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Autore: shilyss    15/05/2022    9 recensioni
Ci sono problemi che il martello di Thor non può fracassare né l’astuzia di Loki aggirare. Più inesorabili della Voluspa e dannosi di Hulk dentro a una cristalleria esistono solo due cose. Il Solstizio presso quei gran bacchettoni dei Vanir e i parenti molesti degli Asi. Dal 1 capitolo: Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti
Attenzione! Sebbene la storia sia ambientata nell'universo di "Tutte le tue bugie", può essere considerata come una fanfiction a sé stante! Buona lettura!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Le relazioni pericolose

 

“Ma figurati!” L’Ase rispose meccanicamente, regalandole un ghigno affascinante dei suoi, ma la bionda Vanir parve non apprezzare particolarmente la battuta, che riconobbe come falsa peggio di una moneta da tre euro.

“Stai mentendo a me?” Scandì ogni parola con estrema, terrificante lentezza. Sigyn era una mogliettina adorabile, comprensiva, affettuosa e intelligente, ma non amava essere presa in giro dal suo affascinante maritino. Le domande retoriche erano un chiaro e inequivocabile segnale d’allarme in tal senso. Loki ne era perfettamente a conoscenza, ma quello che lo fregava, facendolo precipitare puntualmente in una marea di casini da cui spesso Thor doveva tirarlo fuori non senza qualche colorita imprecazione, era il suo maledetto orgoglio. Era così pieno di sé, così convinto della propria mente brillante e certo della stupidità altrui, da prendere sottogamba alcune questioni che avrebbe dovuto affrontare con un pizzico di tracotanza in meno. Ecco perché non resistette all’impulso di fare sfoggio delle proprie qualità. A sua difesa va detto che sdilinquirsi in una patetica menzogna sarebbe stato indegno, ma noi siamo convinti che ci sia modo e modo di dire le cose – e forse anche Sigyn è della nostra opinione.

“Sono il dio dell’inganno. Io mento e… sorpresa! Inganno.” Bisogna proprio dirlo. I Nani erano creature taciturne e simpatiche quanto una multa della municipale, ma a raddrizzare i denti erano dei maestri. Lo splendente sorriso di Loki illuminò la sala, stupì per un nanosecondo Sigyn, ma non lo salvò dalla tempesta.

“Freya ha confessato.”

Freya. Non zia. Nella mente di Loki non suonò un campanello d’allarme, ma direttamente l’olifante per ritirare le truppe, un lai di morte. Era gelosa, la sua biondissima sposina. Quando erano amanti clandestini, l’aveva stuzzicata abbastanza da sapere che la principessa Vanir era gentile e tollerante fino a un certo punto, oltrepassato il quale scattavano, nell’ordine, la rappresaglia e la tragedia. Certo, direte voi, il dio dell’inganno non può cedere al terrore di fronte a una donnina esile e fragile come Sigyn: non stiamo certo parlando di Thanos, eppure, signori Lettori, vi invito a considerare le ben poche alternative che aveva a sua disposizione il nostro altrimenti sempre scaltro Loki. Privo della Laxdaela, con una reliquia che scottava nascosta in qualche pertugio e Thor che girava liberamente per casa, il dio dell’inganno aveva bisogno più che mai che lei non lo esiliasse dal loro talamo proprio in quei tragici giorni.

“Molto tempo fa,” confessò con un’alzata di spalle, come se la cosa non significasse assolutamente niente.  

“Passerò il resto della mia esistenza a immaginarvi insieme,” soffiò lei con un filo di voce. “Trova mia nonna, Loki. E, finché non lo hai fatto, non tornare.”

Fu allora, esattamente allora, che Loki sbagliò. Da fiero e sbruffone Ase qual era, incrociò le mani dietro la schiena e proruppe in una frase tragicamente esatta, ma dalle conseguenze nefaste. “Ok, io e Freya ci siamo divertiti parecchio, ma sai quand’è successo, piccola Vanir petulante? Te lo ripeto, molto, molto tempo fa, per le Norne, quando tu non eri che una bambina lagnosa con le trecce. Non vale come tradimento, lo capisci?!”

“Quando ero una bambina lagnosa,” ripeté Sigyn con spaventosa calma. “E gli altri ragazzini mi prendevano in giro. Mentre mi tiravano le trecce, tu facevi con lei le cose che fai con me.”

L’Ase non se la sentì di smentirla, perché la fantasia di Freya toccava vette sorprendenti persino i canoni di Asgard, ma lentamente iniziò a capire il punto dove voleva arrivare a parare la sua mogliettina: Freya era sempre stata lodata e ammirata per la sua sfacciata e insindacabile bellezza, mentre Sigyn, la dea della fedeltà, era stata per lungo tempo la classica bimbetta bruttina che era decisamente migliorata con il tempo.

