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Autore: paige95    01/05/2022    3 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Anche se fosse un azzardo




 
 
Ospedale di Charikar - a tre quarti d'ora da Kabul, 10 ottobre 2018
 
A Samuel era stata raccomandata una lunga degenza per rimarginare al meglio le ferite subite; ferite che non aveva mai avuto occasione di sperimentare in vita sua e poteva affermare con certezza fossero alquanto sgradevoli. I suoi ventiquattro anni, però, continuavano a ripetergli quanto il tempo della guarigione fosse terminato, di certo non era giunto in Afghanistan per osservare il conflitto dalla finestra di un ospedale. Sospettava che il tenente Richardson in persona avesse esercitato una qualche pressione per giungere a quella decisione, non era in fondo un mistero che vegliasse fin da subito sulla sua sicurezza, da quel viaggio condiviso e partito dall'Edwards Air Force Base nello Stato della California; eppure era sicuro che sarebbe dovuto essere lui ad occuparsi di un militare sofferente, soggetto a patire crisi in volo, e non il contrario.
Obbligato nel letto di quel nosocomio, il reporter non riconosceva l'istinto innaturale con cui desiderava essere accanto a coloro che erano oppressi da quella guerra, le stesse persone che lo avevano ospitato senza condizioni. Se anni prima gli avessero anticipato che quello sarebbe stato il suo futuro, non ci avrebbe creduto. Stava riscoprendo un coraggio che non immaginava di possedere, prima che suo padre gli proponesse una trasferta in territorio ad alto rischio. Incolpava la giovane età e l'incoscienza. Margaret era la sua promessa sposa, era legato a lei, ma loro non erano ancora marito e moglie, nulla di indissolubile dava maggiore valore alla vita del giornalista; il tenente Richardson aveva una famiglia a cui rendere conto e da cui tornare, Samuel non l'aveva ancora costruita. La sua fidanzata, però, rimaneva la più grande certezza a cui affidarsi, il domani sperato - vicino o lontano che fosse - rappresentava tutto ciò che voleva rivivere presto.
In quel presente Samuel non poteva ignorare ciò che documentava; gli era stato insegnato ad essere professionale, eppure ogni volta che il suo obiettivo si posava su volti segnati da profondi solchi, quella sofferenza diventava anche un po' sua. Era certo che il padre non avesse colto il messaggio ricevendo il suo lavoro sulla scrivania della redazione, eppure era convinto che il suo ruolo al fronte venisse considerato un'importante risorsa per il Los Angeles Times. Non osò credere che il suo compito a Kabul si riducesse ad un mero gioco d'affari; feriva pensare di essere un semplice dipendente per il direttore, non chiedeva favoritismi, solo l'affetto e la fiducia di un padre. L'atteggiamento che aveva ostentato il genitore nel corso della loro ultima chiamata aveva dato modo a Samuel di riflettere: nella voce di Daniel era ben riconoscibile una nota di preoccupazione che non era mai stata rivolta al ragazzo e, più in generale, ad entrambi i figli. Non era sicuro di aver riattaccato solo per stanchezza; per la prima volta si era trovato in seria difficoltà a sostenere una conversazione con l'uomo che lo aveva generato. Sapeva sopportare ogni sfumatura dell'indifferenza che gli riservava, ma rispondere alle sue apprensioni diventava più complicato, non sapeva come gestirle. Lo avevano informato del fatto che fosse stato malato, forse la sofferenza lo aveva turbato a tal punto da migliorare la sua personalità, ma erano solo le assurde illazioni di un infermo di guerra.
«Buonasera, signor Clark»
Samuel ebbe un sussulto nell'udire quel nome, non aveva avvertito il cigolio della porta. Stava pensando proprio al padre e la sua mente associò al direttore quella rispettosa invocazione. Voltandosi, incontrò il rassicurante sorriso di Karim; nella sua voce vi era appena accennato un velato buon umore. L'entusiasmo del medico, nato dal fatto che l'amico si stesse riprendendo ogni giorno di più, si spense sotto lo sguardo confuso del reporter.
«Sono qui per cambiare la medicazione»
Il dottore si avvicinò a lui con cautela, posò sulle lenzuola gli strumenti del mestiere e offrì a Samuel una mano per alzarsi dalla posizione distesa in cui si trovava. Il tocco caldo dell'amico gli infuse la sensazione che il patimento di quelle ore valesse la vita di quel popolo; in primis, aveva la certezza che il suo status di occidentale, e in quanto tale privilegiato agli occhi dell'ambasciata, potesse risultare un vantaggio anche per coloro che necessitavano di aiuto in mezzo alle macerie di un Paese lacerato.
Una lieve smorfia di dolore si dipinse sul volto del giovane, faticò a dissimulare la sofferenza fisica abbastanza bene da mentire a Karim, un medico che riconosceva in breve tempo i danni delle munizioni, suo malgrado aveva imparato nel corso degli anni.
«Come ti senti?»
«Se dico che sto bene, consigli ai tuoi colleghi di dimettermi?»
«No»
Il dottore non impiegò durezza, lo rimproverò con autorevolezza, ricordando a lui chi tra loro avesse le giuste competenze per valutare le sue condizioni di salute. Karim recuperò garze pulite e si accomodò sul bordo del giaciglio accanto all'amico. Ebbe la discrezione di accertarsi che fosse pronto, sfiorò lo sguardo del giornalista con atteggiamento paterno, nella convinzione che ferite d'arma da fuoco non fossero la consuetudine per un civile americano. Samuel gli rivolse un deciso cenno di assenso, sapeva di essere in buone mani, ne aveva avuto svariate prove e in ultimo aveva anche impedito che la morte lo prendesse. Karim iniziò a sciogliere le bende umide con prudenza; le ferite si stavano rimarginando in modo corretto e il ragazzo non provava più troppa sofferenza durante la medicazione, sia all'interno sia all'esterno del suo corpo l'agguato non sembrava aver lasciato segni irreparabili. Fu il medico a  spezzare il velo di silenzio che si era creato tra loro, anche se lo fece con mestizia.
«Abbiamo parlato con l'imam, ci guiderà fino al matrimonio»
«Quindi vi sposate presto?»
«Sì e a tue spese. Se non ti fossi intromesso, non avresti rischiato la vita»
Il giovane americano non replicò subito, si arrogò qualche secondo per riflettere su parole inaspettate e sature a loro modo di gratitudine. 
