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Autore: Neamh Moonstar    18/05/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un sospiro lasciò la bocca di Raphael quando la porta alle sue spalle si spalancò di colpo.

    Non si girò nemmeno. Continuò a fissare le nuvole scorrere davanti ai suoi occhi rossastri, intravedendo il riflesso che il vetro gli stava riportando della nervosissima figura alle sue spalle. «Che cos'è successo stavolta?» Chiese, il tono di chi ormai ha sentito di tutto.

    Gabriel ci mise un po' a rispondere: sembrava furioso come non lo era da secoli. La sua voce parve scalare la sua essenza con una fatica immane solo per poi fuoriuscire roca, rotta e tremante. «È sparito!» Ringhiò. «Quell'incapace è sparito.»

    Il guaritore fece ricadere le braccia lungo i fianchi: «Riesci a lasciare quel povero angelo in pace? Sembra quasi che-» Si bloccò, tendendosi come la corda di un violino. Si girò verso il suo collega, il quale aveva iniziato ad andare avanti e indietro per la grande infermeria, i pugni stretti e i passi larghi - una mania che lui e Michael avevano adottato nel corso del tempo e che si ripeteva sempre più frequentemente. «Sparito?» Ripeté poi, facendo rimbombare quella parola in un eco che rimbalzò nelle eteree mura della fortezza.

    «Volatilizzato. Ho trovato la sua spada in mezzo all'Eden. Sai cosa significa?» 

Gli occhi di Gabriel stavano passando dal viola al lilla, dal lilla all'indaco, dall'indaco al rosa... L'ultima volta che Raphael lo aveva visto così teso era stato prima della Caduta.

    «O se n'è andato,» ipotizzò il guaritore, «o qualcuno lo ha preso.»

"Rapito" era la parola più corretta, ma il solo pronunciarla avrebbe fatto crepitare l'aria. I demoni avevano spesso e volentieri fatto cose del genere in passato, ma si erano ben presto resi conto che si trattava di sofferenza inutile, o comunque di qualcosa molto meno divertente del mandare gli umani stessi ad ammazzarsi come animali selvatici. Non succedeva da tanto di quel tempo...

    «Chiamo qualcuno e torno dall'altro lato,» ringhiò Gabriel, continuando a girovagare impazzito per la piccola area nel quale si era piantato. «Tieniti pronto: non so in quanti torneranno interi.»

    «E una volta lì cosa farai?» Gli chiese l'altro alzando un sopracciglio, «scandaglierai ogni angolo alla ricerca di chissà chi? E a che pro?»

Gabriel fece per rispondere, un dito alzato, quando Michael entrò con la solita fretta in corpo - anche se quello che aveva non poteva essere considerato tale. Raphael aveva visto quella scena così tante volte che dovette trattenere un sospiro stufo a stento. Stavano per fare un'altra guerriglia inutile dove tantissimi umani avrebbero perso la vita, e alla fine della quale lui avrebbe dovuto mandare i suoi a salvarne il più possibile. Odiava quando accadeva... Lo odiava davvero.

Come al solito, le sue parole raggiunsero gli altri Arcangeli solo per frantumarsi davanti al muro della loro indifferenza. Era uno di quei momenti: quelli in cui si sentiva al di sotto degli altri due. Chiunque, vedendo la situazione dall'esterno, avrebbe creduto che Raphael sapeva come gestire Michael e Gabriel; si sarebbe detto che il guaritore era una specie di mediatore, colui che riusciva a placare le ben più facilmente infiammabili anime dei suoi colleghi. Ma non era sempre così.

Certo, c'erano volte in cui il guaritore riusciva a portare ragionamento laddove ansia, rabbia e frenesia prevalevano. Subito dopo, però, c'erano volte in cui le ferite che avrebbe dovuto curare sembravano voragini dorate, e l'amore che avrebbe dovuto proteggere assomigliava ad una scintilla lontana che pochi umani provavano davvero. Volte in cui i suoi interventi si volatilizzavano, lasciandolo senza opzioni.

E adesso che l'Inferno aveva architettato un piano subdolo, un piano che loro avrebbero dovuto scoprire e fermare, lui era costretto in quella torre d'avorio, mentre gli altri due andavano a fomentare l'ennesimo, inutile scontro.

