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Autore: Sasita    02/05/2022    2 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. E niente, questi personaggi non vogliono che la storia finisca, perché continuano a fare quello che vogliono e ad allungare il brodo con tutta la loro voglia di fare altre cose. Quindi, niente, il prossimo sarà il penultimo capitolo. Di questo sono sicura. La canzone a cui mi sono ispirata è di Radio Company, il duo di Jansen Ackles!




CAPITOLO XV
All our own


Listened to yesterday
Long before the way it has become
And it all came down to you
I don't really know the way
It played out stranger than it seemed
But what went down came true
Like an all day dream

I don't want to be the one to say it's wrong
When the heavens open and a new day comes along
I know I would rather be together alone
In a big top circle and a world we can call our own
It's all our own

 

Dean si alzò con uno scricchiolio delle ginocchia. Sollevò il bordo della maglietta grigia e si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte. Castiel, in piedi con un rullo da vernice in mano, raccolse la bottiglietta dell’acqua da terra e gliela lanciò. 

Bevve avidamente, e l’acqua gli scivolò fuori dalla bocca, oltre il mento, bagnandogli il collo e la maglietta, già piuttosto umida. «Non credevo che costruire una casa fosse così faticoso…», disse.

L’angelo gli rivolse uno sguardo penetrante, si leccò le labbra. «Neanche io…», rise.

Dean gli fece l’occhiolino. «Più tempo passiamo a saltarci addosso e più ce ne vorrà a finire»

«Sai che mi basterebbe uno schiocco di dita per evitare tutto questo lavoro, vero?», disse Castiel, posando il rullo nella scatola di vernice. Accostò pollice e medio della mano destra e li mosse; in un attimo tutta la stanza era pitturata alla perfezione, di quel color cemento chiaro che avevano scelto oltre al verde scuro del muro principale.

«Non sarebbe divertente in questo modo», lo redarguì Dean, con un sopracciglio alzato.

Castiel gli si avvicinò, si morse il labbro inferiore e inclinò un po’ il capo, quanto bastava perché quella loro piccola differenza di altezza gli permettesse di guardare Dean dal basso, con uno sguardo tra l’innocente e il provocatorio. «Ma ci salverebbe molto tempo per essere… sessualmente intimi»

L’uomo deglutì una risata tra l’eccitato e il divertito. «Adoro quando trasformi una frase da manuale di educazione sessuale in una frase da rimorchio»

«Ognuno ha i suoi assi nella manica», sussurrò l’angelo. Intensificò lo sguardo, infuocando la pelle di Dean con le sue iridi azzurre che brillavano attraverso le ciglia scure. «E ognuno ha le sue piccole debolezze, non è così?»

In un istante Castiel spinse Dean contro il muro, facendogli sbattere la schiena sulla vernice fresca. Il calore del corpo dell’angelo premuto contro il suo e la sensazione fredda della parete umida creavano un contrasto che lo fece rabbrividire. Castiel lo teneva fermò con tutto il suo peso, e gli premeva sulla gola con l’avambraccio nudo. Con gli occhi spalancati e le pupille dilatate, Dean si morse l’interno della guancia e come attratto da una forza magnetica concentrò tutta la sua attenzione sulle sue labbra, una tentazione morbida e rosea che si manteneva fin troppo lontana.

«Penso di sì», ammise con un filo di voce.

Castiel si avvicinò ancora un po’; il suo viso era a pochi millimetri da quello di Dean, le loro labbra si sfioravano quasi. «E mi permetti di approfittare delle tue?», soffiò in un respiro caldo sulla sua bocca.

Dean deglutì di nuovo, faticosamente, tentò di spostarsi per coprire la distanza che li separava, senza riuscirci. «Diamine sì», grugnì.

Le loro labbra si fusero in un movimento famelico. Castiel spostò le mani sul suo collo, tenendogli la testa vicino alla propria, mentre Dean gli fece scorrere le dita lungo la schiena, spingendo a sé il suo busto avvolto in una sottile maglietta bianca. I polpastrelli corsero sulla sua spina dorsale, facendo una pressione costante, lenta e struggente, fino a raggiungere il bordo dei suoi pantaloni cargo.  Una mano scese ancora, serrando la presa sul gluteo di Castiel da sopra la stoffa, mentre l’altra si insinuò sotto la maglietta, ripercorrendo verso l’altro la schiena fino allo spazio tra le scapole. L’angelo mugugnò un suono gutturale nel bacio, aprì gli occhi per incontrare quelli di Dean, blu nel verde, e sorrise. 

In un battito di ciglia si trovarono in camera da letto; per quanto avessero concordato di realizzare la maggior parte della casa con le loro mani, come avrebbero fatto due normalissimi esseri umani, dopo poco meno di un paio di giorni si erano resi conto che la terra nuda o il sedile posteriore dell’Impala non erano il massimo considerata la frequenza con cui si trovavano senza vestiti, così avevano optato per far apparire almeno quella stanza dal nulla con l’aiuto della grazia. Dean non aveva avuto nulla da ridire, anzi. Fare l’amore in macchina come i ragazzini era sicuramente eccitante e divertente, ma dopo un po’ faceva venire mal di schiena. In ogni caso, anche se aveva accettato la stanza, non aveva voluto per nessun motivo che Castiel la completasse con i suoi trucchetti di magia angelica. Quindi non era altro che un parallelepipedo di cemento grezzo con una lampadina penzolante dal soffitto e un materasso buttato sul pavimento. Ma andava benissimo così. 

«Penso di aver sporcato la coperta con la vernice…», rise Dean ritrovandosi con la schiena sul morbido all’improvviso. Il peso di Castiel si era spostato dallo spingerlo in verticale contro il muro al premerlo in orizzontale contro il materasso. L’angelo aveva una gamba tra le sue e gli avambracci ai lati della sua testa, i loro corpi erano perfettamente allineati dallo sterno al bacino.

