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Autore: Mercurionos    16/05/2022    0 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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La serietà di questo capitolo è inversamente proporzionale a quella del titolo.
 
Capitolo 29 – Il Ritorno di Banan e dei Suoi Amici, Parte 1 – Anno 2, 13 Fruttidoro
 
Quando guardò fuori dalla finestra, incontrò i caldi raggi del sole. Non che facesse freddo, all’interno del N.I.S.B.A., ma la luce gialla e tiepida, il cielo terso e vivo, le onde nel mare d’erba attorno alla Capitale, quella vista lo riempì di nuova energia. Si piegò verso gli armadietti posti proprio sotto le ampie finestre, prese un piccolo macchinario di metallo e lo riportò al proprio posto. Prima il tepore dell’estate, ora il caldo delle piastre e il profumo della sfoglia, il suo sfregolio sulle teglie e il ribollire delle verdure nel brodo salatissimo.
 
Prese dal contenitore dinanzi a sé un grosso blocco di carne, più simile ad un masso di marmo che a un cosciotto, screziato da venature bianche e rosse in egual misura. Con un coltello abbastanza affilato da scindere in due una lastra di ferro, Banan ridusse in striscioline bianco-rosse l’ammasso di muscoli e tendini: non era un pezzo di qualità eccellente, ma l’aroma che sparse attorno a sé durante il taglio avrebbe facilmente attirato qualsiasi studente stremato dalle lezioni del lunedì nel raggio di decine di metri.
 
Poi giù, nell’olio già usato da altri, giusto un attimo, quanto bastava per far colare il grasso dalla carne. Il professor Masala, il responsabile del club di cucina, gli aveva detto di non farlo per non perdere tempo, ma Banan si era guardato intorno: tutti gli altri, tranne Melone della 2.A.9, indubbiamente il più competente di loro, stavano ancora impastando la sfoglia, lenti e impacciati com’erano con le loro dure mani da soldati. Un clic, e spense tutti i fuochi. Al mescolarsi di carni e verdure si liberò un odore pungente, ma sufficientemente piacevole a stimolare la salivazione. Banan bevve per distrarsi.
 
Tutto insieme finì sulla sfoglia troppo spessa e dal bordo troppo alto, ma ancora sufficientemente morbida. “Abo, – chiese Banan al ragazzo al tavolo di fronte, puntando un indice – puoi passarmi la crema? Sì, quella.” La teglia si riempì di straccetti, poi Banan coprì il tutto con quello che avrebbe dovuto essere formaggio, ma ai soldati sarebbe dovuto bastare l’informe panna acida fornita al club di cucina. Eh sì, perché l’indomani, nelle mense del N.I.S.B.A., avrebbero servito proprio quelle massicce torte flambate preparate nei club di cucina. L’unica varietà nel menu dei cadetti veniva dall’impegno dei club: i cuochi dei refettori, infatti, si guardavano bene dallo sprecare i limitatissimi fondi per il cibo in spezie, formaggi e simili leccornie.
 
Quando Banan infornò la pesante teglia, qualcosa oltre il tavolo scoppiettò e crepitò, e si sentì odore di fumo.
“Abo! Ti avevo detto di non alzare troppo il calore!”
“Mi sono distratto solo un istante, Cado!”
“Un istante di troppo, diamine!”
“Lasciate perdere.” Il professor Masala, seccato, li interruppe. Staccò una presa di corrente e prese in mano la piastra guastata. Non sembrava affatto felice: “Voi due, andate a ripulirvi. Non voglio cadetti pieni di fuliggine nella mia cucina.”
 
Si avvicinò poi a Banan: “Banan, hai finito, vero? – Il ragazzone annuì – Ovviamente. Porta questa al club di tecnologia. Si divertiranno un mondo a ripararne un’altra.”
Gli lasciò l’apparecchio rotto, poi tornò a dedicarsi agli studenti meno competenti del suo corso.
Banan uscì tranquillo nel corridoio. Ormai la giornata per lui era terminata, e poteva prendersela comoda.
Poi si ricordò della lista quasi infinita di norme e leggi elencate quella mattina dalla professoressa Degrane.
Accelerò il passo.
 
