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Autore: Sasita    12/05/2022    1 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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NdA. Ed ecco qui l'ultimo capitolo! L'Epilogo è già pronto... spero che questa storia vi sia piaciuta, e che vi piacerà la sua conclusione. L'idea era quella di realizzare una narrazione ad anello, tipica di Supernatural, con un inizio e una fine coincidenti. E infatti, eccoci qui. Se vi ricordate dove eravamo partiti, con Dean all'arrivo in paradiso, capirete questo finale. L'Epilogo è una chicca un po' diversa dal mio tipico stile... spero che vi piaccia anche quello! Lo posterò forse domani o dopo domani! Intanto, aspetto vostri feedback! La canzone che ispira il capitolo è "You can't Always get what you want", di Bob Dylan!

 


CAPITOLO XVII
You can't always get what you want

 

You can't always get what you want
You can't always get what you want
You can't always get what you want
But if you try sometimes, well, you might find
You get what you need
Ah, yeah
Oh

 

Alla fine Mary aveva ragione. Il tempo in Paradiso si assestò, seguendo leggi celesti inesplicabili.

Quando Jody arrivò, Dean aveva passato in Paradiso un totale di dieci mesi: due dall’arrivo alla serenata per Castiel alla Roadhouse, quindici giorni nel cottage nella Francia celeste, un mese e mezzo a tergiversare prima di iniziare effettivamente a costruire la casa, circa cinque mesi per completarla, un altro mese per abituarsi a quella nuova vita e intraprendere una routine sana e soddisfacente, tra la convivenza quotidiana, il lavoro saltuario con Ellen e Jo, le fughe spazio-temporali con Castiel, le cene da John e Mary o da Bobby e Karen, i ritrovi con Charlie, Ruth, Kevin, a volte Ash, a volte Jack e raramente, ma non poi troppo, con Crowley e Rowena.

Sulla Terra, invece, erano passati più di trent’anni. 

Jody era apparsa una domenica pomeriggio nel giardino di casa di Bobby; lui e Dean erano occupati a grigliare enormi quantità di carne, Castiel si stava intrattenendo in una conversazione sulle tecniche di pesca con John, Mary e Ellen erano impegnate a spiegare a Karen perché una pistola è sempre meglio di un coltello e infine Charlie e Jo stavano giocando una partita agli scacchi dei maghi di Harry Potter, sotto lo sguardo interessato di Ruth e Jack, che nel frattempo succhiava un lecca-lecca. La prima a vederla fu Mary. Ovviamente Jack sapeva già che sarebbe arrivata, ma data la sua politica del non interferire non aveva voluto dire niente a nessuno, aspettando semplicemente di vedere la sorpresa negli occhi egli altri. Jody aveva fatto qualche passo in quel giardino un po’ a chiazze, guardandosi intorno con aria spaesata, e poi Mary l’aveva chiamata e tutti si erano girati nella sua direzione. Dean aveva abbandonato il forchettone con le salsicce e le si era lanciato addosso, stringendola in un abbraccio stritolante.

Alla cruciale domanda, “come sei arrivata qui”, lei aveva scrollato le spalle e aveva detto che si era addormentata una notte di marzo alla veneranda età di ottantuno anni e si era ritrovata lì un attimo dopo e ancora non era sicura che fosse la realtà e non un sogno. Bobby le aveva tirato una pacca sulla spalla e le aveva fatto gli onori di casa, presentandole tutti coloro che non aveva avuto modo di conoscere. Erano scese lacrime e spuntati sorrisi e infine avevano stappato una bottiglia di birra anche per lei, mentre Mary le aveva detto che per un’ottantenne gli anni li portava proprio bene. In effetti Jody era apparsa con l’aspetto che aveva la prima volta che Dean l’aveva vista.

A quanto pareva, nonostante Castiel mantenesse un canale di osservazione abbastanza costante sugli affari terrestri e Jody non sembrasse invecchiata affatto, c’erano state tante novità negli anni trascorsi. Donna aveva finalmente trovato un uomo che la rispettasse: Dario, un cacciatore poco più grande, venuto dal Sud America ma con origini italiane, amico di Jesse e Cesar, che oltre a cacciare era anche un cuoco particolarmente bravo. Insieme avevano deciso di proporre a Jody di acquistare un ranch dove poter convivere tutti insieme, per dare vita a una sorta di quartier generale centrale per cacciatori, con un’area ricettiva dove potessero riposarsi e un piccolo ristorante a conduzione familiare. Per un po’ avevano vissuto tutti insieme, finché Claire e Kaia avevano avuto una brutta rottura, e avevano preso strade separate per un po’. Erano state via quattro anni, tornando alternativamente in momenti diversi per aiutare Jody, Donna, Alex e Patience nella conduzione dell’”Huntieri Eroici Ranch”. Una volta però avevano finito per incontrarsi casualmente dopo un caso, e dopo una litigata fin troppo violenta avevano fatto la pace. Sei mesi dopo si erano sposate con una piccola cerimonia estiva nel parco della tenuta, ed erano tornati a vivere tutti insieme. Patience dopo la laurea aveva intrapreso il lavoro di mediatrice familiare, usando le sue doti nascoste per aiutare le persone, e viaggiava molto per il Paese. A quanto pareva aveva scoperto di non essere particolarmente interessata alle relazioni di nessun tipo, ed era felice così com’era, con il suo dono, il suo lavoro, la sua famiglia acquisita e i cavalli. Alex invece ci aveva messo un po’ per superare il trauma relazionale provocatole da tutta la sua storia con l'Alpha e tutto quello che ne era conseguito, ma alla fine aveva trovato un bravo ragazzo, un medico che nel tempo libero aiutava i bambini vittime di violenza domestica, e anche lui aveva finito per scoprire il mondo al di là del sensibile. Invece di scappare si era trasferito a sua volta nel Ranch, allargando la famiglia. 