Smise di ascoltare Michael e Gabriel, i quali si erano messi a confabulare e sputarsi contro. Gli urlarono qualcosa che accolse con uno sguardo stoico ma ovviamente contrariato. Nessuno dei due ci fece caso mentre volavano via.


Raphael si rimise a guardare le voluttuose nuvole del Paradiso. Erano così bianche, così pure, mentre loro erano così sporchi dentro, così stupidi... Anzi, no, gli altri lo erano. Lui, grazie a Dio, faceva ancora il suo lavoro come si doveva.

Già, Dio.

    Alzando un po' lo sguardo verso il cielo, il guaritore strinse appena i pugni. «Non sei stufa?» Le chiese. «Hai davvero intenzione di lasciarli fare?»

Ovviamente, rispose solo il silenzio.

Non esattamente contrariato - aveva smesso di esserlo, ormai. I silenzi di Dio erano prassi - Raphael uscì a sua volta. Scese le scale senza rivolgere né sguardi, né saluti. Semplicemente, uscì dalla fortezza e raggiunse l'Eden.

Ovviamente, Gabriel non si era preoccupato di raccogliere la spada di Aziraphale, la quale era ancora nell'erba, spenta come una candela lasciata al vento. Ma Raphael era attento ai dettagli: così abituato a individuare anche i più piccoli graffi da sapere come indagare. Stavolta non stava cercando crepe in un'aurea, né strappi tra i tessuti di un muscolo, ma risposte.

Nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden da solo, disarmato e con nessuna intenzione di uccidere. Le volte che era stato sulla Terra ne erano la prova: l'altro lato era paragonabile ad una creatura strisciante pronta a a sbranare, e quel singolo paragone gli fece tornare in mente un fatto interessante.

Prima Gabriel, poi Aziraphale: stesse ferite, stessa modalità, come lui stesso aveva evinto. L'Inferno aveva dalla sua un infiltrato degno di nota, a quanto pareva; qualcuno abbastanza bravo da oltrepassare il muro o - e quella sembrava l'opzione più semplice - abbastanza bravo da fregare Aziraphale.

O magari entrambe le cose.


Continuando ad osservare i verdissimi fili d'erba, intanto che la sua mente rimuginava, Raphael notò un indizio importante in quella piccola scena del crimine. Si avvicinò un po' di più alla base del melo che gettava un'ombra delicata sopra il suo capo, e proprio lì, quasi invisibile sotto a un gruppetto di fiori colorati, trovò una piuma. Era nera come la notte senza stelle, quasi bluastra alla luce del giorno. Il solo prenderla con i polpastrelli fece scendere un pizzicore lungo le dita dell'Arcangelo, il quale si limitò a fissarla attentamente, come se studiarla gli avesse rivelato tutto ciò che voleva sapere.

Le ali erano sempre la prima cosa che controllava quando curava gli altri angeli: erano delicate, soprattutto vicino alle scapole. Strapazzarle troppo poteva essere pericoloso, e un angelo - o un demone, per quel che conta - impossibilitato a volare era decisamente morto. Inoltre, le piume dicevano molto del loro proprietario, e perderle era solitamente segno di un'emozione forte e negativa. Il demone in questione doveva aver decisamente avuto paura.

Eppure qualcosa non quadrava. Aziraphale era indubbiamente ingenuo, ma non poteva esserlo al punto da non aver reagito ad un infiltrato. In fondo, la volta prima era stato trascinato in infermeria perché era pieno di graffi e ustioni; perciò allora doveva aver attaccato, giusto?

E quindi cos'era andato storto, stavolta?

Il pizzicore alle dita si era già fatto insopportabile. Raphael si cacciò la piuma in una tasca che fino ad un secondo prima non c'era e andò a raccogliere la spada: era bella lucida, la lama ancora dritta e immacolata; un'arma che non aveva mai visto battaglia. Un'arma che non aveva mai trafitto né anche solo graffiato un demone.

Perché? Perché avere a disposizione un mezzo per difendersi al meglio e non usarlo? Che Aziraphale fosse violento o no, la paura può far fare cose impossibili, così come il mero spirito di conservazione.

