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Autore: PiscesNoAphrodite    29/04/2022    0 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati di asfodelo, capitolo XIV

 

XXVIII

 

Sembra immerso in un sonno profondo, e in effetti lo sarebbe se il suo spirito non dimorasse altrove.

Era straziante vedere un Santo ridotto in quello stato ed evitavo, per quanto possibile, di varcare l'ala del Tempio dove il suo corpo giaceva ricomposto su un letto funebre. Malgrado ciò, dopo le ultime peripezie, avevo sentito il bisogno di vedere Aphrodite, di contemplare la sua grazia in silenzio. Desideravo risposte, segni, che – ahimè – non arrivavano. Era prematuro, se non puerile, sperare di riceverne ora e non sapevo nemmeno se Perseus, dopo aver ricevuto la mia missiva, si fosse attivato per raggiungere Misty e consegnargli l'oggetto che avrebbe consentito a entrambi di accedere negli Inferi. Le sentinelle erano state allertate e nessuno li avrebbe ostacolati, non temevo nemmeno il rischio che trapelasse qualcosa sulla loro dipartita in sordina perché, prima o poi, avrei dovuto renderne conto alla dèa. Ma non adesso, ero impaziente di ricevere buone nuove ma altrettanto consapevole di dovermi muovere con circospezione perché i tempi non erano ancora maturi.

Presi una rosa rossa, di quelle deposte accanto al Santo di Pisces, ponendola tra il naso e le labbra per annusarla, scrutai attraverso la penombra e poi abbassai le palpebre assorto. Avevo passato alcune consegne ad Aiolos – in futuro avrebbe potuto essere il mio successore ideale – al fine di concedermi qualche giorno di pausa e di riflessione.

Deposi il fiore, nauseato dal profumo dolciastro che emanava - o forse era solo una sensazione. Mi voltai dopo aver avuto l'impressione di udire il contraccolpo dell'anta di una porta a doppio battente, poco dopo il rumore di alcuni passi si amplificò nel vuoto delle sale che si susseguivano una dopo l'altra e riconobbi Saga di Gemini farsi avanti. Sospirai, raggiungendo l'uomo bardato nell'armatura, per abbandonare quella stanza lugubre rischiarata soltanto dalla fiamma tremula dei ceri nei candelieri.

“Vi stavo cercando, maestro. Avrei proseguito fino al Tredicesimo ma una guardia mi ha informato dell'eventualità di trovarvi qui.”

“Non ci vengo spesso. Oggi ho sentito la necessità di farlo” risposi.

“C'è qualche speranza di un risveglio?” chiese Saga, riservando da lontano uno sguardo triste al dodicesimo Custode.

“Parrebbe di sì, ma è meglio essere cauti evitando di fomentare false illusioni. Le ancelle provvedono alla mobilizzazione del corpo, se ne prendono cura ogni giorno. Athena lo mantiene in vita...”

“Sì, è meglio essere prudenti, voi lo siete sempre stato.”

“Cosa posso fare per te? Volevi chiedermi qualcosa, Gemini?” domandai con scarso entusiasmo. “Possiamo parlare anche qui, se la questione non è troppo riservata.”

“Riservata potrebbe esserlo... ma non del tutto” chiarì il Santo della Terza Casa. “Ciò che accade al Santuario è di dominio pubblico, ormai.”

“D'accordo” dissi guardandomi intorno.

Feci strada verso l'ingresso principale. Non c'erano altre persone all'infuori di noi nella Casa di Pisces, ma preferivo discutere sullo spiazzale esterno, ansioso di respirare una boccata d'aria. Anzi, no. Risolsi di incamminarmi verso il roseto, sarebbe stato il luogo più idoneo per intavolare una qualsiasi conversazione.

“Maestro, serpeggia molto nervosismo, rancore represso, tra i Santi e l'armonia sembra essersi spezzata... da quel giorno” esordì Saga, accostandosi alla balaustra che si affacciava sul mare.

