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Autore: SkysCadet    30/04/2022    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 

(Vangelo di Matteo, 16:24)

Mentre salivano le scale, Ariel cominciò ad avvertire tutto il macigno dell'esperienza che l'aveva vista protagonista.

Nathan notò che la carnagione di Ariel, ad ogni gradino, diventava sempre più pallida.

«Ariel, continuo io. Tu vai a riposarti» le ordinò e, dopo averle rivolto un ultimo sguardo, posò gli occhi su Acab: anche lui era incredibilmente pallido e le palpebre andavano chiudendosi ad ogni passo.

Dietro di loro, Ariel non se lo fece ripetere due volte; si lasciò andare sul muro adiacente: la vista le si annebbiò, le forze diminuirono.

In quello spazio, che stava diventando oscuro e claustrofobico, qualcuno la aiutò a salire l'ultima rampa di scale verso il terzo piano, prendendola in braccio.

Il buio avvolse i suoi sensi e, prima di abbandonarsi del tutto al sonno, riconobbe, in un frammento di luce, la barba castana e gli occhi nocciola di Simon.

Non fece sogni. Dormì così tanto che, quando si svegliò in uno scatto, si ritrovò nel letto con la sensazione di trovarsi nuovamente nella cella che l'aveva rinchiusa tempo prima. Si mise seduta e tentò di rilassare i muscoli tesi.

Il petto le si alzava e si abbassava in maniera irregolare. Si guardò intorno, e, dopo aver abituato la vista al buio, riconobbe il mobilio semplice della sua camera.

Una luce albina proveniva dalla finestra alla sua sinistra, incanalata tra le fessure della serranda abbassata. Doveva essere notte fonda.

Come riempita di un vigore dimenticato, si fiondò nel bagno e aprì l'acqua calda, ancora prima di aprire la luce. Non si preoccupò nemmeno di cercare vestiti puliti o la tovaglia.

Sì stracciò la veste di dosso e si mise sotto quel getto.

Fu come tornare a respirare e, come il primo pianto di un bambino, lei pianse di gioia. Si piegò sui talloni, la testa all'indietro, le mani sulla pelle nuda a levare via il dolore. Quando si rimise in piedi, abbassò il capo e l'acqua la attraversava come una carezza dalla nuca e alla schiena; un leggero strato di condensa coprì lo specchio posto sul lavandino e la sua vista; con una quantità abbondante di bagnoschiuma dall'essenza floreale, si massaggiò la pelle ferita e quando posò lo sguardo ai suoi piedi, li vide immersi in un liquido dal colore rossastro.

Quella vista la terrorizzò. Uscì in un urlo dalla doccia e, ancora insaponata, si appoggiò al lavandino, tremante. Non si era accorta che l'acqua calda e lo fregare dei palmi sulla pelle aveva riaperto le ferite, tingendo l'acqua di rosso. Un brivido la costrinse a coprirsi con l'accappatoio che era stato appeso dietro la porta e un passo alla volta si diresse verso il letto sfatto. Con una esagerata lentezza si sedette, iniziando a riflettere. 

Non era più tempo di continuare ad essere la ragazza agnostica di un tempo. Le prove c'erano tutte: esisteva Dio, aveva un Nome e aiutava tutti coloro che avessero creduto.

Gesù Cristo le aveva svelato tutto questo lasciandola libera di fare le sue scelte, seppur sbagliate.

Fu inevitabile rivolgere un pensiero ad Acab, per il quale il Creatore aveva smosso gli avvenimenti e nel quale aveva fatto germogliare un sentimento capace di abbattere persino la morte.

"E' l'amore che trasforma tutto il male in bene."

Le parole di Simon rispondevano ai suoi quesiti anche quando non si trovava alla sua presenza, come se quell'uomo fosse - egli stesso - la parola che predicava. Quella frase era ritornata prepotentemente alla memoria insieme alle immagini della giornata in cui era stata pronunciata.

Nella Chiesa di Filadelfia le funzioni -cosiddette religiose - venivano celebrate tre volte a settimana e la Predicazione della Parola era la parte più importante di tutta la celebrazione. Si iniziava con canti di ispirazione cristiana, mentre i ministri come Nathan preparavano l'ambiente con la preghiera. Erano riti che non appartenevano alla cultura religiosa delle altre Chiese della Confraternita, e Ariel l'aveva capito da tempo, osservando da lontano senza parteciparvi.

Quel giorno era una domenica, la prima che Ariel viveva da abitante del Centro di Filadelfia. Ne era stata attratta proprio per l'assenza di elementi artefatti. Tutto avveniva nella gioia e nella semplicità. Niente atti di pentimento plateali o abiti cerimoniali. L'unica cosa che veniva vissuta con silenzio e profonda devozione era l'arrivo di Simon. Quando lui faceva il suo ingresso nella cappella, i fedeli si alzavano in piedi, e lo guardavano fino a quando arrivava al pulpito posto sotto la grande croce di ciliegio. Si presentava con un completo blu e una semplice camicia bianca.

