Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |       
Autore: Soe Mame    12/05/2022    0 recensioni
Per quanto ogni cosa sembri dirle il contrario, Belgio continua a credere che parlare sia la risposta giusta.
[1830, 1831, 1838: Il Belgio diventa indipendente dai Paesi Bassi.]
[Più una raccolta disomogenea che una two-shot.] [Spin-off di Esp, ma leggibile separatamente.]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belgio, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Lussemburgo, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Les lissen, la gaillarde, de klaproos



Mio caro Lovitje,
Spero tu stia bene.


Manon morse la punta della penna d'oca. Alzò lo sguardo, fuori dalla finestra. Una tempesta aveva scosso l'Europa e laggiù in Italia qualcosa ribolliva come lava. Per quanto lei stessa fosse stata travolta, era difficile parlare con altre persone travolte - Non tutti reagivano allo stesso modo. Tornò al foglio.

È trascorso molto tempo dalla tua ultima lettera. È strano pensare a quante cose siano cambiate in cinquant'anni.

Alzò di nuovo lo sguardo. L'ultima lettera che le aveva inviato Lovino era lì accanto, ormai ingiallita, e recava la data del Millesettecentottantotto. Un umano l'avrebbe considerata un pezzo da collezione. La prese con la mano libera, la girò e rigirò. L'aveva conservata bene. La posò di nuovo sullo scrittoio.

Non so se lo sai, ma sono diventata indipendente. Solo per un anno, ma sono stata pienamente, assolutamente e ufficialmente indipendente!

Che poi nessuno l'avesse riconosciuta era un dettaglio. Era stata un'avventura durata appena dodici mesi ma, per qualche motivo, era marchiata a fuoco nella sua mente.


«È bello che monsieur Autriche ci abbia dato così tanta libertà...» Belgio mise le braccia conserte. «Ma questo non significa che può intromettersi a suo gradimento in modo sì spiacevole! Questi suoi continui tentativi di trasformarci in una succursale del suo impero sono a dir poco disdicevoli!»
«Siamo già una succursale del suo impero.» Lussemburgo alzò appena le sopracciglia. «Nonché della Confederazione.»
«Sai cosa intendo dire.» Manon sventolò una mano, a scacciare le sue parole. «Vuole che tutto sia austriaco, vuole mettere bocca nei nostri affari interni e, con la scusa del togliere potere alla Chiesa, vuole minare la nostra cultura!» Strinse un pugno. «Ecco perché faremo sentire la nostra voce!»
«Fammi sapere come va a finire.»

«Beh, a quanto pare, sono diventata indipendente. È stata una cosa rapida. Abelletje ci ha messo ottant'anni.» Annuì. «È stata proprio un'ottima idea ribellarsi mentre monsieur Autriche è in guerra. Monsieur France è stato di grande ispirazione e-»
«Fräulein Belgien!»
«Meneer Oostenrijk! Cosa ci fate qui? E quando siete arrivato?»
«In realtà sono qui da ieri, ci ho messo un po' a riprendermi.»
«Bene, questo risponde alla seconda domanda, ma-»
«Permettetemi di interrompervi, Fräulein, perché mi accingo a rispondere alla vostra prima domanda. Ebbene, sono venuto qui per chiedervi gentilmente di arrendervi.»
«Oh, no! La mia indipendenza è già finita?»
«Temo di sì, Fräulein.»
«M-Ma monsieur Pruisen?»
«Här Preisen se n'è andato da un po', Schwëster.»
«L-Lucilin! Anche tu qui? Pensavo fossi con monsieur Pruisen! Meneer Engeland non può mettere bocca anche su-»
«Fräulein Belgien...»
«Oh, perdonatemi, monsieur Autriche! Siate così gentile da darmi un po' di tempo per pensare alla vostra offerta.»
«Fräulein Belgien, vi siete ribellata al vostro padrone e gli state chiedendo di aspettare?»
«Certamente.»
«D'accordo.»



L'indipendenza più breve della Storia si era consumata lì, a Bruxelles, nel Millesettecentottantanove. Non che monsieur Autriche fosse rimasto il suo Capo troppo a lungo.

Non pensavo di rivedere monsieur France in quelle circostanze. Non pensavo non mi sarebbe piaciuto.

Guardò il foglio. Inspirò. Non avrebbe mai inviato quella lettera, così come non aveva inviato tutte quelle che aveva scritto in quei cinquant'anni.

Sono stata così felice quando meneer Oostenrijk ha deciso di cedere la mia casa ad Abelletje. Mi dispiace, però, ci sia andata di mezzo la casa di tuo fratello.

No, decisamente, non l'avrebbe inviata. Però non l'avrebbe bruciata come tutte quelle che aveva scritto quando viveva con monsieur France.

Sai, Lovitje,

Fissò le parole.

sono stata felice anche quando ho cambiato nome in États-Belgiques-Unis. Che mi chiamassero così o Verenigde Belgische Staten, era comunque un nome che mi piaceva. Zuidelijke Nederlanden non è un brutto nome, ma

Le dita si strinsero sulla penna.

Nederland è mio fratello. E io non sono Abel.

Forse, in effetti, avrebbe potuto bruciare anche quella lettera.