“Non mi sorprende” replicai, beandomi dell'aria frizzante del mattino. “Saori non ha dato un bell'esempio di sé, ma gli dèi sono volubili lo sappiamo. Lei non è così capricciosa in realtà e sono convinto si sia già pentita. Sono state le circostanze ad averla indotta ad agire di impulso, in parte la responsabilità è anche mia perché non avrei dovuto liquidare una questione – reputandola banale – senza interpellarla prima.”

“Lo so, ma purtroppo alcuni si sono risentiti per la sua condotta...”

“Poco divina è l'espressione giusta” completai la frase che il mio interlocutore aveva lasciato, volutamente, in sospeso. “Infatti ha violato l'integrità personale di un Santo infierendo su quanto egli ha di più caro.”

“Se stesso. Amor proprio e vanità” soggiunse Saga con mesta rassegnazione, ma senza ironia o intento di scherno.

“Per i più superficiali è un argomento futile, ma i più accorti si sono avveduti che futile non lo è poi così tanto. Si tratta di rispetto. È stata una cattiveria premeditata, un colpo basso, da parte di Saori.”

“Concordo con voi, Dohko. È stato un approccio abbastanza rude – per non dire sleale – da parte sua, conoscendo la più grande debolezza del Santo di Libra. E non finisce qui: pare abbia inasprito le regole – di per sé già ferree – senza motivo. Nessun congedo, svago, ricreazione. In tempo di pace, per qualcuno, è insostenibile persistere in ritmi così serrati. Non si tratta di automi, macchine, ma esseri umani.”

“I Santi di Athena sono un po' più di esseri umani, dovresti ricordarlo a chi si lamenta. Tuttavia dovrebbe trattarsi di un contrattempo passeggero. La situazione migliorerà quando Saori ritroverà la serenità” commentai, intuendo che Saga si fosse fatto portavoce delle rimostranze altrui.

“Aiolia è preoccupato per Marin” riprese.

“Marin?”

“Pare abbia intenzione di abdicare al suo ruolo e non tarderà a chiederlo, a voi o ad Athena in persona.”

“Impossibile, ma...” esternai, perplesso. I Santi non potevano decidere per loro stessi perché predestinati, e una richiesta del genere era inesaudibile. “Temo sia a causa dei sensi di colpa.”

“Sensi di colpa? Pensate abbia dei sensi di colpa?” Saga distolse l'attenzione dal mare Egeo, che si stagliava placido, per guardarmi negli occhi.

“Sì, sono giunto a questa conclusione” affermai sedendo sulla panchina di pietra e intrecciando le dita delle mani dietro la nuca: “Presumo abbia assunto una consapevolezza tardiva del peso che ha il trovarsi inclusa nel novero dei favoriti di Athena. Dello svantaggio di chi non gode del beneficio di essere nelle sue grazie. Delle conseguenze che un passo falso possa comportare.”

“Potresti farglielo presente tu stesso, Santo di Gemini, hai l'autorevolezza per farlo: solo la dèa può privare – a ragione – chicchessia della sua armatura, ma non è una decisione di competenza dei Santi stessi” soggiunsi.

“È un compito assai gravoso, Dohko. Non spetta a me essere latore di un concetto così pregno di significato.”

“Perché no? Sei stoico e accorto a sufficienza e sono sicuro che Marin comprenderà.”

 

***

 

XXIX

 

 

“Il cosmo è inesistente, eppure il tocco della tua mano ha sigillato la ferita” constatò Misty, mentre esaminava il manufatto d'argento. Lo reggeva per il manico sbirciandovi dentro ma l'approccio parve non sortire effetti di sorta.

“Forse perché si tratta di un gesto di altruismo” esordii, deconcentrandolo.

Prese a fissarmi con le pupille dilatate schioccando la lingua contro il palato e mise da parte l'oggetto: “Sono sempre stato scettico riguardo al tuo altruismo, ma oggi mi hai quasi convinto.”

“Impaziente?” continuò, sollevando un angolo della bocca. “Sei sempre stato il più scaltro, dunque cosa proponi?”

“È affar tuo, semidio. Non mi azzarderei a rubarti il palcoscenico.”