«Ci penso io», con uno schiocco di dita i vestiti che avevano indosso scomparvero insieme alle coperte, lasciandoli nudi sul lenzuolo.

Lunghi brividi percorsero la pelle di Dean al contatto con quella di Castiel. Tutto il suo corpo pulsava alla sensazione di pressione che sentiva. Assorbì quell’emozione e accolse tutto il calore dell’eccitazione che gli montava nel petto, sbatté le palpebre e si passò la lingua sul labbro inferiore, poi lo afferrò per le spalle e in un movimento repentino ribaltò le loro posizioni. 

A cavalcioni sui suoi fianchi, un ginocchio per lato, Dean bevve con gli occhi l’immagine dell’angelo sotto di lui, fintamente vulnerabile. Era perfettamente consapevole del potere che si nascondeva dietro quel corpo, che ribolliva al suo interno, e il fatto che Castiel scegliesse di tenerlo a freno per lui, per lasciargli il comando e il potere, faceva bruciare ogni centimetro delle sue membra, e si vedeva. 

L’angelo schiuse le labbra, e gli regalò un’espressione innocente, provocandogli una scarica di bramosia che gli risalì dall’ombelico alla gola. Nel tentativo di soffocare un basso ringhio che gli vibrava nel petto si piegò su Castiel, gli afferrò le mani e gliele portò sopra la testa, fermando entrambi i polsi nella sua presa. 

Dean sapeva che il serafino non avrebbe dovuto usare neanche un milionesimo della sua forza per liberarsi da quella stretta, ma il fatto che non lo facesse, e si abbandonasse del tutto alla sua mercé, fiducioso, lo faceva sentire potente. Potente nel suo essere meritevole dell’amore e del desiderio di un angelo, potente nella scelta di Castiel di lasciarsi guidare e comandare, potente nell’anima prima che nel corpo. Strinse di più le dita, spinse il suo peso sui suoi polsi e usò l’altra mano per mantenere l’equilibrio mentre si calava sulla linea netta della mascella dell’angelo, sfiorandola con le labbra.

«Cerchi di torturarmi?», sussurrò Castiel con la sua voce profonda arrochita dal desiderio.

Dean ridacchiò contro la sua bocca, gli catturò il labbro inferiore succhiandolo appena. «È uno dei miei assi nella manica… ho una certa esperienza, sai…», disse percorrendo di piccoli baci e morsi il collo di Castiel. «…vent’anni sulla terra, altri quaranta all’inferno…»

«Spero che non sia stato Alastair ad insegnarti questo metodo…», soffiò l’angelo, sempre più in difficoltà. Si schiarì la gola.

Dean rise contro il lobo del suo orecchio. «Oh, no, questo l’ho imparato da solo», disse mordicchiandolo.

«E funzionava? Non credo che sia il metodo giusto per ottenere—»

«Dipende dal tipo di vittima… e da cosa si vuole ottenere», gli sussurrò nell’orecchio, ricominciando a percorrere la strada della sua mandibola a ritroso. Per sottolineare le sue parole, premette un po’ di più il bacino contro quello di Castiel.

L’angelo rovesciò la testa indietro, le sue palpebre tremolarono e dalle labbra gli uscì un respiro spezzato. «E dalle loro debolezze?»

«Esattamente», lo stuzzicò Dean, chiudendo finalmente la distanza tra di loro con un bacio.

Castiel si abbandonò nella presa, mettendo da parte ogni stilla di potere angelico. La sua pelle rifulgeva di vampate di luce dorata. Le sue labbra si muovevano in sincrono con quelle di Dean, esplorando l’uno la bocca dell’altro con passione e dolcezza. 

Liberandogli i polsi e senza smettere di baciarlo, l’uomo fece scorrere la mano lungo il suo fianco, accarezzandogli i muscoli tesi. Le sue dita sfiorarono le ossa affilate del suo bacino, accarezzandolo dall’addome alla coscia, in un movimento lento e pressante, avvicinandosi sempre di più al centro senza toccarlo davvero. 

Castiel fremette, roteo i fianchi, ansimò nel bacio. «Vorrei…», provò a dire, ma Dean si impossessò della sua voce catturando di nuovo quella labbra tra le sue. Allora l’angelo portò i propri palmi sul suo petto e spinse appena, per allontanarlo quanto bastava per parlare. 

Gli occhi dell’uomo, profondi ed eccitati, lo scrutarono. Ogni volta che lo guardava si domandava cosa avesse fatto per meritarsi qualcosa del genere; per meritarsi di essere la persona capace di provocare quei tremori, quei brividi, quei respiri spezzati. Si domandava come potesse un uomo tanto banale come lui essere la più grande felicità di una creatura celeste, l’unica cosa desiderata da un angelo, da qualcuno che l’aveva visto letteralmente al suo peggio, nei momenti più bassi della sua esistenza, e l’amava lo stesso. La sua mano scivolò oltre ombelico di Castiel, sfiorò distrattamente la pelle delicata tra le sue gambe. «Cosa vorresti?», gli chiese, iniziando a far scorrere i polpastrelli dove l’angelo voleva più essere toccato.

«Vorrei— uhm…», mugugnò lui. Il suo petto si alzava e abbassava con un ritmo spezzato, il suo respiro era pesante. «…sai, pensavo… mi piacerebbe—», Dean serrò la presa, e l’angelo gemette. «Dean…», ansimò quando l’uomo iniziò a muovere la mano, «…ti prego, fermati, non r-riesco a… uhm, non riesco a p-pensare…», disse. Sentirlo balbettare era ancora una cosa strana per Dean, ma non per questo meno eccitante. 

Dean rallentò il movimento, senza smettere del tutto, e allentò la presa, roteando piuttosto un po’ il polso. «È per questo che è divertente», gli sussurrò nell’orecchio, la voce ridotta a un basso suono rauco.

Castiel deglutì, chiuse gli occhi per concentrarsi. «Vorrei provare a… cambiare»

«Cambiare cosa?», domandò Dean, mordendogli l’angolo perfetto creato dalla mandibola, poco sotto al lobo.