La situazione era molto più strana del previsto, molto più ombrosa e con molte più sfaccettature di quelle che Raphael si sarebbe aspettato. Almeno adesso aveva qualcosa a cui pensare intanto che aspettava di raccogliere i rimasugli della battaglia, la prima delle tante, sicuramente. Conoscendo i suoi due colleghi, il guaritore sapeva che Aziraphale sarebbe diventato una scusa, dal momento che a nessuno sembrava importare davvero granché.

Intanto, però, l'oriente restava vuoto. Un pezzo di Paradiso era già stato sradicato.

Era solo questione di tempo.

Nell'aria crepitava il cambiamento, e bruciava peggio della piuma nella tasca di Raphael. Mentre faceva dietrofront, tornando al suo posto, l'Arcangelo si disse che avevano tutti bisogno di un approccio differente e che qualcuno doveva muovere i primi passi per ottenerlo.

Nel bene o nel male.


~•°•~


Un piano non c'era.

O meglio, forse c'era ma Anathema non lo aveva spiegato. Aveva semplicemente afferrato un borsone, iniziando a ficcarci dentro libri e altri oggetti che Aziraphale non avrebbe saputo identificare. Non gli era nemmeno stato permesso di darle una mano quando il carico aveva iniziato a farsi più pesante, dato che - a detta dell'umana - sarebbe stato molto meglio per lui rimanere calmo e seduto il più possibile.

A Crowley non era nemmeno servito dirlo. Era rimasto sul letto, lo sguardo rivolto verso il vuoto, le braccia incrociate e le ciocche rossastre sparse sul materasso. Ogni tanto l'angelo tornava a guardarlo e, tutte le volte che lo faceva, il suo sguardo veniva ricambiato da quelle iridi serie e dorate. Si stavano controllando a vicenda, anche se nessuno dei due si era anche solo azzardato a dare una sbirciata all'aura dell'altro.

Una cosa era certa: se ci avesse provato, Aziraphale avrebbe notato il filo invisibile che collegava il demone e la giovane; la prova di qualcosa che aveva iniziato a sospettare da quando aveva realizzato il modo automatico e immediato in cui Anathema eseguiva tutti gli ordini dell'altro. Era orribile, ma si trovava nel lato maligno e oscuro della Terra, quindi da quelle parti era assolutamente normale - forse.

Si chiese quali altre cose avrebbe notato. Non era molto contento di ammetterlo, ma Crowley lo incuriosiva: c'erano parecchie cose che non quadravano in lui, da semplici sfaccettature a pezzi interi del suo caotico essere. Non avrebbe saputo spiegarlo, né - ma questo ormai accadeva spesso - avrebbe saputo dire se fosse o meno una buona cosa.

    «Bene, ho tutto,» annunciò Anathema, interrompendo quello strano tipo di contatto, l'unico che potevano avere. Poi si avvicinò al letto, stendendo un braccio: «Dai, scansafatiche, sali su.»

    Crowley sbuffò: «Non sono l'unico a non fare niente, qui,» lamentò intanto che tornava ad essere la strisciante e malmessa sciarpa di Anathema. Il modo repentino e fluido in cui lo faceva aveva lasciato Aziraphale sbigottito la primissima volta. Magari era una capacità comune ed era lui quello mal informato... Certo che erano tante, anche troppe, le cose che non sapeva.

    «Tu non sei educato e carino, fattene una ragione,» rimbeccò la giovane, rivolgendo all'angelo uno sguardo mimicamente esasperato.

Questi non poté che sorridere, soprattutto quando tutto quello che Crowley riuscì a rispondere fu una serie di increduli ed offesi ammassi di consonanti. Incredibile ma vero, per quanto assurda, quella era l'interazione più genuina che Aziraphale avesse mai visto.

    Alzandosi con calma - e accettando la mano di Anathema per pura educazione, dal momento che stava decisamente meglio rispetto a prima - l'angelo chiese: «Quindi, dove stiamo andando?»

Perché era ovvio che stessero andando da qualche parte, il che bastava a fargli venire i brividi: gironzolare come nulla fosse in quel luogo in cui la sola aria lo faceva sentire strano non era la migliore delle ipotesi.