“Non ho nessuna voglia di scherzare” scrollò le spalle, ignorandomi, malgrado lo avessi stuzzicato senza pudore.

Strano ragazzo, mi dissi dal momento che aveva reagito indenne alla provocazione, ero convinto di conoscerlo così bene da aspettarmi una replica di ben altro tenore...

Si inginocchiò, ponendo il palmo della mano a contatto col terreno e smosse lo strato di sabbia per collocarvi lo specchio al centro. Mi curvai per assistere a un presunto prodigio, senza muovere un muscolo, nonostante mi passassero innumerevoli pensieri per la mente.

Farfugliò qualche frase sconclusionata di cui non riuscii ad afferrare appieno il significato, dopodiché si alzò in piedi e sbuffò soffiando sul solito ricciolo di capelli.

“Hai invocato l'intercessione di tuo padre?” domandai incuriosito.

“Mi hai preso per un codardo?” curvò ancora le labbra in un riso amaro. “Non oserei e, anche se volesse, non potrebbe aiutarmi.”

“Ragionevole, ma volevo una conferma” replicai senza dargli soddisfazione. Era tutto fuorché un pusillanime, lo aveva dimostrato a quelli della mia Casta, ne era consapevole e nonostante ciò voleva essere rassicurato. Non da me, ero poco incline all'adulazione, alle parole melliflue, alle lodi. E... a proposito di elogi, era curioso non esternasse il minimo risentimento nei confronti della dèa per il trattamento degradante da lei riservatogli. Avevo la certezza si stesse trattenendo a causa dell'orgoglio.

Seppur devoti, i Santi sono mortali inclini all'errore e gli dèi dovrebbero avere contezza dei nostri limiti invece di considerarci alla stregua di servitori ineccepibili.

“Algol...” fece Misty, irritato, richiamandomi all'ordine. “Dormi in piedi? Presta attenzione.”

Raddrizzai la schiena e lo assecondai: sulla superficie dello specchio comparve una crepa dalla quale si diramarono altre linee sottili. Dalle spaccature fuoriuscì uno sbuffo di vapore, o di fumo, e l'esalazione sulfurea appestò l'atmosfera già rarefatta. La coltre caliginosa ci avvolse, avviluppandosi ai nostri corpi come con dita invisibili.

Incredibile. Ci siamo.

Ero inquieto, non volevo darlo a vedere. Calarsi nel regno delle ombre come intrusi non era affatto rassicurante e in principio l'avevo ritenuta un'idea folle, ma dovevo ammettere che per qualche motivo ero impaziente di intraprendere il viaggio. Era molto più stimolante degli incarichi svolti negli ultimi tempi per conto del Grande Tempio. Aveva un senso, era quasi un'opportunità per esercitare il mio potere e rendermi utile, sebbene della sorte del dodicesimo Custode non mi riguardasse un granché a titolo personale. Per una volta l'obiettivo non era salvare quella insulsa ragazzina, mi era ben chiaro nella mente, Dohko stesso lo aveva ribadito nella sua missiva. La causa era onorevole ed ero disposto a mettermi in gioco, forse ci avrei lasciato le penne ma era altrettanto vero che il Santo di Libra si proponeva di agire in via diplomatica e, dopotutto, egli vantava una discendenza divina.

In teoria non dovrebbero torcergli un capello, ma talvolta la pratica riserva ben altre sorprese.

Trasalii avvertendo un brivido lungo la spina dorsale. La cortina di fumo si diradò e una mano gelida mi si accostò al volto delineando il contorno della mandibola.

Misty...

“Rilassati” avevo riconosciuto la sua voce sussurrarmi all'orecchio. “Percepisco la tua inquietudine e l'insicurezza veicola energie negative.”