Se non mi fossi intromesso, non l'avresti mai sposata.
«È il mio mestiere, dottore»
Samuel rivolse al suo soccorritore un sorriso sbarazzino, provocando in Karim una vistosa rassegnazione. Il dottore aveva avuto modo di osservare il lavoro dei forestieri occidentali, erano dediti al sacrificio e al servizio che prestavano alla loro nazione. Nello sguardo cristallino dell'amico si coglieva un forte coinvolgimento emotivo nei confronti della vita di coloro su cui si informava; era forse dovuto alla giovane età o, molto più probabilmente, ad un cuore puro. Tutto ciò che Karim riuscì a provare nei riguardi del reporter fu un grande sollievo per essere riuscito a scongiurare la sua tragica dipartita. 
Il medico di Herat terminò il bendaggio, appena prima che un uomo distinto facesse il suo ingresso nella stanza. I muscoli di Samuel si irrigidirono, sul suolo afghano solo soldati in borghese o rappresentanti consolari indossavano abiti occidentali; lo stesso Karim ebbe un sussulto nel notare il giovane così agitato. Il nuovo arrivato non mostrò invadenza, solo una certa urgenza di riferire ciò per cui era stato incaricato.
«Buonasera, signor Clark. Sono un funzionario dell'ambasciata americana. Sono qui per conto del console. Dopo il rischio che ha corso, suo padre ha chiesto protezione per lei»
«In che senso?»
Karim era rimasto accanto all'infermo, ma non riuscì ad impedirgli di alzarsi per reggere la conversazione con quell'uomo a pari livello. Il giornalista sembrava sconvolto dalla notizia, ma il rappresentante non aveva chiaramente preso in considerazione una qualche resistenza da parte di colui che necessitava di essere condotto in sicurezza.
«Dovrà permanere in un luogo protetto, dove potrà svolgere il suo lavoro con regolarità»
«Non potrò più avere contatti con la gente del posto?»
Il diplomatico gli rivolse un lieve cenno di dissenso, quasi dispiaciuto per l'afflizione del connazionale; per la verità iniziava ad essere confuso sulla reale utilità della sua presenza in quella stanza, era certo che il reporter fosse ben contento di ricevere aiuto dalla sua ambasciata dopo il grave attentato che lo aveva visto vittima,  ma non sembrava affatto così. Il dottore represse ogni tentazione di intervenire, si finse un sanitario qualsiasi di quell'ospedale e non un amico dell'infermo, un afghano a cui quest'ultimo si stava riferendo provando a far valere la sua volontà con convinzione; desiderava che Samuel fosse al sicuro, ma allo stesso tempo avrebbe rimandato da dove era giunto quell'uomo che dalla sua scrivania pulita e ordinata non poteva immaginare cosa succedesse a cielo aperto.
«Assolutamente no! Può dire a mio padre che so badare a me stesso»
«Suo padre è d'accordo con il console. Signor Clark, temo lei non abbia facoltà di decidere»
In preda alla disperazione per non riuscire a dissuadere i suoi superiori, Samuel tentò di muovere un passo verso l'interlocutore; un dolore al fianco smorzò la sua intraprendenza costringendolo a sussurrare. Karim ebbe il vano istinto di correre in suo soccorso, ma stavolta a bloccarlo fu la passione dell'amico che trasudava da ogni poro della pelle: stava lottando per loro, a scapito della sua incolumità. Non avrebbe potuto ingannare un natìo circa la sua reale capacità di difendersi in un clima di guerra così rischioso, in parte il medico era lieto che qualcuno preservasse Samuel dai pericoli, meglio di come avrebbero potuto fare dei poveri afghani sprovvisti di ogni cosa.
«Può dire al console che mi assumo io ogni responsabilità sulla mia vita. Come faccio a raccogliere informazioni sull'Afghanistan senza conoscere questo Paese?»
Il funzionario, giunto da Kabul pochi minuti prima con una vettura militare,  rimase sorpreso dalla determinazione del giornalista, anche se ormai aveva compreso l'entità della motivazione contro cui si stava scontrando e che avrebbe dovuto abbattere per portare a termine con successo la sua missione al nosocomio di Charikar. 
«Non può abitare a casa di questa gente, ne va della sua incolumità»
Si voltò verso la terza presenza nella stanza con espressione scettica e giudicante. Karim finse di non comprendere l'opinione dell'americano, anche se uno sguardo più attento avrebbe colto un misto di dispiacere per non avere più accanto l'amico e di sollievo nella certezza che avrebbe trovato un luogo più sicuro in cui abitare durante il suo soggiorno in Afghanistan.
Quando l'intransigente e ostinato diplomatico uscì senza attendere un'ulteriore replica, Samuel appoggiò entrambi i palmi sul bordo del materasso per provare a far cessare il dolore insorto durante l'accesa discussione.
«Samuel, calmati, ti fai del male così»
Il medico di Herat avrebbe voluto tranquillizzare l'amico, cercò di trasmettergli serenità con il tono della voce. Il giornalista si concentrò solo sul suono del cellulare che si trovava accanto a lui, posato su un tavolino di legno.
«Tuo padre mi ha informata dell'agguato. Cos'è successo?»
Quando udì il tono allarmato della fidanzata, assunse una posa meno agonizzante per cercare la forza di non angustiarla. 
«Mio padre è sempre molto delicato»
Era sarcastico, il direttore non era mai stato affettuoso e quando lo era commetteva disastri, come ad esempio allarmare Margaret; avrebbe forse preferito non lo fosse, almeno non in circostanze così importanti e a distanza di migliaia di chilometri. 
«È solo preoccupato»
Era sconvolto dalla risposta della ragazza, era inedito ed estraniante udire simili considerazioni provenire da lei; proprio lei che aveva da sempre ritenuto Daniel causa di forti scompensi emotivi ed affettivi in Samuel. 
«È bastato che partissi, affinché mio padre entrasse nelle tue grazie? Senti, Margaret. Visto che è diventato il suocero ideale per te, gli puoi riferire che non ho alcuna intenzione di chiudermi in un bunker?»
Diede alla giovane la possibilità di ribattere, ma vi era solo un palese silenzio dall'altra parte della linea.
«Maggy?»
Gettando un'occhiata sullo schermo del telefono, si accorse che aveva riattaccato. Non prese bene la lite inaspettata con la fidanzata, tanto che ebbe l'istinto di lanciare il cellulare contro la parete; lo sentì vibrare appena prima che riuscisse a compiere quel gesto istintivo. Gli veniva annunciato un nuovo messaggio.