— De klaproos —



Nonostante fosse presente nei suoi ricordi fin da quando aveva memoria, Abel era sempre riuscito a risultarle imprevedibile. Volontariamente o meno, era un altro discorso.
Sapeva benissimo non fosse una nazione fatta per obbedire. Però sapeva anche che rimanere da soli, lassù, sarebbe stato un suicidio - Francia, Sacro Romano Impero, Danimarca e Novergia, Inghilterra, Spagna. Chi sarebbe stato il primo ad aggredirlo, una volta rimasto solo? Lui non poteva chiederle di assistirlo in un obiettivo tanto sconsiderato. Se era scesa in battaglia contro di lui, era stato solo per farlo ragionare, per riportarlo alla realtà - Per ricordargli che, nonostante tutto, là a Madrid era al sicuro.
Era stato grazie a quel pensiero che era riuscita a rimanere sul campo di battaglia. Sapeva di star facendo la cosa giusta. Sapeva di star facendo tutto quello per poterlo salvare. Era suo fratello, gli voleva bene, l'avrebbe affrontato a costo di fargli del male, se questo avesse potuto salvarlo.
Però non aveva salvato Abel. E i Paesi Bassi erano diventati un impero in continua espansione, ogni decennio sempre di più. I Paesi Bassi erano così forti del loro nome e della loro cultura da poterla esportare, così forti da poter fronteggiare imperi che contavano ben più territori, vittorie e anni.
Lui non aveva avuto bisogno di qualcuno che lo salvasse. Non c'era mai stato bisogno di salvarlo, in primo luogo. Tutto ciò che lei aveva fatto, tutto ciò che aveva visto, ciò che l'aveva mossa fino a quel momento, tutto si basava su qualcosa che non esisteva. E lei ci si era lanciata a capofitto, con decisione, sicura come non era mai stata.
Era felice per suo fratello. Lo era davvero. Ma i suoi successi le ricordavano quanto si fosse sbagliata. Se si era sbagliata su una cosa di cui era tanto convinta, cosa le garantiva che non sarebbe successo di nuovo? Cosa le garantiva che il prossimo obiettivo a cui avrebbe dedicato anima e corpo non si sarebbe rivelato inutile ed evitabile?
Non poteva permettersi di pensare a cose del genere. Non poteva permettersi di pensare ai motivi che avevano spinto Abel a ribellarsi - e che lo avevano portato alla vittoria e al successo. Lei non era Abel. Non poteva permettersi di chiamare suo fratello minore "Lucilin" piuttosto che "Luciano", non poteva permettersi di farsi chiamare "Manon" piuttosto che "Marita", perché lei non era Abel, non era forte come lui - E lui non sarebbe venuto a salvarla. Lei non aveva bisogno di qualcuno che la salvasse. Non c'era mai stato bisogno di salvarla, in primo luogo. Era al sicuro, là a Madrid. Lei, suo fratello minore, i loro popoli - Se avesse continuato ad essere Marita, sarebbero stati al sicuro.
Era stata tanto felice di reincontrare Abel, una volta divenuta Paesi Bassi austriaci. Potevano incontrarsi liberamente, sul confine - A volte si andavano a trovare a casa, quando non c'era nessuno a spiarli. Insomma, meneer Oostenrijk non avrebbe approvato. Era bello essere di nuovo insieme, lei e i suoi fratelli, di poter essere chiamata "Manon", senza dover tenere conto di nessuno. Erano trascorsi tantissimi anni, erano cambiate tantissime cose, ma la felicità di rivedere la propria famiglia riunita aveva quasi cancellato ogni pensiero negativo. Quando poi meneer Oostenrijk aveva ufficialmente consegnato la sua casa ad Abel, era stata certa di poter definire quello il giorno più bello della sua vita.
Ma era successo di nuovo. Non brutale come la prima volta, ma non era stato piacevole rendersene conto. Eppure se l'era sempre ripetuto. Lei non era Paesi Bassi.

*



«Come sta oggi il mijn lieve broer
«Cosa c'è, Manonnetje?»
Manon lo raggiunse in due saltelli, lasciò cadere la valigetta a terra e lasciò cadere se stessa sulle sue gambe. «Sai, stavo pensando...»
«Non camminerò mai più.»
«Oh, per favore, non sei così deboluccio!» Gli diede una pacca sulla spalla e lasciò andare la schiena contro uno dei braccioli della poltrona. «Dicevo. Stavo pensando che forse si possono fare un po' di cambiamenti~»
Abel inarcò un sopracciglio, un lampo di sospetto negli occhi. «Che tipo di cambiamenti?»
«No, nessuna ristrutturazione.»
Era quasi comico vederlo trattenere un sospiro di sollievo tanto platealmente.
«Ma tipo...» Portò le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino. «Non pensi che l'uguglianza sia una cosa buona e giusta?»
«È negli interessi del nostro re.»
«Eh, sì, appunto...» Sorrise, in uno sfarfallio di ciglia. «Però, sai, mi sembra che il tuo re olandese, che parla olandese e che vive in una città olandese faccia, come dire...» Finse di pensarci, in una pausa calcolata. «Un po' di favoritismi agli olandesi, ecco.»
«E questo ti arreca danno perché...?»
Sentì il sorriso incrinarsi. Se faceva una domanda del genere, con una genuina confusione del genere, la situazione era peggiore del previsto. «È che, sai, Abelletje...» Alzò la schiena, portò le mani sul sedile. «Non ti ricordi che metà del mio popolo parla francese?»
«Oh, giusto.» Abel annuì appena. «Sono comunque una netta minoranza, nel nostro paese.»
Manon serrò le labbra, ancora piegate in un sorriso. «Sssssì, mijn geachte broer, indubbiamente, se consideri te, me e Lucitje, la parte francofona è in netta minoranza ma-»
«Cosa mi stai chiedendo?»
Una cosa che amava moltissimo di suo fratello era che, durante le negoziazioni, andava dritto al punto. Dato che non voleva sembrare troppo aggressiva, Manon fece un piccolo broncio. «Riconoscere la mia metà francofona. Permetterle di parlare ufficialmente la propria lingua. E distribuire più equamente i ruoli nelle cariche più alte.»
«Non lo sono già?»
«Gli ufficiali sono praticamente tutti olandesi, e i soldati praticamente tutti belgi. Siamo più della metà del regno ma abbiamo solo la metà dei seggi.»
«Noi paghiamo più imposte.»
«Non puoi risolvere tutto-» No, quella era frase inutile. «E poi, i ministri belgi sono qualcosa come un quarto del totale.»
«Se vi ostinate ad andare contro la Costituzione solo in virtù del vostro credo religioso, non posso prendervi in considerazione.»
Quello era un tasto dolente. Gli puntò un dito contro il petto. «E non puoi pretendere di trasformarci tutti in protestanti. In olandesi protestanti, per la precisione.» Portò le mani alle ginocchia. «Non riesco a capire, Abelletje. Il tuo re mi sembra giusto e illuminato, eppure sembra cerchi di soffocarci.»
«Forse è solo una tua impressione.»
Manon sospirò. Non che pensasse di convincere Abel, ma sperava almeno di fargli venire il dubbio che forsemagaritipo ci fossero dei problemi. Scese dalle sue gambe, scattò in piedi e battè le mani.
«Non mia. Mia e del mio popolo, semmai!»
Prima che l'altro potesse dire qualsiasi cosa, Manon recuperò la valigetta, la aprì e ne estrasse un plico di fogli. Lo porse a suo fratello.
«Ho viaggiato per la mia casa.» spiegò, mentre Abel prendeva i fogli. «Ho parlato con tutti i portavoce e raccolto le loro proteste. Per assicurarmi che fossero idee condivise dal popolo, ho lanciato delle petizioni e raccolto firme.» Portò le mani dietro la schiena e si dondolò sui piedi. Abel studiava i fogli. Sembrava quasi incredulo, e Belgio lo trovò stranamente soddisfacente. «In molti erano entusiasti di quest'idea. Mi hanno aiutata un sacco di persone. Per questo ci ho messo abbastanza poco.»
Abel riemerse dai fogli, e la guardò quasi per accettarsi che fosse lei. «E quanto ci hai messo, a raccogliere tutto ciò?»
«Contando anche la parte organizzativa e la fase riassuntiva, tre anni.» Gli indicò il primo foglio. «Ho anche stilato un indice. I reclami sono divisi in quattro sezioni maggiori: economica, politica, religiosa e culturale. Ciascuna è suddivisa in diverse sezioni minori, e tutte contengono il punto di vista sia dei movimenti più moderati che di quelli più estremi.» Sorrise. «Sarei molto felice se, dopo averlo letto, lo consegnassi al tuo re~»
Paesi Bassi si lasciò andare contro la poltrona. Posò i fogli sulle gambe e, dopo qualche secondo, si sporse a prendere la pipa dal tavolino. Dopo un paio di sbuffi di fumo, fissò lo sguardo su di lei. «Chi è che ti ha insegnato a mettere la parte economica per prima?»
«Chissà~» Fermò i piedi. «Per qualsiasi delucidazione o informazione aggiuntiva, sai dove trovarmi, broer
«E se invece» Un altro sbuffo di fumo. «venissi con me dal re, così da non sprecare tempo prezioso, zus
Manon coprì il sorriso con una mano. Era certa apparisse troppo soddisfatto. «Ne sarei onorata, broer