Lo afferrai per un braccio affondando le unghie nella carne, lui abbassò la testa – imperturbabile – per poi rialzarla e mi fissò. Allentai la stretta e gli scostai dalla fronte un ciuffo di capelli, stavolta non reagì e stette immobile senza indietreggiare. D'un tratto vacillai come risucchiato in quegli occhi acquosi e insondabili; rivoli di sudore scivolarono lungo le tempie e la tensione si allentò: destatomi dalla fascinazione imbracciai lo scudo quasi senza rendermene conto e ci ritrovammo, schiena contro schiena, in una landa sovrastata da un cielo tinto di sangue, attraversato da una miriade di stelle o qualcosa di simile; non vi era buio totale e le tenebre preponderanti si fondevano al modesto lucore.

“Dì a Medusa di stare quieta.”

“Mi sono solo messo in posizione di difesa” obiettai.

“Deponi il simulacro, Algol. In caso contrario daremmo l'impressione di essere ostili quando in realtà giungiamo in pace” esortò, perentorio. “Ecco, quella che vedi deve essere la Porta.”

La Porta dell'Inferno... realizzai dopo aver letto le parole, incise a bulino, dell'epigrafe sull'attico.

“Essendo redivivo dovrei avere memoria di questo posto” constatai esprimendo disappunto a voce alta.

“Invece non ricordiamo nulla...” osservò Misty, massaggiandosi le tempie. “A te posso dirlo: non sono più tanto sicuro di voler proseguire, ma devo. Ho fatto una scelta, e avvalersi del libero arbitrio implica delle conseguenze.”

Gli avrei riso in faccia per un simile sfoggio di ingenuità. Lungi dal suonare patetico, era più che altro bizzarro si lasciasse sfuggire una tale ammissione in mia presenza pertanto mi morsi la lingua.

“Chi te lo impone? Sei ancora in tempo per fuggire alla chetichella” affermai.

“Non posso, lo specchio è rimasto nelle segrete del Santuario” soggiunse – senza aver colto il sarcasmo nelle mie parole – nel tentativo di rilevare qualcosa di concreto oltre le ombre che si addensavano all'orizzonte, al di là del fornice. “E poi farei un torto a me stesso.”

La risposta era credibile, coerente con la fierezza che lo caratterizzava, benché fossi certo esistesse un'alternativa per fare ritorno sulla Terra – la storia di Orfeo ne era un perfetto esempio – ma qualcosa non quadrava. Continuai a rimuginare, accodandomi, mentre Misty si fece strada spingendosi attraverso l'arco monumentale.

“Sensato” tagliai corto riponendo lo scudo sulle terga dell'armatura. “Affatto insolito da parte tua, hai sempre anteposto l'ego a qualsiasi altra cosa.”

Il mio mentore mi avrebbe dato dell'idiota per essermi compromesso assecondando le paturnie di un Santo egocentrico che Athena avrebbe, di sicuro, esiliato o declassato al ruolo di servo. Follia e incoscienza allo stato puro.

Tuttavia sono savio... ma non scevro da passioni...

Diedi un'occhiata al cielo cremisi che ci sovrastava, affrettando il passo. Appurai in quell'istante di aver oltrepassato la soglia dell'oltretomba senza conseguenze, eravamo entrambi incolumi. Né io né Misty possedevamo l'ottavo senso, che l'avessimo acquisito in precedenza oppure nel momento di intraprendere la catabasi?

Procedevamo fianco a fianco, in silenzio, attenti a cogliere il più flebile sussurro tra le fronde. Le ombre che avevamo scorto in precedenza si erano materializzate in un bosco lugubre e decadente, fitto e disseminato di cespugli irti di spine, con piante prive di frutti o fiori, svuotate, morte, le cui radici ci insidiavano il passo. Mi arrestai per un momento, in ascolto. Scricchiolii, lamenti, suoni non umani colmavano a tratti una quiete palpabile, pervasiva, come una lama di coltello che fende carne... e sangue.

“Non vivono di vita propria ma in esse albergano altre entità” disse Misty tastando con mano il legno di una pianta. Si era fermato a sua volta per osservare l'ambiente circostante. “Sta' attento agli aculei, potrebbero essere velenosi.”

Tesi le orecchie, il battito del cuore riverberò contro la cassa toracica.