Jody e Donna poi avevano deciso di collaborare con Sam, Eileen e gli altri cacciatori “d’esperienza” per ridare vita alla rete di bunker degli uomini di lettere. Sam aveva concesso di dare loro una copia delle chiavi e si era detto disponibile ad aiutare, pur non volendo entrare nel loro vecchio bunker a Lebanon. Erano riusciti a recuperare una mappa con le posizioni di tutti i rifugi e anche se c’erano voluti anni, una discreta quantità di odiose trattative con gli uomini di lettere britannici per la liberazione delle ninfe dei boschi in modo da trovare un accordo direttamente con loro, l’aiuto dei demoni sotto la guida di Crowley e Rowena, di qualche angelo in “vacanza studio” sulla Terra, e soprattutto di tutti i cacciatori conosciuti, finalmente tutti i bunker erano tornati operativi. Erano stati ripuliti, ristrutturati e ordinati, rimessi in funzione a pieno regime, ed erano un luogo di studio, di approfondimento, di riposo e di riunione per un’enorme rete di persone dedite a proteggere l’umanità dai mostri. Dean si era sentito talmente orgoglioso a quel racconto che non era riuscito a trattenere tutta la sua euforia, e in uno dei suoi movimenti goffi era caduto dalla sedia distruggendo completamente il cestino porta ghiaccio accanto a lui, guadagnandosi una lista irripetibile di insulti da parte di Bobby. 

Avevano brindato tutti insieme e finita di raccontare la sua parte della storia, Jody aveva ascoltato senza il minimo stupore tutto quello che invece era successo in Paradiso. La questione del tempo che si muoveva in modo diverso l’aveva lasciata un po’ perplessa, ma in fin dei conti non era il tipo di donna che si sorprendeva, non più. La rivelazione del rapporto tra Dean e Castiel non la sconvolse minimamente, anzi. Il suo commento fu qualcosa tra “era l’ora che aprissi gli occhi” rivolto a Dean e un “tratta bene il mio ragazzo perché ha un cuore speciale” rivolto a Castiel, concluso con un abbraccio stretto attorno ad entrambi. Era stata felice per loro, gli aveva augurato ogni bene, e si era raccomandata di organizzare presto un pranzo o una cena, o quello che volevano. Dean l’aveva invitata ad andare alla Roadhouse ogni tanto e lei aveva accettato volentieri, ma poi i suoi occhi si erano spenti un po’, e Jack le si era avvicinato, le aveva toccato una spalla, e le aveva detto che c’era qualcuno che la aspettava, se era pronta per raggiungere il suo angolo di Paradiso, letteralmente. Lei si era accesa in un sorriso luminoso e aveva annuito, e insieme erano spariti nel nulla. Quando Jack era riapparso con il suo tipico sorriso e il suo sguardo tanto simile a quello di Castiel aveva spiegato loro che Jody si era riunita con suo marito e suo figlio.

Da quel momento l’impazienza di Dean si era fatta imperante. Per una settimana era passato da stati di euforia ad altri di insofferenza, incapace di darsi tregua e riversando inevitabilmente tutte le sue emozioni inesprimibili su Castiel. Avevano litigato per qualunque cosa, compresa la quantità di zucchero da mettere nel caffè. Dean poi aveva sviluppato uno strano senso di colpa, ed era stato necessario l’intervento incrociato di Castiel, Charlie e Mary per calmarlo. Aveva paura che Sam fosse arrabbiato con lui per averlo abbandonato, si sentiva male all’idea di non aver mai visto suo nipote, di non esserci stato al matrimonio di suo fratello. Si sentiva in colpa anche perché a quanto pareva il tempo in Paradiso era tornato a scorrere più veloce e temeva che Castiel si sentisse meno amato per questo, come se non riuscisse a rendere Dean abbastanza felice da far scorrere il tempo lentamente. Ovviamente avevano finito per discutere, perché il Winchester era ricaduto nelle vecchie abitudini e aveva detto qualcosa riguardo al suo “non meritare niente di tutto ciò”, riferendosi all’amore e alla felicità che aveva con Castiel, e l’angelo aveva detto qualcosa di stupido che aveva scatenato un vecchio rancore, trascinando quella litigata molto più a lungo del dovuto. Alla fine Dean era andato un paio di giorni da Charlie, perché non voleva assolutamente parlare con Castiel, ma non aveva resistito oltre e il terzo giorno l’aveva pregato. L’angelo era apparso con la sua faccia da “te l’avevo detto” e avevano bisticciato di nuovo, finché Charlie non li aveva schiaffeggiati entrambi e aveva spinto Castiel tra le braccia di Dean. 

Sorprendentemente, qualche settimana più tardi, fu Eileen ad arrivare in Paradiso. Apparve davanti all’impala parcheggiata nel vialetto, mentre Dean stava uscendo per andare alla Roadhouse. Erano entrambi rimasti impietriti, poi si erano corsi incontro e si erano abbracciati. Eileen aveva pianto e Dean aveva chiamato Castiel, che era tornato letteralmente volando dal suo giro di controllo insieme a Jack. Eileen era bella, giovane e spavalda nell’aspetto, ma i suoi occhi non nascondevano l’età. Erano passati trentasette anni da quando Dean era morto e rivederlo, giovane e prestante come un tempo, felice come non era mai stato, le aveva provocato un piccolo shock. Cosa che la rivelazione della sua relazione con Castiel, invece, non aveva fatto. Per quanto riguardava lei, non aveva idea di cosa fosse successo, ricordava solo che aveva sentito un senso di intorpidimento al viso e che i suoi muscoli avevano ceduto e improvvisamente aveva iniziato a vedere male. Non ricordava di aver avuto paura, né di aver sentito dolore, solo di essere caduta e di essersi rialzata lì. Mancava poco al suo settantatreesimo compleanno, ma meglio così, preferiva smettere di contare quegli stupidi anni. Dean l’aveva abbracciata di nuovo e aveva fatto un cenno a Castiel con la testa, pregandolo di andare, e l’angelo eseguì, scendendo sulla Terra per comunicare a Sam che Eileen stava bene, che era in Paradiso e che lo aspettava. L’aveva fatto anche con Jody, ed era già andato qualche altra volta, per qualche festività, quindi né Sam né Dean Jr. Erano stati sorpresi dal suo arrivo. Castiel era rimasto al funerale, aveva rassicurato Sam e poi aveva fatto ritorno in Paradiso, condividendo con Dean quello che aveva visto, come faceva sempre. Era strano vedere suo fratello invecchiare e suo nipote crescere in quel modo, come attraverso uno schermo, ma era meglio di niente. 

