazione dalla cultura pop. A quell’accenno gli occhi di Dean si erano fatti grandi e aveva iniziato a chiedere di questo e di quello, riempiendo le sue domande di citazioni cinematografiche e romanzesche che andavano sprecate se rivolte a Castiel. Così si era ripromesso di organizzare una gita nerd con Charlie e Kevin, e ovviamente avrebbe trascinato con loro anche il serafino, che lo volesse o meno, perché adesso che erano finalmente uniti non lo avrebbe lasciato indietro per nessun motivo. 

In ogni caso, Dean era stato categorico: Parigi sarebbe stata la loro tappa successiva, e nonostante le rimostranze di Castiel, che riteneva che la distanza fosse troppa per percorrerla in macchina, aveva insistito per guidare lungo i panorami francesi. Alla fine c’erano voluti tre giorni a raggiungere la città in macchina, tra interruzioni più o meno necessarie: una volta Dean aveva voluto per forza provare con Castiel una scena da un film erotico degli anni settanta in un campo di girasoli, e un’altra era stato l’angelo a stuzzicarlo a tal punto a forza di baci mentre guidava da costringerlo a fermarsi in mezzo alle colline sotto il cielo stellato, nascosti in un groviglio di braccia, gambe, mani e labbra sul sedile posteriore dell’impala. Arrivati nella copia della capitale francese Dean era stato attratto da ogni sorta di vetrina di boulangerie e patisserie. Nel secondo arrodissement si erano fermati per prendere una decina di eclair diverse, alla meringa, alle noci pecan, al cioccolato, al frutto della passione e altre ancora, in una piccolissima pasticceria in angolo. Castiel l’aveva spuntata sui musei: Dean aveva il diritto di scegliere di fermarsi a mangiare quello che voleva quando voleva, ma in cambio doveva sopportare delle visite culturali. Pur storcendo la bocca l’uomo aveva acconsentito, non senza volgere a suo favore il “quando voleva” che Castiel si era lasciato scappare. Avevano finito per visitare il museo d’Orsay nonostante le rimostranze di Dean, che in cambio aveva ottenuto di poter prendere dei waffle  giganti coperti di cioccolato e praline a forma di organi genitali, in una viuzza laterale, e aveva gongolato per almeno una mezz’ora sventolando il suo dolciume che, a suo dire, era decisamente meno imponente della controparte fisica di sua proprietà. Castiel aveva roteato gli occhi e si era domandato ad alta voce cosa avesse fatto di male per essersi innamorato di un tale deficiente, ma era bastato un bacio di Dean - che tra l’altro gli aveva lasciato uno stampo di cioccolato a forma di labbra sulla guancia - a far crollare la sua maschera di finta insofferenza. 

Passeggiando per il quartiere latino dopo un altro paio di tappe culturali, poi, Dean aveva notato un sexy shop e senza troppe cerimonie aveva preso Castiel per mano e ci si era lanciato dentro, finendo per uscire con un sacchetto fin troppo grande e fin troppo vistoso di “cose assolutamente necessarie”, almeno secondo lui. Per il resto del giorno Dean non aveva detto nulla a voce alta, ma si era divertito a flirtare con Castiel tramite preghiera, stuzzicandolo fino all’esasperazione: con uno schiocco di dita l’angelo li aveva trasportati in un istante nella piccola camera con vista sull’Arco di Trionfo che avevano preso quando erano arrivati, e avevano finito per saltare la merenda, troppo intenti a provare quei nuovi balocchi che a Dean sembrava piacessero tanto. Non che Castiel non avesse apprezzato, anzi. Quel giorno, per la prima volta, avevano fatto di nuovo l’amore e anche se l’angelo avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato usando la sua grazia, l’immagine di Dean che si spremeva il flacone di gel sulle mani senza mai smettere di fissarlo negli occhi era qualcosa che non avrebbe mai potuto dimenticare e che gli aveva provocato un’emozione tanto potente da trasformarlo in pura luce per qualche secondo, prima di riuscire riprendere il controllo. 