Anche lui doveva aver udito qualcosa. “Non è un corvo” sospirò dopo essersi attardato a sondare attraverso il groviglio dei rami. “È possibile si tratti di qualche altra bestia. Un ibrido come la Gorgone scolpita sullo scudo che ti porti appresso.”

Sapevo di dover mantenere la calma, il viaggio era appena iniziato, e la foresta doveva per forza essere infestata da chissà quali esseri immondi. Stridevano come rapaci...

“Arpie? Mai sentito parlare di arpie, Algol?” impossibile mi avesse letto nel pensiero.

“Hanno artigli affilati come sciabole” risposi a tono, soppesando la sua faccia da schiaffi.

“Potrebbe essere qualsiasi cosa, ma non si curerà di noi” disse stringendosi nell'uniforme, senza lamentarsi per il freddo, anch'egli percepiva le entità incorporee permeare la foresta della loro presenza. Riuscivamo anche a vederle poiché fluttuavano, pallide, come le misteriose creature che dimorano negli abissi oceanici.

“Abbiamo gli occhi dell'oscurità puntati addosso: qui tutti sanno che ci stiamo dirigendo verso l'Acheronte, dove è attraccata la chiatta sgangherata del barcaiolo e intorno alla quale si affolleranno le anime che ci precedono nel cammino. A loro non importa se siamo vivi o morti.”

“Non ne sarei così sicuro.”

Increspò le labbra sfoggiando un sorriso di compatimento e, di rimando, gli avrei sferrato un calcio dove non batte il sole ma ebbi la decenza di trattenermi. Sviai l'attenzione da quel volto di porcellana e mi concentrai sul percorso da compiere. L'arco che avevamo oltrepassato era intatto, le radici degli alberi avvinghiate alla terra, e i sentieri non definiti. La sensazione di calpestare il suolo di un universo inviolato non mi abbandonava.

Misty si arrestò un istante: “A cosa pensi?” domandò inducendomi a fare altrettanto dopo averlo superato di qualche passo.

“Che dovrebbe regnare l'anarchia, invece ogni cosa sembra rispondere ai dettami dell'architetto dell'universo. Regna una quiete sovrumana” constatai, osservandolo, mentre si soffermò come per indugiare in una riflessione.

Si chinò prendendosi la testa tra le mani e ravviò la chioma scomposta. “L'attuale scenario coincide con le mie aspettative” affermò.

“Cosa stai blaterando?”

“La storia non è come ce l'hanno raccontata, Apollo ha ragione.”

“La storia è scritta dai vincitori, e gli dèi fanno il buono e il cattivo tempo" rammentai tendendogli una mano.

“Gli dèi sono responsabili di ciò che gli compete e a noi non è dovuto confutare le loro decisioni.”

“A giudicare dalle tue scaramucce con Saori avrei detto il contrario.”

“È vero, ho cambiato più volte opinione nei suoi confronti. In sostanza, si è rivelata una delusione... ma è il ricettacolo di Athena” ammise, arrendevole. “A parte questo, è possibile che non ci siano stati vincitori né vinti, e se la mia tesi è giusta lo scopriremo” concluse, rimettendosi in marcia.

Annuii mio malgrado, senza ribattere. Ero scettico. Ricordavo avesse accennato a una cosa del genere e tuttavia non mi fidavo della sua sicurezza, la troppa fiducia in se stesso l'aveva già precipitato una volta nel baratro. Forse mi stavo preoccupando senza una ragione plausibile: l'esperienza della vita passata doveva averlo temprato, avergli insegnato qualcosa. Anche se continuavo a ripetermi che la disfatta era stata determinata in primis dal fatto di esserci ritrovati dalla parte sbagliata della guerra. Serrai il pugno. Lo spettro del passato mi logorava ancora.

Mi avvidi che Misty stava osservandomi con la solita aria disincantata e innocente, era disarmante. Lo presi per le spalle e gli sfiorai la fronte con le labbra. “Andiamo” esortò lui, strattonandomi per un braccio.

“Chi avrà preso il posto degli Specter?”

