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Autore: Neamh Moonstar    06/05/2022    1 recensioni
La giovane Ann adora fermarsi a leggere nella calda e polverosa libreria del signor Fell. Una volta è persino riuscita a farsi prestare un libro, e già questo avrebbe dovuto farle sospettare che qualcosa non andava.
Quando il distinto e gentile libraio sparisce nel nulla e nessuno ne parla, però, tutto prende una piega inaspettata. Tra loschi figuri sotto le finestre, un pub che chiude dall'oggi al domani, pettegolezzi e una punta di stregoneria, Ann si ritroverà a scoprire qualcosa di incredibile su sé stessa, sul mondo e su un serpente.
°°
Outsider POV/Giallo
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era qualcosa di automatico e naturale nel modo in cui si era recata in quella pasticceria, quella dove facevano quegli adorabili ed invitanti pasticcini che aveva scelto con una sicurezza e una meticolosità che non sapeva di avere.

Aveva parlato con Zac quella mattina, aggiornandolo sulla famigliola che stava ora a guardia della libreria e del modo in cui si era sentita quasi oppressa e non voluta. Suo cugino aveva subito suggerito potesse trattarsi di famigliari disposti a dare una mano intanto che il proprietario era via, e che forse erano semplicemente tipi chiusi e protettori assidui della loro privacy. Ciò aveva portato Ann a sentirsi in colpa e a chiedersi se davvero avesse arrecato così tanto fastidio.

Nonostante ciò, appena uscita di casa, le gambe l'avevano portata in quell'adorabile edificio dalle pareti color crema in cui non era mai stata, e di cui nessuno dei suoi pochi amici e conoscenti le aveva parlato. Una parte non ben specificata della sua mente le aveva suggerito che quello era il modo perfetto per farsi perdonare il disturbo; così si era fatta preparare un vassoio ben incartato, aveva aperto l'ombrello e si era nuovamente incamminata verso Soho, approfittando della sua seppur piovigginosa mattinata libera.

Durante il tragitto, i suoi pensieri tornarono spesso a Zac che faceva spallucce, dicendole che dal gruppo del pub non erano arrivate novità. Nessuno dei suoi colleghi sembrava sorpreso: era come se nessuno di loro avesse effettivamente perso il lavoro a tempo indeterminato. E per quanto provasse a darsi una risposta plausibile, Ann sentiva come se il suo cervello si fosse perennemente settato su quei due edifici a lati opposti della stessa strada, ora entrambi privi dei loro rispettivi proprietari, e sul velo di stranezza che avvolgeva il tutto.

Sospirò, non sapendo cosa farsene di quella ossessione stile Mary quando scopriva l'ennesima tresca. L'unico consiglio che la notte insonne le aveva portato se ne stava ora ben poggiato sul suo braccio e profumava di zucchero; il resto sfumava ormai nel ticchettio della pioggia sul suo ombrello e nel profumo di aria umida e inquinata.

Aveva sempre amato la pioggia, ma quel giorno sembrava più piacevole del solito: un balsamo per l'anima e un calmante per i pensieri.


Arrivò nel quartiere incriminato rendendosene conto a malapena, fermandosi in mezzo alla strada e beccandosi più occhiatacce dalle persone di fretta. Per la prima volta si girò verso sinistra, osservando il pub chiuso con un'attenzione che mai gli aveva dedicato. Spesso e volentieri, aveva visto suo cugino entrarvi e uscirvi, parcheggiare il motorino più in là e battere il cinque a qualche collega prima di iniziare il turno di lavoro; ma mai aveva lasciato che il suo sguardo si soffermasse sul contorno nero di quel luogo che, ora come ora, sembrava emanare un'aurea di desolazione quasi palpabile.

Con sorpresa, Ann si rese conto che non aveva idea di come si chiamasse il posto, né c'era un'insegna al di fuori che glielo suggerisse. Anzi, a dirla tutta: la facciata era spoglia se non si contava lo stencil di un bel serpente attorcigliato su se stesso, bello visibile sulla vetrata e persino sulla serranda abbassata. Bastò quello per far suonare un'ipotetica campanella nella testa della giovane, la quale si ricordò della meravigliosa creatura dalle squame rossastre che - sicuramente, non poteva essere altrimenti, no? - doveva essere ora con il suo padrone, ovunque egli fosse.

Finita la contemplazione, si fermò sotto al tendone di un bar poco distante per mandare un messaggio a Zac. Il rosso era con Mary, la quale aveva risistemato i turni in quattro e quattr'otto perché si adattasero alla posizione del ragazzo. Gli chiese semplicemente il nome del pub, così, per curiosità; dopodiché, tornò all'entrata della libreria, ovviamente chiusa. Si rese conto che la piccola automobile della sera prima non c'era più e che l'edificio sembrava vuoto. Bastò bussare più volte per confermare quella teoria.

