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Autore: Dorabella27    17/05/2022    14 recensioni
Con il passare degli anni, mi sono sempre interrogata sul personaggio del Generale, uomo capace di grandi durezze e di una severità draconiana, ma anche individuo pieno di sfumature e, a tratti, persino di inusitate delicatezze e tenerezza per Oscar. Dunque, che cosa potrebbe esserci stato dietro la sua scelta educativa per l'ultima figlia?
Questo racconto è il tentativo di rendere un pochino più plausibile - ai miei occhi di spettatrice che vuole da sempre immaginare la storia dei personaggi di cui segue le avventure, anche nei momenti precedenti all'inizio del racconto! - una figura centrale in RoV.
E no, non sarà un racconto lieto. Per nulla. In questo periodo va così. Speriamo di recuperare presto i toni allegri.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Marron Glacé, Sorelle Jarjeyes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era una notte buia e tempestosa.....
Era una notte di Natale ben strana, quella: il cielo non prometteva neve, quel soffice manto gelido che rende il paesaggio degno di una favola – e come sono spesso crudeli, le favole! -, ma tempesta, una tempesta annunciata dai soffi di lampi e dai tuoni che incalzavano, sempre più vicini.
Il trattenimento natalizio, la cena che il Generale Jarjayes, con la larghezza consueta al suo casato, offriva ai suoi ospiti ogni Vigilia, era da poco terminato: più breve che negli anni passati, e più sobrio, con meno invitati e meno portate, stanti le condizioni delicate della moglie, la Contessa Marguerite. Tuttavia, il Generale non aveva voluto rinunciare alla tradizione familiare, e la fastosa cena cui invitati storici della famiglia Jarjayes erano abituati a partecipare si era tramutata, quell’anno, in un trattenimento intimo, dal tono amicale, in cui gli occhi e la conversazione di tutti erano stati calamitati dalla bellezza tranquilla e affaticata della Contessa Marguerite: di lì a poco meno di due mesi avrebbe dovuto partorire, il sesto figlio, auspicabilmente il tanto agognato maschio, che sarebbe diventato erede di uno dei titoli e dei patrimoni più illustri e invidiati di Francia.
“Mio caro Generale, se la vostra pancia fosse sopra una donna, vi si potrebbe dire gravido al nono mese!”, aveva scherzato Madame Élisabeth, la sorella del Generale, accogliendo uno degli invitati, il Generale de Bouillet, giovane, ma già stabilmente in cima alla gerarchia militare, il cui ventre prominente sembrava negare che in un tempo, forse nemmeno troppo lontano, Claude Amoureux Bouillet fosse stato in grado di duellare con agilità e montare a cavallo disinvoltamente, senza bisogno dell’assistenza di un attendente.
“Mia cara Madame Élisabeth, e chi vi dice che, sino a mezz’ora fa, la mia pancia non fosse proprio sopra una donna?”, le rispose Bouillet con un sorriso, facendo arrossire, per la sconcezza della battuta, la Contessa Marguerite, in piedi poco discosto dalla cognata, che la aiutava, data la sua delicata condizione, a fare gli onori di casa.
Mentre le portate di quella cena natalizia in tono un poco minore si susseguivano, e poi, mentre gli invitati prendevano congedo, formulando i migliori auguri per le festività, e, soprattutto, per la nascita dell’erede, invariabilmente declinato al maschile, il Generale osservava, con la coda dell’occhio, la moglie Marguerite: il suo sorriso stanco, il gonfiore che la affliggeva alle mani e ai piedi, il fiato perennemente corto, segnavano di una nota preoccupante quella sesta gravidanza, pervicacemente ricercata da entrambi, dopo la delusione della nascita della quinta figlia femmina, Clothilde, nella primavera dell’anno precedente.
Se la primogenita, Joséphine, nata dieci mesi dopo il fastoso matrimonio della coppia, celebrato nell Cappella Reale di Versailles alla presenza del re e della regina Maria, era stata accolta, benché indubitabilmente di sesso femminile, con letizia ed entusiasmo, perché la gravidanza della Contessa, arrivata velocemente, e il parto tranquillo e senza intoppi avevano fatto da garanzia della buona salute di Madame, ed erano quindi stati considerati arra di sicure prossime nascite, fra le quali ci sarebbe stato sicuramente il maschio che avrebbe continuato il nome dei Conti Jarjayes, traghettandolo nel nuovo secolo, le quattro femmine successive, arrivate con instancabile regolarità, erano nate dopo gravidanze sempre più difficoltose, con parti sempre più travagliati, dopo l’ultimo dei quali il medico aveva consigliato cautela e una certa attesa prima di tentare nuovamente di mettere al mondo il tanto sospirato erede del titolo e del casato.
