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Autore: blackjessamine    23/05/2022    5 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TW: non è qualcosa di esplicito e soprattutto è trattato in modo molto leggero, ma in questo capitolo ci sono alcune riflessioni di Gilderoy che potrebbero essere ricondotte a un approccio al cibo problematico.

 


 





 

Galeotta fu la dieta




 

Gilderoy doveva trovare una soluzione: non poteva continuare a prendere il Nottetempo e farsi lasciare poco lontano da Saffran Street, perché era  improbabile che l'autista dell'autobus potesse farlo viaggiare una terza volta senza riconoscerlo. E se lo avesse riconosciuto, avrebbe cominciato  a chiedersi che cosa andasse a fare Gilderoy in quel quartiere babbano, e poi tutto sarebbe diventato molto difficile e molto poco piacevole. Tutto ciò dando per scontato che ci sarebbe stato un terzo incontro: la possibilità che tutto finisse prima ancora di cominciare era sconcertante, ma Gilderoy doveva prenderla in considerazione, perché non poteva permettersi le illusioni e le conseguenti delusioni.

La sera, Saffran Street era un concentrato di luci contro il cielo non ancora del tutto scurito e babbani che passeggiavano tranquilli per lo squallido quartiere. C'era qualcosa di strano nel modo in cui le famiglie riempivano le strade: avevano tutti l'indolenza di turisti in vacanza, ma nessuno sano di mente sarebbe mai andato in vacanza in quella tristissima parte di Londra. A giudicare dal modo di muoversi e dalla mancanza di fretta di tutti quei babbani si sarebbe detto che quella non fosse una grande città, ma un piccolo villaggio di qualche secolo prima. Non fosse stato per l'architettura a dir poco disgustosa del luogo, per l'accalcarsi di automobili e rumori stridenti e per gli odori così penetranti e babbani, beninteso.

 

Gilderoy aveva ormai raggiunto il pub, e la visione di quella vetrata un po' unta affacciata sulla strada gli tolse per un istante il respiro. Non tanto per la pessima scelta di colori sgargianti dell'arredamento,  ma piuttosto perché, su quello sfondo variopinto e chiassoso, la figura seria di Kingsley spiccava con la solennità del ritratto di un sovrano. Da fuori, Gilderoy riusciva  a scorgere solo il suo viso e parte di un'anonima felpa babbana, ma il portamento fiero lo faceva risaltare contro quel contorno pacchiano e nonostante l’abbigliamento dimesso.

Quasi avesse sentito lo sguardo di Gilderoy incollato addosso, Kingsley alzò il proprio, incrociò gli occhi di Gilderoy e gli regalò un sorriso radioso,  che contrastava con la sua solita espressione seria e sembrava mostrare apertamente la giovane età dell'uomo.

Senza curarsi dei babbani che aveva attorno e senza nemmeno dare un'ultima controllata al proprio riflesso in vetrina, Gilderoy si affrettò ad afferrare la maniglia della porta – non pensò nemmeno che quell’oggetto unto avesse bisogno di una bella passata di Solvente di Nonna Acetonella!

L’odore pesante di fritto lo aggredì, aggrappandosi al suo naso con la stessa prepotenza con cui probabilmente sarebbe rimasto incollato ai vestiti, ma Gilderoy decise di soprassedere, raggiungendo con passo svelto la sedia che Kingsley aveva scostato per lui – un vero gentiluomo, in barba all’insistenza con cui cercava di mascherarsi da rozzo babbano. 

“Sei venuto… temevo che avessi troppi autografi da firmare e non riuscissi a liberarti”. 

C’era negli occhi di Kingsley una luce divertita, ma era un divertimento innocuo, privo di malizia. Kingsley stava cercando di ridere con Gilderoy, non di Gilderoy.

“Hai avuto fortuna. Il tour promozionale di In viaggio con il vampiro è appena finito e mi sto concedendo qualche giorno di riposo prima di iniziare un nuovo progetto…” minimizzò Gilderoy, consapevole che Septimus gli avrebbe ridotto in cenere tutti i bigodini, se solo si fosse lasciato scappare qualche indiscrezione di troppo su un progetto ancora così nebuloso come il manuale. Gli sembrava quasi di sentire la sua voce: anche i cubetti di ghiaccio babbano hanno le orecchie, Gilderoy, quindi fatti un nodo alla lingua e non fare sciocchezze! Del resto, essere lì con Kingsley era già una sciocchezza, che male poteva fare un’indiscrezione in più?

