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Autore: Sasita    05/05/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Siamo effettivamente al penultimo capitolo. Il prossimo vedrà chiudersi il cerchio di questa storia post-finale! Spero veramente che vi sia piaciuto seguirmi fino a qui, e sostare un po' insieme a me nella vita di questi due splendidi personaggi e di tutti i loro amici. Meritavano di meglio, e sicuramente ci sono persone che hanno scritto e scriveranno finali migliori del mio, ma questo è il mio contributo a quello che credo rimarrà per sempre uno degli show che io abbia più amato, per quanto poco convinta fossi prima di iniziarlo. Avverto anche che con questo capitolo ho toccato le 150 pagine in A4, per 101.111 parole, 604.063 caratteri. Forse non il mio record assoluto, ma sicuramente un record per la mia storia di fanwriter, soprattutto considerato che ormai so per certo che questa storia, a differenza di molte altre, purtroppo, la finirò davvero. Grazie a chi è rimasto con me fino a qui, e grazie a tutti coloro che hanno commentato, seguito, messo la storia tra le preferite, tra le ricordate... è davvero un dono grande quello dell'apprezzamento, anche silente. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, forse un po' smielato, ma ogni tanto ci vuole! La canzone è citata nel testo, ed è il grande cult del film Il tempo delle mele, Reality, di Richard Sanderson.




CAPITOLO XVI
Reality

 

Castiel alzò la mano sventolando in aria le chiavi dell’impala.  «Con piacere»

«Non pensarci nemmeno…», gli rispose Dean con gli occhi sgranati, lanciandosi verso di lui per recuperarle.

«È una convenzione socialmente accettata che sia la persona che invita a guidare, Dean», rispose Castiel, tintinnando le chiavi a distanza di sicurezza.

Dean lo fulminò. «È anche una convenzione socialmente accettata che sia l’uomo a guidare»

Charlie schioccò la lingua. «Uh, questo sì che è un discorso fuori moda, anche per te!»

Jo annuì con uno sguardo eloquente. «Davvero antiquato, Winchester!»

«Inoltre l’ultima volta che abbiamo—», Castiel si zittì alla vista dello sguardo assassino di Dean, «Beh,  anche io sono un uomo, Dean», disse muovendo le mani stese all’altro in basso, indicando il proprio aspetto.

Kevin, seduto sulla poltrona in salotto, sospirò e roteò gli occhi. «Io mi preoccuperei proprio di questo, infatti», commentò. «Voi due— beh, in realtà tutti voi, escluso me, non avete affatto l’aspetto di liceali»

Castiel gli sorrise. «Non preoccuparti per quello», lo rassicurò.

«Sembrerete degli adescatori…», ridacchiò Jo. «…mentre noi…», disse, accennando con lo sguardo a sé stessa, a Charlie e a Ruth, «…saremo i bocconcini più sexy della festa!»

Dean le lanciò un’occhiataccia. «Cosa vorresti insinuare?»

La ragazza aveva le sopracciglia piegate e le labbra arricciate in un’espressione di puro divertimento. «Hai guadagnato qualche ruga, Winchester, dall’ultima volta che ci siamo visti sulla Terra…»

«Oh, ma smettila! Non sono cambiato affatto»

Charlie rise. «Certo, principessa», lo schernì.

«E comunque guido io, fine della storia!», tagliò corto Dean.

John si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla, seguito da Mary «Non fare il bambino», gli disse lei.

«Non fate troppo tardi», disse lui, scherzando. «E non correggete il punch! Si fa ancora? Ai miei tempi era la consuetudine…»

Castiel annuì e con il palmo della mano colpì un paio di volte la giacca di Dean, all’altezza del petto. Lui aggrottò la fronte, si sganciò il bottone e infilò la mano nel taschino, trovandoci dentro la vecchia fiaschetta di Bobby. «Ma che… l’hai fatta apparire insieme al vestito?»

«Bobby me l’ha concessa per l’occasione», disse l’angelo, estremamente soddisfatto. «Un’altra tradizione che non voglio assolutamente farti perdere»

«Nessuno di noi vuole perdersela!», squittì Charlie. «Siamo la squadra del no-prom… è il momento di recuperare il tempo perso!», disse, saltando giù dal divano per infrangersi contro Dean, con un braccio innaturalmente piegato verso l’alto per cingergli le spalle.

«Mai andata a un ballo scolastico?», le chiese lui, con le sopracciglia alzate.

Lei fece spallucce. «Nah», rispose. «Ero troppo impegnata a scappare dalle case famiglia…»

«E voi?», chiese, adocchiando gli altri.

Kevin lo guardò con un’espressione tra l’annoiato e lo scocciato, alzò la mano e si indicò con l’indice. «Secchione prima, profeta durante, morto dopo», sintetizzò. «No, direi che non ho avuto tanto tempo per andare ad un ballo»

«Secondo papà era troppo pericoloso… era diventato paranoico, sai, dopo un caso in una scuola superiore dell’Iowa»

John annuì. «Sì, me lo ricordo quello…», disse, scrollando le spalle come per togliersi di dosso una brutta sensazione.

Castiel fece quel suo sorriso che gli arricciava gli occhi e il naso. «Sono stato troppo occupato a guardare le galassie formarsi», disse con estrema serietà.

«E per quanto riguarda me… non sono i luoghi più battuti da noi mietitori»

Dean si voltò di scatto a guardarla. «Mietitori?»

Ruth gli sorrise dolcemente. «Sì, Jack ha reso molti di noi angeli ordinari…», disse semplicemente.

«Fantastico!», disse l’uomo. «Un’ex mietitrice, un serafino, una nerd con un tatuaggio della principessa Leia, un profeta, e due cacciatori di mostri… siamo un gran bel gruppo», rise.

«Sei pronto?», chiese Castiel, piegando la testa di lato.

Dean sospirò dando un ultimo sguardo alle sue chiavi. «Andiamo»

Salutarono John e Mary e come una piccola processione si diressero all’impala, stringendosi un po’ per entrare tutti e sei. Castiel si posizionò al posto di guida, con Dean al fianco che lo guardava con estrema attenzione e un certo sospetto, e gli altri quattro stipati sul sedile posteriore.

«Lo sai che questa macchina non è omologata per sei, giusto?»

L’angelo lo squadrò con uno sguardo incuriosito. «Dean, non esistono le regole della strada in Paradiso… oltretutto, non dobbiamo comunque guidare molto», e così dicendo sorrise e schioccò le dita.