La sera avevano optato per una passeggiata lungo la Senna fino alla Torre Eiffel e dato che il Paradiso non era la Terra e che Castiel era il secondo al comando dopo Jack, in un battito d’ali si erano trovati sulla cima a contemplare la città dall’alto, viva e pulsante di milioni di anime in festa. Poi Dean aveva deciso di avere il suo momento alla Pretty Woman e, entrambi in smoking, avevano deciso di cenare al lume di candela con ostriche, champagne, escargot e paté de foie gras in un ristorante di lusso nella zona di Saint Germain. Dean aveva provocato Castiel per tutto il tempo, vezzeggiandolo telepaticamente per il suo aspetto, proiettandogli le sue stesse fantasie. L’angelo era rimasto abbastanza impassibile se si escludevano le occhiate infuocate che gli aveva lanciato per tutta la cena. Poi l’uomo aveva lanciato per sbaglio una lumaca al tavolo accanto ed entrambi erano scoppiati a ridere, finendo in lacrime a prendere bonariamente in giro sottovoce gli altri avventori. Dopo la splendida cena, comunque, il ragazzo americano di periferia che era in Dean era riemerso, e con uno schiocco di dita di Castiel avevano entrambi indossato vestiti più casual e si erano infilati in un locale a luci rosse con ballerine seminude e molti alcolici; Si erano seduti a un tavolino piuttosto centrale, l’uno accanto all’altro, così vicini da toccarsi dalla spalla al piede. Le loro quattro mani erano unite in un nodo inestricabile sopra al tavolo, liberandosi di tanto in tanto solo per afferrare i rispettivi drink. Si erano baciati senza ritegno e senza vergogna, dolci quasi fino al diabete, ignorando quasi del tutto le ballerine. Stranamente, Dean si era reso conto che nonostante le trovasse tutte estremamente attraenti e decisamente sensuali, non avrebbe voluto provarci con nessuna di loro. Il calore e la vicinanza di Castiel erano tutto ciò che voleva, e quello che gli si parava davanti non era che un piacevole spettacolo di burlesque come un altro. L’unica cosa che Dean aveva continuato a cercare era lo sguardo di Castiel, tra le risate e il divertimento generale: quella notte, tornati in camera, gli aveva fatto indossare di nuovo lo smoking, e si era goduto lo spettacolo del suo spogliarello sulle note di je t’aime moi non plus; schifosamente romantico e schifosamente cliché, ma non importava a nessuno. Mentre guardava il suo angelo che si spogliava per lui, Dean si era sentito pieno di un’emozione profonda, stravolgente, e si era sorpreso a pensare a quanto fosse incredibile il potere di un sentimento come l’amore.

Quando finalmente, dopo una settimana on the road, erano tornati al loro cottage in Provenza, Dean si sentiva letteralmente e figurativamente in Paradiso. 

Entrarono nella piccola casetta e si buttarono entrambi sul divano, accesero la televisione e si accoccolarono l’uno contro l’altro: Castiel quasi seduto, con la schiena dritta contro lo schienale, e Dean quasi sdraiato, con la testa sulle gambe dell’angelo e un braccio di lui a cingergli le spalle. Scelsero di guardare un western già visto e rivisto, solo come sottofondo, per rilassarsi un po’ senza impiegare troppe energie.

Fu Castiel a rompere il silenzio. «Come ti senti?»

«Molto bene», rispose Dean con un mugolio.

«Possiamo rifarlo ogni volta che vogliamo, andare ovunque ci venga in mente»

L’uomo annuì, sorridendo. «Tu dove stai, Cas? Di solito, dico…»

«Che intendi?»

«Abbiamo parlato di costruire un posto, una casa… ma non ti ho chiesto se ne hai già una»

Castiel sorrise, i suoi occhi accarezzarono per un attimo i lineamenti di Dean, disteso sulle sue cosce. «Non ho ritenuto necessario averla, almeno fino ad ora… come sai, non ho quasi mai avuto un tramite da quando Jack mi ha riportato indietro dal Nulla fino al momento in cui tu mi hai chiesto di… uhm, indossarlo

Dean fece una smorfia. «Detto in questo modo suona veramente male, Cas»

«Hai ragione…», concordò Castiel, «…ma il punto non cambia. Sono rimasto nella mia forma autentica per tutto il tempo che ti ho aspettato. Certo, a Bobby e Charlie e tua madre mi sono mostrato con questo corpo, ovviamente, ma a parte quelle sporadiche volte non ho mai avuto nessun corpo materiale da far riposare in qualsivoglia luogo», poi ci pensò, «Non che io riposi, comunque»

«Però hai dormito con me in questi giorni»

«Più precisamente ti ho osservato dormire, sdraiato nel letto con te…»

«Non dormi proprio mai?»

