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Autore: CedroContento    26/04/2022    2 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Con il senno di poi, non avremmo dovuto lasciare che fosse Thorin a guidarci attraverso la foresta. Non è quello di noi con il senso dell'orientamento migliore, non so se mi spiego… Mmh, non dirgli che te l'ho detto.” 
 
Dori

 
 
La casa di Beorn sembrava una piccola isola di pace in un quel mondo folle, pieno di pericoli e tanto diverso dalla tranquilla Contea.   
Dopo tutte le fatiche, e davvero troppe emozioni, Bilbo trasse un respiro di sollievo nel trovarsi in un posto dall'aria sicura e, almeno all'apparenza, sereno. Era da quando avevano lasciato Gran Burrone che non era più riuscito a concedersi il lusso di rilassare i nervi.  
 
La tenuta di Beorn era molto più semplice dell'elegante Ultima Casa Accogliente. Consisteva in diversi edifici in legno: granai, stalle, file di arnie con tetti di paglia. 
Un mucchio di animali - tra cui cavalli dal pelo folto e lucente, cani, pecore e pony - si aggiravano liberamente in ogni ambiente, anche dentro casa. 
 
Ovunque risuonava il ronzio delle api giganti allevate da Beorn. Bilbo aveva faticato ad abituarsi a quel rumore costante, qualche volta gli sembrava di non riuscire a sentire nemmeno i propri pensieri in quel baccano; altre, invece, lo percepiva appena. 
 
Ma ciò che sopra ogni cosa lo affascinava, era la bellezza ed il profumo del gran numero di fiori che crescevano indisturbati praticamente dappertutto, molti dei quali non aveva mai visto e di cui non conosceva il nome.  
Ne era così colpito, che era riuscito a mettere da parte il timore per l'omone che li ospitava - ospitava, ma non senza una certa riluttanza - e aveva trovato il coraggio di chiedere a Beorn qualche informazione. Così era capitato che i due fossero entrati in confidenza, accomunati dalla passione per il giardinaggio.  
 
Una volta che lo si conosceva, Beorn si rivelava essere un tipo molto gradevole, a modo e sorprendentemente sensibile nei confronti di tutte le creature, specie quelle che considerava indifese. In effetti, Bilbo era certo che preferisse di gran lunga gli animali alle persone. 
Doveva aver sofferto tanto in passato, questo per lo hobbit era evidente, lo aveva capito anche senza che il mutapelle avesse bisogno di raccontare alcunché. Ad alcuni le cose le si poteva semplicemente leggere negli occhi, e Beorn negli occhi aveva quella perenne malinconia, quella che non se ne va più via, quando la vita arriva a toglierti troppo.  
 
Anche Beorn aveva finito per prendere in simpatia il piccolo mezzuomo; gli aveva addirittura regalato qualche piccolo bulbo e qualche seme da piantare nel giardino di Casa Baggins, una volta - e se - Bilbo vi avesse fatto ritorno. 
 
“È bello qui,” commentò lo hobbit, nel tardo pomeriggio del loro secondo - e ultimo - giorno a casa di Beorn. 
Bilbo si era comodamente sistemato su una panca in veranda ed era intento ad ammirare il giardino fiorito, sorseggiando latte caldo e miele. 
“Casa tua per alcune cose mi ricorda la Contea,” disse a Beorn, che lo stava raggiungendo per accomodarsi sulla sua sedia a dondolo preferita. 
Il gigante concesse la cosa più vicina ad un sorriso che gli riuscisse: “Ed io sono contento di aver avuto occasione di incontrare uno di voi mezzuomini. Se sono tutti come te, siete brava gente. Sarete sempre benvenuti a casa mia.”  
 
Bilbo chinò il capo in segno di ringraziamento, lusingato e sinceramente grato per quello che riconosceva essere un grande onore. Beorn non era proprio un tipo incline a concedere la propria amicizia con leggerezza.
 