Il primo ballo a cui aveva partecipato avrebbe potuto essere un totale disastro se lui, spinto dalla noia, mosso a una qualche forma di vaga pietà e sempre disponibile a ingraziarsi quel vecchio bacucco di Njord, non l’avesse trascinata al centro della sala. Il re dei Vanir, consapevole delle scarse attrattive di Sigyn, aveva apprezzato il gesto battendo le mani e qualche nobiluomo di Vanheim aveva riconosciuto che sì, la piccola nipotina non faceva parte dell’opulenta tappezzeria, anche se rispetto alla formosa zia non era proprio niente di che.

“Il tuo problema, Sigyn cara, è che con i ragazzi non ci hai mai saputo fare. Eri insicura e goffa. Tutti lo percepivano. Ti dicevo anche allora, mi pare, che dovevi credere un po’ più in te stessa.” La sentenza di Loki giunse non tanto perché lui era un’anima nera votata all’auto sabotaggio, ma per la cattiva abitudine di voler avere sempre l’ultima parola.

 

È così che il nostro affascinante e sempre molto figo dio dell’inganno dalla lingua decisamente troppo lunga si ritrovò a dover dividere la camera con il fratello, così come vi è stato narrato nel capitolo 1 di questa delirante storiella. Dopo aver finito il lungo turpiloquio, Loki Odinson o Laufeyson o come cavolo l’aveva registrato l’Agenzia delle Entrate di Asgard, s’appuntò mentalmente i nomi di tutte le più malfamate bettole di Vanheim. Da lì avrebbero iniziato la tediosa ricerca del maledetto zio Vili, considerato la miccia che aveva innescato una reazione a catena tanto funesta.

Il furbo Ase srotolò sul tavolo unticcio della pensioncina in cui s’era rifugiato la mappa dov’erano contrassegnati i locali dove avrebbe condotto suo fratello. Una smorfia schifata gli attraversava il bel viso affilato.

“Quando hai preparato questa… cosa?” domandò perplesso il re degli Æsir.

“Freyr ha una fidanzata in ogni locale o giù di lì,” spiegò laconico l’ingannatore. “Era mia abitudine andarlo a raccattare quando si ubriacava troppo.” aggiunse pieno di sussiego.

Thor afferrò il corno d’idromele – caldo e di qualità pessima – che Loki aveva sorseggiato un momento prima non senza sfoggiare una smorfia schifata ingollandone beato tutto il contenuto. “E da dove spunta tanta gentilezza?”

“Da nessuna parte. Lo ricattavo. Suo padre non avrebbe mai visto di buon occhio le sue scelte. A me non poteva fregare davvero di meno chi frequentasse, come, quando o perché, ma qualcuno doveva pur versare qualcosa per il mio disturbo.”

Thor annuì, stravaccandosi sulla sedia mezza zoppa gentilmente offerta dalla locanda e certo del fatto che ora il suo prolisso fratello avrebbe sfogato parte della sua repressione raccontandogli i ridenti anni in cui covava rancore verso Asgard e passava le sue giornate a risollevare il PIL di Vanheim. Consapevole del fatto che l’unico modo per zittirlo sarebbe stato prenderlo a martellate sui denti o imbavagliarlo e legarlo e conscio che tanto, prima o poi, si sarebbe ristabilito o liberato, annuì in attesa che l’altro raccontasse. Cosa che, naturalmente fece.

“Tu non immagini quanto sia snervante essere interrotti nel bel mezzo della redazione di un trattato o di un appuntamento galante da un servitore balbettante e incapace di spiegare i concetti in maniera chiara e precisa una sera sì e l’altra pure. Certe notti mi toccava prima sorbirmi Njord, poi tranquillizzare Freya, quindi finire di lavorare affinché questo regno non precipitasse nell’anarchia, impedire a Sigyn di fare sciocchezze e…” si interruppe, tirando su col suo regale e drittissimo naso. “Senti anche tu questo fetore simile al formaggio andato a male? Maledizione, Thor, rimettiti immediatamente quegli stivali!”

Thor, invece che obbedire, valutò fosse più utile e proficuo immergersi nella tinozza non troppo pulita che giaceva nella zona della stanza adibita a bagno e divisa da un separé traballante.