Kingsley fece scivolare sul tavolo un orrendo menù di cartone colorato su cui spiccavano disgustose ditate unte.

“Vuoi dare un occhio prima di ordinare?”
Per educazione più che per reale interesse, Gilderoy lasciò scorrere gli occhi sul testo, senza nemmeno leggere per davvero: dopo il tè proteico, non era davvero il caso di aggiungere anche del cibo vero alla cena. Non appena posò il menù, non fece neanche in tempo ad aprire bocca per giustificare con Kingsley la sua mancata ordinazione che una giovane cameriera strizzata in una divisa decisamente poco lusinghiera era comparsa al loro tavolo, tutta sorrisi e smorfiette. La ragazza si rivolse subito a Kingsley:

“Fammi indovinare, per te il burger vegetariano e dell’acqua, giusto?” Kingsley fece appena in tempo ad annuire che la ragazza si rivolse a Gilderoy:
“E a lei invece cosa posso portare?”
Forse fu la fastidiosa familiarità con cui la ragazza si era rivolta a Kingsley, dimostrando di ricordarsi di lui e di conoscere i suoi gusti, oppure la distaccata educazione con cui si era rivolta a Gilderoy, o la totale mancanza di qualsivoglia brillio curioso nei suoi occhi – non era proprio abituato, Gilderoy, ad avere davanti una giovane donna che non lo guardasse con ammirazione e interesse, poco importava che poi di quell’interesse lui se ne facesse ben poco – insomma, Gilderoy trovò terribilmente indisponente la cameriera, e decise di non concederle neanche la più piccola soddisfazione.

“Per me invece solo una spremuta d’arancia. Filtrata, per cortesia”.

La ragazza annotò tutto sul blocchetto che portava nella tasca della divisa e sparì, inghiottita dalle richieste del chiassoso tavolo vicino al bancone. 

Quando riportò lo sguardo su Kingsley, Gilderoy si accorse che l’uomo lo stava fissando con la fronte leggermente corrugata.

“Sicuro di non volere nient’altro? Hai già cenato, vero?”
E, con sua grande sorpresa, Gilderoy si ritrovò a inciampare sulla verità. Mentire per lui era un’abitudine consolidata, qualcosa che faceva da sempre, da prima ancora di diventare famoso.  Non aveva mai avuto remore nel cavarsi d’impiccio in una situazione spiacevole mettendo in fila qualche bugia, poco importava poi che la bugia potesse o meno mettere in difficoltà qualcun altro. In qualsiasi altra circostanza, non avrebbe nemmeno dovuto riflettere prima di dire che sì, purtroppo aveva già cenato, sarà per un’altra volta. E invece la limpidezza nello sguardo di Kingsley rendeva complessa anche quella semplice e sciocca bugia.
“Be’, più o meno. Ma in questi giorni ho pasticciato troppo, quindi è meglio se questa sera resto leggero”.

La fronte di Kingsley si corrugò ancora di più.

“Il digiuno non mi sembra una soluzione ottimale, però”.

“Non sto esattamente digiunando…”
“Una spremuta non mi sembra una cena”.

Gilderoy sbuffò, esasperato. Non amava dover rendere conto a qualcuno delle proprie scelte alimentari, nemmeno se questo qualcuno era Kingsley Shacklebolt.

“Non mi faccio dare lezioni di dieta da qualcuno che mangia cibo per conigli”, scandì, testa alta e con aria più petulante di quanto avrebbe voluto. 

Proprio in quell’istante, la cameriera tornò, posando davanti a Kingsley un panino che, per dimensioni, avrebbe potuto tranquillamente gareggiare con tutta la gabbia del coniglio, non solo con il suo mangime. Come se non bastasse, il piatto strabordava anche di una quantità di patatine fritte che sembrava essere stata pensata per sfamare tutto il locale, non solo Kingsley.

Entrambi fissarono il panino, poi si scambiarono uno sguardo e non riuscirono a trattenersi dallo scoppiare a ridere, con grande disappunto della cameriera che, evidentemente, non doveva essere abituata a vedere i clienti deridere i propri piatti. 