*



Era così facile, eppure non aveva sentito di troppe altre nazioni che l'avevano fatto: presentare i propri reclami in modo ordinato e con spiegazioni dettagliate del perché ritenessero che una determinata legge o un certo modo di fare necessitassero di un cambiamento. Il re aveva letto ciò che lei aveva scritto, ne aveva discusso con i suoi ministri, e i cambiamenti c'erano stati. Non immediati, non senza errori, ma erano state modifiche civili, corrette, senza che nessuno si facesse troppo male - Senza dover avere paura che non ci fosse modo di tornare indietro.
«Chissà perché non fanno tutti così.» Manon alzò lo sguardo al cielo. C'erano solo un paio di nuvole bianche. «Perché si deve sempre ricorrere alla violenza? Perché non si può discutere civilmente?»
Chilometri al di sotto delle nuvole, una manciata di centimetri sopra il suo naso, un'altra nuvola chiara attraversò il cielo.
«Perché è raro ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.» La voce di suo fratello si era fatta più bassa. «Dovresti saperlo.»
Manon non abbandonò il suo sorriso. Nascose le mani sotto le maniche ampie del vestito. Fosse mai che iniziassero a tremare.

*



Lei non era Abel. Quindi non c'era nessun motivo per cui dovesse pensarla come lui. La situazione in cui si trovava era perfetta: lì a Bruxelles era al sicuro - Era a casa sua, suo fratello maggiore vegliava su di lei e sul loro fratello minore. O meglio, Prussia vegliava su suo fratello minore - Insomma, Paesi Bassi si prendeva cura di loro e si assicurava che nessuno potesse far loro del male. Se lei e il suo popolo avevano delle rimostranze, le ascoltava e ne rendeva partecipe il suo re. Perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto quello? Abel l'aveva fatto, ma ciò non significava che lei necessitasse di fare altrettanto.
E poi, in quel caso, la situazione era diversa. Si stava parlando di Spagna. Era comprensibile essere in disaccordo con Spagna. Lei stessa, a volte, era in disaccordo con Spagna. Lei stessa, a volte, non apprezzava stare in presenza di Spagna.
Belgio fece una piroetta davanti allo specchio. Ci aveva messo un'ora a piegare i capelli in boccoli perfetti ed era soddisfatta del risultato. Sorrise al suo riflesso.
«Su, smettila di pensare a queste cose!» Agitò un dito contro la sé nello specchio. «Il tuo popolo può vantare una delle nazioni più carine e adorabili e diplomatiche che esistano, e tu ti incupisci così? Manon mia, sei davvero-»
La Manon nello specchio era impallidita. I suoi occhi sembravano quasi neri.
Il suo popolo. Non di Abel.
Il re di Abel. Non il suo.
Perché aveva continuato a ripeterselo, se non capiva neppure le sue stesse parole?
Lei non era Paesi Bassi.

*



«Abelletje.»
«Mh?»
Manon alzò lo sguardo dalla tazza di cioccolata. Abel era sulla poltrona, con la pipa.
«Cosa diresti se ti dicessi che voglio essere indipendente?»
Paesi Bassi portò la pipa alla bocca. Quando la scostò, lo sbuffo di fumo si artigliò alla finestra aperta. «Lo sei già stata. E sei durata un anno.» Inutile negare la realtà. «Ti è andata bene. Pensa se Frankrijk non fosse stato impegnato. Saresti diventata sua in mezza giornata.»
«Infatti meneer Frankrijk è arrivato pochi anni dopo, quando non ero indipendente.»
La pipa tornò alla bocca.
«Quindi, dato che il mio stato di indipendenza non influisce in alcun modo sulla possibilità che la mia casa venga invasa o che venga usata come campo di battaglia...»
Lo sbuffo di fumo parve più grande del solito. Forse aveva aspirato di più.
«E dato che tu per primo sei stato un grande promotore dell'individualità dei popoli e del loro diritto ad essere indipendenti secondo la propria natura e cultura...»
La pipa tornò alla bocca. Abel la scostò un istante dopo, lo sguardo sorpreso. Doveva essere finito il tabacco.
«Mi chiedevo se non fosse possibile, per me, chiederti di riconoscermi come nazione indipendente.»
«Ma perché quest'idea ora, così, a caso?»
Il fatto che non le avesse detto di sì non faceva presagire cose positive. Il fatto che non le avesse detto esplicitamente di no, tuttavia, offriva la meravigliosa possibilità di continuare a parlargli.
«Ti ho sempre ammirato molto, Abelletje.» Era vero, ma era anche un nient'affatto sottile complimento per adularlo. La verità sapeva essere uno strumento davvero potente! «Forse la tua influenza su di me è stata più forte di quanto io stessa pensassi.»
Abel sospirò. Era quasi strano non vedere sbuffi di fumo - La finestra aperta aveva già fatto diradare i precedenti. Paesi Bassi si alzò e la raggiunse al tavolo, ma non si sedette. Posò la mano a pochi centimetri dal piattino della sua tazza.
«Fatico a capire» esordì, piano: «come tu possa dire cose simili quando il tuo popolo è spaccato a metà. Noi abbiamo una cultura comune, una lingua comune.» Si abbassò appena, ma sempre alto rimase. «Non ti sembra assurdo parlarmi di unità del popolo quando il tuo è così diverso?»
«È proprio questo il punto!» Manon posò la tazza sul piattino. «Culture diverse, lingue diverse, eppure si sentono tutti parte della stessa nazione!» Si portò una mano al cuore. Il sorriso era più spontaneo che mai. «Non è meraviglioso, essere diversi e sentirsi uniti?»
Gli occhi di Abel erano incastonati nei suoi. Non era convinto, lo sapeva benissimo, ma non era neanche troppo dubbioso. Lo vide distogliere lo sguardo un istante, la mano sul tavolo andò tra i capelli, un gesto fatto puramente per prendere tempo. Si rialzò, e tornò ancora più alto.
«Se me lo dici tu mi fido, ma» Tornò a guardarla. «perché? Perché le Vlaanderen non vogliono venire da me e la Wallonië non brama di unirsi a Frankrijk?»
Ora, in effetti c'erano alcuni esponenti della Vallonia che avrebbero voluto unirsi alla Francia, e lei stessa, qualora si fosse scoperto che un meteorite fosse in picchiata sulla Terra e che solo sposando Francia avrebbe salvato il pianeta, si sarebbe immolata ma non era necessario che suo fratello lo sapesse. Anche se sarebbe stato senz'altro un caso scientifico interessante e dalla bizzarra consequenzialità causa-effetto.
«Mh...» Manon si portò un dito alle labbra. Non doveva pensarci davvero, ma faceva scena. Sorrise. «Cosa vuoi che ti dica? È così!»
Paesi Bassi non sembrava troppo convinto. La mano tornò al tavolo, le dita tamburellavano la superficie di legno. «Sai che non sarebbe scontato che io venga in tuo soccorso, in caso fossi in pericolo, vero?»
Belgio annuì. «Non l'hai fatto, quando meneer Oostenrijk è tornato.»
«Non ti chiederò perdono, per questo.»
«Lo so.» Continuava a sorridere, ma aveva abbassato lo sguardo. Tornò alla tazza. «Siamo nazioni, non umani.» Bevve un sorso. La cioccolata si era raffreddata, ma era buona lo stesso. «Però, sai...» Si pulì la bocca con il tovagliolo. «Non sei l'unica nazione a cui posso chiedere aiuto.»
«Non puoi sperare di sopravvivere solo chiedendo aiuto.» Le dita si fermarono. «Non ci sarà sempre qualcuno disposto ad aiutarti.»
«L'ho già ampiamente sperimentato, mijn lieve broer. E sai benissimo che non intendevo questo.» Tornò a guardarlo. Nonostante tutto, sembrava preoccupato. «Ma chiedere aiuto non è una cosa sbagliata. Se si facesse più affidamento sugli altri, sono certa ci sarebbe meno bisogno di chiedere aiuto in primo luogo.»
Un altro sospiro. Doveva proprio aver finito il tabacco, se non era già corso a riempire la pipa. «Dimmi un'ultima cosa.»
«Sì?»
«Non ti è bastato tutto quello che ti ho dato?» Una nota, minuscola, quasi impercettibile, strana da sentire, di esitazione. «Ho accolto le tue petizioni. Avete libertà di stampa, di parola e persino di opposizione. Hai chiesto, e sei stata esaudita. Dov'è il problema?»
Non avrebbe voluto sentirla, ma sapeva sarebbe successo. Era ovvio, comprensibile. «Niente che rientri nella tua sfera di possibilità, purtroppo.» Non era bello doverlo ammettere. Quasi se ne dispiaceva, in un modo irrazionale. «Sono felice tu mi abbia ascoltata. Davvero. Per favore, considerala la mia ultima richiesta, broer.» La voce era uscita più bassa, ma ferma. «Lasciami essere una nazione.»
Paesi Bassi si scostò dal tavolo. Raggiunse la credenza, aprì un'anta e prese altro tabacco. Riempì la pipa e andò alla finestra. Non rispose.
Il tabacco c'era ancora, allora. Manon finì la cioccolata. Abel non le aveva risposto - né le avrebbe risposto - ma non aveva voluto soffocarla in una nube grigia.