Castiel sbuffò una risatina leggera, il suo sorriso si allargò fino agli occhi, increspando la pelle intorno al naso. «Non mi serve dormire per sognare di te, quando ti ho già tra le mie braccia»

Dean schioccò le labbra. «Bastardo adulatore», commentò sorridendo. «Quindi dove stavi? O, dove stai?»

«Al quartier generale», rispose Castiel con un sospiro. «È buffo, sai? Devo portarti a vederlo… Jack l’ha creato a immagine e somiglianza del bunker… la sala centrale è esattamente identica alla stanza del tavolo con la mappa, solo in bianco. È tutto bianco, in effetti… molto…»

«Freddo?»

«Da un punto di vista umano probabilmente sì…»

«Allora perché l’ha fatto così?»

Castiel ci pensò un po’. «Quasi tutti gli altri angeli— beh, a parte quelli nuovi… sono abituati a un certo tipo di luogo… il modo in cui io e Jack abbiamo rivoluzionato il Paradiso li ha destabilizzati, almeno in parte… immaginati di vivere in un luogo che è rimasto uguale per secoli, anzi… millenni, anche se dovrei dire ere geologiche… ecco, e all’improvviso, quel luogo è completamente stravolto da un Nephilim che ha assorbito il potere di Dio, che nel frattempo era scomparso, e da un angelo morto più volte di quante sia dignitoso ricordare che l’ultima volta che ha preso il potere ha ucciso centinaia di fratelli… beh, avevano bisogno di un po’ di… sicurezza, diciamo»

«Capisco…», sussurrò Dean. «…un po’ come quando casa di Bobby ha preso fuoco»

«All’incirca»

L’uomo inspirò, si grattò la nuca e si sollevò, sedendosi accanto a Castiel per poterlo guardare negli occhi. Come aveva fatto a meritarsi una cosa del genere? Dieci giorni di pura serenità, di gioia e di passione, di scoperta, con una creatura come quella? Certo, Castiel aveva avuto la sua bella dose di stronzate lungo la strada. Ne aveva combinati di casini, accidenti, eppure in retrospettiva Dean non poteva che pensare a come ogni cosa che aveva fatto, ogni singolo passo e ogni singola scelta, stupida e arrogante e presuntuosa che fosse, l’aveva fatta solo per lui. Aveva cercato di diventare la creatura più potente dell’universo per proteggere la Terra, e solo perché Dean ci teneva. Aveva preso il dolore di Sam, la sua follia dopo che la sua anima era tornata dall’inferno e il blocco messo da Morte era crollato, e se ne era fatto carico, perdendosi in una spirale di allucinazioni. All’epoca Dean era convinto che l’avesse fatto per entrambi, per proteggere le “migliori chance di sopravvivere della Terra”, ma ora sapeva bene che non era così: tutto ciò che Castiel aveva fatto, nel bene e nel male, l’aveva fatto per lui. E come l’aveva ripagato? Cacciandolo dal bunker per fare un piacere all’ultimo angelo caduto che gli si era parato davanti, che l’aveva imbrogliato, che gli aveva mentito, che l’aveva usato, e che alla fine aveva ucciso Kevin e fatto sì che Dean, idiota com’era, lasciasse Castiel da solo, fragile nella sua nuova e innaturale umanità, a cavarsela in un mondo di mostri umani e disumani. 

«Che razza di stronzo che sono stato…», disse ad alta voce seguendo il flusso dei suoi pensieri.

Castiel aggrottò la fronte. «Di che parli?»