«Vorrei— voglio sapere cosa si prova…», espirò, gemendo all’ennesimo movimento lento e struggente dell’uomo. Il suo corpo era come una torcia ardente, caldo, pulsante e luminoso. Dean lo guardava tra le ciglia, l’eccitazione che lo travolgeva unita alla soddisfazione di vedere Castiel piegato dal suo tocco. «…a-a… a sentirti— uhm a…»

Dean si leccò le labbra, la consapevolezza lo colpì forte come uno schiaffo e gli provocò un’ondata di calore che gli infuocò le orecchie. La sua mano si fermò, il suo corpo tremò impercettibilmente. Alzò la testa per guardare Castiel negli occhi, trovando le sue iridi azzurre che lo fissavano, chiare e genuine, piene di desiderio e fiducia. 

«Mi piacerebbe… uhm, che fossi tu— vorrei provare, sì…», balbettò.

Ogni parte del corpo di Dean pulsava. «Uhm…», finse di pensarci per dissimulare la tensione, «…sicuro che questo tramite possa contenermi?», scherzò.

Ottenne l’effetto desiderato, distendendo la tensione di entrambi. «Mi piacerebbe scoprirlo», disse Castiel.

Dean annuì e ricominciò a muovere la sua mano con movimenti calcolati, pressanti, ritmici. La testa di Castiel si rovesciò di nuovo indietro, e lui lo guardò mentre le sue labbra si schiudevano per far passare l’aria, i suoi occhi si chiudevano e il suo petto ricominciava ad alzarsi e abbassarsi tremando appena. «Va bene», sussurrò. 

Anche se non poteva vedersi, Dean sapeva che se avesse avuto uno specchio davanti a sé avrebbe rimandato il riflesso del suo viso quale maschera di pura estasi. Sentiva le proprie labbra piegate in una “o” silenziosa, i suoi occhi in pura contemplazione, le sopracciglia alzate, rilassate in un’espressione di totale incredulità. 

Cercando di non interrompere le sue carezze, si sporse un po’ oltre il bordo del materasso, tastando il pavimento in cerca del flacone di gel. Lo trovò e aspettò che Castiel lo guardasse di nuovo per aprirlo con il movimento del pollice della sola mano libera. Le narici dell’angelo si allargavano e si restringevano al ritmo dei suoi respiri difficoltosi, i suoi occhi lo fissavano attenti, pieni di aspettativa. Lo accompagnarono quando Dean si sollevò quanto bastava per stare in equilibrio sulle ginocchia, lasciò la presa il tempo necessario ad afferrare le mani di Castiel per spremergli il gel nei palmi e le condusse entrambe tra le proprie gambe. 

Lo sguardo dell’angelo guizzò quando sotto il suo tocco Dean si abbandonò a un gemito, e rimase in adorante contemplazione quando l’uomo unse anche le proprie dita.

Dean ricominciò a toccarlo, usando entrambe le mani in punti diversi per aiutarlo a rilassarsi e distendere i muscoli. Sapeva che probabilmente non ne aveva bisogno, ma fu lieto che Castiel si lasciasse andare completamente in balia del suo tocco, abbracciando un’umanità che non gli apparteneva, ma che amava. 

Quando sentì di essere pronto lui stesso, Dean si spostò, allargando le ginocchia di Castiel ai lati del proprio bacino, beandosi della vista di quel corpo sotto di lui. Si chinò sul suo viso mentre chiudeva lo spazio tra i loro corpi, abbastanza da sentire l’angelo pronto ad accoglierlo sotto di lui. Un brivido gli corse lungo la schiena.

«Apri gli occhi», gli sussurrò, premendo ancora un po’, senza spingersi troppo oltre.

Castiel gemette, il suo viso era una maschera rossa di desiderio. Aprì gli occhi con difficoltà, serrò le labbra cercando di trattenere i suoni che gli provenivano da dentro, poi finalmente incatenò gli occhi ai suoi.

Dean gli sorrise, gli baciò appena le labbra, portò una mano tra di loro per accarezzarlo ancora, mentre con piccolissimi movimenti circolari si faceva strada. «Voglio vederti…», disse, «…e voglio sentirti»

L’angelo deglutì, le sue labbra si schiusero e un altro gemito uscì all’ennesima pressione di Dean contro di lui. «Faccio sempre quello che mi chiedi», disse con uno sforzo sovrumano, combattendo contro l’impulso di chiudere gli occhi e nascondersi alla vista.

L’uomo annuì, spinse ancora un po’ il bacino. Tutto in lui era un’esplosione. Sentiva il corpo di Castiel che lo accoglieva, millimetro dopo millimetro. Sentiva il desiderio pulsante di muoversi più velocemente, di interrompere quella tortura reciproca e dare a entrambi l’appagamento che volevano.

Castiel gli afferrò i fianchi con le mani, cercando di spingerlo a sé, ma lui gli resistette, assorbendo tutta l’urgenza che sentiva, caricandosi come una batteria. Dean lo baciò ancora, si allontanò un po’ e poi si avvicinò di nuovo, stavolta con un movimento più netto che lo portò a metà strada, e a Castiel mancò il respiro.

Si allontanò di nuovo, accogliendo con piacere il suono sconfortato dell’angelo sotto di lui. «Ti amo, Cas», soffiò, un attimo prima di spingersi del tutto dentro di lui.

 

*****

 

Dean grugnì sollevando il piano di granito della cucina per sistemarlo al posto giusto. Bobby e John, che lo stavano aiutando, spinsero con tutte le loro forze per incastrare quell’unico pezzo gigante sopra i mobiletti.

«Certo che sei proprio un coglione, ragazzo», inveì scherzosamente Bobby, asciugandosi il sudore sulla fronte sotto al cappello. «A questo punto avresti già la casa finita se avessi lasciato fare al tuo fidanzatino»

John gli lanciò un’occhiata di traverso. «Io invece apprezzo il buon vecchio lavoro manuale… anche se, figliolo, perché proprio un unico pezzo? Non potevi tagliare il piano come tutti?»