Un attimo dopo Baby stava sfrecciando a tutta velocità su una larga strada cittadina nella luce rossastra del tramonto; a destra, dal lato della strada che Dean vedeva dal suo finestrino, si estendevano degli alberi attraverso i quali si intravedevano dei campi da gioco, forse da tennis. A sinistra alcuni palazzi commerciali si alternavano a grandi parcheggi. Il cartello che indicava il nome della strada recitava Salem Turnpike. Una lampadina iniziò ad accendersi piano piano nella mente di Dean quando Castiel si fermò al semaforo rosso all’angolo di Sullivan Park, attivando la freccia per girare a destra su N Parish Rd. 

«Siamo a Lawrence»

Castiel annuì. «Più precisamente, siamo a Lawrence nel 1987»

Dean lo guardò con un sopracciglio sollevato mentre l’angelo svoltava cautamente sulla via. Qualche macchina imboccò la strada dietro di loro, altre li precedevano. Alcuni gruppi di ragazze e ragazzi camminavano ridendo sui marciapiedi. «Noi siamo— quando? Ma che— Ti dispiace elaborare?» Il suo sguardo scorreva sui giovani sempre più numerosi intorno a loro, tutti avvolti in vestiti che dovevano essere considerati eleganti negli anni ottanta.

Charlie si sporse dal sedile posteriore, sgusciando tra Kevin e Ruth per avvicinarsi. «La migliore musica dance di sempre, capi metallizzati e capelli pazzeschi!», disse con un luccichio negli occhi.

Gli occhi di Dean non accennavano a restringersi. «Ripeto, ti dispiace elaborare?»

«Jack è venuto a trovarti oggi, giusto?», chiese Castiel, in tono del tutto piatto.

«Uh-uh», rispose Dean, che continuava a far saettare lo sguardo tra l’angelo, i marciapiedi e lo specchietto retrovisore.

Castiel svoltò nel parcheggio della scuola e si insinuò nel primo posto libero, tirò il freno a mano e spense la macchina. «Gli ho chiesto un favore», sorrise, provò senza troppo successo a fare un occhiolino e scese dall’impala, chiudendosi la portiera alle spalle.

Dean sbatté le palpebre un paio di volte e si voltò verso gli altri per capire se sapevano di cosa stesse parlando. Loro lo ignorarono e si arrampicarono fuori dalla vettura senza una sola parola. Quando anche lui si decise ad uscirne, si trovò Castiel davanti al finestrino pronto ad aprirgli lo sportello in un gesto galante. «So aprirmi il mio maledetto sportello, Cas, grazie»

«E lasciati coccolare un po’, stronzetto!», lo schernì Charlie, «Ti assicuro che nessuno dubita della tua mascolinità!»

Dean arrossì. «Io— non…»

«Comunque», lo interruppe Castiel, richiudendo la portiera dietro di lui. «Ho chiesto a Jack di creare una piccola bolla temporale… niente di speciale, un piccolo salto nel passato senza veramente andare da nessuna parte. È come un ricordo, ma formato dalla memoria collettiva di tutti coloro che si trovavano qui nel 1987»

Un brivido gli corse lungo la schiena. «Spero che queste persone non siano tutte morte!»

«Quasi nessuno di loro lo è… a parte la preside, era già molto vecchia, non te ne devi preoccupare», lo rassicurò l’angelo.

«E l’effetto farfalla?», chiese Kevin.

Castiel piegò la testa. «Come dicevo, è una bolla temporale, non siamo nella memoria di nessuno e non cambieremo la memoria di nessuno, anche perché siamo in Paradiso, e non sulla Terra», spiegò. «In ogni caso, ho chiesto anche un altro favore a Jack…»

Dean osservò l’angelo mentre si sporgeva verso di lui, afferrandolo per il bavero della giacca. Il cuore gli batté nel petto un po’ più forte del normale, al pensiero delle persone che lo circondavano. Fu l’ansia di un secondo, perché Castiel gli posò semplicemente due dita sulla fronte e lui chiuse gli occhi istintivamente. Tutto quello che sentì fu un formicolio seguito da un piccolo coro di “oh”. 

Sbatté le palpebre un paio di volte, trovandosi davanti il sorriso largo di Castiel. «Ora nessuno penserà più che sei un adescatore», commentò semplicemente, e Charlie gli indicò con il mento lo specchietto laterale dell’impala. 

Dean si piegò. Il suo primo pensiero fu che si era dovuto piegare veramente poco per incontrare il suo riflesso. Il secondo fu una parolaccia; nel piccolo vetro, due giovani occhi verdi lo guardarono con un’espressione stupefatta. Si portò le mani al viso, scoprendo la propria pelle liscia e glabra, con un accenno di barba talmente leggero da essere quasi quasi impercettibile. Incredulo si passò le dita sulle labbra, piene e morbide, e si concentrò sugli angoli degli occhi, sulla fronte e sui lati del naso, non trovandoci neanche una ruga. Deglutì, si scostò dal vetro e guardò in basso, per studiare il proprio corpo. Le mani erano giusto un po’ più piccole, e in generale tutto il suo corpo sembrava essersi ridotto di qualche centimetro sia in larghezza che in altezza. Si passò una mano tra i capelli, trovandoli più lunghi del solito. 

«Che diamine—», non finì la frase. I suoi occhi si posarono su Castiel e se possibile si fecero ancora più larghi, le sue sopracciglia schizzarono in alto e la sua mascella penzolò un istante sotto la sua bocca aperta dallo stupore. «C-Cas?»

«Il mio aspetto è più giovane ma non credo così irriconoscibile», commentò l’altro.

Dean chiuse la bocca in uno scatto repentino e deglutì. Era così abituato a vedere Castiel con il suo aspetto maturo che vederlo rispedito indietro di più di vent’anni era uno shock più grande di quanto non fosse vedere sé stesso di un ventennio più giovane. L’angelo era quasi irriconoscibile. I capelli scompigliati di un bel castano scuro leggermente più chiari sulle punte, come se fossero stati baciati dal sole. La mascella netta sul viso magro, senza neanche un filo di barba, gli zigomi alti e prominenti sopra alle guance appena scavate, gli occhi azzurri così brillanti contro la pelle olivastra da illuminare tutto il parcheggio. Erano alti uguali, più o meno della stessa stazza. I loro vestiti si erano ridotti insieme ai loro corpi. Dean sbatté le palpebre più volte, nella più completa confusione e nel più totale sbalordimento. 

«Come?»

Charlie iniziò a saltellare, finendo per sbattere contro Dean, che quasi perse l’equilibrio. «Ma che figata!», squittì, afferrandosi le ciocche di capelli rosso fuoco dal taglio stranamente irregolare.