Ann non si scoraggiò, non subito: poteva sempre aspettare nelle vicinanze che la famigliola tornasse. E se non fosse tornata per tutto il giorno? Ecco, quello poteva essere un problema; inoltre, avrebbe reso il suo arrivo ancora più strano. Si sentiva una specie di stalker.

Rimase ferma davanti alla porta, senza sapere bene che cosa fare. La pioggia si fece più lieve, permettendole di poggiare l'ombrello ancora aperto accanto a sé. La sua mano ora libera andò da sola verso la maniglia, quasi come se la sua mente avesse bisogno dell'ennesima conferma dell'ovvio.

Non si sarebbe mai aspettata di sentirla abbassarsi e sbloccarsi come niente fosse, come se il suo tocco l'avesse convinta ad aprirsi per lasciarla passare. Fu un movimento così repentino e così naturale che le ci volle un attimo per realizzare il tutto.

Ann sbarrò gli occhi, le lenti degli occhiali ora offuscate dalla differenza di temperatura tra l'aria al di fuori e quella proveniente dall'interno. Si guardò attorno, confusa, sperando che nessuno avesse preso quel gesto come un possibile tentativo di effrazione. L'intera Soho, però, sembrava aver cancellato del tutto la sua esistenza, come se attorno a lei ci fosse una specie di bolla che la rendeva invisibile.

    Spinse un po' la porta, facendo suonare la familiare campanella che sempre aveva annunciato il suo arrivo. «C'è nessuno?» Chiese, ma la sua voce si perse nel vuoto e nella polvere. 

Forse non avrebbe dovuto farlo. Si sporse con la testa oltre l'uscio pensando che, sicuramente, si erano dimenticati di chiudere la porta, il che era decisamente un grosso problema. Entrare l'avrebbe messa in una posizione oltremodo scomoda e ambigua, quando la cosa più saggia da fare sarebbe stata chiamare qualcuno e assicurarsi che la famiglia si rendesse conto di- troppo tardi. Le sue gambe si erano nuovamente mosse di loro sponte.

La porta si chiuse, Ann portò il vassoio sul bancone e notò che i "Sonetti" erano ancora lì, abbandonati, senza le sapienti e ben curate mani che avrebbero dovuto rimetterli al proprio posto. Osservò la miriade di scatole lasciate sul pavimento e sentì qualcosa stringerle il cuore alla vista di tutti i libri che erano stati tolti dagli scaffali e spostati altrove. Non avrebbe saputo dire cosa la famigliola avesse intenzione di fare: dare una sistemata agli scaffali in attesa di libri nuovi, magari? Forse il motivo era semplicemente quello e Zac ci aveva visto giusto.

Per un lungo, interminabile minuto, il silenzio piombò. Nessun'auto o persona al di fuori era udibile, le orecchie di Ann presero a fischiare lievemente e il mix di odore di chiuso, carta vecchia e antico le pervase le narici. Non c'era più odore di tè, però; né di cioccolata calda. Non c'era più il metaforico calore che normalmente pervadeva quel luogo, ora ridotto ad un guscio vuoto. Nell'aria aleggiava solo il senso di abbandono, come se quello fosse il centro di un deserto o lo spazio in mezzo ad una carcassa vuota.

Se si concentrava abbastanza, la giovane poteva quasi sentire il filo conduttore che legava la libreria al pub di fronte. Non si trattava solo dei proprietari, ma del senso generale di sbagliato. Così come ci sono regole non scritte nel mondo, ci sono anche cose che, quando non vanno, si vede e si sente. È una specie di istinto, qualcosa che ti fa capire quando dovresti metterti a riparo o quando dovresti fare il primo passo. 

Riprese il cellulare: Zac non aveva ancora risposto, ma al momento non era importante. Aprì una nota e vi ticchettò freneticamente sopra, appuntandosi tutto ciò che la sua mente continuava a rielaborare da ormai poco più di ventiquattro ore, come fosse un disco rotto che girava a vuoto, intonando sempre la stessa melodia. Ancora, ancora e ancora.

    Mai si sarebbe basata tanto su una sensazione. Avrebbe dovuto seguire il consiglio che Zac le aveva rivolto quella mattina, alzando gli occhi al cielo: «Ricorda l'undicesimo comandamento, Ann. "Fatti i fatti tuoi". A meno che tu non sia Mary, ficcare il naso in affari altrui non porta mai a nulla di buono.»

Ma era impossibile. Non avrebbe saputo dire perché; semplicemente, quella questione l'aveva circondata come una pattuglia davanti al luogo di una rapina.