«Avrei dovuto trattarti meglio»

«Dean… non devi, ti prego, smettila di punirti»

L’uomo sorrise, gli posò una mano sulla guancia. «Non lo sto facendo», rispose, la sua voce era una carezza appena graffiata dalla sua costante difficoltà di esprimere i propri sentimenti. «Sto solo esponendo un fatto… sono stato un vero bastardo con te, avrei dovuto trattarti molto meglio… ma ero così cieco e così arrabbiato, così incapace di… perdonare. E di vedere. Non avrei mai dovuto mandarti via dal bunker… tu eri… umano e fragile e disorientato e… a portata di mano. Forse, non so, col senno di poi se tu fossi rimasto nel bunker, umano com’eri… chissà che io non avrei lasciato cadere le mie rimostranze prima… se non fosse stato per Gadreel, ma… io— Sammy…»

«Dean, non hai colpe. Non importa, è passato»

«Non voglio mentirti, Cas…», disse Dean lasciando cadere la mano. «…Sono venuto tante volte a vederti lavorare, con quel tuo giubbetto blu… ma non mi sono mai mostrato. Non volevo… stravolgere di nuovo la tua vita, l’equilibrio che stavi costruendo e— quando eri in macchina con me e dovevi andare a quell’appuntamento…»

«Che poi non era un appuntamento, che stupido ed ingenuo che sono stato… a credere che un altro essere umano potesse trovarmi interessante, in quei panni»

«Tu eri interessante, Cas. Lo sei», gli disse Dean di getto, «Sempre stato!», lo rincuorò ancora, cercando i suoi occhi. «E quando ti ho visto uscire dalla macchina, prendere quella rosa, quello scambio di sguardi… maledizione, Cas! Che razza di pagliacci che siamo stati entrambi! Io che tutto volevo tranne che tu andassi da lei… e tu… me lo ricordo sai, ora me ne rendo conto e non so perché lì per lì non ho reagito diversamente, ero così… stupidamente cieco… beh, se ci ripenso, lo vedo lo sguardo che mi hai dato quando ti ho detto che non potevo lasciartelo fare… e poi ti ho detto che mi riferivo ad andare all’appuntamento con la casacca da cassiere—»

«Speravo in un altro motivo, in effetti… c’è stato un lampo di speranza, in me… ma poi mi sono ricreduto»

«Non avresti dovuto… non so, davvero, non so cosa avrei potuto fare e come avrei potuto reagire se tu… non lo so, mi avessi, per dire, baciato… penso che non mi sarei ritratto, probabilmente. Sai, da umano mi sembravi— nonostante la mia cecità, il mio negare l’evidenza… mi sembravi accessibile, naturale… ma poi ovviamente è andato tutto a rotoli e gran parte della colpa è mia»

Castiel piegò le labbra in un piccolo sorriso timido. «La colpa è nostra… siamo stati entrambi due stupidi»

«Non voglio che capiti più, Cas», commentò Dean con un cenno assertivo del capo.

«Cosa?»

«Essere allontanato da te… per qualunque motivo»

L’angelo sorrise un po’ di più. «E non accadrà…»

«Ovviamente qualche volta possiamo anche prenderci del tempo per noi stessi, sai… tu puoi fare i tuoi giri angelici o qualunque cosa sia che devi fare, mentre io posso passare del tempo con i miei amici, anche da soli, ovviamente, o insieme, certo… insomma, quello che voglio dire è che anche se a volte dovremo separarci per un po’— non più di qualche ora, sia chiaro, e mai per la notte a meno che non sia strettamente necessario… voglio sempre tornare a casa da te»

Castiel annuì.

Dean schioccò le labbra. «Quindi sono pronto, voglio tornare… voglio costruire una casa per noi, insieme a te, e voglio che sia calda e accogliente, piccola ma comoda… voglio un bel giardino con una piccola serra, dove puoi coltivare le tue piante… come mi hai detto una volta, ti ricordi? E poi voglio che tu abbia un’arnia… o più arnie, insomma, quante ne vuoi… e poi voglio—»

«Un garage e un piccolo parco macchine, dove puoi lavorare su baby tutte le volte che vuoi?»

Il viso dell’uomo si illuminò all’idea. «Sì! E voglio che sia vicino a casa di Bobby, perché è da lui che prenderò tutti i pezzi di ricambio… quel vecchio bastardo ne avrà a sfare, ci scommetto. E poi voglio avere un bel salotto accogliente, con una cucina a vista… come si dice? Un open space… che dia su… su… sul giardino, con una parte di patio coperto a cui si accede da delle porte vetrate scorrevoli, che si possono aprire e chiudere, così da avere uno spazio grande per fare le feste con i nostri amici e organizzare le grigliate e… ci vorranno due griglie, ovviamente, perché non esiste che io mescoli le verdure con la mia carne e quel testone di Sam quando arriverà vorrà i suoi terribili hamburger di tofu o quella roba là…»

