Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Stria93    15/05/2022    1 recensioni
- Brevissima OS Undertaker/Claudia Phantomhive -
"Undertaker chiude gli occhi. La mente veleggia verso l'isola di quei ricordi lontani, reliquiario di gioie effimere ormai appassite. Si costringe a concentrare ogni energia sulla memoria di lei, quasi che il semplice rievocarne la presenza con tanta intensità possa restituirgliela. Per quanto il dolore abbia finito per attenuarsi giorno dopo giorno, richiamare a sé quella sofferenza e farsene mordere fino all'osso è il solo modo che conosce per tenerla legata a lui. Nel tormento che mai lo abbandona, lei vive ancora. Lei c'è."
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Undertaker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All I ever knew was that
You and me were meant to be
All I ever knew was the taste of your lips against mine
(You are mine) We were there for eternity

Now I am lost inside this everlasting reverie
And I'm losing my mind


My Nocturnal Serenade, YOHIO




La bottega è buia e silenziosa. Il sole che accarezza i vivi trova la strada sbarrata dalle assi inchiodate alle finestrelle. Non è luogo che possa essere toccato da raggi rifulgenti, quello. Il tempio di cui egli è custode accoglie ben altro genere di visitatori ed è per soddisfare le loro esigenze che è stato costruito.
Undertaker lavora alla tremebonda luce di una candela, canticchiando un motivetto le cui origini sono state ormai dimenticate, perdute nella fretta che hanno gli umani di consumare ogni minuto del loro tempo prima che quelli come lui possano raggiungerli per mieterne l'anima. È come se dovessero sempre scappare dal destino al quale, tuttavia, sanno di non potersi sottrarre. E in questa vana fuga finiscono per lasciarsi alle spalle tutto ciò che potrebbe rallentarli, ciò che essi non ritengono di alcuna utilità... come quella vecchia canzoncina che aleggia sulle labbra pallide del becchino.
L'aria è densa, stantia, pregna di odori acri e dolciastri, prepotenti. Il sentore di legno delle bare è miscelato agli effluvi emanati dalle sostanze utili alle autopsie e al trattamento delle salme, volto a rallentarne o accelerarne la decomposizione. E poi ci sono i corpi che emettono il loro ineguagliabile umore di morte. Undertaker non ne è disturbato, piuttosto trova quel miscuglio di fragranze perfino gradevole. Un bouquet del tutto peculiare intriso di struggente malinconia.

Il corpo che giace inerme sotto le sue mani è quello di una giovane donna perita recentemente di consunzione. La morte non l'ha ancora derubata della bellezza eterea che la natura le aveva donato, ma per Undertaker la carnagione spenta e l'assoluta immobilità del suo petto non rappresentano un motivo d'orrore.
I suoi ospiti sono piacevolmente quieti: non pretendono, non desiderano, non recriminano, non giudicano. Eppure ognuno di loro è diverso. A modo proprio, ognuno di loro gli parla. Narra una storia unica, irripetibile. Una storia che ha avuto un principio, uno svolgimento e una conclusione.
Ma la morte era davvero una fine irreversibile? Che ad essa fossero destinati, prima o poi, tutti gli esseri terreni era un dato di fatto, ma se qualcuno avesse aggiunto un seguito a quella storia? Gli Shinigami recidevano di netto la vita di coloro che avevano esaurito il proprio tempo; ma se qualcuno avesse ricucito quella lacerazione? Se si fosse provato ad aggiungere altra sabbia alla clessidra e a capovolgerla di nuovo?
Nessuno si era mai spinto tanto in là. Per quanto i Mietitori dimorassero al confine tra Vita e Morte, dovevano limitarsi a fungere da intermediari. Osservare, attenersi scrupolosamente al proprio compito e mai, mai, tentare di modificare gli eventi.
Undertaker emette un verso insofferente. Quella ristrettezza di vedute era uno dei motivi che l'avevano spinto ad abbandonare l'incarico malgrado fosse ritenuto uno Shinigami eccezionale.
Perché mai porsi un tale limite? Perché arrendersi a lasciar andare ciò che si aveva di più caro senza ricorrere ad ogni mezzo per trattenerlo a sé?

I lineamenti della giovane si dissolvono per un momento, per ricomporsi al tremulo barlume della fiammella nei dolci tratti di un volto che un tempo egli aveva amato. In vita come nella morte.
Le sue dita corrono al medaglione commemorativo, stringendosi intorno all'ultima scintilla che testimoniava il passaggio sulla Terra di colei che aveva sconvolto il suo cuore pietrificato. La mano avvolge l'ovale di metallo che contiene una ciocca dei suoi capelli. Il suo tesoro più prezioso.
Ne sfiora i fregi con il polpastrello, percorrendo e ripercorrendo le linee che compongono la C e la P delle iniziali intrecciate. Prova a immaginare di accarezzare lei, di percepire ancora la morbidezza e il tepore della sua pelle, la serica superficie delle sue labbra di rosa; il suo profumo; la sua risata.
Undertaker chiude gli occhi. La mente veleggia verso l'isola di quei ricordi lontani, reliquiario di gioie effimere ormai appassite. Si costringe a concentrare ogni energia sulla memoria di lei, quasi che il semplice rievocarne la presenza con tanta intensità possa restituirgliela. Per quanto il dolore abbia finito per attenuarsi giorno dopo giorno, richiamare a sé quella sofferenza e farsene mordere fino all'osso è il solo modo che conosce per tenerla legata a lui. Nel tormento che mai lo abbandona, lei vive ancora. Lei c'è.

Ma forse, non è il dolore ad essersi placato sotto il velo polveroso degli anni, quanto piuttosto Undertaker stesso ad essersene assuefatto senza neppure accorgersene. Quando la pena è troppa, finisce per mutarsi nel suo opposto e anestetizzare chi ne è vittima.
Posa la bocca sul medaglione. Indugia con le labbra contro il metallo lasciando che il sapore di ossido gli si appoggi alla lingua.

È un bacio gelido e sterile in un santuario desolato senza alcun dio da pregare.


  
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