“Se vuoi una patatina…”
Kingsley posizionò il piatto in modo che fosse facilmente raggiungibile anche da Gilderoy.

“Ti ho detto che devo restare leggero e tu mi offri patatine fritte?”
Kingsley si strinse nelle spalle, dando un morso abbondante al panino e masticando con gusto. 

“A me sembri già perfettamente in forma”, mormorò dopo aver inghiottito, inchiodando Gilderoy al suo posto con uno sguardo così intenso che, per un istante, lui non ebbe dubbi su quale fosse il reale intento dietro quell’appuntamento. E così Gilderoy decise di sollevare il mento e giocarsi un'arroganza sfacciata: del resto, il suo era pur sempre il sorriso più affascinante d'Inghilterra, poteva ben permettersi qualche ammiccamento, no?

"Anche tu non puoi lamentarti della tua forma. Anzi, direi che non puoi lamentarti affatto, visto che a quanto pare qui sei di casa e per te è normale mangiarti tutta questa roba tutti i giorni".

Kingsley, che nel frattempo si era riempito di nuovo la bocca, scosse piano le spalle.

"Quando sgarro, io preferisco fare esercizio invece che digiunare" – e Gilderoy si ritrovò a pensare di nuovo al passo elastico e slanciato con cui lo aveva visto correre la domenica precedente – "e comunque non direi che qui sono di casa. Ci vengo solo tre o quattro volte al mese".

Per un attimo, al ragazzo in tuta che correva nel parco si sovrappose l'immagine dell'Auror in divisa della sera del loro incontro: erano due immagini così contradditorie, due immagini che cozzavano così tanto con il racconto della sua adolescenza passata a vegliare sull'uovo di un gheppio da posta magica che Gilderoy non riuscì proprio a ricacciare indietro la curiosità:

"Ma, senti, mi togli un dubbio? Che ci fa un Auror Purosangue come te in questo quartiere?"

Per tutta risposta, Kingsley sollevò gli occhi dal panino, si gettò attorno uno sguardo apparentemente svagato ma che Gildeory, abituato com'era a controllare sempre chi lo stesse osservando, riconobbe come un rapido esame della situazione,  e con un movimento così veloce e preciso che Gilderoy rischiò di non accorgersene nemmeno si fece scivolare  in mano la bacchetta che portava nascosta nella manica della tuta ed eseguì un incantesimo non verbale.

"Cosa… che fai?"

Lo stupore di Gilderoy non fece altro che aumentare quando Kingsley non nascose la bacchetta, ma la appoggiò sul tavolo, in bella vista accanto al coltello.

"Solo un piccolo incantesimo per deviare l'attenzione dei babbani. Non ci noteranno, ora, così possiamo parlare liberamente senza rischiare di essere sentiti".

"Ma non sarebbe illegale fare incantesimi sui babbani?"

Non che a Gilderoy importasse granché – maghi, babbani, lui non si faceva problemi nemmeno a cancellare la memoria alle persone, figuriamoci a distogliere semplicemente la loro attenzione!

"Be', sì, ma non è un incantesimo dannoso e serve a preservare lo Statuto Internazionale di Sicurezza, quindi ha comunque la precedenza".

Gilderoy si concesse un sorso di spremuta – che quella sciagurata di una cameriera si era ben guardata dal filtrare, e ora era piena di filamenti disgustosi – prima di riportare la conversazione sulla questione che lo interessava tanto.

 "Be', in realtà sono qui per lavoro".

"Stai seguendo un caso?"

Gilderoy sentì il gelo della paura percorrergli la spina dorsale. Se era lì per lavoro, forse qualcuno al Ministero aveva scoperto qualcosa sulla scia di memorie cancellate che si era lasciato alle spalle. Forse Kingsley era lì per arrestarlo, forse…

"No, a dire il vero no. È… un po' complesso".

"Se non hai voglia di spiegarlo, non c'è nessun problema", mentì Gilderoy: in realtà, la sua curiosità  non aveva fatto altro che aumentare con quella risposta, e l'idea di dover rinunciare a una spiegazione non faceva altro che rendere più desiderabile suddetta spiegazione.