Castiel sorrise, con quel suo nuovo sorriso fatto di labbra lisce e piene da ragazzo. «Come stavo dicendo, Jack—»

«Ehi, ragazzi! State parlando di me?»

Sussultando, Dean si voltò di scatto, in sincrono con tutti gli altri. «Jack!»

Il ragazzo alzò la mano nel suo tipico saluto, stirando le labbra nel sorriso. «Hey-oh!», disse, «Dean sei proprio un ragazzino carino, e anche tu Cas! Charlie, Jo, Kevin», salutò, «e Ruth, ovviamente»

Jo lo guardò con le sopracciglia alzate. «Tu sei Jack? Quel Jack?»

Lui tentennò la testa. «Non saprei, tu conosci molti Jack? Io sì, effettivamente— adesso li conosco tutti!», disse gioviale, ridacchiando.

«Cioè… Jack Jack? Jack il nuovo dio?», domandò Kevin.

«In persona!», commentò lui, «Ma preferisco Jack, per favore»

Come un razzo, Charlie gli si lanciò addosso stringendolo tra le braccia così forte che se non fosse stato la creatura più potente dell’universo probabilmente gli sarebbe mancata l’aria. «Grazie di aver fatto tutto questo— questo Paradiso è molto meglio di quello di prima e tu sei un dio decisamente migliore di Chuck!»

«Solo Jack», ripetè lui, ricambiando l’abbraccio con un sorriso sincero.

Dean guardò prima Jack, poi Castiel, poi di nuovo Jack. «Tu cosa ci fai qui? Anzi, no, perché non facciamo un passo indietro e mi spiegate cosa sta succedendo?»

Jack si separò da Charlie e si avvicinò a Dean, invadendo il suo spazio personale in un modo che aveva imparato tutto da Castiel. «È un regalo per te…», disse con semplicità. «…Castiel mi ha chiesto se potevamo fare una prova, mescolare un po’ il vecchio Paradiso con il nuovo Paradiso per dare vita a delle bolle di ricordi, o delle bolle temporali per permettere alle anime di vivere cose che per qualche motivo non avevano potuto vivere in vita…»

«…è un’idea che mi hai dato tu, quando abbiamo parlato del modo in cui le persone appaiono in Paradiso, ovvero l’aspetto che hanno e quello che decidono di vivere. La parte inconscia e la parte razionale della loro presenza dell’aldilà…», continuò Castiel.

Jack annuì. «…e io ho pensato che fosse veramente una bella idea quella di dare alle persone la possibilità di rivivere certi ricordi, ma a scelta, non obbligati… e cambiarli in qualche modo, piegarli a loro piacere, solo per riviverli diversamente. E in queste bolle temporali possono anche scegliere che aspetto avere… beh, non in generale, non possono cambiare il loro aspetto, ma possono come dire…», lanciò uno sguardo a Castiel.

«…tornare a una loro versione precedente, tornare bambini o ragazzi, o anche anziani se il ricordo che vogliono rivivere è più avanti nella loro linea temporale rispetto all’aspetto che hanno inconsciamente preso in Paradiso…», proseguì l’angelo.

«…e così abbiamo fatto qualche prova, ci sono stati un paio di problemi all’inizio ma direi che abbiamo risolto bene!»

Castiel sorrise, si avvicinò a Dean e gli afferrò la mano, avvicinandosi quanto bastava per dargli un bacio leggero sulla guancia che lo fece arrossire. «Così ora puoi andare al tuo primo ballo senza sembrare un maniaco», rise.

Dean si addolcì, si guardò ancora nello specchietto, di sfuggita; sentiva il cuore di una pienezza tale da essere sul punto di esplodere. Mai in vita sua aveva percepito l’amore di qualcuno nei suoi confronti con quello stesso strenuo vigore. Castiel lo amava così apertamente, così profondamente, così visceralmente eppure in modo così discreto, rispettoso e dolce che il solo pensiero era un contrasto. Si domandò come fosse riuscito a non rendersene conto prima, come avesse potuto spendere dodici anni in una tale cecità selettiva. Castiel aveva sempre fatto qualunque cosa per lui. Era passato da “dovresti portarmi un po’ più di rispetto, come ti ho tirato fuori dall’Inferno posso riportartici” al “faccio sempre ogni cosa che mi chiedi, vengo sempre quando mi chiami”. Si era ribellato, era caduto, aveva tradito, aveva ucciso ed era stato ucciso ed ogni singola volta, senza giri di parole, aveva detto di averlo fatto per lui. Se solo l’inglese non fosse così stupidamente confusionario a volte. Se solo non fosse stupidamente scarno in certe parti cruciali della lingua rispetto a tante altre in cui ha una sovrabbondanza di termini. Perché mai tu e voi dovrebbero essere la stessa identica parola? Come si dovrebbe fare a capire se si parla al plurale o al singolare se non ci sono differenze? E la parola amore? Era frustrante ripensarci adesso, con tutto quanto era successo nel frattempo, con la consapevolezza che tanto dolore, tanta attesa, sarebbero potuti essere risparmiati ad entrambi. Eppure Castiel l’aveva detto che aveva fatto tutto per lui, anche se Dean aveva dato per scontato che fosse per loro. L’aveva detto che l’amava, e in retrospettiva che senso avrebbe avuto dire due volte la stessa cosa ripetendo la seconda solo per aggiungere “tutti voi”. E poi Dean si sentiva ancora più stupido al pensiero di aver scambiato per tanto tempo l’amore per il bene, il fuoco dell’emozione più profonda e forte che esista per il vigore dell’amicizia, della fratellanza. Era un maledetto idiota, e non meritava assolutamente niente di tutto questo. 

I suoi occhi giovani lo scrutavano dallo specchietto con uno sguardo inquisitore. Chissà quando sarebbe stato effettivamente pronto a ricevere quella dichiarazione, prima del momento cruciale in cui Castiel si era sacrificato per lui. Si soffermò a pensare se ci sarebbe stata un’altra occasione in cui se l’angelo gli avesse rivelato di amarlo Dean avrebbe reagito in modo ricettivo, piuttosto che distruttivo. Sicuramente, in ogni caso, non sarebbe stato capace di metabolizzare immediatamente; dopotutto, non l’aveva fatto neanche stavolta. Ma a pensarci bene forse per tanto tempo si era trattenuto più razionalmente che inconsciamente, convincendosi che fosse impossibile, che no, non lui, non Dean Winchester, e in ogni caso non Castiel, figuriamoci, Castiel era un angelo, e lui solo un uomo. Pensò all’armata angelica che Castiel aveva abbandonato per lui, al momento in cui era tornato dal Purgatorio, a quando era riapparso davanti a quella cabina telefonica, al periodo che era stato umano, alla seconda volta in Purgatorio, alla sua preghiera. In tutti quei momenti, se Castiel glielo avesse detto, forse Dean sarebbe momentaneamente uscito di testa, ma poi avrebbe metabolizzato. Ripensò alla cripta, al momento in cui il legame telepatico tra Castiel e Naomi si era spezzato. Era stato lui a spezzarlo, ora lo sapeva. Mise quel ricordo da parte, non voleva dirgli quello che stava pensando davanti a tutti gli altri. Per quanto adesso Dean fosse molto più a suo agio con i propri sentimenti, e con le parole necessarie ad esprimerli, ancora non era il tipo d’uomo che avrebbe detto “ti amo” davanti ad altri. Era un po’ come un tesoro privato, una parte di lui che apparteneva solo e soltanto a Castiel.