“Che t'importa? Fossero altri o gli stessi che hanno preso parte alla guerra sacra non li riconosceremmo. Saranno stati resuscitati dal Signore degli Inferi e riabilitati, a tregua ristabilita, se non tutti, almeno una parte di loro” insinuò con sicumera, sistemando una ciocca bionda dietro l'orecchio.

“È illogico. Il Signore degli Inferi è stato sconfitto” protestai. Mi irritava l'atteggiamento di chi crede a tutti i costi di essere detentore della verità assoluta.

“Ripeto, Algol. Vedi forse rovina e devastazione; sovvertimento dell'ordine naturale delle cose? Non può sussistere un universo privo dell'ordine e, comunque, prima o poi, il cerchio tenderebbe a chiudersi, è un ciclo cosmico.”

“Finora è tutto regolare, ma potremmo trovare delle sorprese al diradarsi della selva” risposi cercando di mantenere il contatto visivo con il flusso di anime che attraversava la foresta. Perderle di vista equivaleva a smarrirsi nel labirinto degli alberi avvizziti e deformi.

 

Fui tentato di turarmi il naso, l'odore sgradevole mi aveva investito in pieno. Sembrava tutto tranquillo come aveva previsto il mio compagno d'armi: al limite comparve il sabbione lambito da un fiume limaccioso dalle acque rossastre, avremmo potuto definirlo un lago oppure un mare poiché si estendeva a perdita d'occhio. Mi sovvenne l'Averno tinto dalle alghe come presagio di sventura, ma non dissi nulla e mi appostai accanto a Misty in attesa del traghettatore di anime che aveva già preso il largo recando con sé l'ennesimo carico.

“È nero come uno scarafaggio” dissi intravedendo nella foschia la sagoma del barcaiolo che sopraggiungeva manovrando il singolo remo a poppa.

“Le buone maniere non sono il tuo forte, Algol, è risaputo, ma dovresti sforzarti di essere gentile” insinuò Misty, accigliandosi. “In alternativa, tenere la bocca chiusa.”

“Hai paura?”

“Non temo la morte ma il fallimento.”

Riuscì a tapparmi la bocca con una risposta lapidaria. Le circostanze imponevano l'uso della diplomazia, era ovvio, e vederlo in quella veste era insolito perché neanche lui brillava in quanto a prudenza, tatto, e via dicendo. Ero curioso di scoprire come se la sarebbe cavata confrontandosi con i figli di buona donna, infidi e malvagi, che spadroneggiavano negli Inferi. Avremmo dovuto affrontarli con le stesse armi o porgere l'altra guancia!? Un bel dilemma.

Il silenzio fu sovrastato dal frangere dei flutti contro un ostacolo, mi voltai e scorsi la tetra imbarcazione di Caronte sgusciare sulla battigia come il carapace rovesciato di un insetto. Arretrai di un passo, pronto a mettere mano allo scudo, ma stetti immobile – come paralizzato – e guardai il mio compagno d'armi: aveva gli occhi sbarrati e la sua espressione rimase così – congelata – per qualche istante, fino a quando non si riebbe sbattendo le lunghe ciglia.

“Avete due facce conosciute” insinuò la figura – d'uomo o demone, un aborto sgraziato e infelice tra i due – che era emersa, curva, dalla nebbia lattiginosa.

“Ah sì? Poco male perché la tua, invece, dubito di averla mai vista” replicò Misty, con spirito, ormai destatosi dal raccapriccio.

“Un angelo all'Inferno è quanto mai improbabile... Non sembri morto; non sembrate morti, e se non siete morti allora cosa volete?” intuì Caronte, con un sorriso storto, dopo averci additato scrutandoci entrambi. “La traversata del fiume è preclusa ai viventi.”

“Stai mentendo sapendo di mentire, vi sono state delle eccezioni in passato e ce ne saranno in futuro” rettificò Misty, lottando per sostenere l'intensità di quegli occhi di fuoco. “Se la causa è nobile, l'accesso non può esserci precluso in alcun modo.”