"Be', non so se lo sai, perché in effetti di solito si pensa che gli Auror facciano cose più divertenti, ma alcuni di noi collaborano strettamente con i babbani. Non con tutti i babbani, naturalmente, ma almeno con quelli più importanti… il Primo Ministro, la regina…."

"Tu lavori con la regina?" Gilderoy non si trattenne dall'interromperlo. Poteva aver rinnegato e dimenticato da tempo ogni legame col mondo babbano, ma Gilderoy nutriva profondo interesse e ammirazione per la regina, per la padronanza dei gesti con cui sapeva salutare i sudditi e soprattutto per il suo coloratissimo guardaroba.

"Non lavoro con la regina,  e nemmeno con il Primo Ministro. Non lavoro proprio con nessuno per ora, a dire il vero".

Gilderoy era confuso, così decise di tacere, bere la sua spremuta piena di filamenti e ascoltare Kingsley – del resto, la sua voce era così bassa e piacevole che stare in silenzio ad ascoltarlo, qualunque cosa dicesse, era un'esperienza assai piacevole.

"Solitamente non si tratta di una vera e propria collaborazione, ma piuttosto di una via di mezzo fra un lavoro d'intelligence e di protezione. È sempre bene essere informati su ciò che succede ai capi di stato babbani, e, talvolta, anche se noi maghi preferiamo fingere che  non ci interessi, proteggere i suddetti può rivelarsi l'unica scelta possibile per mantenere la pace anche nella nostra comunità".

Gilderoy annuì, distratto, più occupato a osservare il modo in cui la fronte di Kingsley si aggrottava appena e il suo sguardo si accendeva di genuina passione nel parlare di politica interculturale che intento ad ascoltare il reale significato di quelle parole.

"E poi naturalmente ci sono i pericoli che noi possiamo portare nella loro comunità… insomma, puoi benissimo immaginare il pericolo che hanno corso i membri più importanti della comunità babbana durante la guerra".

Gilderoy annuì di nuovo, anche se la verità era che no, non immaginava quei pericoli e, a dirla tutta, non aveva nemmeno molto interesse a farlo. La guerra era un ricordo confuso e doloroso, fatto di privazioni e paura: Gilderoy, benché non ne parlasse mai, non poteva vantare origini purissime, e così durante la guerra era stato costretto a mantenere un profilo bassissimo e a cercare di non attirare troppo l'attenzione. Era stato orribile ed ora che la pace era tornata a ricostruire ogni cosa e dare spazio alla leggerezza lui non aveva alcuna intenzione di tornare a pensare a quell'orribile periodo.

"Ecco, io sto seguendo un programma che, un domani, mi permetterebbe di assumere un ruolo sotto copertura accanto ai babbani, se la cosa si rendesse necessaria".

Gilderoy lo fissò a lungo. Lo ricordava nei suoi panni di Auror, ricordava la disinvoltura con cui si era mosso in un contesto magico e formale, e faticava comunque a immaginarlo sprecato a perdere il suo tempo in mezzo a babbani che forse non avrebbero nemmeno mai avuto bisogno del suo aiuto. 

"Quindi il tuo lavoro consiste nel mangiare patatine fritte mentre le cameriere babbane ti fanno gli occhi dolci?"

Gilderoy non avrebbe voluto suonare così acido, ma in qualche modo la familiarità di quella ragazza lo aveva infastidito più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Kingsley, però, si limitò a ridere.

"No, in realtà no. Faccio tutto quello che farei se non facessi parte di questo programma, solo che devo vivere in quartiere babbano e cercare di integrarmi al meglio,  così da avere una base solida nel caso in cui dovessi davvero lavorare sotto copertura. È una sorta di prova generale".

Kingsley non sembrava particolarmente scosso o turbato da questa situazione nonostante Gilderoy, al suo posto, avrebbe volentieri fatto armi e bagagli e salutato sbattendo la porta tutto il Dipartimento Auror.

"Cos'è, una punizione? Hai sabotato il tuo ultimo caso e quindi ti hanno spedito qui?"

Kingsley rise di nuovo, ma stavolta sommessamente.

"No, a dire il vero ho chiesto io di entrare in questo programma, e a quanto pare avevo tutti i requisiti adatti, e quindi eccomi qui".

Lo disse con una punta di soddisfazione che non fece altro che aumentare la perplessità di Gilderoy.