“Che sciocchezze faceva Sigyn!?” domandò dopo che si fu immerso, perché di sentire la commovente storia di suo fratello che bussava a ogni topaia in cerca di un Freyr tanto ubriaco da vomitarsi addosso non aveva la benché minima voglia. Conosceva i metodi di suo fratello e aveva dimestichezza anche con le bettole e non era difficile capire in che modo Loki fosse diventato il maggior contribuente di Vanheim.

“Sigyn era la principessina delle cause perse,” sibilò l’ingannatore tra i denti. C’era stata quella volta in cui, per far scappare una sua domestica da Vanheim non aveva trovato niente di meglio da fare che cercare di impegnare i suoi gioielli[1], per esempio, o quando si incaponiva per cambiare qualche consuetudine vecchia come il cucco o proteggere qualche banda di diseredati. Thor ascoltava suo fratello suo malgrado, lasciando che l’altro si sfogasse e arrivasse al punto: raccontare gli slanci civici della mogliettina, alla fine, era un modo contorto e subdolo per elogiare una volta di più sé stesso. Certo, l’affare dei gioielli al tempo doveva avergli fatto andare il sangue al cervello, dedusse il tonante. S’immaginò la scena – Loki che sbiancava riconoscendo i preziosi, che entrava nella bottega del losco rigattiere facendogli vivere il quarto d’ora più brutto della sua vita, che estorceva bellamente qualche favore o oggetto luccicante per il disturbo di dovergli rivolgere la parola e, infine, immaginò la colorita e fantasiosa sequela di minacce con cui si era accomiatato. Tutto nella norma, insomma, tranne che per un particolare divertente.

“Certo che per Sigyn ti sei preso una sbandata epocale, fratello. Riconoscere gioielli che non metteva da anni…”

Se Loki avesse potuto incenerire con lo sguardo il separé e quell’idiota del fratello ancora in ammollo nella tinozza, lo avrebbe fatto. “Si tratta di spirito d’osservazione, intelligenza e memoria,” sibilò scandendo con lentezza ogni sillaba.

Thor uscì dalla tinozza ridacchiando, ma non volle infierire ulteriormente. S’accomiatò dal fratello augurandogli una serena notte e stendendosi sul pavimento lercio. Che Loki approfittasse pure del letto, illudendosi di uscirne indenne: glielo cedeva ben volentieri – le pulci che infestavano cuscino e materasso avrebbero senz’altro apprezzato il loro elegante ospite, quella notte. Tempo due minuti e s’addormentò come un sasso, allietando il dio degli inganni con un concerto del proprio naso. Infastidito dal prurito per i morsi dei parassiti e dal russare orrendo di Thor – non per niente era il dio del tuono, Loki maledisse una volta di più zio Vili. Lo attendeva una lunga, lunghissima, estenuante notte.

***

“Loki, chiariscimi un concetto. Tu possiedi mezza Vanheim. Palazzi, ville, terre, laghi, miniere. La tua dichiarazione dei redditi è più alta di quella di Njord e Freya messi insieme, giusto?”

Naturalmente.”

“Ecco, allora mi spieghi per quale motivo abbiamo dormito in questo schifo di bettola anziché andare, che ne so, nella tua casa al mare, in montagna, nel tuo capanno da caccia o nella rimessa della Laxdaela? Saremmo stati meglio. Anche in mezzo a un bosco infestato da troll saremmo stati meglio. Soprattutto tu.”

Loki arricciò il naso e si guardò nell’ovale annerito che un tempo era stato uno specchio. A un certo punto, nel cuore di quell’orribile notte, si era alzato per prendere a calci Thor nel disperato tentativo di farlo smettere di russare. Il tonante si era risvegliato quel tanto che bastava per difendersi col Mjollnir e stordire il fratello, per poi rimettersi a ronfare cambiando semplicemente il ritmo del proprio leggerissimo respiro. L’ingannatore valutò il proprio occhio nero alla luce smorta di quell’alba che preannunciava un giorno orribile.

“Le mie lussuose proprietà sono affittate affinché i miei forzieri si riempiano ulteriormente. Quelle di cui dispongo, però, sono protette da delle rune segrete,” spiegò con una certa riluttanza.

A Thor quella spiegazione fece abbastanza schifo. “E quindi?”

“E quindi,” rispose Loki con scocciato sussiego, “ho dimenticato nel mio palazzo principale, dove ci sono mia moglie e mia figlia, la pergamena tascabile con le suddette rune segrete.”

“Tu hai una pergamena tascabile dove segni le rune che ti consentono di aprire le tue case?? Non le sai a memoria?”

Loki lo gelò con lo sguardo. “Le scrivo proprio per non doverle imparare a memoria, no??”