“Stai insinuando che sareste spinti da una causa giusta?” Caronte brandì il remo in modo minaccioso, forse infastidito dall'insistenza con cui l'altro si impegnava a tenergli testa. “È impossibile. Siete malvagi! I vostri occhi sono torbidi come acque palustri e tradiscono le malefatte compiute in Terra. Il tuo aspetto è, sì, fuorviante, ma sta' pur certo: nell'Inferno non troverai intelligenza che non sia avvezza a smascherare ogni sorta d'inganno.”

“Non pretendo di essere lodato per atti di generosità, perseguo soltanto un obiettivo” precisò Misty portandosi la mano vicino allo scollo della casacca. “Così come riconosco la devozione dei servitori del mondo sotterraneo verso il loro Signore. Ma a vostro sfavore depone il fatto di essere opportunisti, traditori, crudeli e, soprattutto, avidi” soggiunse strappando dal collo il pendaglio che avevo già notato altre volte senza avergli dato alcun peso.

Solo ora – nelle viscere del regno contrapposto alla luce – riuscivo ad attribuirgli un valore incommensurabile. Dovette avvedersene anche il traghettatore poiché il suo volto orrendo si deformò quasi assumendo i connotati del marabù in procinto di affondare il becco tagliente nella carcassa, ma Misty ritrasse la mano allontanandosi dalla sua portata.

“Suppongo ciò non ti aggrada e, conoscendo la tua fama, so che non saresti disposto a trattare” esordì poi, nascondendo l'oggetto dietro la schiena. “Sarebbe meglio un obolo a testa di cui non disponiamo, quindi presumo non se ne faccia nulla.”

“No, no, razza di impertinente. Quel pendaglio è un pegno sufficiente per entrambi” schiumò l'essere abominevole. L'avrei mutato in pietra per mera gratificazione personale.

“Lo avrai solo dopo averci imbarcato e, più precisamente, condotto a destinazione sulla riva opposta dell'Acheronte” puntualizzò Misty. “E niente scherzi o lo getterò nell'acqua putrida e dovrai andarlo a prendere. Bello rischiare di affogare nel lezzo di uova marce, no?”

“Vorresti intimidirmi. Chi credi di essere, damerino.” Il barcaiolo inveì agitando il remo ancora una volta, pronto a colpire. “E la guardia del corpo che se ne sta lì, zitta, sui carboni ardenti, cosa dice? Ha un'opinione propria o pende dalle tue belle labbra?”

Ti darei il benservito eccome, e non solo a parole, menagramo!

“Algol non può eguagliare la mia dimestichezza nel negoziare. Non è diplomatico. Meriti di essere ripagato con la stessa moneta, barcaiolo. Siamo malvagi. Tu lo hai detto e non ti sbagli, faresti bene a stare attento.”

Dopo aver ponderato sulla risposta il traghettatore ridacchiò e abbassò la guardia. Avevo compreso quanto fosse stato saggio non soggiacere all'istinto e rinunciare all'ausilio di Medusa, mi voltai per calciare un ciottolo, non visto. L'idea di imbarcarmi al seguito di quel demone mi ripugnava ma non esisteva un percorso alternativo per approdare all'altra sponda.

Lo tenevo d'occhio – mentre remava alternando una stoccata all'altra, instabile, come un ubriaco – senza perdere di vista il mio compagno d'armi che si era adagiato nella parte concava della barca, a prua, con gli occhi chiusi e la mano stretta a pugno sul cuore. Mi sconcertava l'apparente tranquillità di Misty, dal canto mio non sarei riuscito ad assopirmi, nemmeno indotto dall'effetto ipnotico dello sciabordare delle acque contro il natante o stordito dall'effluvio malsano che ne scaturiva. Ma era stata una buona mossa quella di ricattare Caronte, lo scontro diretto sarebbe stato controproducente se non addirittura pericoloso. La brama di ottenere il ciondolo come ricompensa per i suoi servigi avrebbe dovuto tenerlo a bada ancora per un po'.

Certe bestie selvagge si domano soltanto con l'arma del ricatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 
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