Quando parlava, cambiava tutto.  Il viso veniva rivolto ad ogni singolo spettatore, e a ogni concetto, ascoltato come pervenuto direttamente da Dio,  la platea rispondeva con sonori "Amen!" alle sue affermazioni. Non era obbligatorio, ma chi lo faceva, diceva di avvertirne il bisogno.

D'altronde, anche lei si era spesso ritrovata a sussurrare quella parola - "Così sia" - perché compunta nella parte più sensibile del suo animo frammentato.

Fece un profondo sospiro e avvertendo l'umidità confluire dalla nuca alle spalle a causa dei capelli bagnati, si alzò per andare alla ricerca dell'asciugacapelli. Lo trovò dentro l'armadio posto poco oltre la porta del bagno. Era tutto riposto in maniera ordinata, come se lei fosse importante. 

Ariel non era l'unica residente del Centro di Aggregazione, eppure sapeva che quelle piccole attenzioni non erano casuali. L'amore trasudava da tutte le pareti.

Appena accese il fon avvertì la piacevole sensazione di calore percorrere il suo capo quasi a districare anche i pensieri. L'unica preoccupazione che non riusciva a levarsi dalla mente era Acab. Cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasto lì? O - nella peggiore delle ipotesi - lei si stava fidando di una pedina importante nel piano dei Lucifer?

Lui, che dopo averla lasciata, era stato portato sotto braccio da Nathan in infermeria, nel tempo di semi incoscienza, si era ritrovato sotto le luci del lettino medico ad ascoltare la voce alterata di Gilbert. 

«Che lo curino loro, il loro pupillo!» aveva ringhiato tra i denti per non farsi sentire.

«Gilbert, questo è il volere di Simon. Non possiamo comprendere tutto il piano di Dio. E' difficile da mandare giù, ma che vorresti fare? Vorresti lasciarlo in mezzo alla strada in queste condizioni?»

«Sì!»

«Ma non capisci?!» Nathan l'aveva strattonato dal camice e portato fuori l'infermeria. «Ci sono almeno due buoni motivi per tenerlo qui.»

«Illuminami.»

«Uno:» mettendo l'indice a un passo dal naso di Gilbert. «Metti il caso che sia cambiato, che abbia realmente fatto di tutto per salvare Joshua e Ariel. Te la sentiresti, da figlio di Gesù Cristo, di abbandonarlo al suo destino?»

Gilbert non rispose, sentendosi punto in quel muscolo ferito.

«Due: se anche non fosse così, hai un membro dei Lucifer sotto mano e lasciarlo andare vorrebbe dire consegnargli il figlio perduto. In ogni caso, tenerlo qui è la soluzione migliore»

Dopo aver ascoltato, Acab era crollato nel buio della notte, svegliandosi solo quando una tiepida luce, incanalata tra le fessure della serranda semi chiusa alla sua sinistra, gli mostrava delle bende lungo le braccia e attorno al torace. Il respiro gli si mozzò non appena tentò di muoversi.

Un paio di tocchi alla porta lo fecero sobbalzare. «Avanti!»

Gilbert entrò, osservando una carpetta medica tenuta al braccio, in camice bianco e con occhiali sul naso. Posò le carte sul tavolino posto ai piedi del letto e gli si avvicinò. «Come ti senti?» gli puntò la luce prima sull'occhio destro e poi sul sinistro. «Dolorante.» commentò in un fil di voce.

Gilbert mugugnò prima di prendere lo stetoscopio e chiedergli di fare un paio di respiri profondi, nei quali Acab avvertì fitte all'altezza del costato. «Non hai nulla di rotto, ma perlomeno ho scoperto che sai dire la verità.»

Acab tentò di guardarlo con gli occhi più austeri che poté. «Non ti riesce la faccia da cattivo, qui, caro Acab Damian. Siamo dall'altra parte del baratro.» concluse Gilbert, prima di mostrargli un sorriso di circostanza, alquanto tirato. Si alzò dallo sgabello, facendo stridere la base al pavimento. «Puoi usare la doccia dell'infermeria. Ti medicherò nuovamente questo pomeriggio.» L'odore di sangue aveva riempito l'infermeria, nonostante il giovane non fosse dissanguato. Gilbert quindi pensò che fosse il suo spirito di demone, chiuso dentro quelle quattro mura a esalare quell'odore nauseabondo.

«Grazie.» aveva detto Acab con tono sincero, e Gilbert l'aveva sentito bene.

 Si chiuse la porta alle spalle, negando a se stesso la possibilità che quel giovane fosse cambiato.«Ci vuole ben altro...» bofonchiò, appena prima di attraversare il corridoio per scendere al pian terreno. Doveva parlare con Simon. Quella che il Mandato di Filadelfia stava attuando era una vera e propria tortura per chi, come Gilbert, aveva perso tutto per colpa della setta dei Lucifer.

 

   
 
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