“Ma non credo ti capiterà di incontrarne tanti altri al di fuori della Contea, non siamo gente che ama vagabondare in cerca di avventure!” lo avvisò Bilbo. 
Questa volta Beorn sorrise sul serio, un sorriso che durò l'attimo di un battito di ciglia. 
“E fate bene,” approvò annuendo. “Non mi piace che tu te ne vada a spasso con tutti quei nani,” aggiunse, più duramente.  
 
“Come mai ti stanno tanto antipatici?”   
“Devi fare attenzione ai nani, Mastro Baggins. Sono egoisti, avari. Non ci si può fidare, perché se dovranno scegliere, sceglieranno di fare sempre e solo i propri interessi,” spiegò Beorn, rilassandosi contro lo schienale della sedia e allungando le lunghe gambe. 
“E questo discorso vale soprattutto per Thorin Scudodiquercia,” aggiunse, lanciandogli una lunga occhiata eloquente.   
 
Bilbo si sentì arrossire fino alla punta dei capelli; non credeva fosse così evidente.  
“È sangue malato quello che scorre nelle sue vene. Arriverà il giorno in cui potrebbe essere in grado di uccidere anche i suoi stessi cari, alla minima parola sbagliata. Voglio che tu lo tenga bene a mente. Mi sei simpatico, mi spiacerebbe se facessi una brutta fine”.  
 
“Bilbo,” la voce di Thorin alle loro spalle fece trasalire lo hobbit, che non ebbe quasi tempo di elaborare le strane - tutto sommato, forse, ridicole? - raccomandazioni di Beorn. 
 
Colpevole, il suo sguardo volò verso la porta, dove il nano stava in piedi, in attesa. Si chiese da quanto tempo fosse lì, in ascolto. 
Thorin, dal canto suo, però, non guardava affatto lui: i suoi occhi gelidi erano puntati su Beorn, il quale contraccambiava lo sguardo ostile senza troppe finzioni o traccia di rincrescimento. 
 
Il mutapelle, non si era scomposto per niente all'arrivo di Thorin; Bilbo ebbe il sospetto che sapesse benissimo che fosse proprio lì. 
 
“Potresti venire? Ci stiamo riunendo per organizzarci,” disse Thorin, in tono piatto.    
“Certo,” rispose Bilbo, facendo per alzarsi. “Grazie ancora per quella ghianda, Beorn. Spero di riuscire a piantarla presto nel giardino di casa Baggins e che diventi bella e forte come le tue querce,” si congedò.   
Beorn annuì, ma la sua espressione si era indurita, rispetto a poco prima; aveva perso ogni cordialità.  
 
Bilbo seguì Thorin nella grande sala da pranzo, dove gli altri si erano già riuniti attorno all'enorme tavolo da pranzo. 
Le parole di Beorn ancora gli si rigiravano per la testa.  
 
“Di cosa stavate parlando?” indagò Thorin, voltandosi verso di lui e bloccandogli la strada. Erano ancora abbastanza a distanza dal resto del gruppo da non essere uditi. 
 
Bilbo studiò l'espressione DI Thorin, chiedendosi dove volesse andare a parare facendogli quella domanda, quando conosceva benissimo la risposta. Cosa si aspettava gli dicesse? 
“Nulla di importante. Il solito… giardinaggio,” mentì - almeno in parte - decidendo che non gli andava di tirare per le lunghe quella faccenda, che per altro non era certo di capire ancora del tutto. 
 
Thorin annuì, pensieroso. Se la risposta lo aveva in qualche modo deluso, Bilbo non riuscì a capirlo.
 
 
Bosco Atro distava poco più di un giorno a cavallo da casa di Beorn. 
Il mutapelle aveva gentilmente deciso di mettere a loro disposizione i suoi adorati pony - “Badate a quello che fate, sono come figli per Beorn!” li aveva ammoniti Gandalf - se non altro in nome della loro rivalità comune con gli orchi, ma non senza la promessa che sarebbero stati liberati al limitare della foresta. 
 
Seguendo i preziosi consigli del gigante, che conosceva quei territori come le proprie tasche, cambiarono i loro programmi riguardo al tragitto che avevano pensato di seguire in partenza; puntarono a nord anziché a sud. 
 