 
Non so cosa ti abbia fatto quel posto, ma torna a casa intero.

Sentì di aver esagerato e il carattere inscalfibile di Margaret aveva fatto il resto. Buttò il telefono sulle lenzuola scomposte e rivolse una sincera domanda a Karim.
«Quando si terrà il matrimonio?»
Il dottore non era certo di voler rispondere, non desiderava che nell'arco di un mese Samuel rischiasse di nuovo la vita, doveva tornare negli Stati Uniti per sposarsi, non dovevano esservi priorità differenti. Il ragazzo comprese la prudenza dell'amico, ma decise di mettere in chiaro la sua posizione. 
«Voglio esserci»
 
 
Ambasciata americana - Laboratorio di balistica, 11 ottobre 2018
 
Christian aveva riposto grandi aspettative nella visita all'ambasciata. Era speranzoso di trovare coloro da cui era stato costretto a separarsi nel nosocomio, eppure ricevette una magra consolazione: gli americani erano soltanto riusciti a recuperare la sua arma, non avevano trovato traccia del dottor Smith o della giovane madre. 
Il tenente, dopo l'ultima esperienza, impugnava la Sig Sauer con maggiore sospetto; l'aveva riposta nella fondina e dalla riconsegna non l'aveva più estratta né tantomeno caricata. I talebani avrebbero potuto commettere i peggiori crimini con la sua pistola, perciò lui preferì evitare di sfiorarla. In vista dell'incursione nell'ospedale, ricordava molto bene di averla munita con un caricatore pieno; mancavano un paio di proiettili e temeva per l'incolumità dei civili che aveva conosciuto. Continuava ad esserci il buio nella sua mente circa le concitate ore al termine delle quali aveva perso conoscenza. Del valoroso dottor Smith non aveva avuto più notizia e non riusciva a non pensare al suo destino; la scomparsa di quell'uomo aveva privato di un'importante risorsa umana e professionale l'ospedale assediato. 
Il tenente non smetteva di fissare in silenzio il monitor del laboratorio di balistica. Attendeva notizie, possibilmente liete dopo i giorni che aveva trascorso. Era illusorio ritenere che alla resa quella missione si fosse conclusa con un flebile lieto fine, che, in fondo, per il luogo in cui si trovavano, era soltanto una gioia parziale. E allora perché il cielo non concedeva loro almeno un piccolo successo? Beatriz aveva ragione, Christian si stava nascondendo dietro irreali speranze, aveva fallito e continuava a farlo, a scapito della gente comune. 
Elijah notò il nervosismo del tenente, stringeva i pugni e corrucciava il volto immerso nei pensieri, non tentò nemmeno di coprire la sua emotività. Christian sapeva di potersi affidare al sottotenente, era stato un brillante compagno in campo e il suo lavoro dietro uno schermo era altrettanto attendibile. Ciò che Elijah non comprendeva era il motivo per cui l'amico avesse chiesto un esame autoptico sul corpo di un afghano qualsiasi, privo di un'identità conosciuta e rilevante per le forze armate.
Il capitano era stato accusato di eccessiva emotività fin dall'accademia. Beatriz aveva assistito a più di un episodio di ammonimento, ma nessuno conosceva ciò che aveva vissuto prima di iniziare il percorso da seal e che aveva accentuato la sua umanità verso il prossimo. Christian non riteneva ci fosse qualcosa di sbagliato nel non voler privare qualcun altro della vita, era un valore per lui imprescindibile,  senza il quale qualunque possibilità di redenzione si sarebbe dispersa. In caserma Beatriz non lo aveva mai visto cedere davanti al ricordo del passato, perché si guardava bene dall'osare in pubblico. Lei e nemmeno Elijah avevano idea di quanto la sua emotività fosse compromessa dagli eventi e forse quella compassione considerata da tutti sconsiderata era in parte effetto della sua adolescenza. A fronte di quei pensieri, vi era un compromesso da pagare e il seal lo stava vivendo ogni singolo giorno sul suolo afghano; le remore di Christian erano a senso unico e questo diventava molto rischioso per la sua sicurezza. Era ciò che pensava il sottotenente, lo metteva in guardia, ma il compagno non era in grado di seguire quei validi consigli. Il pensiero della famiglia negli Stati Uniti non lo rendeva più cinico, anzi se c'era una certezza nella sua vita riguardava proprio la morale che desiderava tramandare a sua figlia, prima ancora di qualunque bene materiale.