Quando aprì la porta del club di tecnologia, la prima dopo quella della sala attrezzi, si trovò di fronte un omaccione dalle spalle larghe e le orecchie a punta. Neize, della 2.A.1, aveva il volto nero, pieno di quello che sembrava olio. Guardò Banan irritato e ringhiò con voce stridula: “Spostati, cagnolino.” Lui si fece da parte, senza dir nulla, poi entrò nell’aula del club.
 
“Ehi, Tagoma.”
“Buongiorno. Cosa ci fai qui, Banan?” non si voltò a salutarlo. Era alle prese con un groviglio di cavi e barrette di metallo, con pulsanti, luci stroboscopiche e quant’altro.
“Si è rotta questa, – posò sul tavolo accanto al ragazzo l’apparecchio – ha fatto dei rumori poi un po’ di fumo. Masala vuole che la ripariate.”
“Io non ho tempo per… Namole!”
 
Namole era incollato alla finestra. Non gli interessavano il sole, il cielo, le nuvole, nemmeno il moto ondoso delle belle pianure di Alacàrte che tanto spesso l’autore descrive, inseguendo un lontano ricordo d’infanzia. Guardava in basso, verso terra. Un piccolo esercito di soldati pieni di polvere si stavano scontrando su un terreno malamente delimitato da strisce bianche tracciate nel terreno. Si muovevano tutti così freneticamente, confusi, senza seguire uno schema riconoscibile, sollevando la terra con i loro saltelli. Namole però aveva individuato una singola figura più interessante delle altre, che si muoveva poco, che pure sembrava meno competente degli altri membri del club di combattimento. Stava rispondendo agli attacchi di altri due soldati, che condividevano con lui la bizzarra capigliatura nera. Pareva annoiato, forse dal divario di abilità con gli altri due guerrieri.
 
“Namole!”
Si voltò. Un volto spento, disinteressato. Raggiunse subito Tagoma e Banan. Salutò il secondo con un cenno, un battito di palpebre.
“Ripara questa piastra per il club di cucina, per favore. Io devo finire lo spremiagrumi quantistico.”
“Ci vorrà molto?” chiese Banan.
Namole prese in mano la piastra nero-rossa. La rigirò un paio di volte tra le mani, ma la sua espressione distaccata non cambiò: “Si è rotto l’isolante, qui. Ha fatto fumo?” Banan annuì. “Allora non ci vorrà molto.” Si spostarono su un tavolo vicino, Namole afferrò un paio di attrezzi, un cacciavite e un altro strano aggeggio simile a una pistola.
 
Namole aprì il congegno, esponendo una manciata di cavi e barre di metallo, ma non resistette allo stimolo di fare un minimo di conversazione.
“Sei di fretta?”
“Ho finito, di là. Volevo andare in biblioteca a studiare.”
“Oh. Ok.”
“Ehi, hai qualcosa? Ti vedo un po’…”
“Lascia perdere.” Riavvitò le viti appena smontate.
“È per la storia di…”
“Tieni, finito. – Gli passò la piastra – Ora dovrebbe funzionare. Se si rompe di nuovo chiedete a Neize, lui è più bravo con gli induttori.”
“Ehi, grazie Namole.”
“Figurati.”
“Ci vediamo!” E se ne andò.
 
Namole tornò alla finestra. Sotto di lui, e tutt’attorno all’accademia negli altri terreni dei club, i combattimenti erano ancora in corso, tanto incomprensibili quanto qualche minuto prima. Passò una mano nei capelli gialli: in qualche modo, ogni volta che andava al club gli finiva in testa un transistor. Oggi nulla, per fortuna.
“Tagoma.”
“Dimmi.”
“C’è ancora del lavoro da fare per me?”
“Non so, chiedi al professore.”
“Malaka se n’è andato mezz’ora fa.”
Tagoma alzò il capo un attimo: era vero, non solo il professore non era più presente nell’aula, ma gran parte dei membri del club avevano già disertato. Come al solito, Tagoma si era perso nel suo lavoro.
“Ah. Allora immagino che non ci sia altro da fare.”
“Io torno in stanza. Forse studio un po’ economia.”
“Come vuoi. Ti raggiungo non appena ho finito.”
 
