Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Tomoe_Akatsuki    13/05/2022    0 recensioni
Un valzer.
Un semplice valzer.
Che per loro sarebbe stato il primo e l'ultimo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tra loro non c'era un contatto fisico diretto. D'altronde, non era permesso avere un millimetro di pelle scoperta.
Gli abiti erano a collo alto, le mani coperte da guanti, i volti da maschere. Coperte erano perfino le orecchie, con abili acconciature o decorazioni delle maschere con quell'apposito scopo.
In pratica, tutte quelle caratteristiche che avrebbero reso riconoscibile una persona erano nascoste, mascherate, poiché le regole di quel ballo erano poche e precise:
Si può partecipare una volta sola nella propria vita;
Il proprio partner non deve avere modo di ricontattarti nella realtà;
Il colore del proprio abito è in base al colore che ti rappresenta oppure il tuo colore preferito, - questo sta alla tua scelta -;
I bambini hanno le maschere bianche, i più vecchi argentate, i giovani dorate.
  Al di fuori di chi organizzava questo ballo - che si svolgeva ogni sei mesi - nessuno conosceva lo scopo di queste regole - e chi lo organizzava era anonimo quanto lo dovevano essere i ballerini, se non maggiormente.
  La scelta del partner era totalmente casuale - per i ballerini, non per gli uomini camaleonte. Dietro ad ogni loro movimento c'era una spiegazione molto spesso non coglibile -. Gli uomini dai vestiti cangianti, che si mimetizzavano con la sala, guidavano i ballerini fuori dal camerino, in cui avevano indossato gli abiti e le maschere con il loro aiuto, e li conducevano nel salone, che racchiudeva gli stili architettonici a partire dal gotico fino all'art noveau, lasciandoli davanti ad una persona qualunque. Capitava a volte che un bambino ballasse con un vecchio, suscitando una scena comica, dato che il bambino era tenuto in braccio. Ma le coppie più frequenti erano tra maschere dorate, di quel colore appunto perché erano nell'età dell'oro della loro vita.
  Il sesso non aveva importanza. Maschio e femmina, maschio e maschio, femmina e femmina.
  Lui era stato condotto di fronte ad una ragazza alquanto anonima - come lo erano tutti d'altronde.
L'uomo camaleonte depose la sua mano, che fino a qualche minuto prima era afferrata al suo braccio, nella mano della fanciulla, guidata nello stesso identico movimento dall'uomo camaleonte che l'accompagnava. Poi gli accompagnatori erano spariti, mentre i due si studiavano curiosi attraverso le maschere.
Lui indossava morbidi guanti di seta nera, lei duri guanti di cuoio grigio, dello stesso colore del suo vestito.
Delicatamente, lui la trasse a sé, e lei assecondò i suoi movimenti, quasi con curiosità, lasciandogli poggiare una mano sul proprio fianco e poggiando a sua volta l'altra mano sulla sua spalla.
Nelle fessure delle maschere dorate, per un attimo entrambi riuscirono a vedere gli occhi dell'altro. Entrambi scuri, quelli di lui più tendenti al grigio, mentre quelli di lei più color ambra.
Lui accennò a fare un passo e lei lo seguì.
La musica c'era ma allo stesso tempo non c'era. Ogni coppia aveva una musica diversa di diversa lunghezza, che sentivano solo loro. Nella sala non c'era nessuna orchestra, nessun dispositivo che emettesse un suono.
Eppure entrambi avevano sentito la prima nota e contemporaneamente avevano fatto il primo passo. E poi il secondo, e poi il terzo, e così via, finendo nel turbinio di vestiti, passi e sguardi, dialogando con essi.
Sguardi poiché non si poteva parlare durante il ballo - per sicurezza, ad ogni ballerino veniva somministrata una bevanda che addormentava le corde vocali, non permettendo di emettere un singolo suono. La quantità somministrata era sempre quella giusta, facendo in modo che quando i ballerini uscivano dai camerini alla fine del ballo gli ritornasse l'uso della parola.
  Lei indossava un vestito grigio, colore ottenuto con due quantità identiche di bianco e nero, che ricordava la neutralità.