Eileen aveva aggiornato entrambi sulla vita che avevano vissuto, sugli sviluppi della MADE, sui successi accademici e professionali di Sam, sulle lotte ai clan di vampiri che avevano dovuto coordinare negli ultimi anni, sulle nuove generazioni di cacciatori, sull’impegno di Dean Jr, che loro non avevano voluto instradare alla professione di cacciatore, ma che si era comunque interessato agli affari di famiglia, iniziando a gestire in prima persona la rete di bunker e di rifugi sparsi per gli Stati Uniti. Si era laureato in Lingue Antiche, aveva conosciuto una studentessa di Sam e insieme erano partiti per un viaggio intorno al mondo per apprendere il più possibile del folklore internazionale, e ampliare le conoscenze a disposizione dell’American Hunter Organization, un’associazione segreta assimilabile agli uomini di lettere, ma con molta meno violenza gratuita e molta più mutua collaborazione. Tornati stabilmente dal viaggio, durato un paio d’anni in totale, si erano sposati e Eileen aveva appena visto nascere la sua prima nipotina. Dean aveva dovuto combattere contro le lacrime, e solo grazie alla mano forte e calda di Castiel sul ginocchio era riuscito a trattenersi davanti a lei, per poi lasciarsi andare a un pianto silenzioso nell’intimità della loro camera, di notte, nel buio rischiarato dalle stelle, con il viso nascosto sul petto dell’angelo e nessun altro in ascolto. Eileen aveva accettato l’invito a rimanere a dormire a casa loro per un po’, fino a quando non avesse capito cosa fare nell’attesa che anche Sam li raggiungesse. Non ritenendo che fosse compito loro presentarla ufficialmente a John e Mary, Dean aveva pensato che fosse meglio tacere sul suo arrivo finché non fosse stato il momento giusto, e Eileen era rimasta da loro qualche giorno, finché non si era sentita abbastanza tranquilla da stare da sola. Jack si era offerto di accompagnarla personalmente a cercare “il suo angolo”, e come per magia una villetta di legno bianco con il tetto azzurro era apparsa a poca distanza da casa loro, in un battito di ciglia. Castiel aveva guardato Dean di traverso, e si erano ritrovati a bisticciare sul tempo che avevano perso a costruire a mano la propria casa, quando avrebbero potuto risparmiare tempo e fatica con un solo schiocco di dita. Era una discussione futile e Dean sapeva benissimo che Castiel l’aveva avviata solo per distrarlo, per aiutarlo a tenere la mente occupata con qualcosa di diverso rispetto all’imminente arrivo di Sam.

Com’era prevedibile, il tempo iniziò a scorrere ancora più velocemente dopo il suo arrivo. Non che lo percepissero in Paradiso, ma Castiel e Jack lo sentivano in confronto con la Terra. Dean aveva iniziato a passare sempre più tempo a lavorare sull’impala, trovandole sempre nuovi difetti inesistenti da correggerle. Se non faceva niente, a volte si ritrovava a fissare il vuoto cercando di non dare sfogo al suo bisogno di fracassare cose. Sapeva che Sam aveva vissuto una vita lunga e felice fino a quel momento, e sapeva che non c’era assolutamente niente per cui essere tristi o arrabbiati, ma comunque, anche a distanza di quasi un anno celeste e quaranta terrestri dalla sua, la morte di Sam non era un argomento che riusciva ad affrontare a cuor leggero. Il giovane Winchester comunque si fece aspettare più del previsto, e Dean iniziò a rispondere all’ansia con il suo tipico atteggiamento sardonico, snocciolando battute sul fatto che neanche la Morte voleva Sam, perché era troppo noioso e petulante anche per lei. 

Arrivò anche Donna, seguita poco dopo dal suo ultimo e definitivo compagno, Dario; lei per un attacco di cuore, sorpresa di essere arrivata prima di lui che era malato da un po’ di tempo. In ogni caso, erano apparsi a distanza di un giorno l’una dall’altro alla Roadhouse, proprio come era successo con Dean, che in entrambi i casi era a dare una mano a Ellen e Jo per i turni del weekend. Il ritrovo con Donna era stato pieno di risate e sorrisi finché non era arrivata Jody, e per un po’ gli abbracci si erano fatti struggenti. La prima notte, dopo aver raccontato a tutti quello che era successo nei pochi anni trascorsi da quando era rimasta sola con Dario e le ragazze - che ormai erano donne - a gestire il Ranch, Donna aveva accettato di dormire a casa di Jody e suo marito, per conoscere finalmente l’uomo che non era mai riuscita a sostituire e il suo primo figlio. Quando il giorno dopo era apparso anche Dario, Dean aveva scoperto che nell’arco di una giornata erano passati sulla Terra più di sei mesi, e la sua ansia si era fatta ancora più grande, aspettandosi di vedere Sam da un momento all’altro. Ma Sam non era apparso, e così Castiel aveva deciso di organizzare una piccola rimpatriata nel loro giardino per distrarlo. Avevano acceso il focolare e Dean aveva insistito per fare gli s’mores, e l’angelo aveva accettato nonostante li detestasse, solo per farlo felice. Oltre a Jack, Jody era venuta con Sean e Owen, Donna con Dario, e avevano invitato anche Eileen, Charlie, Ruth, Kevin e Jo. Tutti avevano accettato l’accordo silenzioso di non dire a John, Mary e Bobby di Eileen, in attesa che fosse Sam, quando sarebbe arrivato, a presentarla ai suoi genitori, veri e acquisiti. Raccolti in cerchio intorno al fuoco, con i lunghi stecchini su cui erano infilzati i marshmallows stesi davanti a loro, i double-D avevano dato spettacolo susseguendosi in stupide battute e gare a chi fosse più imbarazzante. E ognuno aveva raccontato a turno una storia divertente e una strappalacrime. Dean e Castiel erano seduti ai lati opposti del focolare, e si scambiavano alternativamente occhiate colme di serenità. A un certo punto, mentre Eileen stava raccontando dei primi passi di Dean Jr., Castiel colse un luccichino negli occhi di Dean e con discrezione si spostò al suo fianco, quasi non visto, per stringergli una mano nelle sue, guadagnandosi un “grazie” silenzioso e uno sguardo intenso, di pura emozione.

 

*****

 

Qualche giorno dopo che Eileen si era spostata nella sua nuova casa, Dean e Castiel erano nella loro serra. L’angelo stava annaffiando le piante in una simpatica salopette di jeans chiaro tutta sporca di erba sulle ginocchia, mentre l’uomo se ne stava seduto su una mensola sporgente abbastanza larga, con i piedi penzoloni, e lo guardava lavorare con un piatto di fette biscottate coperte del miele delle loro api in mano. 