    Abbassando la voce, la ragazza gli fece segno di seguirla fuori dalla stanza: «Ti ho accennato la Zona Mediatrice, no? Beh, è l'unico posto sicuro che conosco, oltre che l'unico dove possiamo parlare senza il rischio di essere scoperti.»

    Mentre parlava, andò ad afferrare un fitto mazzo di chiavi. Fu allora che Crowley alzò un po' la testa, affondando nuovamente lo sguardo in quello di Aziraphale. «Vedila come una specie di avamposto segreto di disertori

Pronunciò quella parola con un tono decisamente più velenoso del resto della frase. L'intento colpì l'altro quasi immediatamente: gli stava facendo capire che stava per andare contro le regole del Paradiso, cosa che sarebbe risultata inaccettabile agli occhi di qualsiasi creatura celeste al servizio del Signore. Aziraphale compreso, dal momento che sì: sentì effettivamente un'ondata d'ansia smangiucchiargli l'aura. Se lo avessero scoperto gli Arcangeli, gli avrebbero decisamente tagliato le ali - con la sua stessa spada, per giunta.

Anathema stava già per ribattere, ma bastò un movimento da parte del demone perché la sua bocca si richiudesse da sola. Quel leggero schiocco di coda racchiudeva in sé un chiaro e conciso: "Voglio vedere come reagisce".

    Così Aziraphale decise di ricacciare indietro il pensiero e rigirare la situazione: «Ci sei già stato?» Chiese, sviando da un qualsiasi parere personale sulla questione.

    A Crowley la cosa non piacque, e si poteva vedere dal modo in cui si era attorcigliato più stretto attorno alle spalle della giovane, la quale stavolta riuscì a intervenire in tempo. «No, gliel'ho solo raccontato. Ti metterò al corrente, tranquillo.»

Con grande sorpresa di Aziraphale, non uscirono dalla casa, bensì si avviarono verso una porticina ben in vista sulla parete opposta all'entrata. Due giri di chiave e si ritrovarono in un magazzino zeppo di oggetti, alcuni dei quali l'angelo non avrebbe saputo nominare - ed era già la seconda volta che succedeva, si disse. Avrebbe voluto poter approfondire la questione. Anche lì il senso di oppressione sembrava volerlo spingere verso il suolo, unendosi a quella che sarebbe tranquillamente potuta diventare una fobia: il buio. Comprensibile, dato che Aziraphale si rese conto di non averlo quasi mai visto. Si chiese come chiunque potesse viverci in mezzo senza impazzire.

    «Dì un po',» disse Crowley ad Anathema, iniziando a scivolare giù dal suo braccio, «hai strane botole nascoste anche qui?»

    L'altra scosse la testa: «No, ho molto di meglio.»

Il demone emise un solo: "mh", tornando alla forma solita e iniziando a far girare lo sguardo tra gli angoli polverosi e le ragnatele. Era così concentrato a curiosare che per poco non andò a sbattere contro la giovane quando questa si fermò davanti ad una libreria vuota, malandata e senza uno scaffale. La spostò con una facilità disarmante per una con la sua corporatura, rivelando un'ulteriore porta, più piccola della precedente e decisamente più rovinata.

    Sia Aziraphale che Crowley sbarrarono gli occhi e, seppur per un attimo, si scambiarono uno sguardo stralunato. Fu il rosso a dar voce alla domanda alla quale entrambi stavano pensando: «Quant'è grande 'sto posto?»

    Anathema sembrava quasi divertita: «Più di quel che sembra. Tu dovresti saperne qualcosa.»

Aziraphale avrebbe voluto fare tante di quelle domande, ma si limitò a fissare gli altri due mentre si davano dei subdoli a vicenda. Avrebbe voluto dire che era quella loro caratteristica a farli andare d'accordo, più o meno. Quando la giovane aprì la porta, sentì invece un moto di paura non indifferente: era come se quell'uscio fosse il confine invisibile tra lo scomodo comfort del suo mondo e la profezia che ancora gli scorreva in testa, parola per parola. 

Si chiese cosa stesse facendo. Non trovò una risposta precisa, o meglio, sapeva di avere una possibilità tra le mani: se davvero lui poteva essere un tassello importante per la salvezza dell'umanità, tanto valeva provare invece che girovagare avanti indietro per un muro.