Lui invece era vestito del nero più scuro che esistesse, più scuro della notte stessa, degli abissi più profondi. Il nero della morte.
I suoi capelli erano dello stesso identico colore, talmente scuri che sembravano parte del vestito. Quelli di lei invece erano come i suoi occhi, castani, con delle sfumature chiare, a tratti bionde. Una singola ciocca era scappata dall'elaborata acconciatura, rivelando la loro vera natura: un riccio ribelle e irregolare.
A lui scappò un sorriso nel notare quel dettaglio.  Questo ovviamente non gli avrebbe permesso di riconoscerla al di fuori di quella stanza, ma non gli importava. Voleva godersi il momento, non avendo idea di quanto sarebbe durato. Minuti, ore, forse giorni. Poteva durare anche mesi e ai ballerini sembravano minuti, perché il tempo era soggettivo e diverso per ogni coppia.
  Volteggiavano, su un valzer piuttosto veloce per i canoni normali, ma che per loro due era perfetto. Non erano tipi da lentezze o cose smeliose. Anzi, erano piuttosto concreti e sbrigativi. Pochi fronzoli e giri di parole, come dimostravano i loro vestiti semplici eppure eleganti, senza decorazioni superflue.
  Lei era accondiscende ad ogni richiesta di lui. Lo lasciava avvicinarsi, allontanarsi, farla piroettare, affiancarla, darle le spalle, ritornare da lei, andarsene. Perché i passi non esistevano, non erano quelli fissi di un valzer canonico. Erano quelli improvvisati, quelli che sentivi dentro, e tu dovevi solo seguirli. Ed era un caso raro che non fossero gli stessi del proprio partner.
In rari momenti lui le lasciava il comando, ma poi ci ripensava perché da un valzer ogni volta sembrava trasformarsi in una mazurka, con passi più veloci, più complicati. E allora la riagguantava per la vita e la tirava vicino a sé, guardandola dritto negli occhi, mentre la obbligava a passi più piccoli che diminuivano di velocità poco alla volta, tramutandosi quasi in un dondolio. E provava una voglia irresistibile di ridere, come la sua compagnia d'altronde. Glielo leggeva negli occhi divertiti e dalla sua mossa successiva.
Lei gli si avvicinava di più, i corpi aderenti uno all'altro, sentendo solo in quel momento un vero contatto, una vera vicinanza.
  Se i suoi occhi non si ingannavano, ogni volta vedeva leggermente gli angoli della bocca della maschera di lei curvarsi all'insù, e lui aveva la sensazione che lo facesse anche la sua di maschera.
Poi le si allontanava di mezzo passo indietro, quasi come se si rendesse conto di avere esagerato, la sua maschera tornava normale, impassibile, e lei abbassava lo sguardo per un attimo. Lui avrebbe voluto dirlo che non era sbagliato quello che faceva, e il panico prendeva il sopravvento per un attimo, fino a quando non rincontrava lo sguardo di lei.
E lì tornavano all'inizio, come se le loro mani fossero appena state congiunte, in quella stretta che non veniva mai sciolta, perché farlo avrebbe voluto dire concludere quel ballo, uscire da quella stanza, concludere tutto, concludere quell'esperienza che capitava una volta sola nella vita.
  In un certo senso si stavano conoscendo anche così, senza bisogno di parole.
Lui aveva capito che lei era impulsiva e ribelle, non si fermava troppo a ragionare, seguiva il proprio istinto, noncurante del risultato. Aveva ipotizzato che il grigio - simbolo di neutralità - stesse per questo sua caratterista.
Lei invece aveva capito che lui era calcolatore, calcolava tutte le possibilità a velocità impressionante, rigido, quasi come se fosse bloccato da delle catene. Aveva ipotizzato che il nero fosse proprio per questo, la gabbia in cui si trovava.
Lo capiva, in parte. Era uno dei motivi per cui aveva scelto il grigio come colore. La componente nera del colore era la gabbia, le catene che la trattenevano; la componente bianca il suo essere ribelle. Per metà era nella fossa, per metà era fuori.
Allungò una mano - non quella che era stata guidata dall'uomo camaleonte, ma l'altra - verso il volto di lui, poggiandone il dorso contro la sua maschera, piegando leggermente la testa di lato, senza smettere di ballare.