Elijah non vedeva l'amico da diversi anni, eppure le iridi chiari del seal erano per lui limpide; iniziò ad attribuire un nome ai gradi che Christian esponeva sul petto; agli occhi del nemico potevano risultare debolezze, eppure era tornato in Afghanistan per un motivo, gli stessi generali avevano chiesto di lui per portare a termine missioni complesse. Elijah stesso era convinto che di lui ci si potesse fidare davvero.
Christian era chiaramente preoccupato, si era dimostrato tale dal primo momento in cui quella mattina era tornato in laboratorio. 
«Non hanno trovato proiettili nel corpo dell'afghano, è saltato in aria. Nel rapporto che farò non risulterai un assassino, contento?»
Elijah fu intenzionalmente superficiale e provocatorio nel comunicare la notizia a Christian. La notizia proferita con leggerezza non fece sospirare di sollievo il tenente; egli non smise di scrutare corrucciato il monitor, mentre il sottotenente stampava il verbale sugli esami che i medici legali avevano eseguito.
«Dovrai seriamente spiegarmi come riesci a provare pietà per i talebani»
«Provo pietà per la mia anima. E inizio anche a temere per la mia incolumità»
Il capitano si appoggiò sconsolato al bordo della scrivania. In passato aveva temuto di dover intraprendere un giorno il fronte di guerra da padre, ricordava di averlo confidato a Katherine più volte, temeva di imporre a sua figlia un destino simile al suo. Quell'ennesima bomba avrebbe potuto rendere vittima anche lui. Rivolse lo sguardo sconfortato al cielo che si trovava oltre gli sterminati piani dell'ambasciata, ma non seppe più se pregare, ringraziare o arrabbiarsi con la volta celeste che non gli metteva in testa l'idea di tornare e restare a San Diego.
Elijah era impegnato ad archiviare i documenti, ma prestava accurata attenzione all'umore dell'amico e pensava solo al modo in cui avrebbe potuto aiutarlo a sentirsi meglio dopo uno scampato pericolo.
«Ricordo nove anni fa quando mi dissero che senza la nostra salute non avremmo potuto aiutare civili in difficoltà. Credo che quel mio compagno avesse ragione. Era il soldato semplice Christian Aiden Richardson»
L'autore di quella saggia considerazione non ricordava di averla pronunciata e nemmeno in quali possibili circostanze.
«Proprio tu mi parli di salute?»
Non smetteva di sentirsi mortificato per le condizioni del compagno e forse avrebbe provato quel fardello per il resto della sua vita, ma al sottotenente quell'atteggiamento compassionevole e carico di rimorsi da parte sua infastidiva. Elijah spinse la sedia a rotelle altrove per lasciargli il tempo di tornare a ragionare su questioni più urgenti. Dalla posizione in cui si trovava alzò i toni trasformando la loro conversazione in una discussione, sperando che con maggiore convinzione sarebbe riuscito a persuadere anche lui.
«Christian, mi stai ascoltando, vero? Devi ucciderli se vuoi sperare di vincere questa guerra e tornare dalla tua famiglia. Prendere quella dannata pistola e sparare senza alcuna pietà! Amico, devi rassegnarti, non c'è spazio per la tua compassione, riservala per i tuoi cari»
Gli indicò persino la fondina in cui sapeva che avesse riposto l'arma. Il seal tornò a parlare con tono basso, quasi fosse una confidenza e si stesse rivolgendo a se stesso, nell'ambito del suo inconscio. Fissò il vuoto davanti a sé, mentre le immagini dell'ultimo periodo in missione scorrevano vivaci nella sua mente. 
«Settimane fa ho conosciuto un giovane costretto ad uccidere per conto dei talebani, il suo nome era Rashid. Pochi giorni fa abbiamo ritrovato un soldato americano della mia unità, è stato nelle loro mani per mesi, ha commesso atrocità per avere salva la vita. Come faccio a conoscere l'identità del nemico che ho davanti, il passato che lo ha spinto ad essere l'uomo che è diventato?»
«Allora devi accettare il rischio e non tradire la tua morale»
«Anche se fosse un azzardo?»
«È un azzardo. Diremo a tua moglie di scrivere sulla lapide quanto tu sia stato umano, ma ciò non ti riporterà da lei. Non credo che le potrà bastare pensarti come un uomo senza macchia»
Il tenente ne era sicuro, ma il discorso schietto del sottotenente non spense la palese determinazione sul volto. 
«Oh no, conosco quello sguardo, l'ultima volta ha salvato decine di soldati. Christian, cos'hai in mente?»
«Devo parlare con il nostro commilitone, ha trascorso diverso tempo fra i militanti»
Il generale Flores aveva ragione, non c'era più tempo per rispettare il dolore di Alexander, al contrario l'esperienza subita avrebbe potuto preservare la vita di molti innocenti.

 
 