Dean sollevò le spalle, afferrò la sua birra da terra e se la fece gorgogliare in gola. «Nah», commentò, rispondendo a entrambi.

Castiel era andato a fare quello che faceva quando non era a casa. Ovvero qualcosa che riguardava controllare il Paradiso, sistemare qualche buco nello spazio tempo, spiare le anime qua e là per assicurarsi che non ci fossero problemi. Insomma, cose da angelo. Dean quindi era rimasto da solo ad occuparsi della costruzione, e aveva pensato di invitare i suoi due padri per dargli una mano.

In totale c’erano voluti quasi tre mesi, ma ormai il più era fatto. I bagni erano finiti, uno nella camera principale e uno nel corridoio che univa la zona giorno con l’ingresso, così come le due camere, il patio esterno, la sala da pranzo e il salotto. In cucina mancava solo da sigillare il ripiano con il silicone e montare poche altre cose, e anche la “sala dell’arte”, come l’aveva chiamata Castiel, era già quasi pronta all’uso. Mancavano solo gli strumenti del mestiere. Salotto, la sala da pranzo e cucina erano un’unico ambiente grande, come Dean se l’era immaginato, che dava sul patio coperto grazie a un’ampia parete finestrata. Oltre al patio si apriva un vasto giardino verde in cui si trovavano una piscina ispirata all’architettura romana, sempre secondo Castiel, e poi una distesa di erba punteggiata da alberi da frutto e aiuole di rose. In fondo c’erano una bella serra bianca e le quattro arnie che l’angelo era andato a recuperare dal loro cottage francese. 

John interruppe la sua contemplazione mentale. «Mi ha detto tua madre che stasera sei a cena da noi…»

«Uhm?», Dean si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato. «Di che parli?»

«Non ne sapevi nulla?»

Lui sollevò le spalle e scosse la testa. «Sinceramente no, ma va bene… credo», disse. «Cas?»

«Penso sia scontato, Dean», gli rispose suo padre, mettendogli una mano sulla spalla a sottolineare le sue parole.

Bobby si avvicinò con le mani sui fianchi, il berretto tutto storto sulla testa. «Cos’è questo? Un momento per fare i lavativi? Se è così preferisco andarmene a casa a farmi fare un massaggio ai polpacci da mia moglie!», sbuffò.

Dean rise, si passò l’avambraccio sulla fronte per asciugarsi un po’ di sudore e tornò a lavoro. Dovevano ancora installare il lavabo di ceramica e gli elettrodomestici. Castiel aveva detto più volte che niente di tutto ciò serviva a nulla, considerato che in Paradiso non c’era alcuna necessità di continuare a fare cose che invece sulla Terra erano necessarie. Lavare i piatti? Una perdita di tempo. Avere un frigorifero in cui tenere il cibo? Una sciocca abitudine umana. 

Eppure, nonostante fosse tutto una “sciocca ed inutile abitudine perditempo”, l’angelo non si era poi opposto così fermamente. Quei piccoli argomenti erano stati solo il pretesto per ricadere in altre piccole abitudini. Erano stati anche troppo tempo senza battibeccare come una coppia di vecchi sposi, così superata la prima fase della luna di miele, avevano ricominciato a bisticciare sulle cose più stupide. A differenza di ciò che succedeva prima, sulla Terra, perlomeno adesso finivano per baciarsi e fare del buon sesso riparatore invece che dirsi cose sgradevoli e pretendere di non volersi parlare per giorni, senza alcun motivo. 

Solo una volta erano arrivati alla soglia del vero e proprio litigio, quando per qualche strano motivo erano finiti a parlare di Benny e della prima volta in cui si erano trovati in Purgatorio. Dean si era sorpreso di quanto fosse ancora incazzato - perché quella era la parola giusta, e anche fin troppo delicata. Forse la sua rabbia era aumentata proprio in retrospettiva, perché se era vero che Castiel era stato innamorato di lui almeno fin dalla storia di Anna, con che coraggio l’aveva abbandonato in Purgatorio? Con che coraggio aveva lasciato che lui lo pregasse per un anno intero, senza mai rispondere? Con che coraggio aveva potuto rinfacciare a Dean di aver trovato qualcuno con cui passare il tempo, con cui fare squadra, quando lui l’aveva abbandonato come un idiota in mezzo a un posto sconosciuto e pieno di mostri schifosi? Benny era stata una benedizione, un vero amico nell’ora più buia, mentre Castiel era semplicemente svanito. Ovviamente l’angelo reiterava noiosamente ancora e ancora che l’aveva fatto per proteggerlo. Gran bella protezione, gli aveva detto Dean, considerato che aveva rischiato di essere ammazzato un’innumerevole quantità di volte e sarebbe morto se non ci fosse stato Benny. Che poi, cosa sarebbe successo se fosse morto in Purgatorio? Dean neanche lo sapeva e non era riuscito a fare quella domanda per stemperare la discussione, che era diventata veramente troppo seria e troppo infuocata, perché Castiel era scattato come una molla e gli aveva iniziato a vomitare addosso quanto Benny fosse un mostro, che si era approfittato di lui ma, oh, certo, Benny era perfetto no? E allora perché non stava con Benny. Era stato a quel punto che per fortuna la discussione si era sgonfiata. Quell’improvvisa e insensata vampata di gelosia aveva provocato in Dean uno scroscio di risate. Avevano finito per fare l’amore dolcemente, perché a una scenata di gelosia bisogna sempre riparare in questo modo.