    C'era un solo problema, però. Il problema aspettò che Anathema entrasse, prima di girarsi verso di lui, uno sguardo furbetto sul viso: «Paura?»

    Aziraphale sbuffò: «Tu no?»

    L'altro alzò un sopracciglio: «Ti ricordo che sono al servizio di Satana: questo è niente a confronto.»

    L'angelo gli passò davanti - forse per ripicca, non avrebbe saputo dirlo. «No, tu eri al servizio di Satana.»

Non si voltò nemmeno per osservare la reazione di Crowley, anche perché la sua attenzione venne attratta da qualcosa che per poco non lo fece retrocedere. Anzi, retrocedette abbastanza da sfiorare l'altro e allontanarsi al primo pizzicore; azione che passò quasi innoservata dinnanzi a ciò che si era palesato davanti a loro.

    Di nuovo, fu il demone a parlare per entrambi: «Tu sei pazza se pensi che io voglia mettere piede lì dentro,» disse, indicando il cerchio disegnato sul pavimento.


C'erano sì delle cose che accomunavano angeli e demoni, ed erano tutte assolutamente negative. Una di queste erano le evocazioni: stile differente, stesso principio. Gli angeli se la cavavano meglio, dal momento che ormai era diventata prassi nel loro regno essere chiamati tramite preghiere. Ovviamente, i demoni non avrebbero potuto dire la stessa cosa, dato che un cerchio ben disegnato e due parole ben pronunciate avrebbero potuto strapparli via da qualsiasi cosa stessero facendo e trasportarli altrove. La nota positiva era che, nella grande maggioranza dei casi, gli umani che provavano a fare una cosa del genere finivano all'Inferno prima del tempo. 

Quegli stessi cerchi erano rimasti nelle conoscenze comuni di tutti gli umani, ma nessuno li usava mai - o mai con leggerezza, o un motivo ben preciso. Gli angeli avevano provato a utilizzarli come mezzo di comunicazione, ma anche lì era più semplice che uno di loro si prendesse la briga di tornare in Paradiso a riferire ciò che doveva. Il perché era semplice: sbagliare a disegnarli era facile, soprattutto per un mortale distratto e nel disperato bisogno di comunicare con una creatura occulta - o eterea che dir si voglia. I simboli cambiavano a seconda dello scopo e del mittente, e ce n'erano tanti - addirittura troppi. Una volta attivi, non sapevi mai che cosa ne sarebbe uscito fuori o finito dentro, in poche parole: erano affascinanti ma scomodi.

Eppure il cerchio nella stanza ancor più sul retro della stanza sul retro di Anathema brillava, attivo, pronto all'uso come fosse assolutamente normale.

    La giovane sospirò: «Ti fidi davvero così poco?»

Inutile dire che quelle parole sfociarono in un altro battibecco. Aziraphale lo mise in secondo piano, iniziando a fissare il disegno con attenzione: la circonferenza era segnata da simboli familiari, alcuni dei quali brillavano persino in alcuni punti della fortezza celeste. In mezzo ad essi, però, spiccavano anche segni dritti, duri, dalle linee spezzate che gli facevano venire i brividi; simboli che non riconosceva. Nonostante ciò, si rese conto che il tutto si mescolava perfettamente, unendosi in un unico, coeso e perfetto cerchio inciso nella roccia del pavimento.

Interessante.

Senza far caso agli altri due, mosse qualche passo e andò a piazzarcisi in mezzo. Udì Anathema dire qualcosa come: "Vedi? Lui è intelligente", ma l'ultima cosa che vide furono gli occhi di Crowley che lo fissavano, di nuovo.

Duri, seri, vagamente contrariati.

E stupiti.

Come facessero ad esprimere tutte quelle cose insieme, l'angelo non lo sapeva, ma non fece in tempo a pensarci.


Ci fu una breve luce e nient'altro. Né un pizzicore, né un dolore, niente. Fu anche incredibilmente rapido e Aziraphale tirò un sospiro di sollievo nel vedere che era di nuovo alla luce del sole, circondato da un folto ed esteso gruppo di alberi. Persino la pressione nell'aria era sparita, e un leggero venticello andava infilandosi tra le piume delle sue ali e i riccioli dei suoi capelli. Sotto di lui, la copia carbone del cerchio nel quale si era infilato pulsava lievemente.