Così facendo si sarebbero avvicinati nuovamente alle montagne, e al grosso delle forze di Azog, ma convennero che i loro nemici non si sarebbero mai aspettati una mossa simile. Al contrario, osservò Beorn, era molto più facile che gli orchi li avrebbero preceduti a sud, ammesso che non fossero già lì, pronti a tendere loro un’imboscata su uno dei sentieri più noti ed utilizzati per oltrepassare il bosco. 
 
A nord, invece, avrebbero potuto seguire un antico sentiero degli elfi, insidioso e meno battuto, ma che gli avrebbe portati molto vicini alla Montagna Solitaria.
 
Così il loro viaggio proseguì. 
Cavalcarono sull'erba soffice, il clima era quello gradevole di inizio autunno e, nonostante la minaccia costante dei mannari alle costole, si attardarono, impiegando più tempo del dovuto ad attraversare quel tratto. Tacitamente ognuno di loro voleva rimandare, almeno ancora per qualche tempo, l'incontro con i pericoli che aveva in serbo il bosco oscuro. 
 
Nonostante, come fece notare con un certo disappunto Gandalf, se la fossero presa davvero comoda, il limitare della foresta fu presto visibile all'orizzonte. 
La compagnia indugiò ancora qualche ora alle sue soglie, dove gli alberi più esterni allungavano le loro braccia nodose sopra le loro teste. 
 
Sbirciando tra di essi, Bilbo avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. Non sapeva se era solo questione di suggestione per la tensione che sentiva tra i suoi compagni, ma percepiva come un senso di allarme. Quel posto gli dava una sensazione terribile: la foresta era vecchia, malata. Era arrabbiata.   
 
“È giunto il momento di restituire i pony al loro proprietario,” disse Gandalf. 
“Vorrei non doverlo fare. Ci farebbero ancora comodo, saremmo più veloci nell'attraversare il bosco,” disse Thorin. 
“Ma lo farete! Non è una buona idea farsi un nemico come Beorn. E poi, hai dato la tua parola, mio caro Thorin,” lo rimproverò Gandalf, increspando le folte sopracciglia grigie. 
“Eppure tu non mi sembri intenzionato a lasciar andare il tuo cavallo” ribatté, aspro, il nano, notando che lo stregone non aveva liberato l'animale dal peso delle sue bisacce. 
“Perché non ho intenzione di farlo. Lo riaccompagnerò dal suo padrone personalmente.”
 
Un coro di proteste si levò dai nani a quell'annuncio. 
Gandalf li aveva già da tempo avvisati che prima o poi le loro strade avrebbero dovuto separarsi per qualche tempo, prima di raggiungere la Montagna Solitaria; uno stregone aveva pur sempre i suoi affari urgenti da sbrigare. Si sarebbero ritrovati senz'altro ai cancelli di Erebor, prima del Dì di Durin, promise. 
 
Bilbo, che fino a quel momento aveva sperato che l'amico avesse cambiato idea, non poté fare altro che salutarlo e poi guardarlo allontanarsi verso l'orizzonte, nella direzione da cui erano venuti. Prima di sparire del tutto dalla loro vista, Gandalf si girò un'ultima volta a salutarli; adorava avere l'ultima parola su tutto, anche quando si trattava solo di congedarsi.    
Lo hobbit sorrise. Gli voleva un modo di bene, nonostante tutti i suoi difetti; si augurò di poter rivedere presto il suo alto cappello blu.
 
 
Con il morale sotto i piedi e tanti pensieri per la testa, Bilbo si chinò sul suo nuovo zaino, per aggiustarlo alla meglio. 
 
Sospirò, chiedendosi quanto a lungo sarebbe riuscito a trasportare tutto quel peso.
Beorn li aveva riforniti di acqua e viveri a sufficienza, almeno fino a Pontelagolungo; lì avrebbero dovuto vedere di arrangiarsi. 
 
“Non ti preoccupare, presto sarà molto più leggero e allora desidererai che fosse più pesante,” disse Thorin, avvicinandosi e indovinando in pieno i suoi pensieri. 
Bilbo annuì, rassegnato. 
 