Dean installò il lavandino e fece scorrere l’acqua per assicurarsi che il tubo fosse montato bene e non avesse perdite. Si premiò con un’altra birra e si voltò per guardare Bobby che se ne stava piegato a terra con la testa infilata sotto alla cucina per attaccare i cavi del forno prima di farlo scivolare al suo posto. John era impegnato con la configurazione del frigo. Con un’occhiata fugace controllò che tutto il resto fosse al suo posto; mancavano solo i mobili, ma erano in dirittura d’arrivo. Charlie aveva preso un vecchio furgone dalla rimessa di Bobby e si era fatta aiutare da quell’angelo dalla pelle color caramello con cui stava flirtando spudoratamente alla Roadhouse per andare a recuperare tutte le cose assurde che Dean e Castiel volevano nella loro casa. Ovviamente il furgone serviva solo come container, il viaggio l’avrebbero fatto a forza di schiocchi delle dita. 

Dean sorrise, afferrò il cacciavite abbandonato per terra e trascinò il piccolo scaleo che aveva abbandonato al centro della stanza, e si mise ad avvitare gli sportelli dei pensili. Un sorrisetto gli apparve sulle labbra al pensiero dell’altra sciocchezza su cui lui e Cas erano finiti a discutere. Niente di serio comunque, ma aveva rischiato di diventare una bella faida quando Dean aveva sputato una delle sue sentenze da vero stronzo. Tutto era iniziato per il tavolo da pranzo; Dean voleva assolutamente una cosa in stile rustico, un bel tavolo recuperato da una sezione di albero magari, e possibilmente tondo. Castiel aveva detto che per quanto bello fosse, sarebbe stato “disfunzionale”. Lui e il suo vocabolario da creatura millenaria. Dean gli aveva detto che non gli interessava che fosse “disfunzionale”, bastava che piacesse a entrambi, e l’angelo aveva detto che a un tavolo del genere non potevano sedere più di sei persone e che secondo lui non andava bene visto che avevano parlato tanto di dare feste e cose del genere. Una vera sciocchezza su cui discutere, ma tant’è. Alla fine avevano deciso per un tavolo rettangolare recuperato da due sezioni di tronco d’albero, larghe e lunghe, ma avevano discusso sul tipo di albero. Dean voleva specificatamente il castagno, a Castiel non interessava. E lì l’uomo aveva dato fiato alla bocca senza pensare, e aveva finito per ferirlo, tanto che l’angelo si era vendicato evitando ogni tipo di contatto fisico per un giorno intero. In ogni caso Charlie aveva guardato entrambi con una bitch-face degna di Sam quando le avevano detto che sarebbe dovuta andare in qualche posto in Italia - quella celeste, ovviamente - a prendere quelle stramaledette assi di castagno. Poi aveva riso e li aveva abbracciati con il suo sorrisone stampato sulla faccia, vezzeggiandoli per quanto fossero carini. Dean se l’era scrollata di dosso tossicchiando, le labbra strette e arricciate.

In ogni caso la gran parte dei mobili venivano comunque dall’Italia e dall’Inghilterra. Dean aveva voluto uno di quei bauli verdi da usare come tavolo da caffè tra i divani - che voleva di cuoio e metallo, così come le poltrone. Castiel invece aveva avuto la faccia tosta di andare da Monet a commissionargli un quadro gigantesco da mettere sulla parete opposta alle vetrate che davano sul patio: qualcosa sui toni del verde, dell’ocra e del nero, che si abbinava ai colori che avevano scelto per la casa. Dean aveva scherzato dicendo che preferiva qualcosa di più accattivante di qualche ninfea, e che forse avrebbe dovuto chiedere a quell’altro - come si chiamava? Degas forse - di fargli qualche bel quadro con le ballerine, ma senza tutù. Se avesse potuto Castiel l’avrebbe incenerito con lo sguardo. Comunque, la parete che avrebbe ospitato il quadro era già stata dipinta di un profondo verde inglese, e aspettava solo di essere abbellita con tutte le chincaglierie. 

Finiti di montare gli sportelli Dean si spostò dall’altra parte della grande stanza per sistemare le applique delle luci a muro. Castiel aveva insistito per delle placche di ottone un po’ anni settanta, ma con un twist in stile liberty o art nouveau. Dean non l’aveva ascoltato troppo a lungo, ma adesso che le vedeva doveva ammettere che non erano poi così male. Quanto al resto delle cose, avevano estratto a sorte, dopo aver trovato un compromesso tra gli stili che piacevano ad entrambi, così da non trasformare la casa in una sorta di magazzino degli opposti. Dean voleva qualcosa di rustico western, mentre Castiel più eclettico francese. C’erano volute un bel po’ di discussioni e l’intervento di Christian Liaigre per mediare tra le due cose apparentemente inconciliabili. A quanto pareva, con l’occhio esperto di un interior designer di fama mondiale e qualche seduta di mediazione familiare ad opera di Charlie, non c’era assolutamente di inconciliabile tra di loro. In un paio d’ore avevano mappato la casa e scelto tutto quello che volevano, e adesso che stava prendendo forma Dean non poteva che ammettere che era bello riconoscere un po’ di sé e un po’ di Castiel nella loro casa. 