Nel corridoio c’era un gran viavai di persone. Il profumo dell’estate (o delle torte salate preparate nel club di cucina) privava gli studenti della voglia di restare chiusi nelle aule dei club. Namole girovagò per un po’ di tempo attraverso la sezione A dell’istituto, andò di aula in aula, guardando dalle finestre, fuori e dentro dalla mensa che pian piano si stava svuotando, peregrinava senza una meta precisa. Poi finì addosso a una ragazza e cascarono tutti e due in terra.
“Ehi!”
“Ah! Stai attento!”
Si rialzarono entrambi, poi soltanto si squadrarono per bene. Lui la riconobbe, e si congelò sul posto. Proprio contro di lei era andato a finire, di tutte le cadette dell’accademia. Riconobbe anche il gruppetto che era uscito con la ragazza dall’aula del club di cultura. A quanto pareva, avevano fatto la strada fin lì dalla sezione G del N.I.S.B.A..
“Scusami.” Namole alzò una mano in segno di rimorso, ma venne ignorato.
 
Il manipolo corse in fretta dall’altro lato del corridoio, verso la piazzola che connetteva le due corsie della sezione.
“Skoop! Il manifesto!” chiese quello viola, al centro del gruppo, con fare teatrale.
“Ecco qua, capitano!” quello più grosso gli passò un cartellone, che nelle sue mani pareva un biglietto.
“Krooz, posiziona!”
Quello più basso alzò le mani, e i suoi occhi cominciarono a brillare. Il volantino si librò in aria e finì con eleganza sulla bacheca al centro del corridoio.
“Deita, le puntine!” ordinò di nuovo il ragazzo violaceo.
“Subito!” per nessun motivo, il ragazzo dalla pelle blu lanciò rapidissimo verso la bacheca una manciata di puntine da disegno, che per chissà quale miracolo finirono ciascuna su un angolo del cartellone.
“Niyus! Il tocco finale!” e si spostarono tutti indietro, lasciando spazio all’unica ragazza del gruppo. A guardarla, capelli bianchi e pelle rossa come il magma, si notava che fosse una brench. La ragazza contro cui era andato a sbattere Namole. Quella tirò una bordata di ki verso la bacheca e, quando il fumo dissipò, il manifesto era pieno di brillantini, ghirlande di luce e un piccolo cartellino pop-up con la faccia dell’imperatore che faceva bubù-settete.
 
“Eccezionale, ragazzi!” Disse allora il loro capo. Si misero tutti in posa per una foto che nessuno stava scattando, poi scapparono a gran velocità verso la sezione B dell’istituto, forse per tornare al proprio club. Nessuno aveva prestato attenzione al fare esuberante del bizzarro gruppo di studenti, tranne Namole, che mai si sarebbe abituato ai gesti teatrali di quelli che tutti gli studenti conoscevano come “New Gadget Super Lovers”, autoproclamati fan numero uno della squadra Ginyu e idoli del club di cultura per il loro lavoro: il giornalino della scuola.
 
Namole si avvicinò alla bacheca per ammirare il risultato del loro impegno. “Nisba N.I.S.B.A.? Le cose che non sai sul N.I.S.B.A., novantunesima edizione” riportava in cima il manifesto. Il ragazzo scese con lo sguardo, saltando paragrafi per lui poco interessanti: i risultati della gara di lumache carnivore, le nuove opportunità di tirocinio nelle isole Nomoage, l’innalzamento del livello del Mare di Kaoka, e poi un’altra notizia. Su quell’ultimo paragrafo, Namole si soffermò più a lungo. Strinse i denti, e lesse avido ogni parola. Poi rilesse l’articolo, una, due, tre volte. Voleva staccare gli occhi da quel foglio, ma avrebbe anche voluto avvicinarvisi, strapparlo dal muro e farlo in pezzi. Poi qualcuno in una stanza vicina gridò, finalmente distraendolo.
 
Sì. Avevo fame, quando ho scritto questo capitolo.
   
 
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