«Dean…», Castiel si immobilizzò con l’annaffiatoio stretto tra le dita, gli occhi fissi su un punto imprecisato alle spalle dell’altro.

Dean si voltò di scatto, facendo volare per terra una delle sue fette biscottate. «Cas… maledizione!», disse. Il cuore gli batteva forte nel petto, ma non c’era niente e nessuno fuori dalla serra, così si abbandonò a un sospiro e si chinò per raccogliere il suo cibo con un’espressione sconfortata in viso, «Non farlo più! Che diamine c’è?»

Castiel lo guardò. «È il tuo compleanno», rispose.

«Cosa? No che non è il mio compleanno, stupido culo piumato! Il mio compleanno è stato quattro mesi fa! Siamo andati a Santa Fe a giocare ai cowboy…», l’occhiata che lanciò a Castiel fu così sfrontata da farlo arrossire, «O ti sei dimenticato la nostra… cavalcata?», rise alla sua stessa battuta guadagnandosi un’espressione seccata in cambio. «Oggi è il sei maggio…», disse, e la consapevolezza lo colpì non appena le parole gli uscirono dalla bocca, cambiando repentinamente il suo stato d’animo. «Oh», sussurrò. «domani è il mio anniversario in Paradiso»

L’angelo lo guardò fisso. «Ovviamente mi ricordo che siamo andati a Santa Fe, Dean, e—», scosse la testa e non concluse la frase. «Voglio dire che sulla Terra, in questo momento, è il tuo compleanno… è il 24 gennaio. E… sì, domani è anche un anno che sei rientrato nella mia esistenza, e mi hai finalmente liberato dal tormento di un eternità senza di te»

Dean schioccò la lingua. «Non so se essere lusingato o disgustato dal fatto che riesci a rendere romantica anche una cosa come la morte…», ridacchiò nervosamente, ma dentro sentiva una piccola voragine. Un anno che era in Paradiso, un anno che era morto. Almeno, un anno per lui.

«Quanto tempo è passato? Sulla Terra, dico…»

«Dean…», iniziò Castiel roteando gli occhi nel tentativo di sviare la domanda. «Me lo chiedi praticamente tutti i giorni…»

«E faccio bene perché ogni giorno passa un sacco di tempo!», rispose Dean con le sopracciglia aggrottate e la bocca piena. Si pulì le labbra dalle briciole con il dorso della mano. «E comunque oggi è un giorno speciale, no? Quanti anni… quanti anni compirei oggi?»

«Oggi sono circa… anzi, oggi compiresti… ottantaquattro anni», si perse nella sua testa, come se stesse contando. «No, ottantacinque…». Lo disse con una finta noncuranza, ma il viso di Castiel tradì la sua tristezza, con un’ombra che oscurò un po’ i suoi lineamenti marcati.

Dean piegò la testa di lato, il suo viso si incupì. «Sono passati… quarantatré anni?»

«Quasi, sì», rispose Castiel. Consapevole di ciò a cui Dean stava pensando, posò l’annaffiatoio e gli altri strumenti da giardinaggio sul mobiletto al suo fianco, e gli si avvicinò. Gli tolse il piatto dalle mani e si fece strada tra le sue ginocchia allargate per stringergli le braccia intorno al busto in un abbraccio tenero. 

«Sono— è più del tempo che ho vissuto…», disse l’uomo a bassa voce.

Castiel annuì sulla sua spalla. «Ma tu sei vivo, Dean… la tua vita è continuata, solo su un piano di esistenza diverso»

«Mi sono comunque perso quarantatré anni della vita di Sam… non che mi sorprenda, ho sempre saputo che sarei morto con una pistola in mano— beh, in quel caso con un machete, ma la sostanza non cambia», cercò di scherzare.

«Se ci fossi stato non sarebbe successo»

Dean sorrise nell’abbraccio, strinse le sue braccia intorno a Castiel. «Non è colpa tua… sono stato un incosciente, avrei dovuto valutare la componente del libero arbitrio— senza Chuck a tirare le fila non eravamo più così imbattibili.»

«Avrei comunque potuto salvarti», contestò Castiel.

L’uomo sbuffò. «Sì? E per cosa? Per poi correre a salvarmi il culo altre mille volte? Certo, sarebbe stato bello avere tutto questo laggiù, con Sammy e Eileen e Piccolo Dean e le ragazze… ma non è andata così, e mi va bene. Ho imparato a capire chi sono, quassù, mi sono liberato della caccia, mi sono liberato delle dipendenze che avevo, ho… ho una vita, adesso, che prima non avevo. E sarebbe stato bello averla sulla Terra, ma non è andata così, e va bene lo stesso…»

L’angelo annuì, in silenzio. 

 

*****

 

Verso sera, Dean era raggomitolato sul divanetto della soffitta con una pizza extralarge sulle gambe. Stava osservando la schiena di Castiel che si muoveva impercettibilmente davanti a una tela, illuminato di lato da una lampada da set televisivo che rischiarava appena l’intera stanza. La finestra a tetto davanti a cui stava dipingendo rimandava il disco rotondo della luna circondata da tanti piccoli puntini luminosi. Dean stava mangiando a bocca aperta come al solito, sproloquiando sull’opportunità sprecata che una serie come quella della BBC avrebbe potuto sfruttare per riscrivere la relazione tra John e Sherlock, e che era assurdo che non l’avessero colta. L’ironia della cosa lo faceva alternativamente scuotere il capo, ridacchiare e snocciolare battute a doppio senso che riguardavano la simpatica somiglianza tra la relazione dei protagonisti della serie e quella di lui e Castiel prima del Paradiso. Castiel gli rispondeva a volte a monosillabi e a volte con frasi troppo lunghe, troppo articolate e fin troppo serie, e Dean sentiva la piena pace dei sensi. Era tutto così naturale, così normale. Così incredibilmente simile a prima, eppure così diverso. Si ritrovò a chiedersi da quanto tempo lui e Castiel avessero effettivamente una relazione senza essersene mai davvero accorti: da quando era tornato la prima volta dal vuoto? O da prima, magari, quando aveva fatto ritorno dal Purgatorio? Non lo sapeva, e non importava, sapeva solo che niente di tutto ciò che facevano, escluso baciarsi e fare l’amore, gli sembrava una cosa nuova. Certo, c’erano molte implicazioni diverse adesso rispetto al passato, ma la sostanza rimaneva quella. Mentre ci pensava un gruppo di tre pipistrelli volteggiò al di là della finestra, distogliendo la sua attenzione quanto bastava da liberare per un attimo la sua mente. All’improvviso una strana sensazione gli attanagliò la bocca dello stomaco, lasciandolo momentaneamente senza fiato. Poi una fitta, un dolore a metà tra un crampo e una coltellata diretta al fegato, lo costrinse a mettere da parte la pizza e piegarsi in avanti.