Piuttosto tirò su col naso, mise su la faccia più sfacciata che gli riuscì e si passò le dita tra i capelli per tirarli indietro. Si afferrò il colletto della camicia e lo tirò fuori dalla giacca, sganciandosi il papillon per lasciarselo penzolare dal collo sul petto, sganciando qualche bottone.

«Ora», disse, schioccando la lingua e lanciando uno sguardo eloquente a quella versione stranamente giovane di Castiel, «Ora è il momento di fare Tony Manero, Cas…»

Castiel rise, «Sei sicuramente una versione migliore della mia»

«Oh, no no no!», lo corresse Dean scuotendo la testa, «Io sono più uno alla Johnny Castle…», fece un suono plateale di apprezzamento, continuando a sistemarsi il completo e atteggiandosi più in stile anni 80 che poteva.

Jo gli tirò una gomitata nelle costole, e Dean si voltò a guardarla. Era oggettivamente una bella ragazzina, con i capelli biondi un po’ cotonati e i lineamenti ancora più giovani del solito. Una piccola fitta lo colpì, rendendosi conto che escluso Kevin, che non era cambiato a fatto, Jo era quella che era ringiovanita meno. «Avevi una cotta per Swayze?»

«Oh, no! Ho ancora una cotta per Swayze! Chi non l’avrebbe?»

Charlie e Kevin alzarono la mano in contemporanea, ridendo alla buffa coincidenza. «Ehi, qui, non dimentichiamoci che esistono persone a cui piacciono le donne, eh!», disse lei in una risatina gorgogliante. La sua voce era molto simile al solito, giusto un po’ più acuta, come quella di tutti loro, tranne che di Castiel e Ruth.

Mentre chiacchieravano iniziarono a dirigersi verso l’ingresso della scuola, seguendo la massa di studenti nei loro vestiti sgargianti e metallizzati attraverso i corridoi. 

«Beh, a me piacciono anche le donne», controbatté Dean, «Bisessuale, ricordi? The purple flag squad, eterno indeciso, mi piace camminare su entrambe le sponde, Adamo ed Eva, ho preso la BIbbia un po’ troppo seriamente, two is mel che one? Sai, quelle cose lì…»

Scesero le scale che portavano al piano semi interrato, e si trovarono in un corridoio largo che portava agli spogliatoi scolastici. Scoprirono presto che il tema era ispirato al film Labyrinth; le mura e il soffitto erano stati ricoperti di nuvole di cotone da cui penzolavano finte collane di perle e altri ammennicoli dorati, calici di finto metallo, piume e altre stranezze, e dalla palestra arrivavano le note di Teenage Wildlife.

Charlie rise di nuovo e Kevin li guardò scandalizzato, ma fu Jack a parlare. «Non è tipo… una cosa sbagliata scherzare sulla sessualità?»

Dean gli fece un occhiolino, prese Castiel per mano e gli stampò un bacio umido sulla guancia. «Non quando fai parte della gay-squad… e comunque, una cosa è ridere con e un’altra è ridere di, non trovi?»

Jack ci pensò un attimo, poi sorrise e annuì. «Immagino di sì», confermò soddisfatto.

Attraversarono l’ingresso del salone, che era stato mascherato con una tenda a righe che doveva simulare l’ingresso di un circo. Per quanto non si potesse assolutamente parlare di una riproduzione fedele dell’ambientazione del film, nell’aria aleggiava lo spirito giusto. Le macchine del fumo erano già attive, così come le luci colorate che guizzavano sulla sala attraversando la nebbia e le nuvolette di cotone, illuminando tutto di fasci di blu e viola. Lustrini e oggetti luccicanti facevano capolino un po’ ovunque. C’era anche un cartonato a grandezza naturale che ritraeva David Bowie nonché la riproduzione un po’ amatoriale dei mostriciattoli del film. In un angolo per le foto si trovavano qualche goblin e un grosso trono, e in un altro c’era un enorme minotauro meccanico da cavalcare. Dean era in estasi.

«Vuoi essere la Frances per il mio Johnny?», chiese rivolto a Castiel.

L’angelo lo guardò piegando la testa di lato. «Dean, tecnicamente saresti tu la mia Frances, oppure… visto che io sono Tony Manero, tu saresti la mia Stephanie, giusto?»

Il viso dell’uomo si distorse nei suoi lineamenti di ragazzo. Proseguirono lungo la pista da ballo fino all’uscita sul campo da football, che era stato tramutato in un grosso labirinto grazie a delle finte pareti di cartapesta.

«Oppure la Sandy per il mio Danny…», continuò Castiel, sghignazzando. «La Paula per il mio Zack»

«Oh, no, se qualcuno deve essere Richard Gere, quello sono io!»

Charlie rise. «Un’altra cotta, Dean?»

«Suvvia, ti sfido a trovare un attore - o un’attrice - degli anni ottanta che non ti faresti!», la schernì lui, puntandole al viso l’indice con un gran sorriso.

«La Leia per il mio Han?», provò di nuovo Castiel.

Dean roteò gli occhi e guardò di nuovo Charlie. «Appunto», le disse, pensando a Harrison Ford e Carrie Fisher.

«No, ho trovato… tu sei decisamente Ariel e io sono chiaramente Ren!», sentenziò Castiel.