*



Manon si torse le dita. Avevano ragione, ma non poteva neppure dar torto all'altra parte.
«Possiamo trovare una soluzione.» esordì, piano. Diversi occhi umani si puntarono su di lei come una pioggia di spilli. «È vero.» Separò le mani, aprì appena le braccia. «I macchinari hanno sostituito molte persone. E-» si affrettò a dire: «è ingiusto che queste persone siano state licenziate.» Un mormorio di assenso si diffuse tra la piccola folla. «Dall'altro lato, la velocità delle macchine e il loro non dover essere stipendiate sono senza dubbio elementi che farebbero gola a chiunque.»
«Come se ne avessero bisogno!»
«Tolgono il lavoro alla gente onesta e aumentano il prezzo del cibo!»
«Vogliono affamarci!»
«Strozzini, ecco cosa sono!»
«Possiamo trovare un punto d'incontro.» Belgio alzò la voce. Il brusio si era fatto chiacchiericcio. «Il mondo cambia. Credetemi, so cosa significa vedere stravolta la propria esistenza.» Per quanto il vociare fosse tornato sussurro, nessuno la contestò. «Le macchine non sono infallibili.» Non che fosse esperta dei nuovi macchinari, ma una cosa di cui era certa era che niente fosse infallibile. «So che hanno bisogno di manutenzione. E sorveglianza. Non sappiamo di cos'altro possano aver bisogno, e potremmo inventare nuovi lavori!»
«E così diventeremmo servi delle macchine?»
«Perché dovremmo inventare nuovi lavori, se già ci sono?»
«Nuovi lavori che poi saranno rubati dalle macchine? No, grazie!»
«Dovremmo distruggerle, ecco cosa!»
«Per favore,» Qualcosa di pesante le premeva sul petto, il respiro usciva a fatica. Qualcosa non andava. «rimaniamo calmi. Non servirà a niente urlarci contro!»
«Mademoiselle Belgique, andate da vostro fratello e cercate di fargli cambiare idea!»
Manon scosse la testa. «Temo di non poterlo fare.» Era come se le stessero premendo una mano contro la bocca. «Le macchine sono preferibili a-»
«Dame België, non possiamo più continuare così!»
«Lo so!» Una fitta al petto. La mano trasalì, ma si costrinse a non muoverla. Doveva continuare a guardarli negli occhi, tutti quanti, uno per uno. «Dobbiamo trovare una soluzione che possa venire accettata. Le petizioni hanno avuto successo, la volta scorsa.» Stava iniziando ad ansimare, e questo era male. «Possiamo riprovarci. Raccoglierò le vostre lamentele e insieme studieremo-» La voce non uscì. Chiuse la bocca. Gli occhi iniziarono a bruciare.
«Mademoiselle Belgique!»
«Dame België!»
Lo sapeva che le macchine stavano venendo distrutte. Lo sapeva che c'erano sommosse ovunque. Ma c'era qualcosa che non andava - C'era qualcos'altro che non andava.
«Scioperare e distribuire volantini è stato un ottimo primo passo.» Sforzò la voce. Uscì un sussurro flebile, soffocato, patetico. «Sono fiera di voi. Di tutti voi!» Li abbracciò con lo sguardo. Le orecchie iniziarono a fischiare. «Vi prego...» Così forte da fare male. «So che siete arrabbiati, ma...» Le mani sobbalzarono. «Se proprio dovete sfogare la vostra rabbia, se secondo voi tutto questo è inutile...» I denti tremarono. Li serrò. Inspirò. «Solo gli oggetti. Colpite solo gli oggetti. Non fate del male alle persone, vi prego.» Non voleva più vedere campi di battaglia, non voleva più vivere ciò che aveva visto, non voleva più realizzare di non poter tornare indietro. «Dov'è...» La vista si stava offuscando. «... il re di broer
«Al Théâtre de la Monnaie, mademoiselle, ma-»
«Hanno riautorizzato La Muta di Portici, non ricordate?»
«Dame België, cosa vi sta succedendo?»
Voci ovattate. Una nebbia che bruciava gli occhi. Una pugnalata al centro del petto. «Non così...» Il fischio nelle orecchie le avrebbe ridotto la testa in poltiglia. «Non così, vi prego...» Le mani non bastarono a tenere lontano il fischio. «Possiamo parlare...»
"Non voglio vedere..."
«Cosa sta succedendo?»
"Non voglio vedere..."
«Oddio, quello è un incendio?»
"Non voglio vedere..."
«Cosa sono questi tamburi?»
"Non voglio vedere..."
«Stanno sparando!»
La nebbia cadde. Non potè non vedere. Il fischio nelle orecchie fu schiacciato da un suono che le spaccò la gola.