Doveva aver emesso uno rantolo, perché Castiel si voltò di scatto a guardarlo con gli occhi spalancati e in un istante gli fu accanto.

«Che succede?»

Dean fece una smorfia e posò il palmo della mano destra sul fianco, in un movimento istintivo. «Non lo so», disse, scuotendo la testa. «Un dolore… caz—»

L’espressione di Castiel non lo aiutò a calmarsi. «Un dolore? È impossibile, non dovresti sentire alcun dolore in Paradiso… cosa senti esattamente? Cosa… fammi sentire!», gli ordinò. 

«È-È— come un crampo, ma anche come una pugnalata, uno squarcio che pulsa e t-tira… non è fortissimo, come… come un’eco», disse Dean stringendo i denti. 

Castiel aveva gli occhi fissi sulla sua mano premuta contro la maglietta. Gliela spostò e in un gesto veloce, preciso, gli sollevò l’indumento per trovare il punto all’origine del dolore. Non c’era niente apparentemente, così avvicinandosi un po’ di più gli posò il palmo contro le costole e chiuse gli occhi. Dean sentiva i brividi provocati dal contatto tra la sua pelle calda e la mano appena più fresca di Castiel. Fece qualche respiro profondo, cercando di distendere i muscoli e dissolvere il dolore, che sembrò sparire, per poi tornare in ondate un istante più tardi. 

«Che diamine—»

Castiel rimase in silenzio ancora qualche secondo, poi annuì e aprì gli occhi, incontrando i suoi. Il suo viso era una piccola maschera di dispiacere. «Non è niente… tu stai bene»

Dean aggrottò la fronte. «Oh, non so cosa lei abbia sentito Dottor Castiel, ma non sto molto bene!»

«Ho detto che tu stai bene», ripetè l’angelo, con le labbra appena tirate e le sopracciglia che creavano una piccola ruga sopra il naso.

«Che accidenti vorrebbe dire? Ho dolore, non sto bene, io—», ci pensò. «Aspetta, che vuol dire che io sto bene?», chiese, ripetendo lo stesso tono di Castiel.

Lui inclinò la testa e fece ancora un po’ di pressione sulle costole e un attimo dopo il dolore si era attenuato, trasformandosi in una sorta di leggero rimbombo lontano. «Non posso farlo andare via del tutto purtroppo, perché non… non proviene da te», disse, «ma posso renderlo sopportabile… non dovrebbe durare molto comunque»

«Cas, ma di che diamine stai parlando?», mugugnò Dean. I suoi muscoli si stavano già distendendo, il suo respiro si fece nuovamente più regolare. Non era una sensazione piacevole, ma aveva patito di peggio. «Che vuol dire che non dovrebbe durare molto?»

Castiel si schiarì la gola, poi si alzò dal pavimento su cui era inginocchiato e si sedette al suo fianco sul divano, prendendogli le mani tra le sue. «Dean…», soffiò. «Hai detto bene, è un’eco», disse.

«Un’eco di cosa?», ma fondamentalmente sapeva già la risposta. «Di Sam»

«Di Sam», disse Castiel in contemporanea.

Dean annuì, un’ombra gli passò sul viso. «È in—», ma non seppe cosa dire, e chiuse la bocca rimanendo in silenzio.

«Vuoi che vada a trovarlo?»

«Io, uhm… non lo so», ammise l’uomo, «Sai… sai di cosa si tratta?»

Castiel socchiuse gli occhi, piegò di nuovo la testa di lato, si allungò allontanando una mano dalle loro dita incrociate per posarla di nuovo alla fonte della eco di dolore nell’addome di Dean. Inspirò profondamente, rimase in silenzio qualche secondo. «Cancro», disse. «Metastatico, terminale, pochi giorni… forse settimane, al massimo un mese»

«Grazie dell’onestà», gli sorrise appena l’altro, con una tenue tristezza in viso. «Quanti anni ha?»

«Ottantadue, compiuti poche settimane fa»

Dean era confuso e smarrito. «Ottant— solo stamani era il mio ottantatreesimo compleanno e adesso Sam ha già ottantadue anni?»

«Quante volte devo ripetere che il tempo scorre in modo diverso in Paradiso? Tu sei… sempre più impaziente ed agitato e il tempo ha iniziato a contrarsi»

«Tre anni in dodici ore?»

«Più o meno, sì»

Dean si morse il labbro, in difficoltà. «Soffre?», chiese. L’angelo non rispose, ma non ce n’era bisogno. Il modo in cui aveva abbassato lo sguardo era più eloquente delle parole. «Puoi togliergli il dolore?»

Castiel lo guardò di nuovo, le iridi azzurre velate da una patina di dispiacere. Un movimento sottile, quasi impercettibile espresse il suo diniego. «Vorrei, davvero»

«Perché no?»

«Sarebbe interferire e…»

Dean si allontanò un po’, gli occhi improvvisamente duri, il viso una maschera di rabbia e dolore. «Per me lo avresti fatto»

«Dean… io non—»

«Sei un egoista», sputò, senza pensare. 

Castiel sospirò. «Non posso, non è che non voglio… è la vita, Dean, non posso interferire. Tu fratello— Sam ha vissuto, lungamente e felicemente. Cambiare le cose sarebbe sbagliato e lo sai»

«Allora è per questo che non hai salvato neanche me, giusto? Tutte quelle storie su Jack, stronzate!»

«No, Dean!», sbottò Castiel, che ogni volta che la conversazione si faceva movimentata ripeteva il suo nome più del necessario. «No! Per te avrei fatto qualunque cosa— avrei… io… avrei distrutto l’intero universo per te, e l’ho fatto, non penso tu possa negarlo!»

Dean si allontanò ancora, schiaffeggiando le mani di Castiel perché le allontanasse da lui. «Perché?»

«Perché?», ripetè l’angelo, confuso, guardando le sue mani improvvisamente sole.