L’uomo era sul punto di controbattere, ma ci pensò un attimo. Ren, il pesce fuor d’acqua, il ribelle, il progressista, e Ariel, l’ubbidiente figlia del pastore. In un certo senso non era una un riferimento poi così sbagliato, se non fosse che Dean tutto si sentiva tranne che una casta e santa ragazzina di provincia. «Footloose, davvero, Cas? Banale»

«Sei tu quello che apprezza i riferimenti cinematografici, mi adatto solo alla tua personalità… se la consideri banale allora dovresti rivalutare i tuoi hobby», soffiò, lasciando Dean senza la capacità di replica. «D’altro canto, però, a parti inverse tu potresti essere un ottimo Indiana Jones per la mia Marion, un fantastico Maverick per la mia Charlie - anche se, uhm, abbiamo una vera Charlie qui quindi… quello lasciamo perdere - e dato che dici sempre che sembro un esattore delle tasse, potrei anche essere la tua Loretta se tu fossi il mio Ronny»

«Siete schifosamente sdolcinati… diabetici», si intromise Jo facendo una boccaccia. «Penso proprio che andrò a correggere il punch e sbronzarmi… e poi a cercare qualche bel tipo con cui ballare!»

Charlie prese Ruth per mano e fece un cenno a Dean e Castiel. «Sì, penso che la seguiremo… siete veramente troppo anche per me», disse, scomparendo dietro a Jo.

Kevin li guardava con una faccia altrettanto disgustata e le braccia conserte. «Siete anche un po’ noiosi, dei veri boomer», confermò. «Andrò a provare il labirinto, penso»

«Posso venire con te?», chiese Jack con un sorriso largo. Kevin annuì, non senza un piccolo fremito. Dopotutto Jack era dio, e per quanto avesse l’aspetto di un diciottenne e l’età anagrafica di un bambino dell’asilo, la consapevolezza che conteneva in sé tutto il potere dell’universo, lo yin e lo yang, la luce e l’oscurità, letteralmente, poteva provocare qualche brivido. «E per quel che vale, io vi trovo molto carini», commentò. «Speravo che prima o poi i miei papà si mettessero insieme…», disse come se nulla fosse, prima di saltellare verso Kevin e sparire con lui nel labirinto.

«Cosa ha appena detto?», chiese Dean tanto stranito quanto divertito.

Castiel lo guardò con la sua tipica espressione tanto piatta da essere esilarante, le sopracciglia un po’ aggrottate e gli occhi larghi. «Che voleva che noi ci mettessimo insieme»

«Intendevo— saremmo i suoi “papà”?»

«Immagino di sì, effettivamente», confermò l’angelo pensandoci un po’.

Dean annuì e schioccò le labbra un paio di volte. «Mi piace come suona», ammise.

«Anche a me»

«E comunque, no, seriamente potremmo… potremmo essere—», Dean ci pensò, faticando a trovare un film prima del duemila in cui ci fossero due protagonisti dello stesso sesso, possibilmente uomini. Dovette scavare un po’ per farsene venire in mente uno. «…ci sono, Maurice e Clive?»

«Scusa ma Clive non lascia Maurice per sposarsi con una donna?»

Dean ci pensò, cercando di ricordare la trama. «Beh, sì, senza quella parte… e con molta più azione tra le lenzuola», disse, alzando e abbassando le sopracciglia.

Castiel arricciò le labbra. «Alla fine Maurice sta con Alec, però, che lo ama davvero…»

«Sì, ma Clive è più bello di Alec…», argomentò Dean.

«Per essere uno che odia le commedie romantiche e che per tutta la vita ha dichiarato di essere etero hai una conoscenza abbastanza estesa della cinematografia di genere— nonché un’opinione abbastanza estesa sull’avvenenza maschile»

«Oh, ma sta’ zitto!», disse l’uomo roteando gli occhi.

Castiel ci pensò e piegò la testa di lato un’altra volta. «Va bene, allora, escludendo la parte omofobica di Clive e il terribile finale tra loro due, chi di noi sarebbe l’uno e chi l’altro?»

Dean roteò gli occhi. «Beh, ovviamente io sono Clive, perché Hugh Grant è un gran figo e io sono chiaramente il più bello, e poi ho dei capelli pazzeschi, proprio come lui…»

«Non posso non darti ragione… Hugh Grant non è… brutto, direi»

«Non è brutto? Stai scherzando? È una delle icone maschili più sexy della storia, caso chiuso!»

Castiel gli lanciò uno sguardo eloquente, come a sottolineare il suo commento precedente. Poi gli si avvicinò con un sorriso, i suoi occhi blu intensi e vivaci lo scrutarono. Aspettandosi un bacio, Dean  arrossì ma istintivamente chiuse le sue palpebre e si sporse; l’angelo invece superò il suo viso e gli pose una mano sulla spalla, avvicinando le labbra al suo orecchio. «Io penso che tu sia molto più sexy, Dean… anche se ammetto che, per quanto tu sia molto carino nei panni di un diciottenne, il tuo aspetto normale è— beh, per parafrasarmi, mi provoca una dolorosa e bruciante sensazione…», disse, e Dean deglutì, arrossendo ancora di più. «…proprio qui», concluse, strusciando l’inguine contro la sua coscia.

«Cas!», si allontanò di scatto. «Non mi sembra il caso… non qui», poi sorrise. “Ma quando torniamo a casa ti strappo di dosso quei vestiti prima ancora di superare lo stipite della porta, dannato angelo— ma sì, prima riprendi il tuo aspetto di sempre, non voglio sentirmi un maniaco”, pregò.

«Non vedo l’ora», concordò Castiel, leccandosi le labbra, da piccolo stronzetto quale era. «E comunque ti ricordo che sono almeno di qualche millennio più vecchio di te, penso di potermi considerare già così un adescatore… il che fa di te il ragazzino ingenuo»

«Oh, figlio di—», sussurrò Dean, piegandosi su di lui per chiudere lo spazio tra di loro. Le loro labbra si schiusero le une sulle altre, abbandonandosi in un bacio tenero. Dean si sorprese di trovare il loro sapore esattamente identico a sempre, anche se la consistenza delle loro bocche era leggermente diversa. Castiel gli accarezzò la guancia con dolcezza, e Dean in automatico gli prese il viso tra le mani, approfondendo il bacio giusto un po’, perché le loro labbra si fondessero del tutto. Quando si separarono, la voce del Dj li raggiunse come emergendo dalle profondità della Terra.

«E adesso è il momento del nostro primo lento, ragazzi e ragazze, con una canzone intramontabile… tutti in pista, scegliete il vostro partner per questo ballo da veri innamorati!»