“Ma non è solo questo, vero?” chiese Thorin. 
“Penserai che è una stupidaggine.”   
“Fallo decidere a me.”   
“Pensavo al mio zaino, quello che ho perso sulle montagne,” spiegò Bilbo.  
“Al tuo zaino…” ripeté Thorin, con un'alzata di sopracciglio, già prevedibilmente sarcastico.   
“Sì,” continuò lo hobbit, lanciandogli un'occhiataccia. “Ci ero affezionato, era uno dei miei preferiti. Ne ho sempre avuto così tanta cura, e questo vale anche per le cose che c'erano dentro, ovviamente. L'ho sempre tenuto pulito, rammendato se ce n'era bisogno, e ora invece chissà dov'è. Ogni tanto penso che se fossi stato un po' più attento, se lo avessi tenuto un po' più stretto, ora sarebbe qui con me. Era il mio zaino e non lo rivedrò mai più, mi fa sentire così triste pensarci… Oh, lo sapevo che non mi avresti preso sul serio!” disse Bilbo piccato, quando Thorin, incapace di trattenersi oltre, scoppiò in una fragorosa risata.   
 
“Non pensarci più, Bilbo,” disse, cingendogli le spalle, quando l'attacco di risa si fu placato. “Uno zaino è solo un oggetto e non sono gli oggetti quelli che contano, non sono quelle le cose per cui rattristarsi. Te ne regalerò un altro, più bello, promesso.”   
“Certo, tutto facile così, perso qualcosa lo si sostituisce e basta. Beh, non ne voglio un altro, era perfetto quello vecchio. Era un pezzetto di casa,” borbottò Bilbo. “Era un buono zaino,” disse, guardando imbronciato quello donatogli da Beorn; lo zaino colpevole di essere quello sbagliato. 
 
Ancora non poteva immaginare che quello stesso zaino logoro, molti anni dopo, sarebbe stato uno dei suoi tesori più preziosi e che non se ne sarebbe più separato. 
 
“Bene, abbiamo perso già abbastanza tempo,” disse Thorin, alzando la voce e rivolgendosi a tutta la compagnia. “La foresta ci aspetta. Ricordate bene quello che ha detto Gandalf: non dovete lasciare il sentiero per nessun motivo. E non toccate l'acqua: è stregata”. 
 
 
Bosco Atro avvolse Bilbo come una coperta rimboccata troppo stretta. Aveva la sensazione di non riuscire a respirare, l'aria era pesante e non tirava un filo d'aria; tutto era immobile, non si muoveva una foglia. 
 
Tutti i nani procedevano silenziosi, in fila indiana, attenti a non perdere di vista il sentiero; erano stati avvertiti: se lo avessero smarrito la foresta li avrebbe divorati per sempre. 
 
Non passò troppo tempo che Bilbo perse ogni cognizione del tempo, complice la luce verdognola e innaturale che permeava tutto e che non aiutava affatto a distinguere quale momento del giorno fosse. Non sapeva più da quanto stessero camminando, avrebbe potuto giurare fossero anni. 
Come se non bastasse, non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di essere osservato. Pensava fossero gli alberi. Gli alberi non li volevano lì. 
 
Si sentiva stordito, come se fosse sulle soglie dell'ubriachezza; imputò la cosa alla carenza di ossigeno.
Nel tentativo di rimanere lucido, prese a schiaffeggiarsi delicatamente il viso. Bofur, che camminava davanti a lui, si girò a guardarlo con un'espressione curiosamente perplessa, quasi Bilbo avesse schiaffeggiato lui e non sé stesso. Bilbo restituì l'occhiataccia, diffidente. Improvvisamente, si rese conto che non poteva affatto fidarsi di Bofur, strano com'era. Si voltò per controllare Dori, alle sue spalle, e quello gli sorrise lievemente. No, nemmeno di lui poteva fidarsi. 
 
“Questa non ci voleva,” disse Thorin, ad un certo punto, arrestando bruscamente la processione. 
Molti nani sbatterono il naso contro chi avevano davanti e presto, nell'atmosfera già carica di tensione, scoppiarono un mucchio di discussioni. 
Bilbo ignorò lo scompiglio e si tese per sbirciare quale inconveniente ci fosse. 
 