Ora la grande dimora, dalle linee austere ed eleganti, era vuota.
La tempesta si era ormai scatenata, e Augustin Réynier de Jarjayes sedeva nel suo studio, leggendo distrattamente il suo prezioso Cesare del XVI  secolo, mentre sorseggiava lentamente, senza entusiasmo, un bicchiere di brandy.
All’improvviso, un trambusto nel corridoio davanti alla porta dello studio, voci soffocate, ma allarmate, lo fecero riscuotere dalla concentrazione. Poi, dallo spacco della porta, timidamente aperto, una Nanny, con il viso teso e preoccupato, i lineamenti illuminati in modo sinistro dalla luce del doppiere che reggeva con la destra, pronunciò le poche parole, temute da settimane:
“Signor Generale, la Contessa Marguerite purtroppo è entrata in travaglio. Ho mandato a chiamare il dottore, con la speranza che arrivi in tempo”.
“Ma che dici?! Come è possibile?!”: allarme, e genuino terrore, facevano tremare, forse per la prima volta da molti anni, la voce del Generale. Nanny sospirò: non gli aveva più conosciuto quell’inflessione terrorizzata della voce da quando, bambino, Augustin Réynier cercava conforto dalla paura del buio o dei temporali fra le braccia della sua giovane balia, quella Marie che da decenni serviva nella magione, come nutrice, governante, anima di casa Jarjayes.
“Purtroppo, Signor Generale, è così: adesso ho mandato Jaques a Versailles..:”, disse, con tono piatto, Nanny, mentre il Generale annuiva gravemente. La regina Maria, nella sua grande sollecitudine e in nome dell’amicizia che nutriva per Madame la Comtesse Marguerite, le aveva messo a disposizione il proprio archiatra “nel caso ne aveste bisogno: potrete farlo chiamare in ogni momento”, aveva detto, aggiungendo poi, con il suo sorriso buono e soave: “Anche se sono sicura che non ve ne sarà necessità, e la vostra consueta levatrice farà nascere, alla fine dell’inverno, un bel maschio sano e forte”.
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Era passata poco più di un’ora: il medico, arrivato in tutta fretta, era da qualche minuto nella camera di Madame Marguerite, assistito da Nanny, dalla levatrice, che da una settimana, per ogni evenienza, era stata pagata per risiedere a palazzo, e dalle cameriere personali della Contessa.
Nel salottino antistante la camera, il Generale restava in attesa, davanti alla vetrata che dava sulla tempesta. Le cinque figlie, avendo intuito che stava accadendo qualcosa di grave, si erano accalcate fuori, nel corridoio antistante il salottino, non osando entrare, allarmate e spaventate dal volto del padre, che non esprimeva il consueto cipiglio, ma paura e costernazione, e ancora di più dal fatto di essere del tutto ignorate, quando invece, normalmente, se la notte si fossero alzate dal letto, fossero uscite dalle loro camere e fossero state trovate a vagare per corridoi, sarebbero state rimproverate con severità, e forse persino punite. Ora, invece, il fatto che, mentre sostavano nel corridoio, davanti alla porta degli appartamenti della madre, le cameriere e Nanny stessa le superassero e sfiorassero correndo affaccendate qua e là, senza rivolgere loro uno sguardo o una sola parola, dava alle bambine la misura della gravità della situazine.
Maman .... sta tanto male?”, chiese in un soffio Hortense, rivolta a Josephine, la maggiore delle sorelle, che, con i suoi sette anni, reggeva in braccio la più piccola della covata, Clothilde, ancora incerta sulle gambette grassocce, e che sembrava non rendersi ancora del tutto conto della drammaticità del momento, oscuramente presentita dalle altre.
“Sì, ma, dobbiamo stare tranquille ... adesso il dottore risolverà tutto”, sussurrò Joséphine, cercando di rassicurare se stessa prima ancora delle sorelle. E poi, per dare maggior forza alla sua affermazione, aggiunse: “È il dottore della regina: di certo risolverà ogni cosa”.
