Gli eco topi correvano lungo i canali di
scolo, mentre l’acqua bollente che di tanto in tanto bruciava le Isole omonime
gocciolava qua e là. Luz fu costretta a spostarsi di tanto in tanto, onde
evitare di ustionarsi la pelle.
La cella nella quale era rinchiusa era
piccola, poco più di una gabbia da zoo. Luz se ne stava seduta, rannicchiata,
con le ginocchia contro il petto. Si sentiva in trappola, ma non aveva alcuna
intenzione di cedere.
All’improvviso, si udì un cigolio metallico
e un incedere imperioso di passi. Le strette scalette d’accesso alle prigioni
vennero presto riempite dalla figura imponente di Belos.
Aveva su la maschera, ma non appena si fu
fermato davanti alla cella di Luz, l’uomo se la levò, rivelando nuovamente il
suo volto imperturbabile ed il suo sorriso incorruttibile.
“Buongiorno, Luz. Dormito bene?”
Luz strinse forte le sbarre di metallo,
sostenendo lo sguardo dell’Imperatore.
“Hai pensato alla mia offerta?”
“Non accetterò mai.” rispose subito lei, senza quasi dargli il tempo di terminare
la domanda.
Negli occhi azzurri di Wittebane passò un
lampo di delusione.
“Tipico di voi eroi.”
Fece per andarsene, ma all’improvviso gettò
per terra un ninnolo colorato. Esso si schiantò sul pavimento polveroso con un suono
legnoso, rivelandosi un portachiavi con disegnato sopra un bouquet di fiori.
Luz lo vide, ed ebbe quasi un mancamento: la
testa prese a girarle, le fischiavano un poco le orecchie, il fiato le si era
fatto corto.
“Come hai avuto questo?” gli chiese.
Belos raccolse il portachiavi da terra,
trattandolo come se fosse stato spazzatura.
“Questo portachiavi apparteneva ad un uomo.
Era tanta la sua fretta di tornare a casa, dalla sua famiglia, da averlo
dimenticato qui. Riconosci quello stemma, non è vero?”
Oh sì, che lo riconosceva.
Sentiva già un mare di lacrime montarle
dentro, ma non poteva permettersi di essere debole, di lasciare che la
tristezza e la distruzione albergassero nel suo animo, Eda aveva bisogno di lei, così come King e Gufy. E Amity… Se si fosse
arresa in quel momento, non avrebbe più potuto abbracciare la sua patata dolce.
“Siccome ti serve qualche stimolo in più per
aderire al mio piano, ti racconterò la storia di quello stemma. E’ l’emblema
dei Noceda, un’antica famiglia di origine
ispanica, coltivatori di fiori per vocazione da intere generazioni. Sai, Luz,
mia moglie era una Noceda. L’avevo
sposata quattro anni prima di arrivare su questa carcassa di Titano… Rosa, si
chiamava. Un nome appropriato. Aveva lunghi capelli castani e la pelle dorata.
Era una vera bellezza, ed io l’adoravo. Insieme abbiamo avuto un figlio, Manuel.
Sono scomparso dalle loro vite quando aveva appena due anni. Mia moglie sarà
morta detestandomi e maledicendo il mio abbandono. Mio figlio ha portato avanti
il nome di quella gloriosa famiglia… Fino a te,
Luz.”
Un terrore feroce aveva attanagliato l’animo
dell’adolescente, la quale aveva la schiena appiccicata al muro portante e non
riusciva più a muovere un muscolo.
Belos si avvicinò ulteriormente alle sbarre,
fissando Luz con la contentezza del predatore.
“… Nove anni fa, è giunto un umano sulle
Isole Bollenti. Per qualche strana ragione mi ha ricordato Rosa, e fatto
immaginare Manuel da adulto. Rafael
Noceda era completamente ignaro della vera natura di questi luoghi, si è
approcciato a me chiedendo dove fosse, essendo lui capitato qui per errore. Mi
ha raccontato di aver udito un grido provenire da una vecchia casa in rovina,
di esserci entrato per controllare che tutto fosse a posto e di essere stato
assorbito da uno strano fascio di luce. In effetti me lo sono ritrovato a
vagare nel mio Castello senza una meta… Aveva la stessa aria meravigliata e
curiosa di mio fratello Caleb…”
Ora il respiro si era completamente bloccato
all’interno della gabbia toracica di Luz.