Dean arrossì, i suoi occhi corsero alle punte delle sue scarpe lucide. Sentiva che Castiel lo guardava mentre le prime note di Reality di Richard Sanderson riempivano la palestra. L’emozione che sentiva dentro, Dean non riusciva a spiegarla o ad esprimerla. Per quanto si fosse sempre ritratto come un insensibile testa calda ossessivamente contraria alle romanticherie da filmetti da ragazzine non aveva molto senso negare a sé stesso la verità, soprattutto adesso che non aveva veramente più niente da proteggere o da nascondere. Ebbene sì, era capitato un paio di volte di trovarsi davanti a una commedia sentimentale facendo zapping nelle televisioni dei motel, e forse qualcuna l’aveva guardata fino alla fine. E allora? Questo non faceva di lui uno sdolcinato. E, sì, probabilmente aveva visto anche il Tempo delle Mele, ma in sua difesa chi non avrebbe guardato con tenerezza quei due ragazzini vivere la loro prima cotta e scambiarsi il loro primo abbraccio sulle note di una canzone fin troppo scontata? Perché, certo, quella canzone era veramente troppo dolce e troppo scontata. Però, insomma, c’era davvero qualcuno che non avrebbe sorriso davanti a quella scena? D’accordo, Dean l’aveva visto più di una volta quel film e aveva guardando anche il seguito, anche se non era all’altezza dell’originale, ma questo non cambiava nulla. Lui era un duro, guardare qualche commedia romantica non cambiava quel dato di fatto, no?

«Dean?», lo chiamò Castiel.

Si schiarì la gola e alzò gli occhi su di lui, un lieve rossore ancora gli tingeva le guance. «Sì? Hai detto qualcosa?»

«Sì, ho detto: mi concedi questo ballo?», ripetè l’angelo con una certa deferenza e un sorriso furbo sulle labbra.

Dean sbiancò. «Oh… Oh, no, no… io non ballo»

Nel frattempo la band aveva iniziato a cantare, e le parole della canzone stavano già risuonando nella testa di Dean come un testo rivelatore, risvegliando dolci emozioni nel suo corpo fin troppo giovane per tutta la vita che aveva vissuto. 

“Met you by surprise,
I didn't realize
That my life would change forever
Saw you standing there,
I didn't know I cared
There was something special in the air”

Gli venne da ridere. Era sempre più convinto che la musica in Paradiso seguisse uno schema ben preciso, e onestamente in quel contesto, dato che la bolla temporale era stata realizzata appositamente per lui, probabilmente era proprio la verità. Non era forse vero? Incontrare Castiel non era forse stata una sorpresa scioccante nella sua vita? E non era altrettanto vero che non si era accorto prima che fosse troppo tardi che la sua vita, con quell’incontro, sarebbe cambiata per sempre? Gli era apparso davanti, così d’improvviso, e Dean l’aveva letteralmente pugnalato al cuore, inconsapevole di quanto di lì a poco la sola idea di perderlo l’avrebbe distrutto. Inconsapevole di quanto sarebbe stato importante, di quanto avrebbe tenuto a lui, finché non era stato troppo tardi per tornare indietro. A ripensarci avrebbe dovuto capirlo dall’esplosine delle lampadine: il loro primo incontro era stato, letteralmente, incorniciato dai fuochi d’artificio. Beh, più o meno.

«Dean, siamo ad un ballo… è esattamente quello che si fa, ballare», controbatte Castiel.

«Sì, lo so— grazie Signor Ovvietà…», rise nervosamente e si guardò intorno. Tutte quelle coppiette stavano già dondolando nella penombra della sala, circondate da nuvole di cotone e scie di nebbia artificiale. Il cuore gli balzò in gola e dovete deglutire più volte per rimandarlo giù, e le sue mani iniziarono a sudare. I suoi occhi scivolarono su quei ragazzi e la sua mente corse al ballo che si era perso, alla ragazza che ci avrebbe voluto portare, alla sua vita fatta di rinunce e di sogni infranti, ma anche di grandi soddisfazioni. Aveva salvato il mondo, per la miseria. E fin troppe volte. Poteva affrontare uno stupido ballo. Incontrò nella folla lo sguardo di Charlie, che ciondolava da un piede all’altro tra le braccia di Ruth, e non si sorprese di trovare Jo già abbracciata a un giovane dalla fiorente chioma corvina avvolto in un completo bianco molto anni ottanta. Poi li vide, due giovani ragazzi che ballavano mano nella mano, le fronti vicine e gli occhi chiusi, avvolti entrambi in una coltre di fumo dipinto d’azzurro dai faretti colorati che nascondeva i loro smoking identici. Sorrise, inspirò. «È che non ho… non ho mai—»

“Dreams are my reality,
The only kind of real fantasy
Illusions are a common thing
I try to live in dreams
It seems as if it's meant to be”

Niente che non fosse un dato di fatto. La vita di Dean era stata quella che tanti avrebbero considerato una fantasia, fatta di sogni, demoni e mostri, fantasmi e fate, streghe e angeli e apocalissi continue. Un manuale di letteratura fantasy e horror preso e trasportato in realtà. Una vita fatta di ruguru, mutaforma, vampiri e licantropi, i peggiori incubi dell’uomo fatti realtà, quasi letteralmente, come i tulpa. E tutto quel dolore, tutta quella corsa sovrannaturale per proteggere l’umanità, non visto, da incubo che era nato era diventato un sogno. Anche nelle ore più buie c’era sempre stato un bagliore, c’era sempre stata una luce, qualcosa in cui avere fiducia.

Castiel lo riscosse dai suoi pensieri. «Mai ballato un lento?», gli chiese.

«Beh… già», ammise Dean con una smorfia.

«Neanche io… ma possiamo sempre imparare insieme, no?»

«Niente corsi di liscio in Paradiso?»

«Non rientravano nel programma per soldati angelici di Chuck, no», scherzò Castiel con un’alzata di spalle. La sua mano era ancora tesa verso Dean, in attesa che l’afferrasse.

“Dreams are my reality,
A different kind of reality
I dream of loving in the night
And loving seems alright
Although it's only fantasy”

La sua realtà era sempre stata diversa rispetto a quella degli altri, e in un certo senso lui per una vita era stato il garante della realtà altrui, della stabilità e della tranquillità di chi viveva inconsapevole, potendo realizzare i propri sogni senza temere che si tramutassero in incubi. Ma Dean, invece, cosa aveva avuto in cambio? Sì, la Terra era salva, Sam era felice, sposato, realizzato, sua madre e suo padre erano di nuovo insieme, Paradiso e Inferno collaboravano, sul trono dell’universo sedeva un bambino con più moralità di una creatura primordiale millenaria e tutto sembrava al proprio posto. Ma lui quanto aveva perso lungo la strada? 

Le sue dita incontrarono quelle di Castiel sospese a mezz’aria, e un largo sorriso si aprì sul suo viso. L’angelo gli strinse la mano nella propria accarezzandone distrattamente il dorso con il pollice e lo trascinò al centro della sala. 