Castiel rise e scosse la testa. «Che ne dici di una piscina? Mi sono sempre sembrate un ottimo luogo di ritrovo per voi umani… vi piace, no, fare le feste e poi lanciarvi vestiti nell’acqua? Su Netflix ho visto molte scene del genere…»

Dean si unì alla risata. «Sì…», ammise. «E ovviamente voglio un bar… anzi, due bar. Uno esterno…», i suoi occhi si fecero enormi mentre guardavano nel vuoto oltre la spalla dell’angelo davanti a lui, la sua bocca si spalancò, «…in mezzo alla piscina!», urlò quasi, facendo scoppiare a ridere Castiel un’altra volta. «…e ovviamente uno in casa, con un assortimento di whiskey e scotch che neanche Catch potrebbe immaginarsi. E birre, ovviamente… e senza dubbio una taverna per i film! Sarà la Dean-Caverna… anzi, no, com’è che ci avevano chiamato quei mezzi matti di quella scuola? Deas… Das… Destiel! Sarà la Destiel-Caverna», asserì schioccando le dita.

Castiel sorrise. «Potremmo anche avere una stanza-studio d’arte in soffitta?»

L’uomo si concentrò di nuovo sul viso dell’altro, con gli occhi stretti in un’espressione incuriosita. «Certo…», rispose interessato.

«Sai… mi piacerebbe, non so, provare a dipingere o creare qualcosa… con le mani. Per noi angeli, soprattutto per me come serafino, in particolare dopo aver dato vita a questo nuovo Paradiso con Jack… creare è qualcosa di naturale, di privo di sforzi… con uno schiocco di dita noi diamo vita a intere città celesti, a cascate e montagne… possiamo curare e uccidere, possiamo cambiare il giorno in notte… ma ho sempre invidiato la capacità umana di immaginare e creare e dare vita a qualcosa seppur di inanimato… mi piacerebbe, non so, scrivere delle poesie e dipingere dei quadri e… non lo so, magari farò schifo ma voglio farlo come un umano»

L’espressione di Dean si ammorbidì, le sue iridi verdi si riempirono di tenerezza. «Non potresti mai fare schifo e poi… hai sempre la grazia per correggere le sbavature», gli disse con una spallata.

«E poi penso che dovremmo avere un lucernario, per guardare le stelle anche da dentro casa… come in quel film, come si chiama? Kilo e Stitch?»

«Lilo», rise Dean, «Lilo e Stitch»

«Uhm»

«Va bene»

«Che altro?», chiese Castiel.

«Una camera da letto con un bel letto matrimoniale… ma non troppo grande, perché mi piace starti attaccato»

«Anche a me piace starti accanto», annuì, «E una cucina ben attrezzata… potremmo avere un forno per la pizza, magari? Un vero forno a legna, di quelli italiani»

Dean si illuminò. «Ooh, sì! Ma chiunque si azzardi a mettere dell’ananas sulla pizza fatta in casa nostra sarà bandito in eterno…»

Castiel ridacchiò. «Che problemi hai con l’ananas?»

«Con il frutto in sé, assolutamente nessuno… con il fatto che qualcuno pensi di mettere della frutta sui carboidrati, molti»

«Sei consapevole che i pomodori sono frutti, vero?»

Dean parve pensarci un po’, come se stesse valutando qualcosa a cui non aveva mai davvero fatto caso. «Beh, qualcuno avrà sbagliato a catalogarli… non mi interessa…»

«Anche l’avocado è un frutto, eppure la gente lo spalma sul pane… e lo mangia con la carne»

«Altro banale errore», commentò l’uomo, «e poi comunque sono le eccezioni alla regola e… in ogni caso, la pizza è italiana, giusto?»

Castiel alzò un sopracciglio. «Sì…»

Dean gli fece un sorriso furbo. «E gli italiani ci mettono sopra l’ananas per caso?»

«Beh, no, ma…»

«E allora cento punti a Grifondoro, ovvero alla mia casa, e niente ananas sulla pizza!»

L’angelo scosse la testa. «Va bene»

Dean rise, si alzò dal divano e andò al frigo per prendersi una birra. Con uno scambio di occhiate chiese a Castiel se ne volesse una e lui annuì, afferrandola al volo quando l’uomo gliela lanciò dall’altro lato della stanza. Tornando a sedersi al suo fianco, con il film che scorreva nella televisione, Dean stappò la bottiglia e ne bevve un lungo sorso, annuendo con gli occhi fissi davanti a sé come se stesse soppesando tutta la loro conversazione.