Suonarono alla porta d’ingresso, così Dean lasciò a metà il lavoro sulle applique passando il testimone a suo padre e si diresse lungo il largo corridoio dello stesso verde della parete del salotto che portava all’ingresso per andare ad aprire. Vista da davanti la casa era una normalissima villetta da classico quartiere residenziale. Avevano optato per dei mattoni bianchi invece che il legno, perché a Dean davano una maggiore sensazione di stabilità. C’era un piccolo portico con un divanetto a dondolo e delle lampade da esterno, a cui si accedeva attraverso quattro larghi scalini bassi. Il portone era color cuoio, a doppia anta, con sopra un bel lunotto vetrato che faceva entrare tanta luce nel corridoio che si apriva subito dietro. A sinistra dell’ingresso c’era la stanza con gli armadi e gli attaccapanni, già finita, dove chiunque sarebbe stato costretto a lasciare cappotti e scarpe una volta che la casa fosse stata completata. A destra, invece, si accedeva alla biblioteca. Castiel era stato irremovibile e Dean non aveva avuto poi così tanto da ridire. Da quando Metatron gli aveva infuso tutta la conoscenza della cultura pop fino ad allora esistita, l’angelo era diventato un vero appassionato di lettura. Così avevano deciso di realizzare una biblioteca casalinga, in cui si entrava attraverso un’apertura ad arco allungata. Il piano terra poi era particolarmente alto, quattro metri dal pavimento al soffitto, così ci stavano davvero tantissimi libri nelle scaffalature a tutta parete. Per accedere meglio ai ripiani più alti avevano installato una serie di scalette scorrevoli. Al centro della stanza ci sarebbero state, non appena fossero arrivate, due poltrone di cuoio e metallo come quelle del salotto e uno di quei divani da terapista, dove sdraiarsi. Castiel l’aveva chiamato triclinio, Dean chaise longue, ed erano finiti a bisticciare anche su quello. Sempre in biblioteca era già stato montato l’angolo bar che aspettava solo di essere fornito di tutto il necessario. Un’intera parete, infatti, era stata adibita solo ad ospitare gli alcolici: tra due scaffalature di libri avevano montato uno specchio fumé retroilluminato davanti a cui sarebbero state posizionate tutte le varie bottiglie. In basso c’era il bar, un po’ di vetro e un po’ di legno e un po’ di ottone. A Dean piaceva, anche se non avrebbe saputo dire cosa gli piacesse effettivamente. Dato che era un piccolo nerd ossessivo aveva voluto anche uno di quei mappamondi giganti che si aprono, dentro a cui mettere il loro miglior whiskey con due bicchieri speciali, solo per lui e Castiel. Per le luci, oltre all’illuminazione installata nelle librerie, avevano optato per delle lampade da terra che si alzavano e si arcuavano sopra le sedute, aprendosi a campana intorno alla lampadina. Ovviamente era tutto ancora nel rendering, perché non c’era neanche un mobile in casa. 

Ancora a sinistra, oltre alla stanza degli armadi, c’era un’altra stanza che avevano diviso in due parti: una a cui si accedeva dal corridoio, la lavanderia in cui si trovavano lavatrice, asciugatrice e mobili della biancheria, e una a cui si accedeva dalla cucina, in cui si trovava tutta la loro dispensa. A destra, invece, superata la biblioteca, si trovava il bagno degli ospiti, per cui Dean aveva dato sfogo a tutta la sua anima western: mattonelle in stile metropolitana fino a metà muro, vernice color cuoio e mobiletti dalle ante basculanti in stile saloon sarebbero stati completati da una quantità esorbitante e inimmaginabile di quadretti, foto, stampe e oggettistica varia sui cowboy - alternati a qualche ammennicolo francese, come una vecchia ruota di un carretto da giardinaggio, un forchettone di ferro battuto e qualche quadretto di fiori in stile impressionista.

«Ehi, stronzetto!», lo salutò proprio Charlie, con la sua tipica espressione e la mano alzata alla Spock, prima di abbracciarlo. «Guarda un po’ chi è arrivato», ridacchiò.

«Oh! La mia traslocatrice preferita e tutto il mio arredamento!», disse lui. «Forte!»

Da dietro le spalle della rossa, Dean scorse l’altro angelo che si stava già occupando di scaricare la roba davanti al portico. «Ehi, Ruth», la salutò.

«Ciao, Dean», rispose lei, sorridendogli con quei suoi incredibili occhi verde acqua. 

Charlie le lanciò uno sguardo ammirato, e Dean la scrutò un attimo prima di sghignazzare. «Gran bel chiappo, sorella», le sussurrò, sbirciando l’angelo oltre la sua spalla, mentre fletteva i muscoli apparentemente sottili per nulla nascosti dalla salopette di jeans striminzita che indossava. «Immagino che quell’indumento ben poco angelico sia opera tua…», rise.

«Oh, ma smettila… ho visto come hai rivestito Castiel, non hai assolutamente nessun diritto di parlare, principessina», lo prese in giro lei.

Dean rise a bocca aperta, genuino e sereno. «Sono contento per te, comunque»

Charlie schioccò le labbra, gli fece l’occhiolino. «Oh, altro che fatine… questi angeli ci sanno proprio fare, eh?», lo stuzzicò tirandogli una gomitata tra le costole.

Lui annuì, pensando a Castiel. Si concentrò un attimo. “Sono arrivati i mobili, Cas, la casa sta prendendo forma. È davvero il posto che possiamo chiamare nostro… tutto nostro. Non vedo l’ora che torni per provare ogni singolo angolo con te… sai, svestiti, magari coperti di olio da massaggio… potrei anche farti mettere quel completo da cowboy…”, condì le parole con qualche immagine tratta da un film porno western, e rise tra sé e sé, guadagnandosi un’occhiata da Charlie. 

«Quando hai voglia…», le sussurrò Dean all’orecchio, piegandosi per essere alla sua altezza, «…prova a pregare Ruth invece di dire le cose ad alta voce… ha un certo, uhm, fascino, diciamo»

Charlie alzò un sopracciglio e rise. «Oh, abbiamo un kink qui, vedo… bravo zio, ora sì che stai imparando a goderti la vita— beh, questa vita, almeno… gay is yay!», commentò con un altro occhiolino.

«Sì, come ti pare…», le sorrise lui. «Adesso però voglio finire questo posto, mi sono rotto le palle di queste ristrutturazioni…»

«Posso sempre usare la grazia per rendere le cose più veloci…», suggerì Ruth.

Dean scese gli scalini due per volta per andare a guardare da vicino i suoi mobili, un luccichio gli brillò negli occhi. «Vediamo… se siamo troppo stanchi tra un po’ potremmo approfittarne, effettivamente»

Così dicendo si piegò, afferrò le prime due poltrone a portata di mano, e iniziò a fare una staffetta per portare dentro tutto l’arredamento.