Base militare semidiroccata – Confine Nord/Est di Kabul, 11 ottobre 2018
 
Il soldato Ward aveva vent'anni, ma il suo continuo indugiare sull'ingresso la faceva sentire in piena fase adolescenziale; dopo l'accademia le era sembrato di aver raggiunto un più alto livello di maturità, invece non aveva ancora deciso se ascoltare l'istinto che le suggeriva di intraprendere un confronto diretto e propizio con Alexander. 
I ricordi di una breve vita si sovrapponevano l'uno sull'altro, quando pensava al giovane soldato. L'accademia era stata diversa con lui accanto, non più semplice ma molto più significativa. Ricordava di aver inizialmente odiato il suo essere temerario; il tenente Richardson condannava lo spirito incauto intravisto nella recluta, prima di conoscere quello ostentato di Alexander. Non poteva negare a se stessa di essersi innamorata di lui nel momento più basso della sua vita, il più solitario. Lui l'aveva tirata fuori dall'angolo in cui si era rintanata alla notizia della morte dell'amato padre. Lui, che senza sfiorarle mai le labbra, l'aveva amata. Ed ora Gwendoline sentiva che quell'amore custodito intimamente nei loro cuori era stato tradito da lui, ironia della sorte, dal temperamento spavaldo di Alexander che aveva lasciato sulla propria scia solo sofferenza.
La giovane cercò la forza d'animo di affacciarsi nel salone devastato dall'ultima incursione nemica e lo scorse. Non comprese l'attività su cui era concentrato, era accomodato con il capo chino. Gwendoline riconobbe un brillante colore scarlatto colare dalla mano di Alexander; a quel punto si affrettò ad avvicinarsi a lui preoccupata, dimenticando ogni esitazione. 
«Ma cos'hai fatto??»
Il ragazzo tentava di pulire e tamponare la ferita a mani nude. Sangue e polvere gli impedivano di scorgere la zona lesa, ma lui era riuscito ad estrarre il corpo estraneo prima dell'arrivo della compagna. Per Alexander fu un'impresa relativamente semplice e indolore rispetto alle esperienze che aveva già attraversato nel corso della sua giovane vita.
«Gwen, era solo una scheggia»
Non sembrava intenzionato a raccontarle i dettagli dell'incidente, di cui lui parlava già al passato, ma la giovane convenne che avrebbe potuto rischiare conseguenze ben più gravi a causa della sua imprudenza - la stessa che ultimamente era solito esercitare spesso. Si affrettò a cercare un panno pulito, ma nella sporcizia della base risultava complicato. Le attenzioni della ragazza non stupirono né rallegrarono Alexander; si erano sempre scambiati tali accortezze e non pensò al fatto che potessero essere un segnale di riavvicinamento, lei avrebbe prestato soccorso a qualunque commilitone con la medesima dedizione e la medesima premura. La tranquillità del soldato non contagiò anche Gwendoline, la quale si sedette accanto a lui e con delicatezza iniziò a strofinare con la stoffa di una benda di fortuna la ferita; non ricordava dove fosse la cassetta per le medicazioni, nel subbuglio dell'ultimo attaccato subìto molte attrezzature erano risultate disperse. Posò il dorso della mano sulle sue ginocchia per lavorare meglio sotto lo sguardo amorevole del giovane uomo che le sfiorava il viso.
«Se mi avessi detto che ferirmi sarebbe stato un buon pretesto per avere la tua attenzione, lo avrei fatto prima»
Lo bloccò sul posto con un'occhiata truce, era rimasta infastidita dalla battuta. Era sciocco da parte sua credere che una considerazione tanto frivola nel luogo in cui si trovavano potesse sortire l'effetto sperato.
«Non sei mai stato divertente»
La smorfia di dolore che seguì costrinse Gwendoline ad essere più accomodante.
«Scusa»
La ragazza allentò subito la pressione sulla parte lesa per alleviare il dolore che gli aveva procurato.
«Figurati. Me lo merito»
«Per essere stato stupido a farti male? Non è il modo migliore per espiare le tue colpe»
«No. Per non averti dato ascolto»
Ward alzò lo sguardo su di lui e anche Campbell non tolse gli occhi da lei, salvo quando riprese a parlare con un velo di imbarazzo che si concesse di provare durante un incontro così intimo e familiare. Nonostante Alexander fosse sinceramente affranto, Gwendoline non colse dispiacere, la sua espressione era il riflesso dell'ultimo periodo trascorso in solitudine lontano dai suoi compagni, oppure era solo ciò che lei si ostinava a vedere dopo l'apprensione dei mesi trascorsi. Alexander non cercava compassione, i suoi muscoli erano resi più severi dai ricordi, si incupì; la solarità della sua età sembrava essere svanita per sempre.
«Vorrei tornare indietro, ma purtroppo non posso. Avrei evitato la sofferenza di molti. Non sarei stato costretto a veder soffrire bambini senza poter fare nulla per aiutarli, assistere alle torture che subivano senza impedirlo»
Gwendoline catturò ogni gesto del giovane, nessuno di esso era superfluo rispetto a ciò che stava narrando; le iridi della ragazza si tramutarono in specchi: per lui e per tutte le persone che vedeva soffrire attraverso i ricordi del soldato Campbell. Una lacrima le sfuggì, uscì dal suo controllo, Alexander la raccolse con destrezza in una carezza della mano libera, prima che lei potesse nasconderla alla sua vista. Gwendoline gli impedì di allontanarsi da lei. Lo sorprese, era convinto di aver osato troppo, invece fu costretto a ricredersi. Sentì così vivo sulla pelle l'uomo che insieme a lei era diventato un militare dell'esercito americano; riuscì persino a dissolvere dalla mente i crimini commessi per conto dei talebani. Per un impercettibile istante abbassò le palpebre e lasciò che quel momento le infondesse calore, rappresentava una protezione che le era mancata e non era certa di poterne fare più a meno. Lo avvertì sempre più prossimo a lei, ma non si oppose a lui né aprì gli occhi fino a che non percepì il suo respiro avvolgente e il palmo della mano che sfiorava la superficie della sua guancia, desideroso di approfondire il contatto. La breve distanza costrinse entrambi a sussurrare.
«Sei ferito, devo medicarti»
«E non può aspettare?»
Lanciò una fugace occhiata alla sua ferita senza allontanarsi da lei; diede alla questione poca importanza. Per la giovane recluta insorsero i rimorsi; era stata egoista ad illuderlo per ottenere una manciata di secondi in più del suo calore.
«Si infetterà»
Gli rispose con dispiacere, abbassando lo sguardo sulla mano di lui e cercando di trattenere la malinconia dell'idillio che scorreva tra di loro. Maledisse la guerra e insieme ad essa se stessa per esserne entrata a far parte.
«Gwen. Mi ascolti un istante?»
Gli fece un lieve cenno di assenso che discordò con il reale volere. Aveva cercato in prima persona un confronto, ma continuava a temerlo profondamente. 
«Anche io sono innamorato di te»
Avvertì una lacrima di lei precipitare sul suo palmo ferito, non provò fastidio, anzi forse era la cura migliore, soprattutto per la sua anima. Il pensiero di essere ricambiata avrebbe potuto fare in modo che si riavvicinasse a lui, ma la notizia non la scosse, tranne per quella singola goccia di sale che si era staccata con tempismo dalle sue ciglia.