Chiarito questo fondamentale passaggio di trama, i due fratelli lasciarono la bettola più in fretta che poterono, contravvenendo all’antico adagio degli Æsir secondo cui la colazione era il pasto più importante della giornata. S’incamminarono per i peggiori vicoli della capitale di Vanheim con lo stomaco che brontolava, sperando di rintracciare Vili e di iniziare a cercare la venerabile Ullfriaehdkkeh, di professione mistica, nonna di Sigyn ed elemento necessario affinché quest’ultima riaccogliesse il dio dell’inganno nella sua lussuosa, confortevole e soprattutto pulita casa.

Non lo vedevano da quando, solo il giorno prima, lo avevano rinvenuto nudo e ancora sotto gli effetti di una colossale sbronza sullo splendido drakkar di Loki, da cui se l’era squagliata prima che l’ingannatore potesse dimostrare allo zio quanto il suo animo fosse naturalmente incline al perdono e alla clemenza, ma nutrivano delle speranze sul fatto che presto avrebbero trovato il buco in cui si era nascosto. Una volta scovato, Loki aveva una serie di ideuzze niente male su quali leve tirare per convincerlo a collaborare nel ritrovare Ullfriaehdkkeh. Occorre dire che fu meno facile di quanto pensassero e che il censimento di Loki non era completo. Scoprì che gli erano sfuggite due o tre topaie illegali. Fu in una di queste, la terzultima della loro lista riveduta e corretta, che trovarono Vili. Non ebbero la fortuna di trovarlo vestito neanche questa volta, ma anche se è difficile crederlo non fu questa la cosa peggiore, no.

Vili Borson era sveglio e, strano a dirsi, sobrio. Stava pranzando a letto con delle succulente teste di pesce innaffiate da un vinello Vanir niente male – aveva personalmente suggerito al cuoco della fetida locanda la ricetta – e banchettava con quella che presentò agli esterrefatti e affamati nipoti come la sua novella sposa.

“Non so se a questo punto rientrerai mai a casa, fratello,” mormorò Thor poggiandogli una mano sulla spalla. “Ma sai che vuol dire questo? Che passerà tutte le festività con te.”

Loki non rispose immediatamente. Fissò il novello sposo ringraziando mentalmente le Norne che fosse coperto dalla vita in giù col lenzuolo e che esibisse solo il petto villoso, si ostinò nel non fissare nonna Ufa, i cui lunghissimi e nivei capelli fungevano da provvidenziale scialle e si rivolse alla neo acquisita prozia con una voce incolore.

“Ullfriaehdkkeh, ha davvero sposato quest’ubriacone maledetto?”

La mistica sorrise. “Zoki caro,” soffiò con la sua voce bassa e cantilenante, “sei il primo della famiglia a farci gli auguri! Gradisci due deliziose teste di pesce?”

 

Continua, purtroppo per Loki

 

L’angolo di Shilyss

Care e cari,

Arieccomi. Si dice che la via che conduca all’inferno sia costellata di buoni propositi – o era buone intenzioni? Beh, fa lo stesso. A ogni modo non aggiorno questa storia dal 15/07/2018 – mi manca aggiornare e scrivere come allora, tanto. E non è per mancanza d’ispirazione che non lo faccio. Tanta gente negli anni mi ha chiesto di portare avanti questa storia e io, in numerose occasioni, ho pensato e immaginato e desiderato proseguirla, ma niente. Poi tra ieri e oggi ho scritto questo capitolo, che vi pubblico praticamente così, con una rilettura veloce e basta. Dovrei finire Accordo e Confessioni (cosa che sto facendo, soprattutto il primo ha bisogno di una veloce rilettura perché detesto le incoerenze e il momento è complicato), Scintille e Giochi… e anche creare qualcos’altro, naturalmente.

Il fatto è che mi è impossibile scrivere una sola storia e portare avanti solo quella, è un meccanismo che anziché focalizzare la mia produttività ammazza la creatività. Spero di risolvere questo annoso problema, perché Sigyn e Loki sono un pezzo di me da tanto tempo e rappresentano un rifugio felice.

 

Io non so se qualcuno del tempo che fu è rimasto o se questa storiella guadagnerà nuovi lettori, ma spero che vi piaccia e che vi diverta. E se volete sapere che fine ho fatto, sbirciate la mia pagina facebook (la trovate nella bio) e scrivetemi pure lì.

 

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole cose, ne convengo, ma danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD. A parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

 

A presto,

Shilyss



[1] Come nel capitolo 5 di Tutte le tue bugie, che è la mia prima long, ma è tanto bellina a mio parere: datele un’occhiata!

   
 
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