A proposito... Meglio assicurarsi che non accada davvero, si disse. 

Uscì di corsa, chiudendo la porta e sperando che nessun altro la riaprisse. Non che ci fosse granché da rubare in una libreria, ma il signor Fell era pieno di talmente tante cose stravecchie che anche un ignorante in antiquariato avrebbe potuto pensare che valessero qualcosa. 


**


Chiusa nel suo appartamento, Ann rimase alcuni minuti a fissare il suo smartphone. Le parole che aveva digitato di fretta l'avevano aiutata a creare una mappa mentale degli avvenimenti. 

Non sapeva a chi rivolgersi o se rivolgersi effettivamente a qualcuno. Aveva paura di essere presa per pazza, e forse lo era davvero. Forse ci stava pensando troppo e i tumulti che sentiva dentro erano causati da qualcos'altro, qualcosa di innocuo e assolutamente normale. Assolutamente spiegabile.

La mattina stava lentamente sfumando nel primo pomeriggio e presto sarebbe dovuta tornare a lavorare. Avrebbe dovuto lasciare da parte la questione e concentrarsi sulla sua routine, ma era ormai chiaro che i metaforici fili rossi di collegamenti nella sua testa avrebbero soffocato tutto il resto.

Qualcosa non va, si disse per la centesima volta. Ma cosa?


Il cellulare si mise a squillare di colpo, strappando Ann dai suoi pensieri. Era Mary.

Rispose senza pensarci su due volte. Il suo capo chiamava spesso, vuoi per riferire una storia interessante o vuoi perché era finito il prodotto per pulire la cassa. Il tono con il quale parlò, però, fece subito aggrottare le sopracciglia alla giovane.

    «Ehi, Annie,» esordì Mary, evidentemente preoccupata. «Stai bene, cara?»

    Ann sbatté gli occhi, confusa: «Certo, perché non dovrei?»

    «Zac ha letto un tuo messaggio ed è volato fuori dal negozio. Era bianco come un cadavere! Ho pensato ti fosse successo qualcosa.»

    La ragazza saltò subito giù dal divano. «In che senso? Sta bene?»

    «Non ne ho idea, tesoro» sospirò l'altra. «Ascolta, dovrebbe essere da te a momenti. Chiamami non appena succede qualcosa, ok?»

Ann acconsentì, chiudendo la chiamata. Adesso sì che era in panico. Scorse la chat con suo cugino e l'ultimo messaggio era il suo, quello che aveva inviato davanti al bar:

Ehi Zac, com'è che si chiama il pub? Non ricordo se me l'avevi detto.

Letto, visualizzato ma nessuna risposta.

Cosa c'era in quelle parole di così assurdo da mandare Zac in paranoia? Le cose che potevano farlo reagire in quel modo si contavano sulla punta delle dita e, date le circostanze e le sue reazioni inusuali nelle ultime ore, Ann non era più sicura neanche di quelle.


Si armò di pazienza, la voglia di chiamarlo sempre più pressante. Fortunatamente ci vollero solo quindici minuti prima che qualcuno bussasse alla porta: qualche colpo ritmato, quello che lei e Zac adoperavano da sempre per riconoscere l'arrivo l'uno dall'altra. 

    Volò all'ingresso e lo aprì di colpo. La sola vista del cappotto fradicio del cugino la fece stare istantaneamente meglio. «Zac, che c'è?» Chiese subito, quasi istintivamente.

Ma Zac non rispose. Se ne stava sull'uscio, le maniche gocciolanti, gli occhi scuri e lo sguardo stravolto fissi sullo schermo del telefono. Ann diede un'occhiata veloce al display e scorse la loro conversazione, il messaggio del pub, quell'unica domanda.

    «Zac,» ripeté con urgenza, mettendogli una mano sulla spalla. 

    L'altro sbatté gli occhi un paio di volte, poi balbettò: «Non lo so.»

Furono tre parole impercettibili che si bloccarono nel corridoio come fossero incastrate nel cemento armato.

    «Cosa, Zac? Cosa non sai?» Chiese Ann, quasi pregandolo di riprendersi, troppo spaventata per fare il collegamento che avrebbe dovuto fare.

    «Non so come si chiama il pub,» chiarì il rosso, l'espressione invariata. «Lo sapevo, lo giuro, solo... Aveva un gran bel nome, ma...»

    La ragazza sbarrò lentamente gli occhi. Una scarica di adrenalina le cadde addosso come un velo, portandola ad afferrare entrambe le spalle di Zac. «Non lo sai più?»

L'altro scrollò la testa.


Ora sì che decisamente qualcosa non quadrava.


   
 
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