*



«Mi piacciono i colori del Brabant.» Manon approvò la proposta. Posò il viso sulle mani fasciate. «Sì, potremmo adottare quelli. Così nessuno penserà che vogliamo essere annessi a monsieur France
Anche gli altri accolsero la proposta con un mormorio di assenso. Lucilin le scoccò un'occhiata preoccupata. Si sarebbe proprio dovuto concentrare di più sulla riunione e meno su di lei.
«E poi, mi sembra giusto onorare il luogo da cui tutto è partito!» Belgio allargò il suo sorriso - Per quanto il taglio sulla guancia ancora tirasse un po'. «Oh!» Indicò il disegno. «Magari magari magari possiamo farla come il Tricolore francese~?» Fece scivolare le mani da sotto il viso e le mise dritte davanti a sé. «Cioè, in verticale?»
«È un'ottima idea!»
«È anche opposta rispetto alla bandiera olandese!»
«Mh-mh!» Belgio annuì. Era per quello che l'aveva proposto.
«Per ora teniamola così!»
«Sì, questi colori vanno benissimo!»
«Nel caso li cambiamo un po' di posto, ma sempre così rimarranno!»
«Scelgo come miei colori il rosso, il giallo e il nero.» Rimirò il disegno, ora ruotato. «Tre colori diversissimi, ma con lo stesso spazio sulla bandiera.» Battè le mani. «Spero possa portarci buona fortuna.»
Al suo fianco, Lussemburgo sospirò. Finalmente guardava il disegno. «Sì, Schwëster. Lo spero davvero.»

*



Mijn geachte broer,
Non posso nasconderti il mio dispiacere, il mio stupore e il mio sdegno per tutto ciò che è successo.


Come si era arrivati a quel punto, nel giro di pochi mesi?

Avevo una buona opinione del tuo re, ma il trattamento che ci è stato riservato ieri mi ha molto turbata. Non credevo che i nostri popoli fossero in rapporti tanto amari.

Faceva merenda insieme a suo fratello, fino a pochi mesi prima. Ora il re di suo fratello le parlava quasi con disprezzo, la folla che si era raccolta fuori dal palazzo dell'Aia l'aveva inquietata come poche cose l'avevano turbata nella sua vita centenaria. Sembrava che qualcuno avesse tolto un sassolino minuscolo, salvo accorgersi di aver scatenato una frana.

Non credevo che una semplice bandiera potesse offenderlo al punto da minacciare di invadere la mia casa con il suo esercito.

Ovvio non fossero state tre strisce ad averlo spinto a prendere una decisione simile. Forse stava solo aspettando il momento giusto per fare qualcosa che avrebbe voluto fare da tempo - Da quando aveva deciso di essere stanco di ascoltarli.

Ti ripeto ciò che ho già detto al tuo re. Non cambierò la mia bandiera. Non riprenderò la tua. Perché io non sono te, Abel.

Un rumore. Alzò gli occhi di scatto. Dovevano essere già arrivati. Si alzò e andò alla finestra. Bruxelles era costellata di barricate improvvisate. Dovevano essere rimasti tutti svegli, in attesa, o incapaci di prendere sonno. Lentamente, senza staccare gli occhi dalla linea dell'orizzonte, Manon si abbassò a prendere il moschetto.
Però...
Però gli uomini a cavallo erano molti, molti di meno di quanti ne avesse previsti. Individuò il re. Al suo fianco, una figura imponente.
Manon sentì le labbra tirare. Forse era merito della delegazione notturna. Forse il re aveva semplicemente cambiato idea. O forse qualcun altro aveva interceduto per lei, per il suo popolo, con il proprio re.

Voglio pensare che Belgique e Nederland possano avere bandiere diverse, lingue diverse e nomi diversi e continuare a volersi bene. Posso pensarlo, broer?