 

*****

 

Dean stava litigando con la maledetta testata del letto quando una mano gli toccò una spalla, facendolo saltare come un grillo. 

Bobby era tornato a casa già da un paio d’ore, lamentando un mal di testa da “troppe stronzate”, Charlie e Ruth invece avevano finito di aiutare Dean con l’arredamento del salotto, non senza qualche trucchetto di magia angelica, e poi erano andate alla Roadhouse per incontrarsi con Kevin e Ash per non aveva capito che tipo di torneo di non sapeva quale gioco di non era chiaro quale console. Comunque, una cosa da nerd nel loro stile. John invece l’aveva salutato per ultimo, dopo aver finito di lavorare in biblioteca e nei bagni, ricordandogli di non fare tardi a cena. Dean quindi era rimasto solo a casa, ed era talmente concentrato ad attaccare quei maledetti cuscini di pelle al tubo di ottone a muro che anche un soffio di vento l’avrebbe fatto scattare, figuriamoci una mano. E non poteva essere Castiel, perché avevano stabilito la regola per cui nessuno dei due poteva sorprendere l’altro alle spalle senza annunciarsi prima, se non voleva rischiare di finire a terra in un riflesso di difesa involontaria.

Dean si voltò di scatto, pronto a pugnalare chiunque fosse con il cacciavite per quanto stupida fosse la sua reazione. Ma la sua faccia si trasformò da una maschera di sospetto a una di incredulità nel tempo di un battito di ciglia.

«Jack?»

«Hey-oh, Dean», lo salutò il ragazzo, con quel suo sorriso sottile e largo.

L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte. «Figlio di…», ma non finì la frase, lasciò cadere il cacciavite sul tappeto e gettò le braccia intorno al Nephilim, affettuosamente. «È bello rivederti»

«Anche per me», sorrise ancora Jack, guardandosi intorno, «E sono felice che tu abbia trovato i tuo equilibrio in questo nuovo Paradiso», disse. «Ti piace?»

«È fantastico!», ammise Dean, dandogli una pacca sulla spalla. «Hai fatto un ottimo lavoro»

Jack piegò la testa di lato, in un gesto tanto simile a Castiel da struggergli il cuore. «Oh, è gran parte merito di Castiel»

Dean bofonchiò qualcosa senza dire niente, poi rise. «Che fine avevi fatto, ragazzo? Sei sparito in mezzo a quella strada, ci hai lasciati a cavarcela da soli e… guarda che è successo, sono morto nel giro di sei mesi!»

Il Nephilim aggrottò la fronte. «Mi dispiace molto di quello, Dean… purtroppo io non ero in circolazione quando è successo e per quanto riguarda gli angeli, sai, non volevo che intervenissero in mia assenza senza il mio consenso, e volevo che gli esseri umani se la cavassero da soli per un po’, senza, uhm, i fili del burattinaio…», disse, imitando con le mani il gesto di tirare dei fili dall’alto, «…così ho inibito la loro capacità di percepire le cose umane mentre accadono. Le percepiscono, ma solo dopo che sono già accadute… così Castiel non ha potuto fare niente per salvarti… non è potuto intervenire prima, e mi dispiace molto perché ho sentito il suo dolore anche a distanza di tre o quattro universi. Non è stato bello da parte tua buttare via il suo sacrificio così…», disse poi, senza inflessione di sorta. Nessun giudizio, solo un dato di fatto.

«Sì, ecco, io… non l’ho fatto di proposito è solo capitato, ma immagino tu abbia ragione»

«Ne è valsa la pena?»

Dean lo guardò con un sopracciglio alzato. «Cosa?»

«Morire», disse semplicemente Jack.

L’uomo ci pensò, si guardò attorno, tirò su con il naso posando gli occhi sulla testata del letto con cui stava litigando fino a pochi minuti prima. Pensò a Castiel, a sua madre, a suo padre, a Charlie, Bobby, tutte le persone che aveva potuto riabbracciare, a sé stesso e a come si era riscoperto lungo la strada. Poi penso a Sam, e una fitta gli colpì il cuore, ma meno dolorosa di quanto credesse. «In un certo senso, sì…», disse. «La mia vita sulla Terra… sì, aveva le sue bellezze, ma onestamente ragazzo… ero così stanco già vent’anni fa, e senza Cas— beh, non mi sembrava di aver molto a cui aggrapparmi, a parte Sam, ovviamente… ma lui lo riabbraccerò comunque presto o tardi e, beh, questo mi basta a credere che nonostante volessi vivere, nonostante volessi invecchiare continuando a rompere le palle al mio fratellino e prendere a calci in culo i mostri, alla fine anche se non è una cosa positiva, essere qui ha i suoi vantaggi, ecco»

Jack annuì. «Mi dispiace comunque non aver potuto fare nulla», disse, «Ma ora che sono tornato volevo passare a salutarti, per dirti che sarò molto più spesso in giro, adesso…»

«Grandioso», commentò Dean, dandogli un’altra pacca sulla spalla. «Com’è andata, hai risistemato gli universi?»

«Quasi tutti, a parte quelli terribili che Chuck aveva creato solo per puro sadismo… sapevi che ce n’era uno in cui gli uomini erano costretti a mangiare sé stessi fino a che non riuscivano più a raggiungere parti del proprio corpo da mangiare e morivano di fame?»

«Accidenti ma è terribile!», mugugnò Dean con una faccia disgustata. «Quell’uomo era un maledetto maniaco, dannazione!»

Jack fece spallucce. «Ecco, quello non l’ho ricreato…», disse semplicemente. «Comunque, Dean, è stato bello rivederti… ora devo andare al quartier generale, ma tu divertiti stasera!»

«Divertirmi?», chiese Dean, confuso.

Il Nephilim gli lanciò uno sguardo strano, sorrise ed annuì, svanendo in una nuvoletta di luce biancastra.