«Perché io sì e lui no?»

«Perché…», sbuffò una risata sprezzante, «…hai anche il coraggio di chiedermelo? La gran parte dei miei errori, Dean, sono dovuti a cose stupide che ho fatto e rifarei per te… perché— perché ti amo, ecco perché»

«Evidentemente non mi ami abbastanza!», sbottò Dean saltando in piedi, sulla difensiva. 

Castiel si alzò a sua volta. «Come puoi dirlo?»

«Altrimenti salveresti Sam!»

«Dean!», la voce del serafino era un rimbombo greve che fece tremare il pavimento. «Non fare lo stupido—»

Dean strinse gli occhi. «Oh! Oh, certo, adesso voler bene al proprio fratello significa essere stupidi— quindi sarei stupido!»

«Non ho detto questo»

«E cosa hai detto?»

«Che ti stai comportando da idiota, questo ho detto!», rispose Castiel cercando di avvicinarsi. «Capisco che soffri, e capisco che ti dispiaccia, ma non si può risolvere tutto così. Non si può, lo capisci? E poi, non vuoi rivedere Sam?»

Il petto di Dean si sgonfiò un po’. «Non voglio che muoia!», disse, la voce più acuta di quanto volesse.

«Non lo vorrei neanche io, Dean, non avrei mai voluto che nessuno di voi morisse… ma— è l’umanità, è… è così che deve andare. Ma lo sai, lo sai che non è la fine! Siamo qui, tu ed io, e tutti gli altri… c’è altro oltre la Terra, qua… no?»

«Bene, e allora non voglio che soffra!», si corresse l’uomo, lanciando a Castiel uno sguardo glaciale e allontanandosi ancora un po’ da lui.

«Ma—»

«Fallo smettere di soffrire!»

«Ci sono… ci sono i medici, e le medicine e—»

Il viso di Dean si contorse. «Lo sento io!», urlò. «Attraverso l’anima… attraverso— gli anni, la morte! Il mio corpo sarà stato bruciato più di quarant’anni fa eppure io sento il suo dolore! Direi che quelle dannate medicine non sono abbastanza, giusto?»

Castiel scosse il capo. «Cosa vuoi che ti dica? Che va bene? Che andrò da Sam e gli schioccherò via il dolore con un movimento delle dita? È questo che vuoi?»

«Sì, esattamente!»

«Non posso farlo»

«Perché?»

«Perché non—»

Dean tirò una botta a uno scaffale, facendo volare in terra tutti gli strumenti riposti con una serie assordante di rumori. Un barattolo di vetro si fracassò in mille pezzi. Il suo respiro era veloce, il suo petto si muoveva a intermittenza. I suoi occhi, serrati, erano pozzi neri quando li riaprì per fissarli su Castiel. «Ti prego», disse. «Vuoi che ti preghi? È meglio così? Devo umiliarmi come ho fatto mille altre volte… solo con il risultato di non ricevere alcuna risposta?»

«Dean…»

«No, Cas! Tu sai… lo sai quante volte ti ho pregato, in passato e sai che non sono il tipo che prega ma tu— tu mi hai cambiato e l’ho fatto, una miriade di dannatissime volte, per ottenere cosa? Ecco, adesso ti chiedo per favore di rispondere a questa mia preghiera, e far stare meglio Sam—»

«Non posso salvarlo!»

«Non ti chiedo di salvarlo, okay? Ma— fallo stare meglio, fagli… non lo so, fagli credere che non ci sia più il dolore, poi morirà lo stesso e io— lo accetto, okay, lo capisco. Ma non così… non è— non è giusto, non è giusto che soffra, non è giusto, lui— lui—», improvvisamente la rabbia si trasformò in disperazione, e lacrime salate gli scivolarono giù dalle palpebre.

Castiel gli si lanciò contro, lo strinse tra le braccia, lo tenne vicino a sé con forza. Dean si aggrappò a lui quasi contro la sua stessa forza di volontà, cedette al suo tocco e si lasciò andare, piangendo senza far rumore sul suo petto. L’angelo sospirò, chiuse gli occhi, annuì. «Va bene», disse. «Io gli… gli toglierò il dolore, va bene? Basta che— non posso fare altro, lo capisci questo, vero?»

Dean ringhiò tra le lacrime, la mano che aveva sul petto di Castiel si strinse a pugno intorno alla sua camicia di lino, e lo colpì piano. Annuì.

Castiel lo portò al divano, gli baciò una tempia e si staccò da lui. Un istante dopo era scomparso, lasciando Dean da solo nella penombra della stanza, in un silenzio rotto solo dal suo respiro sibilante. Passarono pochi secondi, forse un minuto, e improvvisamente l’eco tenue del dolore che sentiva tra le costole si affievolì fino a svanire, lasciandolo con uno strano vuoto dentro e la stessa sensazione di stranezza alla bocca dello stomaco. Quando Castiel riapparve, Dean lo guardò con gli occhi lucidi e le labbra schiuse, il dispiacere che gli distorceva i lineamenti dipinto su tutto il suo corpo raggomitolato.

«Sta bene», gli disse l’angelo, tornando al suo fianco per stringerlo tra le braccia. «È sereno… è con Dean Jr. Non vede l’ora di rivedere te e Eileen, e tutti gli altri… non devi— non piangere, Dean, ti prego»

«Grazie»

«Faccio sempre quello che mi chiedi»

Dean a quelle parole si sentì un po’ in colpa, ma zittì quella sensazione inghiottendola fino a cancellarla dalla sua mente razionale. «Sento… io—», si morse un labbro e alzò gli occhi per incrociare quelli di Castiel, che lo guardava con una tenerezza mista a dispiacere. «Mi dispiace»

«Non serve, va bene così», lo rassicurò l’angelo.

«No, Cas… perché— mi dispiace, lo sai, io…», soffiò fuori tutta l’aria e si passò le dita sugli occhi, facendo pressione con il pollice e l’indice. Scosse la testa, affondò un po’ di più tra le braccia di Castiel. «Sento…», gli prese una mano e se la portò all’altezza dello stomaco. «…come una morsa, non so. Un macigno. Un— una sensazione di… oppressione e vuoto insieme»

Castiel fece una leggera pressione con la mano, sospirò e lo strinse più forte, posando il mento sulla cima della sua testa. «È normale… tu e Sam siete stati legati molto a lungo e lo siete ancora. Quello che senti adesso è solo il vostro legame che ti… beh, ti avvisa che lui sta per—»

«Morire», completò Dean.