Intanto, nell’anticamera il Generale era stato raggiunto dal sudatissimo medico, che, con l’aria contrita e gli occhi bassi, era uscito dalla camera della Contessa Marguerite stropicciandosi le mani, e aveva in breve relazionato sulle condizioni della donna: “Monsieur le Général, ecco, la situazione non è affatto buona...oltre all’anticipo di quasi due mesi rispetto al tempo previsto per la nascita, che già di per sé rappresenta, come ben capirete, un gran problema, vi sono delle... difficoltà, difficoltà ... molto serie ... e io credo che sarà necessario, forse, anzi...molto probabilmente ....fare una scelta, ecco”, concluse, sempre più confuso il dottore, pur sapendo bene quale sarebbe stata, sicuramente, la risposta di quel nobile altezzoso, come tutti gli aristocratici ebbro della gloria e della storia del suo casato e disposto a tutto pur di tramandare il titolo a un discendente maschio.
“Ebbene, Dottore, non fate quella faccia. Se sarà necessario operare una scelta, comportatevi come fareste con ogni donna borghese – e calcò la voce, significativamente, sull’ultima parola -, cercate di salvare la madre e ... che Dio sia con noi”.
Il medico, stupito per quella risposta inaspettata, nondimeno non lasciò che la sorpresa lo rallentasse nella sua azione, e tornò senza più perdere tempo nella camera di Madame, mentre il Generale restava in piedi, davanti alla vetrata, dietro alla quale la pioggia continuava a scrosciare.
A un tratto, ultimo grido, e, un attimo dopo, un pianto, ma debole, fioco, come un lamento sottile, che si spense presto.
Poi, il silenzio.
Il Generale si volse, di scatto, e, udendo dei passi, si avvicinò all’ingresso della stanza della moglie.
La porta si aprì e ne uscì Nanny, con un involto fra le braccia, la bocca serrata in una linea orizzontale, gli occhi tristi e severi.
“Marie! Che cosa ...”, ma ammutolì vedendo l’espressione della donna, che gli porgeva l’involto, da cui sbucava la testolina minuscola di un bambino piccolissimo, dai lineamenti perfetti e dagli occhietti chiusi; sembrava dormisse.
“Un maschio, Signor Generale ...  Era un maschio”. La gioia subitanea che lo aveva colto sentendo la parola “maschio”, -  a dispetto del sospetto doloroso che lo aveva trafitto immediatamente, vedendo quel visetto immerso in una quiete silenziosa che aveva intuito più profonda del sonno - , era stata subito spazzata via, dopo quella infinitesimale pausa, quando il Generale aveva udito il verbo coniugato al passato.
Il Generale prese il figlio fra le braccia, con gli occhi umidi di lacrime: era, sarebbe stato il suo François, il figlio cui avrebbe insegnato ad andare a cavallo, a tirare di spada, a essere coraggioso e devoto alla Corona, di cui sarebbe stato orgogoglioso, che avrebbe ereditato il suo titolo e il suo grado, cui avrebbe affidato l’onore e le sostanze della famiglia ....quante cose che non avrebbe potuto fare, quanti progetti erano morti quella notte.
Deglutì, sconvolto.
Il figlio tanto desiderato era arrivato, e l’aveva perso subito dopo.
La sorte, o Dio, e tutti i Santi che aveva pregato in quella notte da tregenda, non lo avevano ascoltato.
Del resto, non lo facevano mai.
“E la Contessa?”, chiese il Generale alla sua antica nutrice, senza distogliere lo sguardo dal visino immerso in quei teli e in quelle coperte che non avrebbero potuto mai più scaldarlo.
“Ecco, è molto provata, ha perso molto sangue e ... il dottore vuole parlarvi”, rispose con voce rotta nanny, prendendo dalle braccia del padrone, con la delicatezza che avrebbe riservato a una preziosa reliquia, il leggero involto. E mentre Nanny si allontanava, con gli occhi pieni di lacrime, con quel fagottino fra le braccia, e il Generale entrava nella stanza della moglie, la pendola nel salottino batteva dodici rintocchi: ma quella volta non c’era proprio nulla da festeggiare.
Era la mezzanotte del 25 dicembre 1753.
 
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Ringrazio per la fan art Galla88, mia ormai vittima e Ifigenia designata!
....Una OS molto triste e tetra, come avete visto: ma sempre più spesso mi interrogo sul personaggio del Generale, e su che cosa possiamo immaginare che abbia fatto scattare quel suo ostinato proposito, al di là dell’assenza di progenie maschile, fatto comune in varie famiglie nobiliari di tradizione militare (penso per esempio a Bartolomeo Colleoni, che con otto figlie femmine diede il cognome Colleoni a un nipote).  Ecco una mia possibile risposta, immaginaria, per rendere più plausibile il comportamento di un personaggio, immaginario, che sempre più suscita il mio interesse, in questi ultimi tempi.
D.
   
 
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