"Lo hai chiesto tu? Ma poi, scusa, non avrebbe più senso chiedere agli Auror di famiglia babbana invece che pretendere un Eccezionale in Babbanologia da un Purosangue?"

Kingsley si strinse nelle spalle, la testa china di lato e un'espressione concentrata in viso. Sembrava che stesse riflettendo per la prima volta sulla domanda, il che era assolutamente improbabile.

"Forse sì, ma spesso queste persone, per integrarsi al meglio nella società magica, scelgono di rinnegare più o meno consapevolmente il mondo babbano. E poi, questo non è esattamente il posto più ambito, e di solito si rischia di farlo ricoprire solo dai peggiori, che lo fanno in modo svogliato e ottenendo pessimi risultati. Io invece…"

Kingsley si interruppe, imbarazzato, ma Gilderoy sospettava di sapere dove volesse andare a parare. E di imbarazzo, quando di trattava di riconoscere il proprio talento, Gilderoy proprio non ne aveva, né avrebbe mai permesso a Kingsley di provarne.

"Tu invece sei l'Auror migliore del dipartimento, scommetto".

Imbarazzo, di nuovo.

E poi, con gli occhi fissi sul soffitto, Kingsley proseguì:

"Be', no, ovviamente no. Ma ho finito l'Accademia tre anni fa, e i miei voti di ammissione sono stati fra i più alti del corso".

"E quindi" cercò di capire Gilderoy "con i tuoi bellissimi voti avresti potuto scegliere di farti assegnare alla squadra che lavora ai casi più interessanti, ma tu hai comunque scelto di farti esiliare in questo posto orribile a giocare al babbano".

Kingsley sembrò irrigidirsi, e per un attimo Gilderoy temette di essersi spinto troppo oltre, criticando qualcosa che non avrebbe dovuto criticare.

"Qualcuno deve pur fare questo lavoro, e un Auror mediocre privo di motivazione non lavorerà mai bene".

Ovviamente uno come Kingsley avrebbe anteposto il dovere e la necessità alle proprie aspirazioni.

"E comunque, non è così male vivere qui. Mi piace questo quartiere, mi piace poter tornare a casa e camminare per strada senza che nessuno sappia davvero qualcosa di me. È come avere una grande libertà, alla fine, perché nessuno sa quali siano le tue responsabilità, e quindi nessuno può avere aspettative nei tuoi confronti".

Tacquero entrambi per un lungo momento: le parole di Kingsley avevano colpito tutto quel groviglio di emozioni e contraddizioni che Gilderoy stava sempre attento a non smuovere mai, a nascondere sotto le gratificazioni della fama e del successo e a ignorare. Perché, in fondo, Gilderoy capiva benissimo quale potesse essere quella sensazione. Non poteva dirlo ad alta voce – non poteva dirlo nemmeno a sé stesso, maledizione! – ma capiva la remota fascinazione di essere per un istante solo un ragazzo qualunque, un ragazzo seduto al tavolo di un pub da cui nessuno si aspettava niente. 

"Certo che è strano. Tu sei… non lo so, in un certo senso li stai ingannando tutti questi babbani, no? E mi sembra assurdo, perché tu mi sei sempre sembrato così… così trasparente. Sei la persona che ispira più fiducia al mondo, eppure menti a tutti".

Questa volta, Gilderoy se ne rese subito conto, le sue parole erano davvero state sbagliate. Kingsley si irrigidì, nei suoi occhi balenò un lampo di qualcosa fin troppo simile al dolore, e la sua postura mutò. Era tornata la maschera impassibile dell'Auror in servizio, quella posa imperscrutabile di una persona incapace di farsi scalfire dal mondo.

"Sono davvero contento di averti ispirato fiducia, e spero di non tradirla mai. Io non sto mentendo a nessuno: se sono così bravo in questo lavoro è perché ho imparato a far trapelare solo ciò che la gente vuole vedere. Non mento, ma la trasparenza è un'altra cosa".

Il silenzio che seguì fu lungo e pesantissimo, carico com'era di significati e di parole non pronunciate ad alta voce. 

Alla fine, incapace di sostenerlo un istante più a lungo, Gilderoy si ritrovò a mormorare:

"Non volevo essere invadente o offenderti" 

"Non mi sono offeso", si affrettò a specificare Kingsley con un sorriso sottile a stirargli le labbra.