«Sì e no…», lo corresse l’altro, accarezzandogli la schiena. «…più che la sua morte, senti che si avvicina il passaggio a un altro livello, a questo livello… senti la sua anima che si avvicina alla tua… è difficile da spiegare»

Dean tirò su col naso, si sistemò più comodo lasciando che le dita calde dell’angelo lo cullassero. Il senso di colpa ancora gli inacidiva la gola, ma ogni carezza lo faceva sentire meglio. «Lo sento solo io?»

«No», gli rispose, «Anche io sento qualcosa… ma è come un sassolino rispetto a quello che senti tu. Non perché non mi importi, al contrario, ma il mio legame con Sam è più—», stava per dire “superficiale”, ma non era la parola giusta. «Meno profondo del tuo»

L’uomo annuì piano, mordendosi l’interno della guancia. «Lo sentono tutti quelli che hanno un legame con Sam? Anche la mamma? Eileen?»

«Sicuramente sì»

«L’hanno sentito anche quando sono arrivato io?»

Castiel mosse appena la testa in segno di assenso, in silenzio.

«È per questo che Bobby mi aspettava?»

«Immagino di sì…»

Dean ci pensò, la testa iniziava a pesargli ma un pensiero gli ronzava nelle orecchie, pressante. «Anche tu l’hai sentito? Hai sentito quello che senti per Sam?»

Castiel rise. Una risata nervosa, stupita. Si allontanò un po’ per guardare Dean negli occhi. «No, Dean… non ho sentito quello che sento adesso per Sam… e neanche quello che stai sentendo tu»

«Che vuoi dire?»

«Che quando sei morto… in quegli istanti che hanno preceduto il passaggio della tua anima, per quei minuti io— Dean, è stato peggio che morire. E la cosa peggiore è stata che non sapevo dove fossi, cosa stesse succedendo, come… non potevo— ero bloccato, e… non te lo so spiegare con le parole, e non voglio fartelo sentire perché è qualcosa di troppo— non voglio che tu lo senta»

Dean aggrottò la fronte, cercò lo sguardo errante di Castiel finché non incatenò di nuovo gli occhi ai suoi. «Voglio sentirlo…», disse iniziando ad alzarsi la manica della maglietta.

«No», lo contraddisse l’angelo, fermandogli la mano. «Non voglio riprovare quella sensazione, per favore. Non adesso almeno»

«Va bene»

«Ti basti sapere che non esiste dolore che avessi mai provato in precedenza che potrebbe reggere il confronto con quegli istanti… e non ero contenuto in un tramite come questo, non avevo un corpo ero— solo io, nella mia pura, vera forma ed ero collegato a tutto il Paradiso, per controllarlo e… tutto il mio potere ha tremato così tanto da destabilizzare per un istante ogni cosa— poi è finito, e tu eri qui, e sono venuto a cercarti. Il resto lo sai.»

Dean strinse le labbra, una patina di tristezza gli ingrigiva il viso. La sensazione che aveva dentro si faceva più forte via via che il tempo passava, ma era sopportabile. Il pensiero di quello che aveva provato ogni volta che aveva visto morire Castiel gli annodò la gola, e non osò immaginare oltre cosa avrebbe provato in quel momento, con la sensibilità di un anima non vincolata a un corpo, se fosse successo ancora. La sola idea lo portò quasi alle lacrime, così scosse la testa e baciò Castiel con tutta la sua forza. Poi gli si strinse addosso e serrò gli occhi cercando di regolarizzare il respiro, finché non si addormentò tra le sue braccia.

 

*****

 

La mattina dopo Dean e Castiel andarono da Eileen per dirle che Sam era vicino. Lei annuì in silenzio, con le mani segnò la sua gratitudine per l’essere stata informata, e poi a voce aggiunse che lo sentiva, perché dalla sera precedente aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Dean usò quel poco che aveva imparato della lingua dei segni per dirle che anche lui aveva provato lo stesso, ma non disse niente riguardo al resto. Dato che Castiel era convinto che sarebbe apparso da qualche parte nel loro angolo di Paradiso entro la giornata, decisero di dividersi per aspettarlo. L’angelo sarebbe andato al Quartier Generale per studiare i movimenti e le apparizioni, Eileen sarebbe rimasta a casa e Dean sarebbe andato alla Roadhouse. Aveva pensato che potesse esserci una possibilità che Sam apparisse esattamente dove era apparso lui, così quando arrivò quasi non si sorprese di trovare Bobby seduto sulla panca esterna, a guardare verso gli alberi davanti a sé. Dean era addolorato, in ansia e stanco per la notte agitata che aveva passato, ma era anche su di giri, il cuore gli rimbombava nel petto irregolare e prepotente. La coincidenza delle tempistiche non faceva che agitarlo ancora di più. 

Il Paradiso aveva deciso di lasciarlo lontano da suo fratello un anno preciso, forse perché riuscisse a trovare sé stesso nel frattempo, perché imparasse ad essere Dean, e a capire cosa significasse davvero, essere Dean. Aveva accettato sé stesso, il suo amore per Castiel, la loro relazione, ma aveva anche imparato ad apprezzare molte parti di sé a cui non aveva mai dato abbastanza peso in passato. Aveva iniziato a pescare, a viaggiare solo per il gusto di farlo e non per necessità, a lavorare per piacere, a passare del tempo con gli amici non per cercare soluzioni a qualche dramma sovrannaturale, ma solo perché ne aveva voglia. In un anno era cambiato tutto e non era cambiato niente. Era sempre la stessa persona, eppure non lo era davvero. 

Parcheggiò l’impala nello stesso punto dove l’aveva trovata al suo arrivo, e si avvicinò a Bobby. «Sta arrivando Sam», disse, senza giri di parole.

Bobby annuì. «Lo so…», disse, «Lo immaginavo, lo sentiamo tutti»

«Anche tu?»

«Certo, che discorsi… è stato lo stesso con te. Anche tua madre, tuo padre… anche tu, credo, altrimenti non saresti qui, ragazzo»

Dean ci pensò e prese la birra che Bobby gli porgeva. La stappò e ne bevve un sorso. «Come pensi che sarà?»

«Cosa?»