«Direi che abbiamo dipinto un bel progetto…», disse. «…pensi che gli altri ci aiuteranno a realizzarlo?» 

«Sicuramente»

L’uomo annuì ancora. «Però per prima cosa, quando torniamo, dovremmo andare dai miei… siamo fuggiti senza dire nulla, credo che dovrei… uhm, presentarti ufficialmente, ecco»

«Mi conoscono già, Dean»

Lui tentennò la testa. «Mia madre sì, come amico però. E mio padre non proprio… non penso di avervi mai presentato ufficialmente…»

«Beh, no, ma—»

Dean alzò una spalla e piegò le labbra verso il basso, in un’espressione decisa. «E sono proprio curioso di vedere se il mio vecchio ha qualcosa da ridire…»

Castiel gli lanciò uno sguardo oltre la spalla. «Dean, non sei costretto a farlo se temi che…»

«Non temo niente, Cas… mio padre è stato un vero stronzo, un vero bastardo, e ha rovinato l’infanzia a me e Sam e sicuramente non è mai stato un modello per quanto riguarda le relazioni, e non ti nego che non mi ha mai lasciato intuire che sarebbe stato tutto tranquillo e sereno se avessi portato a casa un ragazzo invece che una ragazza… che pensi? Ho sempre percepito che mi piacevano anche i maschi, almeno fisicamente, ma ho sempre pensato che fosse sbagliato perché John ha sempre parlato solo di donne, di come comportarsi con loro, di come flirtare, di come proteggersi, sai… e non con la lama angelica, Cas», rise, «…e ha sempre usato parole spregevoli nei confronti degli uomini che si rifiutavano di combattere, appellandoli con tutta una serie di offese legate all’omosessualità, come se fosse una cosa sbagliata, negativa diciamo… penso sia normale che io sia cresciuto pensando che amare una persona del mio stesso sesso fosse sinonimo di debolezza, in un certo senso…»

«Ma—», cercò di interromperlo Castiel, senza successo. 

Dean era nel pieno di una rivelazione, e sembrava che parlasse più con sé stesso che con l’angelo. «…eppure sai, non è che abbia mai avuto atteggiamenti aggressivi o altro, quando abbiamo incontrato coppie di due uomini, o due donne, non ha mai… non è mai stato effettivamente omofobo. Credo di essere stato io a… interiorizzare, in un certo senso, l’omofobia in modo— di riflesso, ecco. Se un poliziotto era pigro, mio padre usava termini offensivi come… beh, non importa quali… sta di fatto che ho come sempre percepito che fosse sbagliato, innaturale… che ti indebolisse, non so— e ovviamente ogni volta che era ubriaco e ci trovavamo a discutere urlava contro Sammy le stesse cose, perché lui sai… era tutto libri e soldatini, ben poca azione… e io… beh, credo di aver compensato indurendomi, convincendomi non solo che non potevo avere niente di diverso dalle donne, ma che anche con loro non avrei dovuto instaurare rapporti seri, profondi… perché, ehi, gli uomini duri sono quelli che sanno accettare un no per risposta quando approcciano una donna, ma mirano a quanti più sì diversi in una settimana, giusto? E poi avrei messo a rischio chiunque, in una relazione… meglio essere un uomo insensibile, un vero sciupa femmine… un vero coglione, in definitiva»

«Dean, non sei mai stato così…»

«Oh, sì che lo sono stato… o meglio, fingevo di esserlo… me l’ha anche detto Sam una volta… che le persone ci scambiavano per una coppia perché io ero un coglione sempre sull’attenti, pronto a prendere a schiaffi chiunque, con quell’aria arrogante ed altezzosa, sempre sul filo della discussione… come se dovessi nascondermi… in un certo senso era vero. Non sono una persona insensibile, Cas… non lo sono mai stato, e credo che fingere di esserlo abbia finito per incrinare anche il modo in cui io vedevo me stesso… sei tu che hai cambiato quell’immagine riflessa che avevo di me», confessò.