Belos, tuttavia, non aveva finito.
Mentre continuava a
raccontare, la sua mente viaggiò indietro fino all’incontro con quell’uomo
irritante, che aveva trovato il modo di oltrepassare la barriera, mentre a lui
risultava impossibile.
“C’è
una barriera.”
L’Imperatore
aveva proteso una mano verso il Portale che Rafael aveva attraversato con tanta
semplicità.
“E’
strano, io sono venuto di qua senza problemi.”
La
mano guantata di Belos continuava a scontrarsi con quel muro d’aria invisibile.
“Forse
questa barriera vale solo per voi…” aveva provato ad ipotizzare Rafael,
irritando inconsapevolmente Belos.
“Noi?”
gli aveva infatti chiesto.
“Beh,
sì. Voi streghe e stregoni.”
A
quel punto, Belos si era tolto l’elmo ed aveva rivelato il suo volto all’estraneo;
il suo volto, seppur segnato da una maledizione che appariva severa, era umano
in tutto e per tutto.
Rafael
si sorprese:
“Oh,
quella striscia verde-” incominciò a dire.
“Dimmi
come hai fatto a venire qui.” tagliò corto Belos, con un principio d’impazienza
nella voce.
“Te
l’ho detto… Ho semplicemente attraversato un portale.”
“Sono
umano anch’io e anch’io sono giunto qui attraverso un portale. Dimmi perché non
ha più effetto su di me.”
Rafael
si bloccò: l’insistenza dell’Imperatore lo metteva a disagio, lo faceva sentire
sotto pressione, quasi come se delle risposte negative avrebbero significato
per lui guai a non finire.
“Io…
Non lo so. Davvero non lo so.”
“Non
lo sai? Allora sei inutile.”
C’era
stato un flash intenso, esploso davanti agli occhi di Mr. Noceda con una
potenza inaudita. Aveva avvertito un forte dolore al petto e quando era
riuscito nuovamente a capire dove fosse il sopra e il sotto si era ritrovato
sul prato circondante la casa abbandonata, nel suo mondo.
Si
rialzò, tastandosi la cintura per assicurarsi di non aver perso il suo marsupio,
ignaro di aver perso il portachiavi con lo stemma dei Noceda.
Di lì a poco, si sarebbe spento a causa della
maledizione di Belos, irradiandosi dal cuore al torace, passando per gli arti e
condannandolo ad una lenta cancrena.
“Sei disumano.”
Senza volerlo, Luz aveva insultato Belos nel
modo peggiore.
Belos, o meglio, Philip, amava la sua
umanità, la amava così tanto da accettarla in ogni sua sfaccettatura, anche la
più orrida.
Il volto di Luz era ormai allagato dal
pianto, soffocato da una disperazione senza pari, annientato dalla
consapevolezza di aver perso l’amato padre per colpa dello stesso, spietato
assassino che stava combattendo.
“Ti sbagli, Luzura, io sono sempre stato umano.”
Suo padre era stato nel mondo delle streghe,
forse attirato dal richiamo del sangue, lo stesso che scorreva nelle sue vene.
Era una Wittebane, imparentata con Hunter e con i Clawthorne. Stava girando
tutto ad una velocità tanto, troppo vorticosa.
Ad un tratto, un pensiero fievole si fece
pian piano strada nella sua mente:
“E la mamma?”
Camila non ne aveva saputo nulla, anche se
ora Luz aveva il dubbio tremendo che avesse sempre finto di non conoscere il
mondo magico.
Non c’era tempo comunque per recriminare,
Belos aveva ricominciato a parlare:
“Vedo che non sei disposta a collaborare.
Poco male, resterai qui come mia ospite ancora per un po’. Tra sei giorni sarà
tutto finito.”
Quella di Belos era sia una velata minaccia
che una carezzevole promessa, e quando la porta d’ingresso alle segrete
finalmente si chiuse, la ragazza si abbandonò finalmente ad un sonno
prepotente, che la lasciò stordita. In esso, le immagini di sua madre e suo
padre s’ingarbugliavano come gomitoli senza fine, e quella strana dormiveglia
la rese più stanca e svuotata di prima.
“Non devo arrendermi…” si disse ancora, con
la testa dolorante.