«Rivedere Sam… e per lui rivedere me, rivedere tutti noi»

«Come bere una birra, figliolo», gli rispose Bobby. «Il tempo scorre in modo strano… possono passare anni senza vedere qualcuno eppure— eppure sentirsi come se non fosse passato neanche un giorno»

Dean annuì, bevve un altro sorso. «È la stessa birra schifosa di un anno fa», commentò.

«Buffo, no? Te l’avevo detto, mi pare: il tempo è diverso in Paradiso, scorre in modi—»

«Misteriosi?», scherzò.

«In un certo senso», concordò Bobby.

«Come pensi che la prenderà riguardo me e Castiel?», domandò, sinceramente insicuro.

L’altro lo guardò con la sua faccia da «Non fare domande stupide, Dean!»

«Dico seriamente»

«Come tutti noi, perdio! Lo sapevamo da prima di voi… sicuramente da prima di te. E Sam… Sam ha sempre voluto che fossi felice, e ora lo sei, quindi direi che avete vinto entrambi, non trovi?»

Dean sospirò, i suoi occhi scorsero sul panorama verdeggiante davanti a lui, si posarono sul cielo azzurro sopra la sua testa, scivolarono sulla terra arida e polverosa sotto ai suoi stivali. Il profumo dei bagel arrivava a piccole folate da dentro la Roadhouse, alternato all’odore fresco dei fiori e delle foglie appena bagnate dalla rugiada mattutina. Un uccellino cinguettò a poca distanza. Annuì. Un anno, pensò ancora, e tutto quello che riusciva a pensare era che tutto era uguale, e tutto era diverso. 

Improvvisamente ebbe una sensazione. «Penso che mi farò una girata in macchina…», disse. Si alzò, lasciò la birra ammezzata sulla panca e fece un cenno di saluto a Bobby. 

Chiuse la portiera e accarezzò il volante. «Ehi, Baby», disse prima di avviare il motore e imboccare la strada, la stessa strada che l’aveva portato da Castiel un anno prima. Accese la radio e Carry On Wayward Son dei Kansas riempì l’abitacolo con il suo ritmo fin troppo familiare. Un sorriso sghembo gli si dipinse sul viso, scosse piano la testa. «Oh! Adoro questa canzone…» 

Stavolta, invece di proseguire verso le montagne svoltò a sinistra piuttosto che a destra, entrando in un lungo viale circondato da alberi da entrambi i lati. Abbassò il finestrino e appoggiò il gomito per metà fuori dallo sportello, cantando tra sé e sé le parole mentre il ruggito del motore della  sua amata chevy impala del ’67 gli cullava la mente lungo quella boschiva strada sconosciuta, eppure familiare. Il tintinnio dei lego nell’aeratore lo fece sorridere ancora di più. La canzone lo accompagnò mentre l’auto scivolava lungo le vie del Paradiso, tra curve a gomito e lunghi rettilinei, finché la luce non apparve dietro alcuni alberi, e il paesaggio si aprì rivelando un ponte di metallo chiaro che univa le due sponde di un fiume in piena. 

La musica scemò e Dean sentì l’impellente bisogno di fermarsi; così accostò e scese, lasciando la radio risuonare in sottofondo. La sensazione che aveva allo stomaco si era fatta così intensa da lasciarlo stranamente affaticato, ma la ignorò, dirigendosi verso la balaustra come mosso da una forza inconscia. Era così bello, pensò. Il fiume scorreva sui sassi del fondale con la sua forza naturale, così fluida, ininterrotta. Gli fece venire in mente due frasi di due diverse lingue e tradizioni, ripescate dai meandri di chissà quale ricordo legato a chissà quale caso di chissà quanto tempo prima. 

Panta Rei” pensò mugugnando nel sorriso. “Tutto scorre”, pensò. Effettivamente, non c’è niente nel mondo, nell’universo, nella vita eterna e mortale delle cose, che non scorra, che non finisca, che non cambi, perlomeno. La vita gli era scivolata tra le dita come quell’acqua tra le rocce, e poi era finita, improvvisamente, come un fiume che giunge alla sua foce. Ma non era finito niente, in realtà, perché ogni fiume finisce nel mare, così come lui era finito nell’immensità della vita eterna. Una magra consolazione forse, considerato che avrebbe potuto vivere almeno altri quarant’anni se solo avesse usato un po’ più il cervello e non si fosse buttato in delle avventure suicide. Ma Castiel? Sarebbe mai tornato da lui, sulla Terra? L’avrebbe mai rivisto? Il solo pensiero di non poterlo stringere, vedere, sentire per tutti quegli anni lo tormentava nonostante non avrebbe mai dovuto sperimentare davvero quel tormento. Quello stesso pensiero lo portò alla seconda frase. “Carpe Diem” pensò ancora. Proprio perché nella vita tutto scorre, tutto passa, tutto cambia, non aveva senso camminare lungo la via scorrevole dei giorni senza afferrarne neanche uno. Lui l’aveva fatto per troppo tempo. Aveva lasciato che la sua vita fosse un’esistenza di cui qualcun altro tirasse le fila, ma per tutto il tempo era riuscito a sfuggire alla tela del fato, e si era liberato dei dogmi, inseguendo un mostro dopo l’altro, sventando un’apocalisse dopo l’altra, trovando qualcosa per guardare al futuro. Ma non si era mai concentrato sul presente, perché non ce l’aveva mai avuto davvero, un presente. Ma adesso ce l’aveva. Adesso aveva colto l’attimo e l’aveva fatto suo. E non importava quanto ancora sarebbe cambiato, quanto quella nuova vita che da un anno stava sperimentando l’avrebbe scombussolato di tanto in tanto: adesso stringeva nei suoi pugni tutti gli attimi che voleva. Adesso sapeva che le cose belle accadono davvero, qualche volta, e anche se il tempo scorre quelle rimangono.

Sull’onda di quell’emozione guardò l’orizzonte frastagliato davanti a sé, accarezzò la balaustra, sorrise. Poi la sensazione nello stomaco sparì d’improvviso, e un rumore alle sue spalle colse la sua attenzione. Non si voltò, un sorriso largo gli piegò le labbra, increspandogli la pelle fino agli occhi. Soffocò una risata con uno sbuffo del naso e annuì quasi impercettibilmente, tra sé e sé. Bob Dylan iniziò a cantare dalla radio che non sempre si ha ciò che si vuole, ma si ha sempre ciò di cui si ha bisogno.

«Heya, Sammy»

 

 

   
 
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