Lui fu confuso a quel gesto, glielo lesse negli occhi. Non l'aveva previsto.
Ma lei non allontanò la mano dal suo volto, anzi, la voltò, poggiando il palmo contro la fredda maschera dorata.
Gli occhi di lui si dilatarono dalla sorpresa. Poi poggiò la guancia della maschera contro la mano di lei, rendendo concreto quel contatto che prima era talmente leggero da essere praticamente astratto.
Sentì gli occhi inumidirsi e sorrise, il più sincero dei sorrisi che aveva fatto da quando era entrato in quella sala - e quelli precedenti non erano per niente falsi.
Lui la vide sorridere molto chiaramente, felice anche lei.
La prese per il fianco e la tirò a sé, vicina, molto vicina. E posò il capo sulla spalla di lei. Era più alto di una testa, ma non se ne fece un problema.
Si rifugiò nell'incavo della sua spalla, provando un senso di sicurezza, di protezione. Non voleva più abbandonarlo.
Lei sapeva di foresta e selvaggio. Lui di ricchezza e accuratezza.
Ma stavano bene insieme, così, in quella posizione, coccolati da un lieve dondolio, quasi impercettibile.
Dopo un tempo indefinito, lui alzò il capo. Ci fu solo uno sguardo tra loro due.
E lei lo trascinò, in una danza pazza, una danza fuori dalle righe, fuori dagli schemi, mentre rideva. E anche lui rideva.
Non sapevano in realtà se stavano ridendo veramente, emettendo un suono, oppure silenziosamente. Ma erano certi di starsi divertendo come due pazzi, tanto da sembrare scemi.
Tenendolo sempre per mano, corse, saltò, lo trascinò per la sala.E lui lo lasciava fare, fin troppo divertito, mentre gli mancava il fiato dalle risate.
Il momento di follia finì, come finiscono tutte le cose. E entrambi avvertirono che la fine si stava avvicinando. La fine del loro ballo, che gli avrebbe portati alla realtà, nuovamente, con ben poca felicità.
Un improvviso velo di tristezza calò sulla coppia, insieme agli sguardi che si abbassavano.
Si fecero nuovamente vicini, e stavolta fu lei ad appoggiare la testa contro la sua spalla. La guancia contro il petto di lui, l'orecchio che sentiva chiaramente il battito del cuore. Lento, rilassante. Non voleva allontanarsi. Stava bene, molto bene. Forse troppo.
Lui poggiò il mento sul capo di lei, delicatamente, tenendola a sé, con l'intenzione di non lasciarla più andare. Perché non voleva, e sapeva che era un desiderio egoistico. Ma stava bene, molto bene. Forse troppo.
  Le ultime note gli sfuggirono tra le dita, tra i passi. Ed arrivarono alla fine, all'ora di separarsi.
Lui le depositò un bacio sulla nuca - per quanto le fosse possibile con la maschera - e la spinse via, attutendo la spinta con una piroetta, rendendosi conto di essere stato troppo brusco.
Lei era in lacrime, lo vedeva chiaramente. Grandi occhi scuri che lo guardavano umidi da sopra la spalla, passando per le braccia tese unite dalla presa salda, raggiungendo i suoi occhi scuri.
Non volevano. Non volevano! Ma dovevano. Il loro tempo era finito, il loro valzer - che era stato eterno per quel tempo - era finito.
Poco alla volta, la presa divenne meno salda, la seta scivolò via dal cuoio, i piedi indietreggiavano millimetricamente, le punte delle dita che si cercavano, le braccia tese in un gesto disperato. Erano in lacrime entrambi, le si vedeva passare al di sotto della maschera, scendere lungo il tessuto che copriva il collo, bagnandolo.
Rimasero a guardarsi fin dopo che le mani si erano allontanate, trovandosi a centimetri di distanza, tese.
Le dita di entrambi si raccolsero, il gomito venne piegato, la mano portata al petto.
Un ultimo sguardo.
Poi entrambi si voltarono, scappando via.

La loro sarebbe stata una delle tante storie senza un finale.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Tomoe_Akatsuki