*



Manon si passò il dorso della mano sul viso. Non un'idea geniale cercare di togliere del fango con una mano sporca di fango. Sbuffò. Aveva il terrore di vedere in che stato fossero i suoi capelli. Forse sarebbe dovuta rimanere con le altre donne e attaccare dall'alto. Scosse la testa. Finché dal cielo fossero piovuti solo mobili, non avrebbero aperto il fuoco contro le finestre. Sospirò. Avere un'esperienza quasi centenaria delle armi da fuoco aveva i suoi risvolti negativi. Tipo il doverle usare.
Si fermò. C'era una nazione, alle sue spalle, e di certo non era Lucilin. Si voltò.
«Manon.»
«Salut, broer.» Sorrise. Ma era certa che il sorriso non fosse arrivato agli occhi. «Se riesci a riconoscermi, vuol dire che non sono così malridotta.»
«Come se dovessi faticare, per riconoscerti.» Paesi Bassi si avvicinò. Belgio non si mosse. «Ce ne stiamo andando.»
Sentì il sorriso farsi più ampio. «L'avevo capito dal silenzio.» E la voce farsi più gelida. «Mi deludi, mijn geachte broer. È questo l'esercito che ha sconfitto imperi e conquistato colonie? Sono bastati dei vasi da notte per mettervi in fuga?»
«Il tuo popolo sa come essere deciso. E i vasi da notte fanno male, sai?» Era nel suo stesso, discutibile stato. Avrebbe osato dire un po' meglio, dato che notava più colori di quanti se ne vedesse addosso lei stessa. La quantità di fango era più o meno la stessa, però - Ed era ragionevolmente sicura fosse fango, sia perché era in possesso di un naso funzionante, sia perché aveva abbastanza fiducia in suo fratello da pensare che non le si sarebbe presentato di fronte dopo un tragico incontro con un vaso da notte con sorpresa.
Serrò le labbra, a soffocare una risata al pensiero. Avrebbe voluto ridacchiare, in realtà. Era una cosa stupida e infantile, ma avrebbe voluto farlo.
Però, l'aveva detto, suo fratello era nel suo stesso, discutibile stato. Nonostante l'oscurità della notte, poteva individuare lividi violacei e tagli rossastri anche troppo simili ai suoi. Non erano tutti opera di armi, ovviamente. Era quasi assurdo pensare che, in quel momento, anche il popolo di suo fratello stesse risentendo di tutto quello che stava succedendo.
Belgio sospirò. Se anche avesse riso, non avrebbe contagiato gli occhi o il cuore. «Con tutto il rispetto, broer...» Però il suo sorriso era rimasto, immutato, gelido. «Se sei venuto solo ad informarmi della tua partenza, devo gentilmente chiederti di andartene. Al momento, non gradisco la tua presenza.»
«Non te la imporrò oltre.» Paesi Bassi non distolse lo sguardo. Era nel suo stesso stato, l'aveva detto e ridetto. E non lo era solo a livello fisico. Capì che avrebbe voluto sorridere, ma che non ci riusciva. «È strano.»
Belgio piegò appena la testa di lato, un invito a proseguire.
«I ruoli si sono invertiti.» Capì anche che, in realtà, suo fratello avrebbe voluto imporgliela, la sua presenza, ma non con il ruolo che ricopriva in quel momento. Non parlava piano, né esitava, ma capì che stava scegliendo quali parole usare, e che non stava avendo troppo successo. «Ora sono io ad introdurmi di nascosto nel tuo campo per poterti parlare.»
Già. Che ironia poco piacevole. Belgio riportò la testa dritta. «Però una cosa è rimasta.»
Paesi Bassi le scoccò uno sguardo interrogativo.
Belgio si portò una mano al petto. Continuò a sorridere. «Odio i campi di battaglia. Odio combattere con le armi. Odio che tu mi costringa a vedere cose del genere.»
L'espressione di suo fratello si indurì. «È stato il tuo popolo a-»
«Cosa? Invadermi da sola? Guardare i miei stessi delegati come insetti fastidiosi? O non riuscire a chiudere occhio perché il mio stesso re potrebbe spuntare da un momento all'altro sotto la mia casa soltanto perché ho osato fargli delle domande a cui prima ha sempre accettato di rispondere?» I denti erano troppo stretti. Non sentiva più il sorriso. «Guarda, broer. Guarda cosa sta facendo, il tuo re. Sta facendo esattamente ciò che tu rinfacciavi a qualcun altro.»
Un lampo freddo in quegli occhi chiari. «Non osare paragonare il mio re a-»
«Non vuole più ascoltare!»
Abel tacque. Manon fece un passo avanti. «E tu, broer? Tu ti sei stancato di ascoltare le continue lamentele della tua petite soeur? Ti sei stancato di rimediare ai problemi che ti faccio presenti? Se ti sei così stancato, perché non mi lasci andare e basta?»
«E perché dobbiamo dividerci?»
Manon trasalì. La voce di suo fratello era più alta. «Siamo di nuovo insieme, dopo tutti questi anni. Dopo tutto quello che ci ha fatto passare lui
Non disse niente. Lei non provava gli stessi sentimenti di suo fratello, nei confronti di quella persona. Non poteva dargli ragione, ma non poteva neppure dargli torto. I ruoli si erano invertiti, ma era certa che il risultato sarebbe stato lo stesso.
«E c'è anche Lucilin. Siamo noi tre, ognuno con la propria casa, il proprio nome, la propria...» La squadrò. «Le proprie lingue. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, per farti stare bene.» Non stava capendo. O forse stava capendo, e la cosa non gli piaceva. «Sei libera, come non lo sei mai stata. Perché hai deciso di arrivare a questo?» Aprì un braccio. Barricate. Fumo scuro che si alzava verso il cielo. Porte sbarrate. Finestre rotte. Non li vedeva, ma dovevano esserci svariati proiettili, nel fango.
Oppure, ancora peggio, stava rivedendo qualcosa che pensava non avrebbe mai più rivisto, ed era stata lei a costringerlo a riviverlo, in un ruolo che non pensava avrebbe mai ricoperto.
Non voleva si arrivasse a questo. Non voleva che qualcuno - tantomeno loro - soffrisse. Ecco perché voleva parlare. Ecco perché era felice che suo fratello la ascoltasse.
"Perché ho deciso di arrivare a questo, broer?"
Gli occhi pizzicarono. Scosse la testa. «Belgique non ha deciso un bel niente.» Serrò i pugni. «Belgique vuole una tazza di cioccolata calda. E un bel vestito, magari rosso, perché il rosso le sta bene. Di quelli dell'ultima moda di Paris. E vuole lavarsi i capelli, e farsi i boccoli, e mettersi un bonnet. E vuole passeggiare per la sua casa, e vedere tutti felici. E vuole farlo insieme ai suoi fratelli.» La gola era riarsa. «Però... Belgique vuole essere Belgique. Vuole poter avere la possibilità di risolvere da sola i propri problemi. Vuole non doverli delegare a qualcun altro, e dipendere dalla sua decisione. Vuole anche avere l'occasione di crearseli da sola, i problemi, sai?» Le labbra si piegarono di nuovo. Stavolta non dovette forzarle. «Te l'ho detto, Abelletje. België non è Nederland. E temo questa sia una cosa che non potrà mai cambiare.»
Lo sguardo di Paesi Bassi rimase su di lei. Nessuna voce spezzò quel silenzio. Alla fine, Abel sospirò. Portò una mano alla tasca, salvo afferrare il nulla. Ovvio non avesse la pipa con sé.
«Quanto ti sta costando, tutto questo?»
Manon soffocò una risata. «Broer, non puoi pensare sempre a-»
«Hai capito cosa intendo.» La sua voce era un blocco di granito.
Manon lasciò andare la risata. Non rispose. Ringraziò il buio della notte.

Mijn lieve broer,
C'erano tante cose che non volevo vedere. A quanto pare, però, è giunto il momento che io le veda. Che si tratti di un campo di battaglia o del mio riflesso nello specchio, ho capito di non poter più scappare. Avrei davvero voluto capirlo in modo meno brutale. Ora non posso far altro che affrontarli, e dall'altro lato della barricata ci sei di nuovo tu.
Forse anche questo sarà un obiettivo effimero. Però c'è il mio popolo ad accompagnarmi. E io mi fido di tutti loro. Se loro condividono il mio obiettivo, se anche si rivelasse effimero, non rimpiangerò un solo istante di averlo perseguito.
Spero di rivederti presto, Abelletje.
Tua Manon, Belgique, België


*



Manon guardò la pila di lettere davanti a sé. Forse quelle le avrebbe inviate, in futuro. Oppure le avrebbe consegnate a mano ai diretti interessati - Ma poteva giurare di averle scritte il quattro Ottobre Milleottocentotrenta!
Ce n'era una per Romano, ovviamente, e una per Monaco. Una per l'adorabile Liechtenstein, una per Cechia. Ce n'erano anche per Ungheria, Ucraina e Bielorussia, ma quelle erano le lettere che di certo non avrebbe inviato.
Erzsébet le aveva fatto sapere che meneer Oostenrijk era assolutamente contro gli ultimi eventi avvenuti a casa sua. Poco dopo, era arrivata anche una lettera da parte dello stesso monsieur Autriche. Manon ridacchiò al ricordo. Ovvio che lui non sarebbe stato d'accordo con una cosa del genere.
Anche Kateryna le aveva inviato una lettera con largo anticipo. Si complimentava con lei, con la sua solita, materna gentilezza, ma l'aveva avvertita che suo fratello non l'avrebbe mai riconosciuta e che, anzi, le sarebbe stato ostile. Così era stato.