Vide che il sentiero lastricato che stavano percorrendo conduceva ad un ruscello e che al di sopra di quello c'era, o meglio avrebbe dovuto esserci, un vecchio ponte di pietra per attraversarlo. Il ponte però era crollato, spaccato a metà, i moncherini delle due estremità si allungavano l'uno verso l'altro dalle rispettive rive, come due braccia tese che non sarebbero mai riuscite a raggiungersi. 
Cercare di saltare il buco centrale sarebbe stato difficile per un elfo o un uomo, ma per un nano o un piccolo hobbit era un'impresa impossibile.
 
“Potremmo attraversare a nuoto,” suggerì Bofur. 
“Non ricordi cos'ha detto Gandalf? Una magia oscura sovrasta questa foresta, le acque di questo ruscello sono incantate,” fece Thorin. 
“Non mi sembra tanto incantevole,” obbiettò ancora Bofur. 
Thorin scosse la testa: “Dobbiamo trovare un altro modo per passare”. 
 
“Di qua!” la voce di Kili arrivò non troppo distante, dalla loro sinistra. “Questi rampicanti sembrano belli resistenti,” richiamò la loro attenzione il giovane nano, strattonando alcuni grossi rami che pendevano sull'acqua e testando con le gambe la tenuta di un tronco caduto, che non arrivava proprio del tutto sull'altra sponda, ma ci arrivava molto vicino. Sarebbe bastato dondolarsi, aggrappandosi ai rampicanti, per poter superare senza troppe difficoltà con un balzo l'ultimo tratto d'acqua. 
 
“Kili!” urlò Thorin per fermare il nipote che già stava per tentare la traversata. “È meglio essere prudenti. Mandiamo qualcuno di più leggero”. 
 
A quelle parole, sebbene Thorin non intendesse sottintendere qualcuno in particolare, quasi istantaneamente gli occhi di tutti si puntarono sul povero Bilbo, che, ancora intento com'era a fissare il punto dove avrebbe dovuto esserci il ponte di pietra, ci mise qualche istante a capire come mai tutti lo guardassero. 
 
“Andremo noi. Prima tu, Bilbo, che pesi meno, mentre io sarò proprio dietro di te,” lo incoraggiò Thorin, facendogli strada. 
 
Sebbene si sentisse confuso da tutta quella faccenda, e anche parecchio intontito, le gambe de lo hobbit si mossero quasi da sole. Non ci capiva nulla, ma si fidava di Thorin e tanto bastava; se Thorin aveva deciso che era meglio fare così, voleva dire che quella era sicuramente la cosa giusta da fare. 
 
Fece il primo passo incerto sul legno marcito dal tempo e dall'umidità, tenendosi in equilibrio precario con l'aiuto di rami e liane, che erano ancora più marci e ancora più instabili. 
Più di una volta i suoi piedi persero la presa sul tronco bagnato e scivoloso, ma Thorin, come promesso, lo seguiva a breve distanza, ed era sempre pronto ad afferrarlo in caso di bisogno. Bilbo cercava quanto possibile di guardare avanti a sé e non in basso; aveva la sgradevole sensazione che l'acqua cercasse silenziosamente di attirarlo a sé, lo invitasse a tuffarsi, promettendo un dolce riposo. 
 
Lo hobbit resistette a quella tentazione anche grazie alle parole che Gandalf aveva ripetuto loro fino allo sfinimento, si erano fissate bene nella sua mente: non doveva toccare l'acqua. 
 
Quando sentiva la propria volontà cominciare a cedere, gli bastava voltarsi a controllare che Thorin gli fosse accanto; incrociava i suoi occhi azzurri e ritrovava la forza per proseguire. 
 
Fu così, che quasi senza rendersene conto, dopo un lasso di tempo indefinito, percepì di nuovo la terra sotto i suoi piedi. Gli stivali di Thorin toccarono la riva pochi istanti dopo di lui, gli era sempre stato vicino. 
 
Bilbo guardò l'ultimo tratto, la parte che doveva aver saltato. Se lo aveva fatto, non se n'era nemmeno reso conto. Buffo. 
 