«Gwendoline»
Colse il fatto che il compagno si trovasse ancora a pochi centimetri per accostarsi al suo petto con la fronte e piangere in maggiore libertà. Esattamente in quel punto in passato aveva sfogato la sofferenza per il padre defunto; provò in quel modo a rivivere il medesimo conforto. Ad Alexander venne spontaneo far passare le dita fra i suoi capelli in un atteggiamento molto comprensivo. 
«È ancora troppo presto, lo so»
Anche se sperava non lo fosse, nonostante il poco tempo a disposizione prima che la corte marziale lo condannasse. Era un frangente emotivo e allo stesso tempo statico che catapultava i due giovani in un luogo non lontano dalla guerra, ma in cui ritornavano insieme; non era una consapevolezza che rendeva lieti, era impossibile scoprire gioia in quel capannone dilaniato e con il sottofondo dei perpetui scoppi nelle terre su cui camminavano. Donava speranza sapere che si fossero riuniti, niente era più come mesi prima, ma la presenza dell'altro non lasciava indifferenti.
Il capitano Richardson, concitato dall'ultimo incontro con il sottotenente, non si premurò di cogliere nei due giovani la necessità di scambiarsi un composto e silenzioso abbraccio. Li interruppe con innocenza, pentendosi all'istante di non essersi accertato di non disturbare. 
«Alexander!»
Non appena Gwen udì il tono del superiore, tentò di celare il viso umido; le lacrime che aveva versato erano intime, totalmente estranee alla posizione che ricopriva in nome dell'America, sentì perciò il dovere di reprimere quei minuti di debolezza. Il fatto era che il soldato Ward si sentiva fragile e non era affatto pronta ad ammetterlo, ciò sarebbe stato controproducente per tutti. Come lo avrebbe spiegato al tenente? Come avrebbe ammesso a se stessa di aver deluso suo padre? Sicuramente il sergente Ward era convinto che sua figlia fosse più valorosa. Non ammise alcun timore ai due uomini, decise di mentire ad entrambi congedandosi.
«Scusa, pensavo fossi solo»
«Me ne stavo andando, signore. Alex, hai bisogno solo di una fasciatura»
Il compagno le rivolse un lieve sorriso di gratitudine. La dolcezza non la sconvolse accostata al nuovo sguardo del soldato Campbell, segnato dagli orrori di una violenza ingiustificata. Christian era talmente mortificato per averli interrotti da non cogliere neppure i loro sguardi complici. Quando Gwendoline lasciò la stanza, il capitano esternò sul volto pena e speranza.
«Come va con lei?»
Alexander rimase molto sorpreso dalla domanda, il generale Flores non l'avrebbe mai rivolta ad alcun sottoposto. Da quando era tornato alla base e aveva riconquistato il suo posto, il soldato si era stupito per quante cose fossero cambiate, il tenente Richardson considerava importanti aspetti della loro vita a cui nessuno tra le file degli ufficiali erano mai importati.
«Non è il contesto. Risolveremo tornati negli Stati Uniti»
Non era chiaramente abituato ad essere trattato come un uomo intriso - volente o nolente - di sentimenti, era in soggezione, non era certo di capire fino a che punto potesse spingersi e svelare la sua sfera emotiva, come richiesto dal superiore. La diffidenza del soldato non stupì Christian, ricordò viva la considerazione di Gwendoline sulla posizione del generale.
«Non sono Flores. Se i miei uomini sono emotivamente instabili, gradirei saperlo»
Con tono e atteggiamento comprensivo il seal si accomodò accanto alla giovane recluta. Raccolse la mano di Alexander e esaminò il palmo con preoccupazione paterna, ma era fiducioso del fatto che Ward se ne fosse già occupata con dedizione. Alexander non si scompose e si confidò, ormai certo che da quell'uomo si sarebbe potuto aspettare qualunque cosa.
«Credo di aver superato abbondantemente la soglia di emotivamente instabile, tenente. Negli ultimi mesi temo di aver perso davvero una parte di me. Gwendoline ha ragione, non mi riconosce più e non si fida. Non mi riconosco più nemmeno io»
Christian appurò che la ferita non fosse tanto grave da richiedere un intervento medico; ad impensierirlo fu soprattutto chiedere a quel giovane di rivangare nelle ferite invisibili e ancora sanguinanti, per quello avrebbe potuto fare ben poco, non esistevano cure mediche che lui conoscesse. 
«Alexander, necessito del tuo aiuto»
«Non esiti a chiederlo»
«Ho bisogno di sapere tutto quello che sai, anche i dettagli più insignificanti»
Non era spaventato dal ricordo, solo dalle conseguenze che continuavano a sortire le sue azioni. Confidare ciò che era successo avrebbe potuto rendere giustizia alle vittime, anche quelle di cui si era macchiato lui stesso. Il ragazzo ritirò la mano dalla debole presa del superiore e abbassò lo sguardo verso il terreno polveroso. Dei giorni di prigionia ricordava soprattutto sangue, le sue scarpe ne erano costantemente imbrattate. Ricordava di aver attraversato diverse regioni dell'Afghanistan, di aver ferito innocenti con armi che appartenevano alla fazione nemica, in caso di rifiuto le stesse armi gli si sarebbero rivolte contro. Persisteva a chiamarsi codardo, in quei momenti e nel presente che stava vivendo. Aveva visto bambini reclutati, donne maltrattate, uomini uccisi; i veri eroi erano loro che donavano la vita per un futuro di pace. Lui vedeva, ma non li fermava, anzi era costretto a diventare loro complice. Gli orrori a cui assisteva tornavano a tormentarlo negli incubi o da sveglio e in solitudine; in quei momenti provava potenti conati di vomito, specie verso la sua indifferenza e il suo comportamento spregevole.
«C'erano esecuzioni sommarie. I medici sfiniti hanno provato a salvare tutti, anche gli aguzzini, ma mi hanno portato fuori presto da quell'ospedale. Avrei dovuto aiutare i civili, non schierarmi dalla loro parte»
«Campbell, no. Non saresti qui»
«Mi vergogno per ciò che ho fatto. Non ho giurato di difendere l'America così»
«Non abbiamo tempo per la vergogna. Il comandante Reyes non è informata, ciò che ti chiederò è una mia personale iniziativa. Se devo pensare ad una strategia, voglio accanto qualcuno che conosca i loro punti deboli»
Alexander rifletté sulla richiesta del superiore; non ricordava nervi scoperti nella loro organizzazione, solo cieca violenza che li rendeva spietati e vittoriosi. Richardson continuava a risultare strano agli occhi del sottoposto, eppure una sensazione gli suggeriva che quella proposta potesse davvero rivelarsi la soluzione giusta e definitiva. Ancora una volta Gwendoline aveva dimostrato di avere in tasca la ragione, quell'uomo poteva rappresentare la svolta.
«Capitano, posso rivolgerle prima una domanda? Me lo consente?»
Christian accettò con un silenzioso cenno del capo.
«Perché si fida di me, quando la maggior parte dei miei compagni dubita delle mie intenzioni?»
«Perché ho il vizio di azzardare, anche la mia vita quando è necessario»