Infine, molto più diretto, Lucilin l'aveva abbracciata forte e, una volta vicino, le aveva sussurrato una cosa inquietante, per quanto scontata.
«Här Preisen ritiene che ci siano già stati abbastanza cambiamenti indesiderati, in Europa. Non credo rimarrà a guardare.»
Le era sfuggito un sorriso più simile ad uno sbuffo. «E dire che era così entusiasta, qualche decennio fa!»
«Qualche decennio fa le cose stavano diversamente. Aveva ancora un fratello.»
Manon aveva annuito. Da quando Sacro Romano Impero era morto, il signor Prussia era diventato molto più aggressivo. Il fatto che Lussemburgo fosse un suo possedimento, ora ufficialmente minacciato dal suo nuovo stato, e il fatto che Sacro Romano Impero fosse morto lì, a casa sua, doveva rendergli Belgio poco simpatica sia come nazione che come persona.
«Suppongo tu non possa farci nulla.»
«Non ho il minimo potere su Här Preisen.» Lucilin l'aveva detto con voce piatta e sguardo a mezz'asta. «Non sono neanche del tutto sicuro abbia realizzato la presenza di una nazione nella roccaforte che gli piace tanto.»
«Uhm...» Belgio aveva roteato gli occhi ed evitato il suo sguardo.

C'erano altre due nazioni a cui avrebbe voluto inviare la lettera. Una era una nazione che non vedeva da tanto tempo, e che forse non sarebbe neppure stata troppo felice di ricevere un simile fiume di parole.
Manon sapeva che Antonio era ancora vivo. In che stato, invece, non lo sapeva. Se la sua ora fosse vicina, neppure. Le era giunta voce che le colonie americane stavano ottenendo l'indipendenza, fargli avere la sua lettera sarebbe potuto essere solo l'ennesimo cambiamento o uno schiaffo a mano aperta.
Non odiava Spagna, nonostante tutto. C'erano così tante persone che lo odiavano che aveva iniziato a pensare non fosse normale non provare alcun sentimento negativo nei suoi confronti. Ci aveva provato. Si era sforzata. Aveva anche cercato di scindere Antonio e Spagna nella sua mente, nel tentativo di riversare tutte le sue emozioni negative su di uno piuttosto che su un altro. Ma non aveva funzionato. Non funzionava così, con le nazioni. Antonio e Spagna erano la stessa persona, così come Manon, Belgique e België.
Era anormale, contro natura non odiare qualcuno. Pur chiamandola "Dame" o "Mademoiselle", pur rivolgendolesi nel modo più formale che conoscessero, c'erano state delle persone che le avevano detto di smetterla di sorridere, di smetterla di "cercare di essere buona", di cercare di voler parlare anche se avrebbe potuto centrare un nemico a metri di distanza senza alcuno sforzo.
Però non si sarebbe costretta ad odiare qualcuno. Se mai avesse odiato qualcuno, l'avrebbe odiato perché un'emozione non è controllabile, né lo sarebbe mai stata. Che continuassero a darle della stupida o dell'inquietante. Le emozioni non funzionavano così, ed era certa che questo valesse anche per gli esseri umani. Era sicura che Lovino sarebbe stato d'accordo con lei.
La seconda nazione... Prese la lettera in cima alla pila. Sorrise. Piuttosto che inviare la lettera, aveva direttamente invitato quella persona. Non ci avrebbe messo molto ad arrivare, ed era sicura di poter conquistare il suo appoggio. Avrebbe solo dovuto distoglierlo dal più ovvio dei pensieri.

Sono lieta di annunciare che oggi, Quattro Ottobre Milleottocentotrenta,
io, Belgique, België, proclamo la mia indipendenza.


Accanto alla pila di lettere, una serie di foglietti più piccoli, scritti con meno eleganza e più di getto.

SPERO STAVOLTA SIA LA VOLTA BUONA AUGURAMI BUONA FORTUNA ٩(ↀؤↀ)۶

.