Scosse la testa pesante, cercando di scacciare il sonno. Si sentiva così stanco, se si fosse steso e avesse potuto chiudere gli occhi un momento, avrebbe perso i sensi all'istante. Pensò che nemmeno quello fosse normale.
“C'è qualcosa che non quadra,” borbottò tra sé e sé. 
 
E qualcosa non quadrava veramente, e se fosse stato più lucido si sarebbe subito reso conto dell'enorme errore che avevano commesso: per aggirare l'ostacolo del ponte, avevano scioccamente lasciato alle loro spalle il sentiero. 
 
Bilbo guardò ancora il ruscello e strabuzzò gli occhi alla scena che gli si parò davanti: undici nani, che non avevano avuto la pazienza di aspettare che Thorin è Bilbo fossero giunti a destinazione sani e salvi dando loro l'ok per proseguire, ballonzolavano scompostamente sul ponte-tronco, aggrappandosi a qualsiasi cosa capitasse loro a tiro, anche gli uni agli altri, se era necessario. 
Stavano facendo un grande baccano nella foresta solitamente silenziosa, e Bilbo trovò non fosse una buona idea disturbare gli alberi più del dovuto. 
 
Si voltò per chiedere a Thorin che ne pensava, ma il nano non badava ai suoi compagni; era in ascolto, teso. 
 
Subito, Bilbo si immobilizzò; l'ultima volta che aveva visto Thorin così in guardia per un pelo poco dopo non erano stati fatti a fettine dai mannari. 
Tese le orecchie e udì anche lui qualcosa muoversi nel profondo del bosco. 
Stava fissando il punto in cui, anche col chiasso che stavano facendo gli altri nani, si udivano provenire dei passi, quando apparve: un magnifico esemplare di cervo bianco, il suo manto era candido come neve appena caduta. 
 
Un altro rumore si insinuò nelle orecchie de lo hobbit: uno scricchiolio. Si voltò verso Thorin, giusto in tempo per vederlo tendere la corda del suo arco - un altro dono di Beorn - la freccia già incoccata. 
 
Thorin si mosse adagio e, incantato, Bilbo ammirò per un lungo istante i suoi movimenti sicuri, come ipnotizzato, prima di rendersi conto di quali fossero le sue intenzioni.
 
Aprì la bocca per urlargli di fermarsi, ma non ne uscì nulla e tutto ciò che poté fare fu lanciarglisi addosso. Nell'impatto, la traiettoria dell'arco si alzò bruscamente, proprio nel momento in cui Thorin aveva scoccato. La freccia volò tra i rami, mancando di diversi metri il cervo, che si spaventò e fuggì. 
 
“Non avresti dovuto farlo,” sussurrò Bilbo, ancora addosso al suo petto, mentre guardava il cervo bianco darsi alla fuga e sparire tra gli alberi. “Porta sfortuna,” disse, alzando lo sguardo e incassando - ma senza provare alcun rammarico - l'occhiata di disappunto che gli stava rivolgendo il nano. 
 
“Non credo nella sfortuna. Ci costruiamo da soli la nostra fortuna,” ribatté Thorin. abbassando l'arco e avvolgendo così Bilbo tra le braccia. 
Forse in un altra situazione, se fosse stato più presente a sé stesso, Bilbo si sarebbe sentito in imbarazzo per quella vicinanza: le sue mani poggiate sul torace di Thorin che si alzava e abbassava ritmicamente sotto i suoi palmi. 
“E comunque, parlando di cose che è meglio non fare, nemmeno tu avresti dovuto farlo, mentirmi, quando eravamo da Beorn” gli rinfacciò. 
 
In quel momento, un forte splash fece sobbalzare entrambi. 
Bilbo aveva completamente dimenticato che lui e Thorin non erano soli. 
 
E il tonfo che avevano udito non era niente meno che Bombur, che doveva aver ceduto alle lusinghe del ruscello e ora russava beato, disteso nell'acqua bassa. 
Quello, ora, poteva rappresentare un bel problema. 
 

 
   
 
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