Si stava particolarmente bene lì, ovunque fosse "".

    «Wow,» lo sorprese una vocina, «allora è vero.»

Aziraphale aggrottò appena le sopracciglia e si girò. Davanti a lui c'era una ragazzina: doveva avere sì e no nove anni, undici al massimo. Aveva la pelle scura e finissimi, riccissimi, capelli neri. Lo fissava sgranocchiando una mela, un sorriso trionfante in faccia.

    Le sorrise appena: «Ciao,» la salutò, non sapendo se e come dire qualcos'altro. I piccoli umani erano un mistero per lui - tra le tante cose. Ogni tanto li osservava rincorrersi, sempre felici, sempre spensierati, andando di qua e là, seguendo regole tutte loro.

    L'altra buttò il torsolo nell'erba, finendo di masticare: «Ehilà, belle ali.»

    Aziraphale avrebbe volentieri ringraziato, ma venne spostato di lato dall'arrivo di un alquanto confuso e poco convinto Crowley, il quale - dopo averlo schivato per un soffio - si mise a sua volta a guardarsi intorno. «Va bene,» disse poi, «Pensavo peggio.»

    La ragazzina si voltò subito verso un punto imprecisato alle sue spalle, mise le mani davanti alla bocca ed esclamò: «Potete uscire!»

    Da dietro un albero poco più in là sbucarono due testoline, e due ragazzini da volti confusi uscirono dal loro nascondiglio, piazzandosi a distanza di sicurezza dal cerchio. Uno di loro, sistemandosi gli occhialetti sul naso, fece mezzo passo indietro: «Non è che ci mangiano o inceneriscono, vero?»

    L'altro, vestiti e faccia sporchi di fango, disse semplicemente: «Woah,» l'espressione di chi ha appena fatto una scoperta sorprendente.

    Tra Crowley e Aziraphale, comparve Anathema, la quale non ebbe nemmeno bisogno di riprendersi che già si era incamminata. «Ciao ragazzi,» disse ai bambini. «Che ci fate qui?» Chiese poi, fermandosi davanti a loro con aria di rimprovero.

    «Ci hanno detto che potevamo,» affermò la ragazzina.

    «Non è vero!» Rimbeccò quello con gli occhiali. «Io non ci volevo venire!» E tanto bastò per beccarsi una gomitata dal suo compagno, oltre che un sonoro: "Spione!" Da parte dell'amica, ora particolarmente arrabbiata. 

Accanto a lui, Aziraphale sentì Crowley accennare una risata. Una risatina incredibilmente, stranamente, assurdamente sincera. Quando si voltò a guardarlo, però, questi lo aveva fissato con la coda nell'occhio e - con una punta di ovvio imbarazzo - aveva messo per la prima volta fine a al loro contatto.


    «Va bene, va bene,» aveva iniziato a dire Anathema per calmare il gruppetto. «Su, andiamo». Aveva lasciato andare avanti i più piccoli e aveva aspettato che gli altri due la raggiungessero.

    «Esattamente,» iniziò a chiedere Aziraphale, in fondo alla fila, «dove siamo?»

    «Da qualche parte in mezzo al Confine,» spiegò la giovane, «è una zona grigia, zona franca, chiamatela come preferite. Paradiso e Inferno non esistono qui.»

Forse era per quello che c'era quell'aria particolare, si disse l'angelo. Davanti a lui, Crowley si rigirava in continuazione, scandagliando le cime degli alberi come se volesse trovarvi qualcosa. Lo stava volutamente evitando, quando fino a poco prima sembrava volerlo tartassare apposta. Lì gatta ci covava.

Smise presto di preoccuparsene, però, dato che lentamente la foresta iniziò a diradarsi, dando spazio alla campagna. Subito dopo di questa, si stagliava all'orizzonte un piccolo villaggio. Vederlo lì, ergersi nonostante la posizione, nonostante tutto, lo fece bloccare per un attimo.

Era ufficiale, allora, si disse senza sapere quale emozione stesse provando in quel momento.

Non si torna indietro.

   
 
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