"Però potrei offendermi se non mi aiutassi a finire queste patatine", soggiunse, allungando ancora un po' il piatto verso Gilderoy.

La puzza di fritto gli stuzzicò le narici: in fondo, era una puzza che, almeno sotto un certo punto di vista, poteva essere considerata un profumo. E Kingsley gliele aveva offerte come un chiaro tentativo di voltare pagina e ritrovare un terreno fatto di amicizia e complicità. Rifiutare quell'offerta avrebbe avuto lo stesso significato di rifiutare un trattato di pace.

"E va bene", si arrese, afferrando una patatina con la punta delle dita, "ma sappi che per colpa tua dovrò passare almeno una settimana a mangiare solo gambi di sedano e carote scondite!"

Kingsley finì di masticare il poco che restava del suo panino, prima di replicare:

"Che sciocchezza. Te l'ho detto, se pensi di avere esagerato con le patatine, ti basta fare un po' di esercizio fisico. Puoi sempre venire a correre con me, se da solo ti annoi!"

"Ma neanche morto! Correre significa sudare, e no, scusami, ma il sudore non mi dona. Non potrei mai farmi vedere così da te".

Gilderoy sapeva di aver appena spinto la conversazione verso una consapevolezza molto esplicita di ciò che sperava quell'appuntamento significasse, e per un istante rimase a tremare, temendo la reazione di Kingsley.

Reazione che giunse, rapida e sicura, impavida, piena di tutta quella salda determinazione che caratterizzava l'Auror: 

"Non credo mi dispiacerebbe avere l'occasione di vederti sudato. Sono sicuro che sapresti essere molto affascinante anche così…"

E Gilderoy, che le parole se le rigirava in testa, fra le mani e sulle labbra da sempre, per una volta rimase a corto di risposte brillanti. Si limitò a fissare lo sguardo intensissimo con cui Kingsley lo stava inchiodando al posto, sentendo le gote arrossarsi di qualcosa che niente aveva a che vedere con l'imbarazzo.

Alla fine, con un grande sforzo, Gilderoy si costrinse a smettere di fare la figura dello sciocco e a trovare qualcosa di intelligente e brillante con cui ribadire.

"Però correre davvero non fa per me. Dovrai escogitare un piano diverso per farmi sudare, signor Auror".

"Oh, ma io ho sempre un secondo piano".

Quell'uomo, Gilderoy ne era certo, avrebbe rappresentato la sua fine. Una grande, muscolosissima fine a cui Gilderoy non vedeva l'ora di andare incontro.





 

 


 

Note:

Ok, ormai non ci provo più neanche a tenere il conto di quanto tempo passi fra un capitolo e l’altro, ma insomma, ci siamo!
Ora, sarò brevissima, ma due parole sul ruolo di Kingsley nel mondo babbano mi sento di doverle dire: la famiglia Shacklebolt è annoverata fra le Sacre Ventotto dunque, per quanto probabilmente fossero piuttosto aperti al mondo babbano, c’è da supporre che lui sia nato e cresciuto in un contesto completamente magico. Eppure, durante la seconda guerra magica noi troviamo Kingsley intento a fare il segretario personale/guardia del corpo al Primo Ministro (hai capito Tony Blair che fortunello?). Ovviamente questo ruolo non l’ha ricoperto in quanto Auror alle dipendenze di un Ministero già corrotto, ma in quanto membro dell’Ordine della Fenice, ma insomma, se davvero il Ministro della Magia ha dei contatti col Primo Ministro Babbano, mi sembra plausibile pensare che esista anche un programma che stabilisca questo tipo di contatti. E se Kingsley ne avesse fatto parte (sebbene qui sia ancora molto giovane) avrebbe senso la facilità con cui si inserisce in un contesto babbano. Quanto alla regina, invece, in Harry Potter non è mai nominata, ma io non crederò mai che maghi e monarchia non abbiano avuto qualche tipo di contatto, nel corso della storia.

Bene, avevo detto che non mi sarei dilungata, e invece ho scritto note più lunghe del capitolo, quindi fuggo. 

Grazie davvero a chiunque abbia la pazienza di continuare a seguire questa storia. 

Un abbraccio!

 
   
 
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