 
 
Base aerea di Bagram - Afghanistan, 11 ottobre 2018
 
I pasti in guerra erano spesso solitari e ricchi di pensieri, lo ricordava bene Christian che per reggersi sulle proprie gambe era stato costretto a cedere a qualche minuto di ristoro. Intorno al seal il vociare contenuto e rispettoso dei militari accompagnava quel momento di tregua, ma era solo una calma apparente, fuori da quelle mura, seppur ancora solide, morte e desolazione ricoprivano la maggior parte del suolo afghano. Pur essendo un uomo affabile, aveva deciso di ritagliarsi un angolo di tavola per riflettere, solo lui e il suo vassoio con la poca razione di cibo che riusciva a deglutire fra le preoccupazioni. Katherine non avrebbe apprezzato questo suo nuovo stile di vita, anche se forse lo aveva già intuito attraverso lo schermo durante la loro ultima videochiamata. 
La conversazione con il collega dall'altra parte dell'Oceano non gli era stata di conforto come avrebbe sperato, nella voce era annidata ansia e apprensione, oltre a stanchezza per il lavoro che stava svolgendo nel Coronado senza alcun supporto. Christian si era sorpreso nell'udire che ogni aspetto della base stesse funzionando a pieno regime sotto lo stretto controllo di Fabian, ciò gli provocò disagio, consapevole dello sforzo del collega. Il capitano era certo che lo svilimento non fosse dovuto alla spossatezza, Hernandez si era lasciato sfuggire che una mole di lavoro maggiore lo avrebbe aiutato a non pensare. Da cosa non era dato sapere, anche se Christian aveva provato a fare una lieve pressione affinché gli venisse confessato. Quando Richardson citò la moglie, il dubbio si accentuò; nel tentativo di rassicurare il collega il tenente Hernandez aveva gettato l'ombra del sospetto, erano uscite così informazioni che mai Fabian avrebbe voluto rivelare in quella sede.
«È molto preoccupata per te»
«Hai visto Katherine di recente?»
«Io? D-di sfuggita qui alla base»
«Per quale ragione dovrebbe frequentare il Coronado in mia assenza?»
Christian udì il distinto rumore di una penna contro un ripiano rigido, Fabian era chiaramente nervoso. 
«Non ne ho proprio idea. Forse cercava qualcosa nel tuo ufficio»
Ci furono interminabili istanti di silenzio tra i due colleghi. 
«Fabian, mi stai nascondendo qualcosa?»
Non era difficile intuirlo, lavorava al suo fianco da sufficiente tempo per decodificare l'incrinatura della sua voce e i suoni che facevano da sfondo alle misteriose parole di Fabian.
«Pensa solo a tornare a casa, sto diventando pazzo a gestire tutto da solo»
Immerso nei pensieri, un rumore metallico a pochi centimetri dalle mani fece sussultare il tenente. Un luccichio rotolò nella sua direzione. Christian ebbe l'istinto di fermare la sua folle corsa con le dita prima che raggiungesse il bordo del tavolo. 
Il seal svelò e inquadrò il prezioso gioiello; sfiorò il colletto della divisa confuso, era convinto di aver già rimesso il ciondolo al suo posto. Non era una mancanza tipica di lui, l'abbondante mese trascorso al fronte lo aveva lasciato provato fisicamente e mentalmente, tanto che in questioni simili rimase deluso da se stesso per la poca lucidità dimostrata. 
«Gwen, avevi ancora la mia fede?»
«Le consiglio di rimetterla al dito, capitano, è il luogo più sicuro»
«Tanto sparo con la destra»
Si rattristò per la sua stessa infelice considerazione, si rendeva conto che prima o poi avrebbe dovuto trovare il coraggio di sparare contro il nemico, era un presagio molto realistico. Non ricordava di avere mai dimenticato la vera nuziale in quasi dieci anni di matrimonio, forse perché non aveva mai avuto necessità di sfilarla. Era meglio evitare di replicare, nel caso in cui avessero trovato il suo corpo senza vita avrebbero potuto riportarlo a Katherine identificandolo; in una simile circostanza non avrebbe potuto fare altro per lei. Quei macabri pensieri non gli diedero modo di rendersi conto di ciò che stava ingurgitando, anzi le viscere si stringevano alla sola eventualità che sua moglie potesse essere destinata ad un tale strazio. Gwendoline notò lo stato assorto del superiore, così cercò di distrarlo con innocenza. 
«Com'è?»
In un primo momento non comprese a cosa lei si stesse riferendo, ma la ragazza indicò subito il piatto posto dinnanzi al seal per evitare fraintendimenti.
«Non è il massimo, ma è molto più di quanto possa permettersi la maggior parte degli afghani»
«Immagino le manchino le leccornie di sua moglie»