 

*****

 

Aveva aspettato il più possibile che Castiel tornasse a casa, ma quando si era fatto troppo tardi senza che l’angelo desse segno di vita, Dean aveva optato per andare da solo dai suoi ed aspettarlo lì. Stranamente quando era arrivato, anche se era già ora di cena, non c’era ancora assolutamente niente di pronto. Sua madre e suo padre stavano armeggiando in cucina in modo misterioso, senza però fare effettivamente nulla.

Dean quindi si era seduto sul divano con il suo solito abbigliamento tutto denim e flanella, con un bicchiere di whiskey in mano. Era sicuro che anche John e Mary stessero tergiversando in attesa di Castiel, così gli spedì una preghiera silenziosa dicendogli di muoversi, perché aveva fame e comunque era scortese da parte sua fare tardi. Così quando qualcuno suonò al campanello di casa Cambell-Winchester, lui era convinto che si trattasse dell’angelo. Invece, sorprendentemente, si trattava di Charlie, Ruth, Jo e Kevin, stranamente vestiti da festa. Con le sopracciglia talmente sollevate da sfiorare quasi l’attacco dei suoi capelli, Dean guardò stranito Charlie con indosso niente meno che uno smoking giallo paglierino con il reverse in strass, Kevin un abito maschile con la giacca coreana, e Ruth e Jo con due splendidi vestiti da gala. Jo ovviamente aveva un abito nero, grintoso, di una stoffa tipo raso ma molto spessa, con degli spacchi dovunque. Mentre Ruth era più angelica che mai in un vestito di chiffon verde acqua come i suoi occhi, leggiadro e quasi intangibile, fatto di tanti strati di volant che comunque enfatizzavano la sua figura statuaria.

«Uhm…», iniziò Dean, «…c’è una festa e io non lo so?», chiese. «O avete solo sbagliato indirizzo?»

Charlie sghignazzò ed entrò in casa senza neanche chiedere il permesso, salutò a gran voce Mary e John e si buttò sul divano dove fino a un secondo prima era seduto Dean. «Te l’abbiamo fatta, eh?»

Gli altri entrarono, imitandola. Dean chiuse la porta alle loro spalle, poi si voltò a guardare quell’allegra combriccola senza senso. «Ma che diamine sta succedendo?»

Vide di sfuggita sua madre che usciva dalla cucina con un sorriso furbo sul viso, e suo padre che invece nascondeva un’espressione più seria, quasi patriarcale. Stava per ripetere la domanda, convinto ormai che ci fosse qualcosa che lui non sapeva, ma tutti gli altri sì, quando il campanello lo interruppe squillando di nuovo.

Aprì il portone con un’espressione scettica. Davanti ai suoi occhi si parò Castiel. Aveva i capelli stranamente simili a quando si erano conosciuti, i suoi occhi brillavano di una luce azzurrina estremamente accattivante, e non indossava nessuno dei vestiti che ormai era abituato a vedergli addosso: invece, aveva ai piedi delle scarpe da ballo in vernice nera lucida, un elegantissimo smoking blu notte con il reverse dritto di raso perfettamente proporzionato alla larghezza delle sue spalle, una camicia con i bottoni coperti e il colletto diplomatico e un papillon di una tonalità di blu leggermente più chiara. In mano aveva una buffa scatolina bianca con un fiocco blu. 

Dean sbatté le palpebre più volte, senza capire. Castiel rise leggermente e si avvicinò quanto bastava per sfiorargli la guancia con un bacio leggero, che fece infuocare il viso di Dean di un rosso paonazzo fortunatamente invisibile nella penombra del patio. I suoi occhi interiori corsero a suo padre, ma si rilassò presto. Al tocco delle sue labbra l’uomo sentì uno strano cambiamento sulla pelle. Quando Castiel si allontanò, Dean si guardò e si scoprì a sua volta vestito di tutto punto. Adesso anche lui indossava uno smoking nero come il Nulla, leggermente lucido, di una stoffa particolare che sembrava riflettere la luce. Il suo reverse era a punte di lancia, sempre di raso, mentre la sua camicia aveva un colletto normale ma il davanti a pieghe verticali. 

Deglutì, in faccia l’espressione della confusione più pura. «Ma che diamine..?», ripetè.

Castiel gli consegnò la scatolina e lui l’aprì, rivelando una piccola composizione floreale. «Mi è stato detto che in questa occasione alle ragazze si offre un bracciale fiorito… ma ho pensato che nel nostro caso fosse più adatta una spilla da giacca», disse l’angelo con un sorriso sempre più largo.

Dean continuava a non capire, ma un’idea gli si formò nella mente. I suoi occhi si fecero grandi, il suo cuore gonfio.

Castiel entrò in casa, sorrise a tutti. «Signore e signora Winchester…», salutò, plateale, intenzionato a fare le cose nel modo più preciso possibile. Poi guardò Dean negli occhi, l’emozione gli si poteva leggere in faccia insieme a una certa nota di subdola furbizia. «Dean Winchester», disse, «sarei onorato se volessi accompagnarmi al ballo»

La testa dell’uomo iniziò a vorticare come una trottola. Il ricordo dell’emozione che aveva provato all’idea di andare al suo primo ballo scolastico venticinque anni prima - o forse di più, sulla Terra - lo colpì forte. Sentì le lacrime avvicinarsi pericolosamente al bordo delle sue ciglia ed ebbe una strana sensazione di sollievo all’idea che non indossava del trucco. Idea che lo fece ridere da solo e lo aiutò a ristabilire un certo contegno. Sentiva gli occhi di tutti addosso, ma il suo sguardo era solo per Castiel, che aveva evidentemente fatto tutto questo solo per fargli vivere qualcosa che non aveva mai potuto avere. Qualcosa che gli era stato tolto a un passo dal realizzarsi. Qualcosa che aveva rimpianto per tanto, quell’occasione mancata di poter vivere una cosa normale, gioiosa, spensierata.

Dean tirò su col naso, sorrise ed annuì appuntandosi la spilla floreale al taschino della giacca. 

«Mi fai strada?»




 

 

   
 
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