Castiel gli sorrise. «Hai fatto tanta strada da allora, Dean… e anche John. Sono sicuro che sia consapevole di aver sbagliato, con te, con Sam, con tua madre… sono anni che è qui in Paradiso… il tempo cambia le persone, lo sai, no? O meglio, le mette davanti alle loro scelte, ai loro errori, e le fa maturare… e tu sei cresciuto, così come è cresciuto lui… ma ovviamente, Dean, se tu non te la senti, non devi farlo per me… io sono felice in una bolla solo con te, non mi importa di nient’altro»

«Importa a me», controbatté Dean, con una scossa della testa, fissando gli occhi in quelli di Castiel. «Voglio vivere la mia verità… ora che mi rendo conto che questa non influisce su di me, come persona… che non mi definisce. Io sono sempre lo stesso, e ho sempre lo stesso carattere e sono sempre così come sono anche ammettendo di essere… uhm, sì, credo bisessuale? Beh, insomma, etichette a parte… sono sempre lo stesso anche se sono innamorato di un angelo— anzi, di un serafino senza sesso e genere vestito del corpo di un uomo, e questo… questo mi rende fiero. Ho accettato me stesso e non voglio nasconderlo a nessuno, non voglio viverlo come una cosa di cui vergognarmi… inconsapevolmente Chuck ha benedetto la via che mi ha portato direttamente a te, e Jack… beh Jack l’ha consacrata…»

Castiel lo guardò intensamente, poi sospirò e annuì. «Sappiamo entrambi che non aveva bisogno di me per ricostruire il Paradiso…»

«Già», confermò Dean.

«Tu non hai idea di quanto l’ho pregato… o magari ce l’hai, dato che puoi sentire le preghiere… ma l’ho pregato fino allo sfinimento, perché ti riportasse indietro… non sapevo che mi avesse ascoltato, non ne avevo la certezza… e sinceramente non ci credevo neanche perché Chuck aveva detto di non aver potere sul Nulla… eppure, l’ha fatto… e sicuramente l’ha fatto perché sei suo padre, per lui, ma penso… in un certo senso credo che…»

«L’ha fatto anche per te, Dean», sospirò Castiel. «Sapeva che non saresti mai stato felice… qualunque cosa ci fosse tra noi, sapeva che il tuo Paradiso non sarebbe stato completo senza di me… che ti saresti sempre sentito in colpa»

Dean sbuffò una risata. «Il piccolo stronzetto la sapeva lunga»

«Se è per questo nel suo Paradiso… ti ricordi, quando sono andato a recuperarlo?» 

«Sì, quando così stupidamente hai fatto un patto con il Nulla»

Castiel tentennò la testa. «Esattamente… beh, nel suo Paradiso c’eravamo anche noi, era un ricordo di uno dei nostri viaggi, eravamo parcheggiati davanti a una stazione di servizio e sul cofano della tua macchina c’erano bibite e cibo… beh, quattro persone, tre bibite, di cui una con due cannucce… e dubito che fosse divisa tra te e Sam»

«Eww», commentò Dean al solo pensiero. «Stai dicendo che nel Paradiso di Jack io e te condividevamo una bibita?»

Castiel rise. «Già»

«Piccolo bastardo», rise.

«In ogni caso, Dean… sono felice che tu voglia essere aperto riguardo a questo, riguardo a noi», disse gesticolando nello spazio tra lui e Dean.

Lui gli sorrise, lanciandogli uno sguardo di sottecchi. «Non c’è più motivo di non esserlo… e poi, sarebbe difficile tenere nascosto per l’eternità quanto mi piace vederti gemere nel nostro letto»

Castiel arrossì tutto d’un colpo, affogandosi quasi con la birra. «Dean

«Che c’è?»

«Non puoi dire queste cose mentre sto bevendo!»

«Oh, sì che posso…», rispose l’altro, avvicinandosi all’orecchio di Castiel fino a soffiarci dentro, a un millimetro di distanza. «…e ora che ci penso, mi piacerebbe proprio provare quella vasca che abbiamo in camera… potremmo sempre averne una copia nella nostra nuova casa, se ci piace…»

L’angelo fremette, un piccolo bagliore uscì dalla sua pelle. Quando parlò, la sua voce era un suono gutturale, caldo e graffiato, i suoi occhi pozzi blu cobalto. «Fammi strada»




 

   
 
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