Dean aveva rinunciato a tutto. Ad essere un bambino, ad essere un figlio, ad essere uno studente, un adolescente, un ragazzo, un fidanzato, un compagno, un marito, un padre. Aveva rinunciato a tutto e tutta la sua vita era stata una costante di sacrifici inframezzati di tanto in tanto da qualche fugace soddisfazione carnale. C’era stato anche l’amore, certo, ma talmente sporadico e doloroso da farlo rinunciare a riprovarci dopo il secondo fallimento. C’era stata Cassie, il suo primo vero amore, e la somiglianza del suo nome a quello di Castiel lo fece sogghignare, ricordando come fosse consuetudine per lui chiamarla Cas di tanto in tanto. 

Scosse la testa mentre l’angelo gli si parava davanti e gli afferrava l’altra mano, portandosela al fianco. 

Con lei Dean si era sentito libero di rivelarsi, e ne aveva guadagnato solo un cuore spezzato. Non era colpa sua, ovviamente, e Cassie aveva tutto il diritto di scegliere di non entrare in quella vita, di non rimanere al suo fianco rischiando ogni giorno. Ora Dean sapeva che aveva fatto la scelta giusta. Ma il suo cuore di ventenne non aveva la stessa consapevolezza, la stessa maturità. E soprattutto, non aveva ancora trovato l’amore più grande, stravolgente e inaspettato della sua vita. 

Castiel lo avvicinò a sé, i loro corpi impacciati si allinearono, iniziando a dondolare a destra e sinistra.

C’erano state tante donne, dopo Cassie, ma Lisa invece era stata tutta un’altra storia. Un intero anno insieme, e lei era consapevole di cosa fosse Dean, di chi era stato e cosa aveva fatto. Eppure lui non era sé stesso con lei, non davvero. Aveva messo da parte la caccia e le sue mani tremavano ogni mattina dalla voglia di riprendere in mano la colt, avviare il motore di Baby e imboccare la strada. 

Dean istintivamente spostò anche l’altra mano sul fianco di Castiel, facendo scivolare le dita sulla sua schiena fino a intrecciarle, abbracciandolo intorno alla vita.

Lisa aveva cercato di dargli una vita normale, una famiglia, gli aveva aperto il suo cuore e aveva lasciato che diventasse una figura paterna nella vita di Ben. Ma la vecchia vita era tornata, e lei questo non poteva accettarlo o forse era lui che, consapevole delle conseguenze, non poteva metterli nella condizione di vivere così. Così aveva chiuso la storia e aveva chiesto a Sam di non nominare più Ben e Lisa. Faceva troppo male sapere cosa avrebbe potuto avere, essere consapevole del dolore che aveva procurato a sé stesso e a loro. Si era sentito un egoista sia ad entrare nella loro vita che ad uscirne.

Castiel gli sorrise con quel suo sorriso che raggiungeva gli occhi. Nel suo viso giovane le piccole rughe intorno al naso erano molto meno accentuate, ma erano ancora lì, segno indelebile della sua personalità riflesso nel suo aspetto. Una delle tante cose che Dean non si era mai accorto di amare di lui prima, ma che trovava assolutamente irresistibili adesso.

Dopo Lisa, l’amore era sempre stato off limits. Si era concesso qualche ragazza ogni tanto, qualche divertimento sporadico, qualche conquista da bar. Poi col tempo aveva sentito sempre meno la necessità di farlo per il solo scopo di divertirsi e si era reso conto di quanto, in fondo, avesse sempre e solo voluto qualcuno da abbracciare. Qualcuno con cui risvegliarsi la mattina. Qualcuno da amare la notte, in silenzio, tra baci salati e movimenti lenti, tra parole sussurrate e dita intrecciate sulle lenzuola. Amare non era mai sembrato altro che una fantasia però. Una bella fantasia, sicura e piacevole, ma nient’altro che questo. Un sogno per bambini.

I suoi occhi si posarono in quelli di Castiel, che lo guardavano pieni di un sentimento che non avrebbe saputo descrivere a parole. Amore, certo. Ma anche stima, ammirazione, rispetto, amicizia, tenerezza, desiderio, fiducia. Un insieme di emozioni messo insieme nel corso degli anni, costruito tassello dopo tassello, rottura dopo rottura, litigio dopo litigio. Adesso amare sembrava molto più che una fantasia, sembrava piuttosto un sogno molto simile alla realtà. O una realtà fin troppo simile a un sogno.

“If you do exist,
Honey don't resist
Show me a new way of loving
Tell me that it's true,
Show me what to do
I feel something special about you”

Oh, ma Castiel era reale. Così reale e tangibile che quando la sua testa si posò sulla spalla di Dean, e le sue braccia si fecero strada per stringerlo a sé, con le mani aperte sulle sue scapole in un abbraccio delicato, dolce, adolescenziale, il cuore di Dean batte più forte nella sua ridotta cassa toracica, scuotendolo in un movimento aritmico che gli fece perdere la coordinazione per un istante. Si pestarono i piedi, e risero nell’abbraccio senza staccarsi. Tutto quello che stavano vivendo era reale. E faceva schifo che avessero dovuto entrambi ritrovarsi in Paradiso, entrambi dopo essersi sacrificati, volenti o nolenti. Era orribile che avessero dovuto morire per vivere, un insegnamento veramente deprecabile da parte della vita stessa. Ma la vita non è mai giusta, questo Dean lo sapeva, o comunque non lo era stata con lui. Avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro, per risvegliarsi nel suo letto nel Bunker anche solo un giorno prima di quella notte con Billie, di quella terribile ora, e correre in camera di Castiel per dirgli tutto, per stringerlo a sé con il suo vero corpo, quello acciaccato, ferito, segnato dalle lotte e dall’età. Ma non poteva, e andava bene così. Sarebbe morto altre mille volte per Castiel, se quello fosse stato l’unico modo per averlo con sé. Lui gli aveva insegnato ad amare di nuovo, ad amare in modo diverso, ad amare sé stesso per primo, e solo dopo tutto il resto. 

Dean posò il mento nell’incavo del collo di Castiel, chiudendo gli occhi mentre continuavano a dondolare, l’uno fuso nell’altro come se fossero stati soli. 