Christian tentò di contenere un genuino sorriso, fu il primo veramente sincero da diverso tempo. La considerazione del sottoposto gli fece immaginare come potesse svolgersi la quotidianità in sua assenza a San Diego.
«Katherine è negata in cucina, lei stessa disperata mi chiede aiuto. Quando il lavoro me lo consente provvedo io. Sai, essere orfano, ha anche i suoi vantaggi»
«Già»
La pessima battuta rattristò la giovane, il seal se ne accorse tardi e provò a rimediare sviando subito l'argomento. Christian allontanò dal tavolo una sedia accanto a lui per essere più accogliente e alla fine cedette, dopo un breve istante di smarrimento nei tristi ricordi che il tenente aveva stimolato. 
«Dai accomodati. Cosa volevi dirmi?»
«Non ho molto appetito»
«Devi mangiare»
«Mi tratta come sua figlia»
«Sembri proprio lei quando deve assaggiare qualcosa che non gradisce, anche quando lo preparo io. Discutiamo spesso per questo»
«Le mancherà molto»
Le iridi celesti di Christian si annacquarono e lui non tentò nemmeno di celarlo. La recluta aveva sfiorato un tema sensibile. In certi momenti gli sembrava che l'aria venisse meno, talmente intensa era la mancanza di Alisia. In quelle sfortunate volte in cui considerava la possibilità che un disgraziato incidente potesse impedirgli di ritornare dalla sua bambina, la voglia di prendere un aereo per gli Stati Uniti era quasi irrefrenabile. 
«Non la sento da troppo, mi mancano persino i suoi capricci»
«Dove ha conosciuto sua moglie? È un soldato anche lei?»
«È una civile. Si è trasferita a San Diego anni fa. Ha impiegato un po' a notarmi»
«Come si può non notare lei?»
Gwendoline mosse quella personale considerazione senza alcuna malizia, si accorse solo più tardi del senso ambiguo e arrossì d'stinto. Il superiore ignorò la reazione della giovane per non metterla a disagio ulteriormente. 
«È molto più facile notare Katherine»
«Ne è ancora molto innamorato»
Quando si trattava della moglie, l'indiscrezione della recluta non lo infastidiva, non era un segreto ciò che riguardava la consorte. Per Christian, Katherine continuava a rappresentare l'isola felice dei suoi pensieri, una cura naturale per il passato insieme alla figlia. Avevano accumulato sterminati ricordi, eppure quello in cui la vide per la prima volta rimase indelebile. Per capire cosa Christian intendesse, Gwendoline avrebbe dovuto pensare con la sua mente e vedere con i suoi occhi.
«Siamo insieme da più di dieci anni»
Era diventato molto malinconico, ma continuava ad ignorare il fatto che si stesse confidando con la giovane, una recluta, ma soprattutto una ragazza con poca esperienza in campo sentimentale. Il loro rapporto era diventato simile ad un'amicizia, anche se la formalità continuava ad intromettersi duramente tra loro; ciò che li legava era un vissuto sofferto che aveva spento la gioventù di entrambi. 
«La rivedrà, capitano, non si angusti per questo. Necessito di un consiglio, sono quasi certa di non doverlo chiedere ad un mio superiore, ma non so a chi altro. Ho fiducia nel suo giudizio»
«Riguarda Alexander?»
Ricordava la complicità che aveva intravisto tra loro quando li aveva interrotti; sfiorava la curiosità di sapere cosa fosse cambiato tra i due giovani, si rifiutava di pensare che alla loro età ogni speranza di riconciliazione fosse perduta. Le afferrò la mano posata sul tavolo, avvolgendola. Gwendoline sussultò appena per il gesto inaspettato, ma non si ritrasse grazie ad un'estrema forza di volontà, sentiva di necessitare proprio di quel genere conforto; il dolore e la solitudine l'avevano costretta a crescere in fretta e nessuno meglio del tenente Richardson avrebbe potuto comprendere le sue necessità emotive.
«Gwen, devi cancellare dalla tua mente ciò che è successo ad Alexander. È l'unico modo per offrirgli un'opportunità»

 
 
Ciao, cari lettori e care lettrici!
Torno a pubblicare amareggiata, ma con la consapevolezza che nei racconti che creiamo, se vogliamo, possiamo trovare un lieto fine, spesso precluso nella realtà. 
Ho voluto dedicare questo capitolo alle riflessioni che guideranno i protagonisti negli eventi futuri che dovranno affrontare. I personaggi di cui narro in questo capitolo sono solo una parte di tutti quelli che ho citato nell'arco della storia, quindi credo sia giusto il momento di farveli conoscere prossimamente. 
Vi ringrazio di cuore per la costanza con cui mi seguite, ogni volta è per me una splendida sorpresa. ♡
A presto!
Un abbraccio
Vale
 
   
 
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