Incontrarsi di notte
 

Non sapeva esattamente quando era cominciato quel desiderio, la ricerca constante di un obiettivo, il vuoto dentro causato da una mancanza, l’impossibilità di colmarlo o cancellare la solitudine. A pensarci ora, gli sembrava fosse sempre stato suo compagno e di non essere mai stato davvero solo.

E più cercava un senso, più questo gli sfuggiva.

Sentiva il suo battito incessante, un rumore assordante nelle orecchie che andava a tempo con il suo cuore, sovrastava quello delle scarpe sul cemento, della folla di Yokohama, degli spari nella notte; era più accecante delle luci del Bar Lupin e dei raggi di sole che lo colpivano il mattino quando si scopriva, suo malgrado, ancora vivo; più scuro di tutto il sangue che era stato versato a causa sua. 

Quello stesso desiderio lo aveva condotto a una vita di violenza, convinto che, in quel modo, avrebbe trovato finalmente una ragione per vivere e non sentirsi sempre stanco dell’alba che sorgeva ogni volta, come a dirgli che nulla era cambiato – e lui non aveva ottenuto uno scopo. Però, si era creato una routine dietro la quale nascondersi, un volto che lo rappresentasse e – nel bisogno – incutesse paura.  

Dovevano essere stati questi pensieri, la scorse notte, a mostrargli il volto di Odasaku in sogno; non era la prima volta che accadeva né sarebbe stata l’ultima. L’aver solo pensato ai motivi che lo avevano reso un dirigente della Port Mafia aveva riportato a galla anche gli ultimi momenti passati con l’amico, momenti che in tutta la giornata non era riuscito a scacciare e lo avevano inseguito fino al porto di Yokohama.

E mentre il vento gli scompigliava i capelli scuri e il lungo cappotto beige, Dazai osservava le luci della città e vi rivedeva ancora Odasaku, gli occhi scuri che sembravano leggergli nell’anima e i suoi capelli rossi e selvaggi.

Un sorrisetto ironico gli si allargò per un attimo sulle labbra, per poi essere sostituito da quello un po’ vuoto che portava sempre, pensando che anche da morto non gli desse tregua e gli rammentasse ciò che gli aveva chiesto nei suoi ultimi istanti. Dopo tutto, meditò, quel percorso più luminoso che si era costruito rappresentava anche quello che Odasaku non era riuscito in tempo a ottenere per sé. Dazai non avrebbe mai potuto realizzare ciò che era stato il suo sogno, ma era convinto che in quella nuova vita che si era ritagliato lo aveva portato con sé – in qualunque forma possibile – illuminando anche lui di conseguenza.

Gli sembrava che da quando Odasaku non c’era più quella mancanza dentro di sé si fosse accentuata – e, allo stesso modo, affievolita. L’amico lo aveva fatto sentire una persona migliore anche se Dazai aveva sempre pensato di non esserlo e di saper solo andare alla deriva; gli aveva mostrato che non era solo nel buio pesto che poteva trovare un antidoto alla solitudine.

E sebbene le sue ultime parole gli lasciassero sempre un retrogusto dolceamaro in bocca – talvolta lo deprimevano ancora di più, pensando forse che non avrebbe mai trovato quello che cercava –, erano tutto ciò che gli rimaneva di lui, un mantra che in momenti come questi ripeteva per ricordare a se stesso che poteva continuare a vedere la parte migliore di sé anche se Odasaku non era più lì.

Infine si voltò e così facendo si lasciò dietro il riflesso dell’amico perso, almeno per quella notte. Non dubitava che avrebbero avuto altre occasioni per parlarsi, anche se solo attraverso le calme onde che bagnavano la sabbia scura o le luci dei tanti grattacieli di Yokohama. Dopo tutto, non c’erano nulla di nuovo in quegli incontri notturni; avevano solo cambiato il ritrovo.