“Dreams are my reality,
The only kind of reality
May be my foolishness has past
And may be now at last
I'll see how a real thing can be
Dreams are my reality,
A wonderous world where I like to be” 

Adesso era vero senza ombra di dubbio che la sua vita, la sua nuova vita, era bella come un sogno. Un sogno eterno, l’unica vera realtà che avrebbero mai vissuto entrambi. Non c’era la morte a separarli, né la loro diversa natura. Non c’erano mostri né demoni né spettri, non c’era la caccia, non c’erano pericoli. Solo loro due e l’eternità davanti, da passare con i loro amici. Certo, rimanevano due idioti, e come tali si sarebbero scontrati, avrebbero litigato, discusso, urlato. Forse non si sarebbero parlati per un paio di giorni, e poi avrebbero fatto pace facendo l’amore su ogni superficie orizzontale e verticale di casa. Per quanto potessero bisticciare, comunque, una cosa Dean la sapeva per certo: non c’era altro che avesse mai voluto tanto in vita sua come tenere Castiel stretto a sé per il resto dell’eternità. Così si strinse ancora di più a lui, beandosi del suono dolce che uscì dalle sue labbra quando con le dita iniziò ad accarezzargli la spina dorsale da sopra la giacca dello smoking.

Dean si scostò un po’, giusto quanto bastava per poter avvicinare la bocca all’orecchio dell’angelo. Gli baciò quel piccolissimo lembo di pelle dove un ricciolo ribelle si incurvava sul collo.

«I dream of holding you all night… and holding you seems right… perhaps that's my reality», cantò sottovoce, come un sussurro soffiato direttamente sul lobo di Castiel. Un piccolo segreto solo per loro che gli fece ricordare quello che gli avrebbe voluto dire prima nel parcheggio, ma che aveva preferito riservare per un momento di maggiore intimità. Anche se non lo vedeva, Dean sapeva che Castiel stava sorridendo, e l’immagine mentale che ne aveva lo fece sorridere di rimando. «Ti ricordi la cripta della tavoletta degli angeli?»

Castiel si irrigidì un attimo, alzò la testa dalla sua spalla e lo guardò, senza smettere di ballare e senza allontanarsi da lui di neanche un centimetro di più. «Uh-Uhm»

«Ti ho detto che avevo bisogno di te», ricordò Dean, spostando una mano da dietro la schiena dell’angelo per spostargli una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi. «Ma in realtà stavo per dirti “ti amo”», rivelò.

«Che cosa?»

Dean annuì ancora. «Sì… l’ho pensato, è stato un pensiero volatile, veloce— quasi, quasi non l’ho neanche razionalizzato è solo che… è spuntato così, nella mia testa. Ma non l’ho detto perché— beh, penso perché tu sei un angelo e io ero solo un uomo… ma, ecco, in quel “ho bisogno di te” c’era già tutto il mio amore per te, anche se non lo sapevo ancora neppure io…»

Le percepì prima ancora di vederle, le lacrime che si addensarono minacciose sulle palpebre spalancate di Castiel. I suoi occhi erano pozzi limpidi di un azzurro lunare, le sue labbra una tentazione morbida, il suo respiro una brezza tiepida a pochi centimetri dal viso di Dean. «Io—»

«Met you by surprise… I didn't realize that my life would change forever… tell me that it's true, Feelings that are cue, I feel something special about you…», cantò ancora Dean, tornando ad affondare la faccia nella spalla di Castiel, stringendolo ancora a sé. 

Sentiva il respiro dell’angelo che si faceva più rarefatto, più spezzato, e sentì contro la guancia i brividi che gli erano apparsi sul collo. Il suo cuore era una bomba atomica di emozioni che per troppo tempo non aveva espresso, e che ora combattevano per esplodere. I suoi occhi si fecero improvvisamente pungenti, così li chiuse di nuovo, abbandonandosi a quell’abbraccio come se ne dipendesse della sua esistenza. Mugugnò il resto della canzone senza cantare effettivamente le parole, percependo uno strano formicolio sulla pelle, come se tutta la sua anima fosse protesa verso l’esterno. Quando aprì gli occhi lo vide, il bagliore della grazia di Castiel, i filamenti del suo potere, che si attaccavano a lui come un sistema nervoso. Consapevole di quanto stava succedendo, si guardò intorno senza darci comunque troppa importanza, scoprendo che erano rimasti solo loro al centro della palestra, mentre tutti gli altri erano fermi a guardarli da una leggera distanza. Scorse appena il completo giallo sgargiante di Charlie e riconobbe gli occhi felici di Jack, ma non vi badò. 

Piuttosto sollevò ancora la testa e incatenò gli occhi a quelli di Castiel, che lo fissavano profondi, silenziosi. «Dreams are my reality, I like to dream of you close to me, I dream of loving in the night, and loving you seems right… perhaps that's my reality»

Allora una lacrima solitaria evase dalla prigione delle ciglia scure dell’angelo, rotolandogli sullo zigomo aguzzo. Dean si chinò e la baciò via in un movimento leggero.

«Ti amo, Dean Winchester», gli disse Castiel, con un sorriso così dolce da sciogliere il cuore, e quel suo sguardo adorante che Dean troppo a lungo aveva ignorato.

Gli sorrise. «E io amo te, Castiel, angelo del signore»

La canzone finì, e presto cominciarono a risuonare le note dance più consone ad una festa. Tutti si buttarono di nuovo in pista e prima di rendersene conto la sera si era fatta notte. Corressero il punch, ovviamente, affrontarono il labirinto ubriachi e Dean dette spettacolo cavalcando il minotauro meccanico. Si scattarono tutti una quantità imbarazzante di foto, in molte delle quali Dean e Castiel si baciavano, disinteressati a tutto il resto. Ballarono i balli di gruppo pesandosi i piedi, Charlie e Dean sfoggiarono le loro mosse da Saturday Night Fever e Kevin si esibì in una strana danza un po’ robotica, mentre Jo non faceva che saltare. Ad ogni lento, Dean e Castiel si stringevano in un abbraccio struggente, ai limiti della decenza, guadagnandosi lo scherno degli altri quando le canzoni finivano. 

Ubriachi di punch, di felicità e di ricordi, tornarono all’Impala nel chiarore della notte prima dell’alba. In uno schiocco di dita ognuno si ritrovò nella propria casa, mentre Dean e Castiel apparvero parcheggiati nel vialetto davanti alla loro villetta, in silenzio. Si concessero un ultimo piccolo bacio leggero in quei corpi adolescenti e poi Castiel li fece tornare alla loro forma originale. ISbattendo le ciglia Dean gli afferrò la faccia e lo baciò con una foga tale da risucchiargli tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si staccò giusto un istante per prendere fiato e balbettare qualche secco imperativo e senza neanche muoversi furono sul loro nuovo letto, nella loro nuova camera, nella loro nuova casa. 

E fecero l’amore per ore, nella luce tenue del mattino fino ai raggi caldi dell'ora di pranzo, stretti l'uno all'altro come se non avessero voluto mai più separarsi.

 



 

   
 
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