Note:
* Il titolo significa «Gli iris, la gaillardia, il papavero», rispettivamente in metà francese metà olandese, francese e olandese. (Almeno, l'idea è questa, se poi la grammatica è troppo fantasiosa, plz ditemelo-)
Si tratta dei fiori simboli (non) ufficiali di Bruxelles, della Vallonia e delle Fiandre, le tre regioni in cui è diviso il Belgio. [0]
* Salvo un paio di eccezioni, Manon parla in olandese con Abel e, poi, in francese con Francis. Il motivo per cui ho messo parole/frasi in olandese/francese anche quando lo sta effettivamente parlando è che fa scena. (!)
* «zus», «schwëster»: "Sorella", in olandese e in lussemburghese
«meneer», «här»: "Signore", in olandese e in lussemburghese
«mijn lieve broer»: "Mio caro fratello" (informale)
«mijn geachte broer»: "Mio caro fratello" (formale, letteralmente "geachte" vuol dire "stimato")
(Almeno, questo è ciò che dicono ricerche online. Non so niente né di olandese né di lussemburghese, quindi avvisatemi se ho scritto boiate!)
* «Scelgo come miei colori il rosso, il giallo e il nero.»: Tratto dalla Costituzione belga: "La nazione belga adotta il rosso, il giallo e il nero come suoi colori".
* Forse si sarà capito, ma lo dico lo stesso, "Kateryna" è Ucraina.
Note storiche:
* Fare una nota sulla Storia dell'indipendenza del Belgio implicherebbe scrivere altri sette capitoli, quindi facciamo che vi lascio i link: [Storia del Belgio], [Paesi Bassi del Sud], [Rivoluzione belga], [Trattato dei XVIII articoli], [Campagna dei dieci giorni], [Assedio di Anversa (1832)], [Trattato dei XXIV articoli].
* Il 1789 è famoso per essere la data dell'inizio della rivoluzione francese. Nel frattempo, ad Ottobre, in Belgio scoppiava la "Rivoluzione del Brabante", così chiamata perché si originò dalla regione del Brabante (ora divisa tra Paesi Bassi e Belgio).
L'Austria cercò di soffocare la rivolta, ma era pressata da svariati altri problemi - Oltre alla questione di Maria Antonietta, era in guerra con l'Impero Ottomano dall'anno prima (Guerra austro-turca), proprio in quei giorni era impegnata in un assedio (Assedio di Belgrado) e aveva la Prussia pronta a fare scherzoni.
Approfittando di tutto ciò, l'11 Gennaio 1790 i rivoluzionari del Brabante proclamarono gli Stati Belgi Uniti - Sì, si erano ispirati agli Stati Uniti d'America sia per il nome che per la Costituzione. Si potrebbe pensare che i problemi sarebbero potuti nascere dal fatto che le due fazioni principali, essenzialmente rivoluzionari e moderati, fossero prossimi alla guerra civile, ma l'Austria si riprese e il nuovo imperatore - Il precedente era defunto, perché l'Austria non aveva già abbastanza a cui pensare - si premurò di dedicarsi alla province in rivolta - Proponendo un'amnistia a chi si fosse arreso, e gli stessi belgi non avevano granché voglia di opporsi - e il 2 Dicembre 1790 gli Stati Belgi Uniti tornarono Paesi Bassi austriaci.
(In tutto questo, gli Stati Belgi Uniti si erano detti che forse avrebbero potuto trovare alleati, ché non erano certissimi che l'Austria sarebbe stata impegnata per sempre. L'Olanda non si mostrò interessata, al contrario della Prussia, che voleva tanto fare gli scherzoni di cui sopra, ma l'Inghilterra le disse PLZ NO e quindi ritirò quel manipolo di truppe di supporto che aveva mandato. La Francia, ovviamente, era molto impegnata.
Ironico notare come, quarant'anni dopo, sarà la Prussia ad opporsi all'indipendenza del Belgio e l'Inghilterra a sostenerla.)
La storia degli Stati Belgi Uniti durò poco, ma pare servì a far nascere nelle menti del popolo l'idea di un Belgio libero. [1, 2, 3, 4, 5]
* Quando venne il momento di risistemare l'Europa dopo il passaggio di Napoleone, le grandi potenze dell'epoca giocarono a monopoli per bilanciare i territori. Così, dato che l'Austria riteneva i Paesi Bassi austriaci (Belgio e Lussemburgo) troppo lontani da casa, cedette il Belgio ai Paesi Bassi E Basta, in cambio del Lombardo-Veneto (Questo il riferimento al fatto che "ci è andata di mezzo la casa del fratello di Lovino"). I Paesi Bassi, di contro, avevano dovuto cedere Ceylon (Sri Lanka) e Colonia del Capo (il Sudafrica) all'Inghilterra, perché sennò pareva brutto. Infine, dato che i Paesi Bassi avevano dovuto cedere alla Prussia dei territori tedeschi, il re ottenne anche il Lussemburgo a titolo personale.
* Guglielmo I, re dei Paesi Bassi e Granduca di Lussemburgo, è stato un sovrano che ci ha provato tantissimo ad essere illuminato, ma non aveva considerato che rendere tutto olandese e protestante in un regno metà francese e cattolico non fosse un'ottima idea.
* Un fatto particolare degli eventi che portarono all'indipendenza del Belgio fu "l'unione delle opposizioni": ovviamente, c'erano millemila correnti di pensiero, ma i rappresentanti decisero di raccogliere tutte le loro rimostranze in un'unica lista, per poi ricorrere anche alle petizioni e alla possibilità di poter usufruire della libertà di stampa.
(Non sono proprio sicurissimissima che per "petizioni" si intenda la versione ottocentesca di change.org con interviste alla popolazione, MA vabbè, qui è così perché sì. (!))
Sembra che a questa unità vada il merito della rapidità della rivoluzione belga e della velocità con cui fu scritta la nuova Costituzione. [0]
* «La muta di Portici» è un'opera lirica in francese che parla della rivolta di Masaniello, napoletano che nel 1647 si ribellò al governatore spagnolo.
Stranamente, quest'opera ebbe un grande impatto sul desiderio di indipendenza dei belgi. Dato che il governo era riuscito a fare 2+2, ne aveva proibito la rappresentazione per un certo periodo (ben un mese), salvo poi cambiare idea; il 25 Agosto quest'opera andò in scena a Bruxelles, con un francese ad interpretare il protagonista. Ironicamente, lo spettacolo era in onore del compleanno di Guglielmo I. Non finì bene. [1, 2]
* Nonostante il Lussemburgo sia parte del Benelux, in realtà è di cultura germanica e la stessa lingua lussemburghese prende dal tedesco. Per tutta una serie di motivi, si ritrovò la Prussia a fargli da guardia, e con la Prussia e la Germania ebbe anche importanti legami commerciali. Purtroppo non ho trovato nessuna informazione circa l'opinione dei lussemburghesi sulla Prussia, quindi sono andata un po' in stile Liechtenstein e Svizzera-
Ottenne l'indipendenza dai Paesi Bassi nel 1839 e dalla Confederazione germanica nel 1867. Perché teoricamente era parte della Confederazione germanica ma, causa Beautiful di parentele, il suo sovrano era il sovrano dei Paesi Bassi. [1, 2, 3, 4]
* Le guerre napoleoniche portarono la Spagna al collasso, tanto da renderle impossibile il mantenimento della quasi totalità delle colonie americane.
* In Italia, l'Ottocento è stato un secolo di tumulti. I primi moti rivoluzionari che portarono poi al Risorgimento iniziarono nel 1820.
Caso ha voluto che, proprio nel 1831, anche in Italia nacque (e in due mesi morì) un gruppo di province pseudoindipendenti, con il nome di Province Unite Italiane. Comprendeva i ducati di Parma e Modena, e avevano cercato di distaccarsi dallo Stato Pontificio. [1, 2, 3]


Ciao! ☆
Qualche giorno fa è capitato che, per Motivi, Amykettah1 si mettesse a studiare elementi della cultura belga, forte anche dei racconti di Amykettah2 in Erasmus in quel di Gand. Dato che è da Quel Dì che mi sarebbe piaciuto scrivere qualcosa su Belgio, mi sono seduta e, per ragioni non ben esplorate, sono finita a leggere della sua indipendenza dai Paesi Bassi e il risultato è questARGH-

Gli eventi sono trattati molto alla larga, tutto è molto riassunto, come già detto è più una sequenza disorganica di pseudoflash che altro - E sono due capitoli solo perché sono grafomane, l'idea era una oneshot, piccola, calma e tranquilla- *Ma Soe deve imparare che, quando scrive storiche, NON DEVE FARE SPIEGONI STORICI O SEGUIRE PEDISSEQUAMENTE TAPPA PER TAPPA* Le parti più pesanti sono volutamente solo accennate: non voglio mancare di rispetto, e spero di non averlo fatto, a nessuna delle popolazioni delle nazioni coinvolte.

È la prima volta che muovo Belgio come personaggio principale e Paesi Bassi (Da quando ho scoperto che l'Olanda è una regione non riesco più a dire "Olanda" per indicare il paese) come personaggio secondario con abbastanza screentime, quindi non so se siano usciti bene - Soprattutto perché di solito appaiono poco, io non sono mai stata né in Belgio né nei Paesi Bassi, e le mie conoscenze sui due Paesi derivano tutte da fonti esterne.

Insomma, è tutto molto sperimentale, e avrei potuto scrivere del Tomorrowland, della Bloemencorso o di una sera che Nederlando fa provare alla sorellina la space cake, e invece no. ( ・◇・)

Non ho altro da aggiungere, se non che spero sia uscito qualcosa di almeno decente. Fatemi sapere se ci sono errori di qualsiasi tipo! ( ;°Д°)
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Soe Mame